Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: kymyit    05/02/2016    1 recensioni
-Oggi è un gran bel giorno per me, Kakyoin.- disse Dio con la voce modulata intrisa di una vena di gioia. Gli carezzò il viso, risalendo dal mento allo zigomo con la sua mano gelida. Non poteva vederlo, ma sentiva il suo tocco leggero e delicato. Come seta, sì. La sua pelle era levigata e fredda. A sentirla strusciare contro la propria c’era da chiedersi se non fosse della stessa seta delle lenzuola. Kakyoin tremò da capo a piedi sentendo il corpo del nemico sovrastarlo imponente.
Dio gli carezzò il viso, soffermandosi sulle sue palpebre sfregiate.
-Un vero peccato che tu non possa vederlo.- mormorò. -Ma rimediamo subito.-
Genere: Angst, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dio Brando, Noriaki Kakyoin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note: Effettivamente, non era questa la fic che avrei dovuto postare oggi, ma, causa carenza ispirazione (>_>), ho deciso di cogliere l'occasione al balzo per pubblicarla. Era una vecchia storia a cui stavo lavorando da un po', ma che sono riuscita a finire solo recentemente.
Sarà un triste What If? perciò, preparate i fazzoletti.





Prompt:
L’amore, come il dolore, cambia la prospettiva di tutte le cose.



New Perspective



Now they're gone
Romeo and Juliet
Are together in eternity...

(Don’t fear the reaper, Pierce the Veil)





Credeva che essere quasi cieco l’avrebbe salvato da quell’orrore.
Pensava che non incrociando lo sguardo diabolico di Dio le sue ginocchia non avrebbero ceduto. Si era illuso che la sua forza di volontà l’avrebbe aiutato a superare il terrore primordiale che il vampiro incuteva in lui. Ma si sbagliava.
La sua presenza soltanto scatenava in lui il panico senza speranza. Aleggiava quasi palpabile intorno a lui. Lo circondava in una morsa di gelo e terrore, incutendogli la tormentante certezza che non ci fosse via di scampo.
Strisciò disperato trascinandosi sulle lenzuola con le mani legate dietro la schiena, mentre il predatore avanzava verso di lui, inesorabile.  Non riusciva a concepire come facesse a spostarsi senza che potesse percepirlo.
L’aveva trovato ed era andato a prenderlo. L’aveva trascinato via senza sforzo dall’ospedale, gli aveva impedito di chiedere aiuto e l’aveva relegato nella sua magione. E tutto senza che nessuno sapesse nulla, senza che gli altri venissero a conoscenza del fatto che lui si trovava laggiù, nelle mani del nemico a pagare il prezzo del suo tradimento nei confronti di “Sua Eccellenza Dio”.
Non aveva lasciato in vita nessuno che potesse intralciarlo.
I suoi nemici non avevano pietà di lui, per loro poco importava se era quasi cieco o se in fondo era solo un ragazzo. C’erano momenti in cui arrivava a desiderare la morte, per poi riaversi e scacciare quel pensiero.
Doveva sperare, continuare a sperare.
La speranza è quanto di più meraviglioso e terribile esista al mondo.
La sua speranza era che Jotaro e gli altri sarebbero giunti fin lì e l’avrebbero salvato.
Ma quando?
Trascorreva la maggior parte del tempo legato in una vecchia cantina buia, senza cognizione del tempo, né dello spazio. Ogni volta che scappava, finiva inesorabilmente per perdersi nel labirinto di quell’enorme edificio.
Era sicuro che ci fosse lo zampino di qualche Stand, ma era anche certo che non fosse quello di Dio.
No, la sensazione che avvertiva alla bocca dello stomaco era diversa.
Quando finiva per perdersi fra i meandri di corridoi infiniti o il pavimento si apriva sotto i suoi piedi, quando spire di cemento gli bloccavano mani e piedi, quando i nemici lo riempivano di botte e lo schernivano, tutto ciò che provava erano rabbia e frustrazione.
Quando Dio lo andava a trovare, tremava di terrore solo ad avvertire la sua presenza.
Non riusciva proprio a capire perché!
Più e più volte gli aveva scagliato contro il suo Emerald Splash, ma lui era sempre davanti ai suoi occhi, illeso. Aveva infranto il reticolato del Campo Minato senza subire alcun danno.
Era come se sapesse in anticipo quello che voleva fare, come se prevedesse ogni cosa.
Ma purtroppo i tentativi di verificare quella tesi, gli si erano tutti ritorti contro in ogni circostanza.
E Dio rideva.
Gli calava la mano sulla testa, come si fa ai bambini e lo liquidava senza dargli troppo peso.
Tutti i suoi sforzi non avevano valore per lui, era un essere di incommensurabile potenza. L’ignoto che l’avvolgeva era di per sé strumento e potere terrificante al tempo stesso.
-Oggi è un gran bel giorno per me, Kakyoin.- disse Dio con la voce modulata intrisa di una vena di gioia. Gli carezzò il viso, risalendo dal mento allo zigomo con la sua mano gelida. Non poteva vederlo, ma sentiva il suo tocco leggero e delicato. Come seta, sì. La sua pelle era levigata e fredda. A sentirla strusciare contro la propria c’era da chiedersi se non fosse della stessa seta delle lenzuola. Kakyoin tremò da capo a piedi sentendo il corpo del nemico sovrastarlo imponente.
Dio gli carezzò il viso, soffermandosi sulle sue palpebre sfregiate.
-Un vero peccato che tu non possa vederlo.- mormorò. -Ma rimediamo subito.-
Kakyoin sentì le dita del vampiro premere sulle sue palpebre chiuse e tremò, solo vagamente intuendo cosa volesse fargli. Un battito di ciglia e un dolore lancinante lo colse. Un lampo di dolore. Urlò. Un liquido caldo e ferroso  gli si riversò in gola. Pochi secondi e il dolore fu sostituito dal colore e dai contorni delle forme intorno a lui, seppur deboli e soffusi nella penombra.
Confuso, guardò Dio in cerca di una risposta. Il vampiro era sempre su di lui, a guardarlo con quel suo sorriso materno tanto ripugnante.
-Ecco fatto.- gli disse, prendendogli poi la mano e tirandolo quasi giocosamente fino allo specchio appeso di fronte al letto. Titubante, Kakyoin ci guardò, non capendo subito.
Poi vide.
Seminascosti dalle labbra, i suoi canini erano divenuti appuntiti, minacciosi, un dettaglio tanto minuscolo l'aveva appena reso simile all'essere che più temeva, che lo ripugnava in ogni fibra del suo corpo.
Eppure non furono i denti a lasciarlo boccheggiare devastato di fronte a quel riflesso crudele, ma i suoi occhi.
Non erano più ametista, le sue iridi erano verdi e familiari. Dolorosamente familiari.
Dio gli carezzò il viso, godendo del proprio operato, mentre con voce soave gli sussurrava parole crudeli.
-L’amore, Kakyoin, come il dolore, cambia la prospettiva di tutte le cose.-
-No...- scosse il capo.
-E' bello vedere il mondo dalla prospettiva della persona che si ama, non è vero?-
-Non...- strinse i denti, senza riuscire a smettere di tremare e scuotere la testa per negare quella mostruosa evidenza.
I suoi nuovi occhi verdi versarono le loro prime lacrime rosso sangue.
-E così, Romeo e Giulietta staranno insieme per l'eternità.-
L'eternità.
Una parola terribile che gli vibrò la stoccata definitiva.
Folgorato dalla consapevolezza, Kakyoin urlò.
Urlò con quanto fiato aveva in gola.








   
 
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