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Autore: ValentinaRenji    05/02/2016    3 recensioni
[Erika x Anri]
Mi sono accorta di amarla quando il profumo dei suoi capelli, castani, mi ha pungolato le narici per la prima volta, in quell'abbraccio che sapeva di emozione e di autunno ed io ridevo via l’imbarazzo mentre, lento, scivolava di dosso come una coperta vecchia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Anri Sonohara, Erika Karisawa
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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White Tea
 
 


 
Mi sono accorta di amarla quando il profumo dei suoi capelli, castani, mi ha pungolato le narici per la prima volta, in quell’abbraccio che sapeva di emozione e di autunno ed io ridevo via l’imbarazzo mentre, lento, scivolava di dosso come una coperta vecchia. Non c’era nulla di speciale in quella giornata grigia, immersa nella foschia di ottobre come quei binari che, umidi, si lasciavano percorrere dal rombo dei treni in corse affannose, lontane, mentre con lo sguardo divagavo fra tante sagome alla ricerca della sua. Non era il sole malato, calato dietro il volto scarno delle nubi, a farmi palpitare il cuore tanto forte, né l’odore acre dei mozziconi spenti nel cestino accanto cui sostavo. Era qualcosa di magico, di nauseante, una sensazione che mi stringeva lo bocca dello stomaco fino a farla collassare in un singhiozzo di tremore nato solamente dall’emozione di sentire la sua voce, quasi fosse la prima volta.

L’amore.

Credevo di esserne un’esperta, con il mio naso costantemente immerso fra tutte quelle pagine di boys love, calzini di lana ai piedi ed un sorriso sghembo stampato sulle labbra al solo immaginare le loro voci, il sapore dei baci, l’emozione delle storie che leggevo e, forse, facevo un po’ mie prima di riporle sulla mensola ed infilare la giacca nera per andare a comprarne delle altre. Pensavo di sapere tutto, di avere macchinosamente imparato ogni singola sfaccettatura dell’eros che, fra yaoi e yuri, prendeva vita nella mia mente scaturendo delle meravigliose idee per future fanfiction o anche solo sogni ad occhi aperti dalla durata di minuti, ore, o solo secondi.

Ma poi ho incontrato lei ed il castello delle mie frivole certezze si è sgretolato, lasciando alle sue basi soltanto dolorose macerie. Perché quando ti innamori tutto diventa platealmente scontato e, allo stesso modo, terribilmente complesso. Hai la sensazione che ti manchi il terreno sotto ai piedi, che un passo sbagliato potrebbe farti precipitare e ferire più di quanto le spine nel cuore non ti stiano già struggendo. È un piacevole dolore, una morte lenta, un tormento che mi ha tenuto sveglia così tante notti a fissare il soffitto da aver perso il conto, perché le dita sulle mani non sono più abbastanza.

Ho capito di amarla quando, reduce da un sonno inquieto, ho saltellato per quella stazione con il migliore dei sorrisi ma ogni buon proposito è crollato nel turbine di emozioni provocato dalla sua voce alle mie spalle. Non mi aspettavo di trovarla già lì: mi avrà visto titubare? Si sarà accorta che sono arrossita, stringendola al petto?  

“Karisawa san!”

Mi voltai appena, mi sentivo svenire. Eppure riuscii a ricambiare.

“Anri chan!”

Tirai un sospiro di sollievo nel constatare che la mia voce non si era spezzata pronunciando quel nome dal suono tanto bello, quasi fosse l’unico a me conosciuto in quella giornata volata in pochi istanti.

E per un attimo mi sono sorpresa a deridermi per aver stupidamente pensato che l’amore si potesse conoscere solamente attraverso dei disegni stampati sulla carta. Lei era vera, lei era reale. Era lì, di fronte a me, con il mormorio dei passanti dietro le spalle ed i suoi grandi occhi castani proiettati dentro ai miei.

Ti avrei baciata, Anri.

Ti avrei baciata lì, in quell’esatto istante, sigillando le nostre labbra in una promessa al sapore di cioccolato, lo stesso che ti regalai al nostro incontro successivo. Perché in un modo o nell’altro ti ho sempre portato qualcosa, un piccolo pensiero che ti avrebbe permesso di trattenere il mio ricordo un po’ più a lungo quando saresti tornata a casa senza di me.
Perché Ikebukuro è così: una collisione di incontri, di sguardi, di parole non dette, di rimorsi e rimpianti soffocati dal dubbio del “ci rivedremo mai, ancora una volta?”. Fra le vie i volti si dipingono di luci, neon come pennelli, si confondono e sovrastano allontanando e unendo gli amanti solitari che , come me, hanno il solo desiderio di poterti semplicemente guardare qualche secondo in più.

Ho capito di amarla quando, stupidamente, mi sono accorta di osservarla per ore, divorando con lo sguardo ogni lineamento del viso niveo, beandomi di ogni imperfezione, difetto, trovandolo straordinario ed eccezionale. Se solo potessi me lo tatuerei sulla pelle, solo per avere qualcosa di suo da sfiorare nelle notti sole e malinconiche come questa.
Perché i miei manga mi hanno tradito, mi hanno cibato di illusioni e speranze, di un lieto fine lontano dalle vicende di questo quartiere psichedelico.

Eri distante, Anri chan.

Eppure le nostre dita si incastravano cosi bene e la tua mano emanava un tepore tanto gradevole da farmi sussultare e tremare e fremere come una foglia esposta al vento di un novembre non troppo lontano. La tua carne, le tue curve, il calore trapelante dal tuo corpo sono talmente veri, reali, da farmi desiderare di spegnermi nell’inconsapevolezza di poterli tastare soltanto un po’, ancora un altro po’, mentre con una scusa ti cingo i fianchi ed attraversiamo le strisce pedonali ridendo innocentemente.

Mi stai uccidendo lentamente, lo sai?
Con quei cenni del capo scossi timidamente, con l’incertezza di non sapere mai quando ti rivedrò, se ti rivedrò. Nell’amara consapevolezza di non poterti avere perché il tuo cuore è sempre stato nelle mani di qualcun altro, travagliato da dolori che non mi appartengono.

Ho capito di amarti ma, soprattutto, ho imparato ad amarti.

Nei tuoi silenzi, nelle tue strette di spalle, nelle lunghe attese di una risposta che non ha mai fatto squillare il cellulare posato sul cuscino.
Nelle tue occhiate disinteressate eppure estremamente vive, fragili, quelle di una persona che nasconde il mondo dentro mentre fuori è una mera statua di cera.

Eri stupenda, Anri chan.

Ed io ho tentato di esserlo almeno una briciola, guardandomi riflessa allo specchio fino a consumarlo per poi scegliere ugualmente lo stesso cappello, la medesima borsa; cospargendomi il collo e le guance di crema al thè bianco, sperando di imprimerti nelle narici una fragranza che parlasse di me.

Ed ancora non riesco a sbarazzarmi del batticuore nel vederti oscillare la mano in un piccolo saluto, per camminare poi verso di me. Non sapevi quanto mi mancasse il respiro, né come fosse arsa la gola e secche le labbra; non sapevi che ti avrei voluto stringere per ore, annusando solamente il profumo della tua pelle.

Non capivi, non hai mai capito, che non mi bastavi tu e tu sola, con il tuo sorriso, la tua voce, la tua presenza. Che “questa” o “quella cosa” da vedere erano solamente pretesti per poter condividere un frammento della mia semplice esistenza con te.

Dov’eri? Dov’eri quando era già ora di rincasare e ti ho posato quel bacio frettoloso, empio, vicino le labbra?
Iniziai a crederti davvero quando mi dicesti di essere un parassita, un mostro, sotto le tue sembianze eteree.
Perché in un modo o nell’altro mi hai strappato dal petto tutto l’amore che avevo e lo hai fagocitato, restituendomi indietro un’amicizia scarna e diffidente, quasi le tue lame non mi permettessero di sfiorare realmente l’anima che nascondi sotto i loro riflessi argentati.

Alla fine sei andata via.
Ed io ho sorriso, come se il cuore fosse ancora al suo posto, tutto intero, mentre invece … beh, mentre invece ormai era ridotto a brandelli.
A chi pensavi mentre ti ho abbracciato, prima di raccomandarti un buon rientro a casa? A quale dei due leader hai dedicato l’ultimo pensiero prima di addormentarti?

Mi sono accorta di amarla quando ho sentito le lacrime pizzicare gli angoli degli occhi e, svelta, le ho cancellate con una gesto meccanico del polso soffocandole nella stoffa, il sorriso vacillante, le mani strette a pugno. Perché un addio fa ancora più male se graffiato da parole non dette. L’avrei rivista, prima o poi. Forse mano nella mano con qualcuno diverso da me.

E la sera, fra le coperte di questo inverno consumato, mi concedo di annusare un’ultima volta il profumo di thè bianco, inebriandomi di un ricordo sfalsato, smozzicato di illusioni spente e di pensieri che non smettono di farmi male.

Sei davvero un mostro, Anri chan.

Un mostro bellissimo.
 
 
 
 
 


Note dell’autrice:

C’è davvero poco da dire. Questo testo si commenta da solo. Immagino ognuno di noi, in un modo o nell’altro, si possa rispecchiare in questa situazione.
E vorrei dedicarlo alla persona che ha fatto nascere in me l’esigenza di scrivere questa breva one shot, anche se lei probabilmente non sarà capace di riflettersi in queste poche righe.

Passiamo alla storia: perché proprio Erika ed Anri? Oltre a ritrovarmi molto nel personaggio di Erika, ho voluto guardare oltre la sua facciata allegra e sorridente, soffermandomi sulla sua parte più celata. Erika è una ragazza con una profonda lealtà verso le persone cui tiene, farebbe di tutto per proteggerle, e credo la sua spensieratezza sia soltanto una maschera dietro la quale si nasconde un animo ben più attento e sensibile, seppur molto forte e capace di reagire nonostante tutto. Anri invece è maggiormente enigmatica, nasconde un mondo di emozioni anche contrastanti nel proprio cuore, non sa gestirle nemmeno lei e quindi risulta irraggiungibile a chiunque voglia avvicinarla maggiormente su questo piano.

Grazie a chiunque abbia dedicato un po’ del suo tempo per leggere fino qui.
Un abbraccio.

Valentina
   
 
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