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Autore: Pachiderma Anarchico    04/02/2016    2 recensioni
"Le persone che hanno sofferto sono le più pericolose, perché pur temendo il dolore conoscono la loro forza e sanno come sconfiggerlo. La loro paura è pari al loro coraggio. Non si fermeranno di fronte a niente e nessuno e sapranno ingoiare tutte le lacrime, sapranno alzarsi dopo aver toccato il fondo. Chi ha sofferto ha un cuore grande perché conosce il bene e conosce il male e ha rinchiuso in se tutto l'amore e il dolore. Sapranno sempre allungare una mano per fare una carezza e trovare una parola per confortarti, ma non sottovalutarle mai, perché sapranno ucciderti nel momento in cui tu cercherai di farlo con loro."
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too frail to live, too alive to die.'
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\\Ritardo, ritardo. Sono in un completo. ritardo.
Ne sono consapevole e me ne assumo tutte le responsabilità. Non vi spiattellerò alcuna scusa. Mi auguro solo che i fedeli e affettuosi lettori di questa storia non impugnino arco e forconi e mi vengano a prendere sotto casa. 
Credo che questo sia il penultimo capitolo, o al massimo il terzultimo.
Se vi va (e lo spero) lasciate una recensione per questo agoniato, sfuggente 18esimo capitolo e grazie ancora per l'apprezzamento dimostratomi.
Pachiderma Anarchico






CAP. 18
 
 


 
 
Avete mai provato la sensazione di aver controllato tutta la vostra vita? 
Di aver creato ogni suo schema, di aver raddrizzato ogni suo binario, di aver calcolato ogni suo numero… tanto da averla già vissuta prima di viverla.
Se la risposta è sì,  sapete esattamente come io mi sono sentito. 
Fino ad ora.
Conoscete anche la sensazione di aver perso quel controllo? 
Di aver ignorato la retta di uno schema che non avevate previsto, di aver raddrizzato un binario sbagliato, di non aver calcolato le persone, insieme ai numeri. 
Se sì, potete facilmente immaginare come mi senta adesso. 
O forse no.
Quando è accaduto? Come?
In quale esatto momento tutto il mio mondo di simmetrie e strade inondate di sole ha deciso di esplodere?
A causa sua. 
No, non della rossa che butta a terra la pistola come se fosse incandescente… e neanche del ragazzo d'argento dietro le sue spalle di luna che la incita a scappare, prima che sia troppo tardi. 
No.
E' stato tutto a causa del fottutissimo ragazzo moro ricoperto di sangue e respiri sconnessi che hanno nascosto su quell'ambulanza a cui non mi fanno neanche avvicinare. Se dovesse succedergli qualcosa… se non lo rivedessi più…
-Aleksander… figlio mio!- 
Strette di spalle, lacrime, baci, mani sul cuore, il mio si è fermato. Si è fermato assieme al suo. 
No. 
-Stai sanguinando..-
No.
-Cos'è successo?-
-Chiamate l'altra vettura!-
-C'è polvere da sparo qui..-
-Aleksander… amore, devi farti vedere.-
No.
-Lui dov'è..?- riesco a dire, nel trambusto di psichedeliche luci di ambulanze e automobili di poliziotti indaffarati, barelle e manette ai polsi di un pallido fantasma rosso.
-Lui dov'è?-
Nessuno mi risponde. 
Qualcuno alla fine è costretto a iniettarmi un tranquillante per farmi salire in macchina. 
Quando gli passo davanti il fantasma rosso mi guarda. 
Ha la morte in faccia, bagnata di lacrime. Io una storia non finita, bagnata di rabbia.
Era probabilmente una promessa di guerra, e se non fossi stato troppo sconvolto, l'avrei capita.
 
***
 
 
Non c'è riposo per chi era sul luogo del delitto. Neanche quando il delitto dovevi essere tu.
-Signor Lubomirski? Dobbiamo farle alcune domande.-
-Non vedete che è sotto controllo?-
Sotto controllo.
-Signora..-
Mi viene da ridere.
-Sono Barbara Marja Lubomirski, chirurgo e primario di questo ospedale, e sto parlando da esperto prima che da madre. Nessuna domanda durante la medicazione del paziente.-
Ma sto tremando.
Un medico sbatte la porta davanti agli agenti. 
E' mia madre, ma è sempre difficile riconoscerla nel lungo camice bianco e nell'aria pratica di chi ha combattuto molte battaglie.
-Joy, i risultati.-
-Tuo figlio ha il tendine del braccio destro stirato Barbara, una contusione alla tempia sinistra e un ematoma localizzato sul petto, poco sopra il capezzolo destro. Per il resto non abbiamo riscontrato altre problematiche.-
Parlano e parlano. Parlano del fatto che io non riesca a seguire la luce con gli occhi perché mi tremano anche le pupille e delle dosi anestetiche da darmi se non la smetto di salire e scendere dal lettino. Parlano e parlano, fino a quando un altro camice bianco non irrompe con seriosa gravità nella stanza, dicendo una roba come: -Dominik Santorski presenta una costola rotta e una incrinata, il proiettile è a circa 5 cm di profondità, potrebbe aver sfiorato un polmone, ci serve lei dottoressa.-
Non sono uno sciocco. 
So riconoscerla una situazione che sta in piedi per miracolo e potrebbe crollare da un momento all'altro quando mi si presenta davanti con il suo bel vestito di macchiato di disperazione: la vedo nei gesti meccanici di mia madre, la percepisco nella faccia impassibile del suo collega e la sento quando scendo dal lettino per l'ultima volta e mi rendo conto che se non vedrò mai più la sua faccia impazzirò.
-Aleksander, dove vai?-
-Devo vederlo.. io devo vederlo.-
Mi riportano sul lettino. Mia madre si allontana.
-SALVALO TI PREGO!- è l'unica cosa che riesco a urlare prima che inizino a tastarmi il braccio. 
Il tendine è maciullato. Vedo le stelle.
 
***
 
E' rosso. 
E' rosso su tutte le dita.
E' rosso sui palmi delle mani.
Non riesco a guardarlo. Non riesco a guardarmi. 
E' il suo sangue.
E' il suo sangue sotto le mie unghie.
E' il sangue di quel bastardo nelle pieghe dei miei palmi. 
Sembrano strane ramificazioni di vene , rosse, rosse, così rosse da darmi la nausea.
-Leks! Cosa cavolo è successo?!-
-E' il suo sangue Sam… è il suo sangue…-
-Leks… vuoi bere? Puoi bere qualcosa? Cos'hai? Hai il braccio tutto fasciato Leks…-
-Io.. lui.. Sam.. non lo rivedo più io.. se non lo rivedo più io..-
Due mani mi afferrano le spalle. Le stringono. Mi fanno male. Ma gliene sono grato.
Non avevo mai provato questo dolore. O almeno avevo sempre finto di non riuscire a provarlo, dietro la mia invincibile corazza d'acciaio. Ora mi sta consumando dentro. Dove sei? Stronzo dove sei?!
-Leks ascoltami.- 
I suoi occhi verde foglia sono brillanti, e amichevoli, e pieni fino all'orlo di preoccupazione per il sottoscritto, e vorrei dirglielo, dirgli tante cose che non gli dirò mai più. Ma non voglio dirle a lui e non voglio vedere i suoi occhi e l'unico accenno di voce che partorisce la mia gola è un flebile -Dominik…-
-Non so cosa sia successo: dimmelo Leks. Dominik cosa?-
-Io l'ammazzo… se muore io l'ammazzo. Te lo giuro Samuel se lui muore Io l'ammazzo conqueste mani..-
-chi ammazzi Leks, chi muore.. chi??-
-DOMINIK! QUELLA GRANDISSIMA FIGLIA DI PUTTANA GLI HA SPARATO A DOMINIK CAZZO..!-
Sono grato anche quando Samuel mi spinge via, trascinandomi vicino la macchinetta del caffè, sperando di riuscire a calmarmi con una camomilla che sa di acqua. Lui parla, mi abbraccia, mi sposto, cammino avanti e indietro percorrendo le stesse quattro mattonelle bianche per venti volte prima di lasciarmi cadere sulla prima sedia utile e passarmi le mani fra i capelli già tartassati dalle dita irrequiete. 
-Leks… tranquillo, okay? Tranquil_.-
-Non dirmi di stare tranquillo, quel cazzo di proiettile era mio, MIO. …Non dirlo Samuel…-
-Va bene!- sospira, si lascia cadere accanto a me. Ma lui non si sta sgretolando dentro. 
-Va bene… ma… Leks, tu devi sapere che Dominik non si arrenderà facilmente. Tu lo sai Leks… lo sai meglio di chiunque altro. Tu l'hai visto combattere quando tutti noi ci aspettavamo che sarebbe crollato, tu hai visto fino a che punto il suo coraggio l'ha portato. Lui era sempre lì, e tu lo sapevi.-
-Il suo coraggio lo ucciderà anche questa volta.-
-Il suo coraggio- e qui Sam è come non l'ho mai visto: la verità sulle guance, gli occhi lucidi di fresca rugiada, la sicurezza di qualcuno che non ha idea di come andrà a finire, ma ci crede lo stesso, -lo ha portato in quella sala operatoria, e il suo coraggio lo riporterà indietro.-
-E' solo Sam.. è solo fra la vita e la…- 
-Dominik è sempre stato solo quando combatteva Leks… lui non si lascia aiutare… non lo vorrebbe neanche adesso il tuo aiuto. Tu puoi stargli vicino ma è lui a salvarsi… e a decidere se vuole tornare da te. Ma tornerà, tornerà…- mi abbraccia e questa volta semplicemente mi arrendo. 
Sì, mi arrendo. Non sono il chirurgo in quella sala operatoria -lì c'è mia madre- con il bisturi in mano e il sudore in fronte a stillare ogni goccia di sangue dal corpo di quello stronzetto per recuperare un pezzo di ferro che vuole estinguere a morsi la sua vita. Non ho la minima capacità di scelta sulle sorti di questa notte. 
Mi arrendo, perché lui è più forte. 
Lo è sempre stato. 
Non sul campo da Judo, né nelle relazioni col mondo… lui lo è nella vita. Nel sorridere quando meno te lo aspetti per una stupidissima cosa che tu neanche avresti notato, e nel mentre ridere insieme a lui perché la sua risata è così dannatamente travolgente e scoprire che le tue labbra possono distendersi molto più di quel che credevi. E' stato più forte dei suoi demoni, quando quelli gli sibilavano di stare alla larga da me che certe cose non cambiano, che certi errori non perdonano. 
-Signor Lubomirski, ora dobbiamo farle quelle domande. Non si può più aspettare.-
Ed è vero, fottutamente vero che certe cose non cambiano, che siamo ancora qui, in un ospedale bianco, alle due di notte, a causa degli errori che abbiamo commesso ancora. e ancora e ancora. 
-Arrivo.-
Come due trapezisti che si prendono e si lasciano e volteggiano in venti impetuosi e cadono sempre in piedi. 
Ma questa volta ti terrò. Non lascerò quella mano. Dovessi cadere anche io insieme a te.
Seguo un'uniforme scura e una giacca grigio fumo in qualche stanza deserta, in qualche ala dell'edificio, in qualche angolo sperduto della mia mente.
Mi sono arreso, ma non rimarrò immobile ad attendere che mi dicano che non potrò stringere le tue costole con le mie mai più.
-Ci spieghi signor Lubomirski, dall'inizio. Gradisce un caffè?-
-Non le sembro già abbastanza agitato?-
-Se dobbiamo essere sinceri, lei ci sembra sul punto di urlarci contro.-
-Non lo farò.-
-Perché no? Ne avrebbe i motivi.-
-Perché quando avrò finito di raccontare cosa è successo questa notte non sono sicuro chi sarà il primo a farlo.-
 
***
 
-La pistola che reggeva la ragazza cade a terra, davanti a lei. E' quella con cui ha sparato. Sembra che l'abbia lanciata via, in realtà l'ha solo lasciata andare… mentre guardava fisso il corpo a terra, sanguinante, che lei ha amato fino alla follia. La follia pura. Quella vera. Non è una metafora. Non è romanticismo. Il ragazzo dietro di lei la spingeva… la incitava… voleva scappare con lei non appena quel proiettile ha trapassato la carne ma… lei era assente, era… incredula. Era esterrefatta: aveva perso il controllo di sé e delle proprie emozioni. La vendetta è un piatto che va servito rosso, commissario.-
-Quindi tutto è successo… in funzione di una vendetta? Perché.-
-Perché, come le ho detto, è follia.-
-La ragazza, Sylwia Zielinski, a quanto ci risulta, ora è in centrale. Potrebbe essere trasferita in prigione non appena l'interrogatorio a cui la stanno sottoponendo terminerà. Ma se è follia… potrebbe non poter essere arrestata. In quel caso verrebbe immediatamente trasferita in un Centro di Igiene Mentale.-
-Se non è folle… fingerà di esserlo.-
-La crede così subdola?-
-Io l'ho vista impugnare una pistola e premere quel dito sul grilletto con la stessa audacia che ho io durante un incontro di Judo, quando sto per sbattere l'avversario al tappeto. Non aveva remore negli occhi, non aveva dubbi. Non aveva pietà. Dominik Santorski… il mio, Dominik Santorski, sta lottando per rimanere in vita in questo preciso istante, è in sala operatoria da tre ore, non so se lo rivedrò mai vivo e lei mi chiede se io credo quella donna così subdola? Io credo che il diavolo abbia un valido concorrente. E' folle. E coraggiosa. E mi creda, commissario, non esiste accoppiata peggiore.-
Gli agenti annotano tutto, come silenziosi aliti di vento in un giorno afoso, non sollevano neanche lo sguardo quando dico: "Spero che ci marcisca in quel manicomio."
-Non è un manicomio..- mi ricorda il commissario.
-Non me ne fotte un cazzo.- gli ricordo io. 
-Moderi il linguaggio Signor Lubomirski, io sono dalla sua parte. Ma deve dirmi la verità. Come conosce Sylwia Zielinski?-
Vorrei prendere a calci una sedia, alzarmi di scatto, urlare. Dio solo sa quanto mi costa sfogare ogni singolo pelo ritto dalla paura del mio corpo in un ritmato e costante ticchettio della scarpa sul pavimento bianco.
-Non si può conoscere Dominik senza conoscere anche lei. 
Il distintivo sula divisa dell'uomo coglie il luccichio del suo sguardo quando lo posa su di me. Non può più aspettare.
-Cosa glielo fa pensare?-
Ma dovrà farlo. 
Romek Lubomirski non è uno che si fa attendere. Prorompe nella stanza come un uragano dal cipiglio severo e allarmato. Urla qualcosa contro le guardie, mi trascina fuori, mi chiede se respiro per la capacità dei miei polmoni di immagazzinare aria o ho un respiratore attaccato da qualche parte. 
Non so cosa rispondere, le immagini scorrono in fretta, i pensieri non si fanno afferrare, libellule libere in un mare rosso. La notte è rossa. 
Saranno le due, le tre.. ore infuocate fra le corde vocali che hanno perso la facoltà di articolare suoni comprensibili al genere umano; ore infuocate fra i rintocchi di quell'orologio alla parete che sorride malevolo e sgangheratamente crudele.
-Se qualcuno non mi dice come sta nel giro di cinque secondi Dominik non sarà l'unico ad aver bisogno di una sala operatoria stanotte. Ehi tu!-
Un ignaro infermiere in un camice troppo largo per le sue occhiaie si volta come se gli avessi iniettato una siringa di anfetamina. Probabilmente lo avranno avvisato dal guardarsi dal pazzo in jeans e felpa grigia e sangue che ha preso d'assalto i corridoi di chirurgia dell'ospedale fra mezzanotte e le due.
Appena mi guarda, capisce che sono io quel pazzo, realizza che la sua posizione da infermiere non è delle più comode, e scappa.
Appunto.
E io lo inseguo.
Appunto.
Per essere magro e pallido e assonnato le sue gambe si muovono bene. 
Ma io ho una ragione in più per raggiungerlo. 
E lo raggiungo, prendendo in pieno con un ginocchio un carrello appostato davanti ad una porta. Qualche ago, qualche garza, qualche calmante vola in aria. Una busta di sacchetti per il vomito mi cade in testa, l'infermiere grida terrorizzato, lo atterro con quello che in Judo è chiamato "il salto del toro".
A me sembra solo il salto di un disperato con i vestiti che puzzano di sangue rappreso e un sacchetto in testa. 
Non devo essere un bello spettacolo, con buone possibilità Jack Lo Squartatore sarà stato meno inquietante con quella sua aria ombrosamente ironica da assassino seriale. 
Io sono soltanto un diciottenne con il sudore fra i capelli, la mano sul sedere di uno povero disgraziato che tentava di fare il suo ingrato lavoro nel reparto sbagliato al momento sbagliato e la tachicardia al posto delle ossa.
Afferro le cartelle fra le sue mani. Il suono dei miei passi pren la rincorsa.
-Leks... per l'amor del Cielo!-
E Samuel insegue me.
Appunto.
-Cos'è, un film su James Bond in cui tu fai il ladro?! Fermati!-
Mi fermo solo quando posso rinchiudermi dietro la porta del bagno. Lascio che Samuel mi raggiunga prima di girare la chiave due volte come se un branco di rinoceronti stia per sfondare la porta.
-Aleks…ander… che CAZZO stai FACENDO?!-
-Quello che avrei dovuto fare un paio di ore fa.-
-Stai diventando… melodrammaticamente teatrale... come lui, lo sai?-
-Lui si sta facendo sbudellare da un bisturi elettrico perché ha nelle vene un fottuto proiettile che toccava a me! Il minimo che possa fare è..-
-Lui ha parecchie cose nelle vene che avrebbero potuto ucciderlo, non l'hanno fatto, non sarà di certo un proiettile a..-
-Non è il momento di giocare a poesia Sam! Io devo sapere quanto grave è. Io devo sapere se devo rassegnarmi al fatto che non lo rivedrò mai più perché credimi, non è una cosa a cui mi rassegnerò.-
-Aleks… almeno cambiati questa felpa, puzzi di zombie!-
-La tua delicatezza mi commuove… coglione.- 
Mi strappo i vestiti di dosso buttandoglieli contro come un pallone da Basket. Samuel mi aiuta a pulire il pulibile della mia pelle. Vi è qualche segno rossastro di dita e qualche livido di botta a costellarmi il torace mentre la mia sanità mentale sta iniziando a fare le valigie insieme all'autocontrollo e tutto ciò che posso fare è togliere i residui del sangue di Dominik dalla mia pelle.
Potrei morire.
Ma non lo farò. 
Ci sarà tempo per morire se lui non esce da quella sala operatoria. 
-Tieni, ti ho portato un cambio..- si volta con una t-shirt bordeaux in mano. -E non aprire quella cartella!-
Non ci posso credere. Credo di aver mostrato i denti e nello stesso tempo strappatomi qualche capello prima di urlare, con un grido esasperato e istericamente sconnesso "C'è il nome dell'unico figlio di puttana per cui abbia mai perso la testa su questo foglio!"
Non saprò mai se qualcuno sentì quello che dissi in un ospedale enorme con una mano metaforicamente sul cuore e una stretta alla gola perché non avevo mai urlato la verità e non l'avevo mai urlata così forte. Non credevo neanche di saper urlare prima di quella notte. 
Prima che il ragazzo di cui sono innamorato non stesse prendendo a morsi la morte.
Persino Samuel si incanta, consapevole che il suo interlocutore non può essere il leggendario Aleksander Lubomirski, ma una sua fedele copia giallastra e con le unghie premute nelle morbide carni delle mani. 
Consapevole che non si può tornare indietro dopo che le parole affondano come sassi nei tessuti dell'accettazione.
Sì, perché alla fine ho dovuto accettarlo -non so come, e non so quando- che ho davvero perso la mia testa dai castani capelli gellati al limone per quella color dell'abito di Armani che ho nell'armadio: nero. 
E' il vestito più bello che ho. 
Non lo indosso quasi mai, ma non ho dubbi che se lo indosso sembro un re.
Perché è questo che mi fa sembrare Dominik: un re. 
Ma ho la corona solo se è lui a porgerla sul mio capo, perché solo lui conosce la combinazione della cassaforte in cui è conservata. 
E se quel bisturi non farà il suo lavoro, e mia madre non riuscirà a fare il dovere per cui ha fatto un giuramento, io non avrò perso soltanto l'unico che voglia, ma anche la parte migliore di me. 
Ed è egoistico il pensare che tutto giri intorno a me anche, persino in questo caso, ma quella emotiva testolina nera armata di folle coraggio suicida è anche questo. E' la parte migliore di me. 
E sono il primo a vomitare per le frasi smielate e il romanticismo adolescenziale da quattro soldi, e questa "massima" l'ho vista scritta almeno venti volte sulle dediche d'amore dei Social Network che in fondo mi fanno pure schifo, o come descrizione di una qualche foto che di poetico aveva solo la scollatura, ma non ho altri mezzi per descrivervi la situazione.Per descrivere come mi sento.
Perché io ci sto provando davvero a descrivere come mi sento, e so che sto fallendo miseramente, ma non ho altre parole. Le ho perse tutte nello scarico delle voci di Samuel e del buonsenso che mi incitano a restituire la cartella, a starmene buono su una sedia, ad attendere che il tempo smetta di prendersi gioco di me. 
Farò al massimo una di queste cose. 
Che il destino inizi a contare.
Apro la porta di scatto e mi trovo circondato da una baraonda di sguardi austeri, contrariati, comprensivi, dolci, indifferenti. Puoi trovare di tutto in un ospedale. Quando il dolore vibra fra le pareti e la speranza passeggia per i corridoi gli essere umani diventano bizzarre creature interessanti.
Lascio che qualcuno si prenda le carte e che Beata Santorski si avvicini. 
Ha la matita sbavata sotto a un occhio e le labbra esangui. 
Ma il suo corpo è fermo, le sue mani intatte, il suo orgoglio a testa alta come la Tour Effeil. 
Il mio credo di averlo pestato cento volte stanotte, reca i segni di pugni e unghie. Il suo è eretto nei suoi occhi lucidi, scuri e così diversi da quelli che ho imparato ad associare al suo cognome. E' strano.
Proprio nei momenti in cui la mia corazza dovrebbe diventare più spessa e la loro sensibilità più fragile, io mi accartoccio e questi tipi si trasformano in uragani di emozioni umanamente intoccabili. 
Mentre io mi ripiego su me stesso, lei mi osserva come se non fosse giunta ancora al verdetto. L' assoluzione o la condanna.
Il padre si rifiuta di voltarsi, ma lei incrocia con i miei i suoi occhi impenetrabili come muri eretti, ostinati e spossati, e sta per dire qualcosa. Lo vedo delle sue labbra con un pallido residuo di rossetto. E' il mio ultimo attimo di lucidità, prima che una figura in tuta verde acido riempia il corridoio con la verità.
-Dominik Santorski è uscito dalla sala operatoria. Le prossime due ore saranno decisive. Non sappiamo se l'intervento è riuscito, ma abbiamo fatto tutto il possibile.-
 
***
 
Il silenzio è assente. Lo è.
Ma nessuno riconosce la differenza fra un silenzio carico di parole e parole cariche di silenzio.
Come nessuno vede la differenza fra un colore e un altro. Bianco… nero…  per il mondo non sono neanche colori. Sono io che stamattina volevo indossare il nero. 
Lo  avevo scelto, fino a quando anche mio padre è entrato nella stanza e ho dovuto sorbirmi la sua predica mattutina che riserva alle giornate importanti, puntando il suo elegante dito indice verso una camicia candida. Questa camicia candida.
Come tanti sono gli occhi del liceo che si preparano alla botta finale.
 Sono sorridenti, schiamazzano e camuffano in mezzi sorrisi l'ansia da prestazione. Come se un voto possa cambiare qualcosa. Come se una camicia di un altro colore possa fare la differenza. 
Ma per me stamattina l'avrebbe fatta.
Aleksander Lubomirski, figlio di Barbara e Romek Lubomirski, primario in chirurgia l'una e affermato avvocato l'altro, con il nero in un giorno come questo. 
Aleksander Lubomirski con il nero fra i corridoi del suo regno.
Aleksander Lubomirski è il re di questa scuola.
E molti cercano il loro sovrano nel volto serio del sottoscritto. 
Anche io lo cerco, ma non avrò più fortuna di loro. 
Perché avevo scelto il nero e ancora una volta non sono riuscito a tenermelo. Arriva sempre qualcuno:  il destino, l'invidia, l'orgoglio, mio padre a persuadermi che non è la scelta giusta e io gli lascio credere che hanno ragione, che ho capito e che non lo farò più.
Ma la verità… la verità volete sapere qual è?
E' che, se mi lasciano libero di scegliere, io lo rifarei.
Posso avere i violini come colonna sonora di questi pensieri? E' lui lo strumento giusto, perché è struggente, malinconico, ha il suono del non ritorno. 
Siamo realmente tornati all'inizio? Stiamo fingendo ancora una volta, come mille altre volte, che non sia accaduto niente? Non mi avrete, non questa volta.
- Amore noi andiamo in Aula magna, tra quindici minuti tocca a te. Mi raccomando Aleksander non fare tardi, sai com'è tuo padre. -
- Sì mamma, sarò puntuale. -
Sorrido a mia madre, scambio un cinque con un ragazzo del corso di lingua, attendo che la testa d'oro di Samuel spunti dalla porta per attraversare insieme il varco del futuro.
Ma la testa che varca la soglia non è d'oro.  
Anzi, non c'è niente di più lontano dall'oro di quel colore.
E' da dieci giorni che non lo vedo. Dieci giorni in cui avrebbe potuto essere vivo, morto, paralizzato, con qualche danno permanente e invece eccolo lì, grondante vita. 
Che figlio di puttana.
- Dominik. -
Lui intrattiene qualche rapporto di convenevoli, ma mi sta già guardando. Sorretto da Samuel. 
Quel grandissimo, mastodontico, pezzo di stronzo.
No, non Samuel.
Si comporta come un ospite, con la discrezione dei sopravvissuti.
Mormoro: -Nik-, e lui mormora quello che somiglia ad "Aleks", perché anche se non lo sento, l'eco dei suoi passi è simile ai respiri del vento.
Faccio dietrofront  e al diavolo il bianco, mio padre, l'esame finale, i capelli rosa, i computer, le pistole, gli skateboard e pure il Judo. Faccio dietrofront, ma verso di lui.
Scusa papà, ho scelto il nero.
Lo raggiungo, ma non mi accontento,  lo afferro per la vita, gli prendo il viso con la mano e lo bacio.
Come se non avessi cento paia di sguardi appuntati addosso.
Come una vendetta, come un dispetto alla vita. 
Lo bacio e neanche senza una buona dose di esibizionismo, e quando ricambia avvolgendo la sua lingua alla mia so che non l'ho sorpreso, che ho sorpreso tutti stamattina in questo corridoio, ma non lui.
Le labbra di Dominik sono calde, le mie gelide, e il loro contrasto mi da la sensazione del ghiaccio sulla pelle nuda. Siete mai riusciti a descrivere il momento esatto in cui il ghiaccio bacia la carne accaldata? 
Ecco, appunto. Io mi sento così. Come dopo una bottiglia di vodka, come dopo un sorso di vita. 
Qualcuno fischia, qualcuno urla, Karolina ha preso le sembianze di un murales tanto è diventata un tutt'uno con la parete. 
Ha ragione, dopotutto questa volta non aveva chiesto nessuna scommessa .Ma non si può essere re senza l'altra metà del trono. Che sia una principessa o un principe, il problema non mi tocca poi tanto, visto che Dominik è capace di essere entrambi. 
Sicuramente è una prima donna. Certamente lo è più di lei.
E sicuramente mi squarterà per il fatto che la mia mano è ancora sulla sua nuca davanti a tutti, ma se c'è qualcuno che può farlo -rompermi in tanti piccoli pezzettini e poi saltarci sopra- questo è lui.
-Devi andare.-
-Tu vieni con me.-
-Ti assicuro che non morirò.-
-Che non morirai questo è sicuro. Che ci proverai… beh… è un'altra storia.-
-E' il potere dei suicidi.-
-Solo io posso ucciderti.-
-Ha. Ha. Ha. Sai bene che sei piuttosto scarso in proposito.-
-Non smetterò mai di provarci, sei il mio Karma.-
-Vallo a piangere su Facebook.-
La provocazione è recepita, il suo sorriso una minaccia.
-Tu nel frattempo non creare un club di invasati delle sfere di cristallo con piumini rosa.-
-Guarda che il rosa è il nuovo nero.-
-Questo vuol dire che ti vedrò con i capelli color piumino?-
-Neanche se mi paghi.-
-Se ti pago in natura?-
-Possiamo pensarci.-
Mi spinge tornando ad appoggiarsi a Samuel.
La ferita al costato deve essere ancora dolorosa, ma la lingua schiocca come sempre.
-Quando i pezzi del tuo puzzle tornano a posto posso darti lezioni di Judo.-
-Solo se questa volta cambiamo location.- 
Sorrido. 
-D'accordo. Ma ehi, Nik!- grido entrando in Aula Magna -Sopra ci sto sempre io.- 
Bacia il dito, prima di mostrarmelo.
  
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