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Autore: Artemisia246    05/02/2016    3 recensioni
Tratto dal testo:
"Bruciava.
Era l’unica cosa che Tooru riusciva a sentire in quel momento.
Tutto il suo corpo bruciava.
[...]
Abbassare anche solo di un millimetro le labbra avrebbe significato perdere il controllo di tutto quello che stava accadendo sul suo corpo.
[...]
Avevano perso, porca di quella troia, se avevano perso voleva dire che non avevano giocato bene!
[...]
Voleva solo sfogarsi, solo quello.
[...]
-I-w-iwa-chan-"
Ambientata dopo la sconfitta della Aoba Jhosai contro la Shiratorizawa agli Inter-High, è una piccola Fan Fiction senza pretese dove ho provato a descrivere come si potessero sentire, e cosa potessero fare, Oikawa Tooru e Hajime Iwaizumi dopo il venticinquesimo punto.
Spero di aver fatto un buon lavoro.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bruciava.

Era l’unica cosa che Tooru riusciva a sentire in quel momento.

Tutto il suo corpo bruciava.

Dalla punta dei piedi doloranti, alle ginocchia martoriate, alle cosce esauste, al petto che ormai scoppiava, alle spalle che pungevano come spilli, alle mani rosse, fino ad arrivare al collo e alla faccia coperti da una spessa coltre di sudore.

Ogni sua singola cellula del corpo bruciava.

Bruciava di palle perse, di muri sfondati, di alzate malandate, di servizi bloccati, di passaggi sbagliati e di azioni troppo lunghe.

Bruciava di rimpianto.

Bruciava di sconfitta.

Questo era ciò che pensava, abbassando lo sguardo a terra.

Sapeva perfettamente che Iwa-chan lo stava fissando.

Immaginava il suo sguardo addosso, sulle spalle, sui capelli, sul collo.

Non riusciva a sentirlo, però.

Ogni sua singola sensazione era stata annullata da quel venticinque a ventitré della Shiratorizawa.

Aveva sperato fino all’ultimo che almeno un membro, solo uno dannazione, della Shiratorizawa sbagliasse il servizio, mandasse fuori la palla o che il
loro muro diventasse più debole per la fatica.

Solo un punto.

Un misero punto per riuscire ad arrivare al pareggio; allora avrebbe fatto uno dei suoi migliori servizi da asso, l’Aoba Jhosai sarebbe arrivata ai
venticinque, ne avrebbe fatto un altro e avrebbero vinto il set. Poi sarebbero andati al terzo, e lì avrebbero fatto il culo a quelle dannate aquile mostrando tutti i frutti del loro duro allenamento.

Si conficcò le unghie nel palmo della mano, e si morse insistentemente l’interno del labbro inferiore, tuttavia si costrinse ad alzare gli occhi. Il suo orgoglio non gli permetteva di stare a testa bassa troppo a lungo.

Alzò leggermente il capo e vide che Ushijima lo stava fissando intensamente.

Non lo diceva chiaramente, delle regole non scritte glielo impedivano, ma il suo sguardo serio, la faccia coperta di sudore, il corpo che nonostante i pochi centimetri di differenza in qualche modo troneggiava sul suo, trasmettevano il chiaro segno di vittoria.
I muscoli della sua faccia si tesero appena in un sorriso tirato, di circostanza; fatto solo per non scoppiare lì ed ora, davanti ai membri della sua squadra e davanti ai loro spettatori.

D’altronde lui era Oikawa Tooru, il capitano dell’Aoba Jhosai, no?

Doveva restare felice e allegro, per trasmettere il messaggio ai suoi compagni che dopo tutto questa disfatta serviva loro per migliorare gli attacchi, eliminare i punti deboli e coprire i punti ciechi, avevano tutti delle facce troppo tristi e non dovevano assolutamente pensare che questa sconfitta fosse per sempre.

La sua tattica funzionò, in qualche modo.

Man mano che i giocatori vedevano la sua faccia, in una maniera o nell’altra si tranquillizzavano, riprendevano il controllo delle loro emozioni e si dicevano che se anche il capitano sorrideva così, allora non c’era da preoccuparsi.

Erano questi i pensieri della maggior parte di loro, e quando li vide mettersi in fila davanti alla rete con le espressioni più o meno tranquille, poté dire a se stesso di aver svolto correttamente il suo compito.

O almeno, con quasi tutti.

Perché  Hajime Iwaizumi non si era fatto abbindolare dai gesti di conforto di Tooru, né tantomeno dai gesti meccanici di conforto che rivolse alle matricole.

Perché Iwaizumi lo sapeva.

Sapeva che riprendersi da questa sconfitta sarebbe stato tre volte più dura rispetto che alle altre.

Perché Iwazumi era l’unica persona, oltre a Tooru, che aveva sperato e desiderato fino alla fine di vincere.

Perché anche lui voleva arrivare ai ventiquattro punti e disputarla ai due punti.

Voleva essere lui a schiacciare le alzate di Oikawa.

Voleva essere lui a fare quei due stramaledetti punti e a far vincere il set all’Aoba Jhosai.

Voleva e doveva essere lui a far vincere l’Aoba Jhosai.

Invece, avevano lasciato cadere la palla sul terreno due volte di troppo e come conseguenza avevano perso contro i loro nemici storici.

Sapeva perfettamente che il ragazzo di fianco a lui, con i denti pressati gli uni sugli altri e un sorriso fin troppo innaturale, si stava dando la colpa assoluta per la sconfitta e aveva messo su quel sorrisetto davvero irritante.

Dio, quanto voleva dargli un pungo in faccia.

Tooru conosceva perfettamente cosa stesse passando per la testa del suo vice-capitano ma non riusciva a fermare i suoi pensieri così come non riusciva a fermare il suo sorriso.

Abbassare anche solo di un millimetro le labbra avrebbe significato perdere il controllo di tutto quello che stava accadendo sul suo corpo.

Avrebbe significato dare sfogo  a tutta la frustrazione, la delusione e il rimpianto che teneva dentro e quindi non poteva.

Semplicemente non poteva.

Continuò a tener su la sua espressione e a ripetersi quelle parole quando strinse la mano di Ushijima, quando si inchinò rispettosamente a fondo campo, quando camminò accanto ai suoi compagni in corridoio, quando salirono sul pulmino e tornarono alla loro scuola, quando fece la doccia in spogliatoio e quando ascoltò le parole del loro mister in palestra.

Ogni singola parola detta dai suoi compagni gli passava da un orecchio e usciva dall’altro, non si preoccupò neanche di ascoltare o intervenire.

Ogni singolo gesto scivolava sul suo corpo come l’acqua; fece tutto automaticamente, consapevole che sarebbe bastato un minimo gesto sbagliato a farlo scoppiare.

Andò nello spogliatoio senza muoversi, tirò fuori le sue cose senza prenderle, andò nella doccia senza sentire l’acqua. Non riusciva a percepire assolutamente niente che non fosse il bruciore costante alla bocca dello stomaco.

In palestra, non sentì  neanche il coach, alla fin fine le parole da dire a una squadra che perde sono sempre le solite.

Avete giocato bene.

Recupererete la prossima volta.

Siete già una grande squadra, questa sconfitta servirà solo a migliorarvi.

Non era vero, cazzo.

Non avevano giocato bene.

Se avessero giocato bene, sarebbero riusciti a vincere.

Avevano perso, porca di quella troia, se avevano perso voleva dire che non avevano giocato bene!

Erano queste le frasi che vorticavano nella testa del capitano dell’Aoba Jhosai, e che voleva disperatamente far uscire fuori, ma anche la sua gola
bruciava, e la palestra e i suoi compagni non erano né il luogo né le persone adatte per farlo.

Ringraziò Dio quando poté finalmente tornarsene a casa.

Uscito dalla palestra, prese velocemente le distanze dai suoi compagni e si diresse a passo di marcia verso casa sua.

Dopo cinque o sei metri, iniziò a correre.

Una corsa disperata, dettata più dal desiderio di arrivare in un posto dove potesse dare sfogo a tutta la frustrazione che stava provando che dalla voglia di tornare a casa.

Corse, lungo i marciapiedi, scansando i passanti.

Corse, attraverso vie piccole e solitarie.

Corse, finché non arrivò davanti a casa sua.

Corse, quando aprì la porta.

Si fermò solo nel momento stesso in cui mise in piede in salotto.

Prese fiato, lentamente. Il suo petto si alzava e abbassava a ritmo del suo cuore, goccioline di sudore scivolavano lungo il collo e venivano assorbite
dalla maglietta.

Contemplò per pochi secondi la pace del suo salotto completamente silenzioso e vuoto, la sua famiglia doveva essere via da qualche parte ma non
aveva importanza, così lasciò andare il borsone a terra.

Toccò il pavimento con un tonfo secco e fece un paio di passi finché non si trovò davanti al divano.

Tooru ci mise pochissimi secondi a reagire.

Un urlo disumano gli fece tremolare la gola e spaccò i suoi stessi timpani.

Vedeva Ushijima davanti a sé, vedeva lui e la schiacciata ultra potente.

Vedeva Ushijima che aggirava il loro muro, segnava nei punti ciechi di una difesa che lui stesso aveva creduto solida come una roccia.

Vedeva se stesso, che si lanciava, da un lato all’altro del campo cercando di fermare la palla, cercando di alzarla ai loro schiacciatori, a Iwa-chan.

Sentiva il dolore di ogni singola botta sul pavimento, ogni singola schiacciata sulla palla, ogni singolo tiro eseguito.

Li sentiva e li vedeva, e ogni visione era un urlo che proveniva dalla sua gola.

Aveva la mente accecata dalla rabbia, il suo autocontrollo era andato a puttane da un po’ di tempo e non sembrava voler tornare.

Ushijima, pensava, e si materializzava davanti a lui l’immenso giocatore della Shiratorizawa che saltava.

Ushijima, un suo servizio ricevuto senza alcun danno.

Ushijima, una sua schiacciata parata dal suo muro.

USHIJIMA, il punto della vittoria.

La sua mente, il suo corpo, la stanza, tutto era un continuo turbinio di rabbia, delusione e rimpianto.

Non riusciva a pensare lucidamente, a calmarsi o a darsi almeno un contegno, fino a quando non sentì quelle parole.

-Il tuo modo di fare il buon capitano sarebbe quello di correre in casa e urlare come un ossesso?- la voce calma di Iwa in qualche modo riuscì a
ristabilire un ordine nella follia della mente di Tooru, e finalmente si rese conto di dove fosse.

-I-wa-chan- balbettò appena il capitano, voltandosi verso il ragazzo, Iwaizumi era  appoggiato alla parete, con le braccia incrociate al petto coperto da una maglietta bianca con la giacca del club e un piede sul muro, tuttavia lo vide molto più alto del normale.

-Non guardarmi con una faccia così stupita, idiota. Alzati dal pavimento- ordinò il moro.

-Cos- non riuscì neanche a finire la domanda. Sotto le dita sentiva la consistenza del legno e le ginocchia di dolevano più del dovuto. Abbassò lo sguardo e deglutì a vuoto, quando si rese conto che il pavimento era davvero più vicino del dovuto e che lui era da chissà quanto in ginocchio su di esso.

Una gocciolina di sudore gli scivolò lungo la tempia.

-C-cosa ci fai qui, Iwa-chan?- disse appena, alzandosi e cercando di riprendere l’auto-controllo. Si voltò verso l’altro, aspettando  una risposta mentre mise su il suo classico sorrisino.

Iwa si staccò dalla parete e mosse qualche passo verso di lui, guardandolo fisso negli occhi.

-Sei corso via come se avessi il fuoco sotto i piedi, quindi sono venuto a controllare-

-Ti preoccupi per me?-

-Sei il mio capitano-

-Stai sviando la domanda, Iwa-chan-

-Ho risposto alla tua domanda-

-Ottimo. Allora se sei venuto qui solo per questo, come vedi sto bene, quindi puoi anche tornare a casa- assottigliò lo sguardo verso di lui, sentendo il fiato che man mano diventava più breve.

Iwa assottigliò a sua volta gli occhi, e si avvicinò ancora di più verso di lui.

-E perché mai dovrei seguire questo consiglio?- disse duro continuando a fissarlo.

Il ragazzo castano, il suo ragazzo, tremava appena al centro della stanza.

Non riusciva a pensare lucidamente, non riusciva a parlare, non riusciva a fare niente.

Voleva solo sfogarsi, solo quello.

Invece, Iwa-chan lo stava mettendo a confronto con una realtà che non era ancora disposto ad affrontare.

-Infatti non è un consiglio, è un ordine- precisò, con la voce che tremava.

-Da quando in qua devo seguire i tuoi ordini?- disse.

Il castano sgranò gli occhi mentre il moro faceva un altro passo verso di lui, accorciando ancora di più le distanze. Non aveva mai smesso di fissarlo
negli occhi, e per la prima volta Tooru iniziava a sentire la pressione.

Seriamente, gli stava facendo venire una voglia di prenderlo a pugni non indifferente.

-Perché io sono- disse incerto Tooru –il tuo capitano-

Capitano, ripeté  questa parola nella sua testa, abbassando lo sguardo al pavimento.

Nella sua mente, quelle otto lettere indicavano un ruolo che faceva fatica a sentire suo.

Strinse ancora di più i pugni e si morse il labbro inferiore.

Il poco autocontrollo che aveva in qualche modo racimolato stava pian piano scemando e il silenzio che si era venuto a creare dopo la frase era  fin
troppo opprimente.

-Tsk, appunto perché sei il capitano della nostra squadra dovresti sapere che non esiste la sconfitta singola!- l’affermazione così sicura di Iwaizumi fece alzare di scatto la testa a Oikawa con gli occhi fuori dalle orbite.

Tanto vale affrontare l’argomento subito, si ripeteva Iwa nella mente.

Deglutì a vuoto quando vide dentro i grandi occhi di Tooru la rabbia e la disperazione.

-Se abbiamo perso oggi è perché abbiamo sbagliato tutti, non solo te, razza di idiota!- urlò.

-MA SONO IO IL VOSTRO CAPITANO! DEVO ESSERE IO A PORTARVI ALLA VITTORIA- replicò anche Tooru, voltandosi apertamente verso
Iwaizumi.

-MA SIAMO NOI CHE GIOCHIAMO! IN CAMPO CI SONO SEI PERSONE! NON UNA SOLA!-

-SONO IO CHE DEVO EQUILIBRARE OGNI SINGOLO TALENTO DI OGNI SINGOLO GIOCATORE PER POI ELABORARE LA MIGLIORE STRATEGIA DA ADOTTARE! È MIO PRECISO DOVERE COME CAPITANO E COME ALZATORE! –

-NON ESISTI SOLO TU IN QUEL CAZZO DI CAMPO STUPIDO COGLIONE! TU CI ALZI LA PALLA MA SIAMO NOI CHE LA SCHIACCIAMO! SE OGGI NON ABBIAMO VINTO È STATO A CAUSA NOSTRA!-

-È STATO A CAUSA MIA!-

-IL COMPITO DELL’ALZATORE È QUELLO DI ALZARE LA PALLA E QUELLO DELLO SCHIACCIATORE DI SCHIACCIARE! ALLA FINE COLUI CHE MANDA LA PALLA DALL’ALTRO LATO DEL CAMPO SIAMO NOI! NON TU! TU CI DAI I MEZZI, MA SIAMO NOI A DOVERLI UTILIZZARE
AL MEGLIO! E SE OGGI NON ABBIAMO VINTO È PERCHÉ NON SE SIAMO STATI IN GRADO-

-SO CHE VOLEVI REALIZZARE I DUE PUNTI DELLA VITTORIA! E IO NON SONO RIUSCITO A FARTELO FARE! CHE RAZZA DI CAPITANO POSSO ESSERE!?-

-CERTO CHE LI VOLEVO FARE, COGLIONE! E SE NON SONO RIUSCITO A FARLO È STATA COLPA MIA! NON TUA! SIAMO IN SEI A GIOCARE! SEI! LA SCONFITTA NON È MAI DI UNO SOLO, COSI’ COME NON LO È MAI LA VITTORIA! LA SCONFITTA DI OGGI È STATA DI TUTTI, NON È STATA COLPA TUA!-

Ormai, pochi passi separavano i due ragazzi, entrambi con le voci roche e i petti che si alzavano e abbassavano velocemente.

Da una parte, Iwaizumi stava cercando, con tutte le sue forze di far capire a quell’idiota tremolante e dallo sguardo sconvolto che aveva davanti che ciò che era successo oggi non era stato unicamente colpa sua, mettendo tutto se stesso nelle ultime cinque parole del suo discorso.

In quella semplice accozzaglia di lettere, il vice-capitano dell’Aoba Jhosai ci aveva messo tutto ciò che provava verso di lui. Tutta la frustrazione, la rabbia, il rimorso e il rimpianto della partita di quel giorno; ma ci aveva anche messo ogni singola particella di amore, rispetto e ammirazione che interiormente provava verso Tooru.

In qualche modo, le sue parole tolsero tutta la rabbia e frustrazione dal cuore del castano, lasciandoci solo la tristezza della sconfitta.

I suoi occhi divennero lucidi e Iwa capì che finalmente aveva lasciato perdere il risentimento.

-I-w-iwa-chan- balbettò come un bambino, con la voce ancora più acuta e le lacrime agli angoli degli occhi –I-io…-

Non riuscì mai a finire la frase, perché si sentì afferrare per il busto e per una gamba, e ancor prima che se ne rendesse conto, era sul divano, con le braccia di Iwa-chan che gli avvolgevano il busto, semidisteso su di lui e con le proprie gambe stese sulla parte di divano restante.

Sentiva le guancie prendere fuoco, ma non poteva sapere se era per l’improvviso gesto di affetto del suo ragazzo o se per il fatto che la pelle di Iwa percepita da sotto la maglietta era calda e accogliente.

Dopo questa considerazione, il capitano della fortissima Aoba Jhosai, Oikawa Tooru, detto uno dei migliori alzatori della prefettura, iniziò a piangere come un infante, mormorando degli “Abbiamo perso” tra un singhiozzo e l’altro, con la faccia premuta contro il petto di Iwa, bagnandogli la maglietta di lacrime e muco.

Iwa si aspettò quel comportamento dal suo ragazzo, e così fece una cosa che gli venne ancora più naturale del previsto: gli mise una mano tra i capelli mentre con l’altro braccio gli avvolse ancora di più il busto, cercando di fermare il tremore.

Rimasero in quella posizione per chissà quanto.

Potevano essere pochi minuti, così come potevano essere ore o anche solo secondi.

Tutto quello che Iwaizumi Hajime sapeva era che per nessuna ragione al mondo avrebbe staccato le braccia da Oikawa Tooru finché esso non si fosse calmato e non avesse ripreso tutto l’autocontrollo necessario per potergli dare due pugni in faccia senza poi sentirsi in colpa.

Dopo una ultima ondata di lacrime e di singhiozzi, il corpo del capitano dell’Aoba Jhosai si stabilizzò e pochi secondi dopo alzò il viso verso il vice-capitano.

-I-wa-chan- balbettò con le guancie bagnate di lacrime e gli occhi gonfi –Grazie- un sussurro fatto di vetro uscì dalla bocca di Tooru.

Dal canto suo,  Iwaizumi non gli diede neanche la possibilità di replica dato che agganciò subito le labbra alle sue.

Oikawa non si ritrasse e dopo un paio di attimi la lingua di Iwaizumi giocava lentamente con la sua, non lottando per la dominanza ma stuzzicando la
propria.

Si scambiarono saliva, ossigeno, amore e comprensione.

Riuscirono a staccarsi solo quando i polmoni di entrambi non stavano reclamando prepotentemente ossigeno, e allora, con le guance rosse e i fiati corti, si stesero sul divano.

-Domani di do talmente tanti di quei pugni da costringerti in panchina per due settimane- fu una promessa sussurrata verso Tooru, quella di Iwa-chan, che fece quando l’altro incrociò le gambe con le sue.

-Ahahah, Iwa-chan, dici così ogni volta- una risposta altrettanto sussurrata, e la testa del ragazzo che affondava di più nel petto dell’altro.

-Questa volta lo faccio davvero- ed Iwaizumi si addormentò, abbracciando stretto Tooru.

Oikawa guardò il suo volto rilassato, gli tolse un ciuffo dalla tempia e gli diede un piccolo bacio a stampo.

-Grazie, Iwa-chan- disse sopra le sue labbra.

Forse, alla fin fine, il bruciore che provava ogni volta che vedeva Iwa-chan non era poi così male.
  
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