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Autore: Hello_im_Mr_J    05/02/2016    0 recensioni
Gotham City. Una scaltra ladra quattordicenne attende che la famiglia Wayne esca dal Monarch Theater, per derubare il capofamiglia (Thomas Wayne) del portafogli. Essendo abile quanto una gatta, il signor Wayne non si accorge minimamente del furto.
La famiglia più importante e famosa di Gotham sta passeggiando per Crime Alley, quando un individuo col cappello si materializza davanti a loro, armato di pistola...
Gli eventi di quella notte cambieranno profondamente il destino di Gotham...
e quello di Bruce Wayne...
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Selina Kyle aka Catwoman
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Gotham Fall Prologo - l'urlo del pipistrello  Freddo. Faceva freddo, quella notte d’inverno. La luna piena splendeva nel cielo buio e nuvoloso. Ogni luce era spenta, nell’ombrosa città. Una ragazzina di strada di quattordici anni si aggirava furtivamente nelle strade di quel buco d’inferno chiamato Gotham City. Era una borseggiatrice provetta, ed era conosciuta nelle strade per la sua capacità di rubare qualsiasi cosa senza che nessuno se ne accorgesse. Indossava una felpa autunnale sporca e malridotta, che aveva rubato a un vagabondo addormentato (senza svegliarlo), con il solito enorme cappuccio sul capo, gli indispensabili occhiali a visione notturna e i guanti rotti, tipici dei ragazzacci di strada. Aveva freddo. Aveva fame. Era vicino al Monarch Theater, uno degli edifici più ambiti e rinomati di tutta Gotham. La gente ricca e benestante della città, compresi i boss della mafia gothamita Falcone e Maroni si incontrava per vedere gli spettacoli, o meglio, si riunivano per organizzare attentati, stupri e rapine. Era ormai mezzanotte inoltrata ed erano già usciti tutti… si attardavano solamente un uomo sulla quarantina vestito in giacca e cravatta, la moglie in abito da sera e pelliccia che teneva per mano il figlio, vestito elegante come il padre. Era la famiglia più celebre di Gotham. La famiglia Wayne era l’unica in tutta la città ad essere diventata ricca seguendo una società che di socievole aveva ben poco. Thomas Wayne era un chirurgo di fama internazionale, mentre Martha Wayne era di origine nobile, e veniva dall’Inghilterra. Certo, derubare una così onesta e allegra famiglia era peggio di rubare in chiesa, ma lei aveva fame, e come quando un gatto vede un topo, nulla la poteva fermare. Selina li osservò attentamente: si stavano incamminando verso Crime Alley. Lei conosceva bene quella strada; sua madre, Natasha Kyle, era morta lì, quando lei aveva solo dieci anni. Ricordava tutto… sua madre le aveva sempre detto che andava a chiedere aiuto ad “alcuni fortunati signori” per portare qualcosa da mettere sotto i denti in quella specie di baracca fatiscente in cui vivevano; invece, per procurar da vivere a sé e alla figlia, faceva la prostituta e, per non avere sensi di colpa, era quasi sempre ubriaca. Quella sera era ubriaca più del solito, e un signore poco soddisfatto del “servizio” non l’aveva pagata. In un attimo di lucidità, aveva protestato e quel bastardo le aveva piantato una pallottola dritto dritto in testa. Lei non aveva niente, e da quella sera aveva ancora meno. Mentre pensava al passato, lo stomaco le ricordò che aveva fame e che non mangiava da due giorni, così si avvicinò furtivamente al signor Wayne, il quale non si accorse minimamente della mano di Selina che gli prendeva il portafogli dalla tasca. Era incredibile come la gente abituata alla bella vita e al lusso fosse così facile da borseggiare. Selina conosceva tanta gente, in città. Malavitosi, borseggiatori, spacciatori, rapinatori e qualche altra canaglia. Erano tutti diversi, ma concordavano pienamente sul fatto che la “preda” ideale di un borseggio era un tipo ricco e distratto, possibilmente accompagnato da qualcuno. Dopo aver rubato il portafogli, sgattaiolò rapidamente lontano da lì, arrampicandosi come un’acrobata sul tetto del palazzo più vicino; ce l’aveva fatta… come sempre del resto. Era davvero un’eccellente acrobata, nonché una formidabile scassinatrice. La vita di strada le aveva insegnato a sopravvivere, a stare a galla tra la feccia di quella città, lasciandola vivere attraverso il furto di ciò che alcune persone avevano in abbondanza: il denaro. Poi, negli ultimi tempi, questa sua incredibile capacità aveva reso ogni scippo (o quasi) un vero piacere.   Bruce teneva la mano calda e soffice di sua madre, avvolta in un candido guanto di seta. Riusciva a sentirne il calore nonostante fosse coperta… si sentiva al sicuro. Aveva dodici anni ed era chiamato “il rampollo d’oro”; era infatti l’erede del più grande impero economico di Gotham City. Figlio di Thomas e Martha Wayne, stava camminando insieme ai genitori per il vicolo chiamato Crime Alley. Era un vicolo buio e sinistro, ma non aveva paura. Aveva i suoi genitori con sé, e poi Alfred li avrebbe accolti a casa, gli avrebbe rimboccato le coperte e gli avrebbe dato la buonanotte, e lui avrebbe dormito un sonno tranquillo  e ristoratore. Frequentava la più prestigiosa accademia di Gotham City, ed era, probabilmente, l’adolescente più conosciuto della città; uno di quei tipi di celebrità che sono perseguitati dai paparazzi, che vengono a fotografarlo nei luoghi più disparati. Lui amava Gotham. Anche se era buia, tempestosa, talvolta spaventosa, era la sua città. La sua dimora. La sua casa. E poi lui aveva con sé la sua famiglia a proteggerlo dalla criminalità che l’affliggeva. Da un vicolo buio si materializzò un uomo, vestito di stracci e abiti logori, con un cappello in testa, che gli celava il volto. Aveva una camminata goffa e tremolante… era zoppo. Aveva in mano qualcosa… forse era solo un vagabondo ubriaco con la bottiglia vuota in mano… Bruce strinse più forte la mano della madre. Tremava. Sentiva i brividi salire e scendere per la schiena.  «Bruce… che succede? Amore, fermiamoci, qualcosa non va…» disse Martha Wayne. Thomas vide l’uomo zoppicante. In mano aveva una pistola. Accadde tutto velocemente: l’uomo puntò la pistola, Bruce rimase pietrificato, Martha urlò e pianse dalla paura e Thomas si mise davanti alla sua famiglia, come per proteggerla.  «Voglio tu-utto. P-p-portafogli, g-gioielli, t-tutto.» gli tremava la mano, era balbuziente. Quell’uomo aveva più paura di quanta non ne avesse Bruce.  «Sta’ calmo. Non sei obbligato a fare questo… noi possiamo aiutarti» disse Thomas.  «V-voi politici d-d-dite tutti così. N-non sap-pete cosa v-voglia dire vivere i-in strada.»  «Va bene… ora prendo il portafogli…» Thomas mise la mano in tasca, lentamente, mentre fissava quell’uomo, tremante come una foglia al vento. Non sentì nulla. Dov’era il suo portafogli? Sentì il cuore battergli più forte in petto, il sangue scorrergli frenetico nelle vene. Non… non c’era. Il criminale, vedendo che esitava, puntò la pistola alla moglie.  «Il portafogli, svelto, o sparo!» Bruce era immobile, pietrificato dalla paura. Che cosa stava succedendo? Thomas sentì la paura pervadergli le membra.  «La collana, svelta» sussurrò il criminale con gli occhi luccicanti. Martha Wayne era paralizzata tanto quanto il figlio. Thomas non trovava il portafogli.  «Io… non so dov’è…non lo trovo…» disse debolmente Thomas. Il criminale lo fissò. Thomas disse, allungando una mano: «M-metti giù la pistola, ti pre…» non finì la frase che sentì un rumore assordante, qualcosa perforargli lo stomaco e l’urlo stridulo di sua moglie strozzato da una pallottola dritta in testa. Uno sparo, in quel vicolo insignificante, in quella megalopoli. Il criminale, prima di spararle, tentò di prenderle la collana che aveva al collo, che, inevitabilmente, si ruppe, mentre ogni singola perla venne dispersa lì, in strada. I due corpi si accasciarono, con il rimbombo degli spari ancora sonante. Bruce sentì il respiro mancargli. I suoi genitori erano a terra. Sangue. Sua mamma non si muoveva. Sangue. Il criminale fissò il piccolo Bruce da sotto il cappello, in un misto di dispiacere, pentimento e terrore, e fuggì nel buio, zoppicando. Gettò la pistola. Bruce era sotto shock. Si chinò. Il cadavere di sua madre giaceva davanti ai suoi occhi, in un lago di sangue. Suo padre respirava ancora.  «P-papà…» singhiozzò il piccolo Bruce.  «Bruce…» Il corpo di Thomas Wayne si spense, la sua anima raggiunse quella della moglie. Non era possibile. Alfred sarebbe stato lì a momenti, li avrebbe portati a casa e li avrebbe curati… sarebbe tornato tutto come prima, lui lo sapeva… lui lo sperava…  «Mamma… papà… alzatevi. Vi prego alzatevi…» Bruce prese le mani dei corpi morti che, fino a un istante prima, stavano camminando con lui fuori dal Monarch Theater. Le loro mani erano ancora calde, nonostante il gelo di quella notte. Lo sentì. Sentì il bisogno di urlare. Sentì quel sentimento che, come una serpe, si avvolge nello stomaco, viaggia nell’intestino e vuole uscire, libero di mostrarsi al mondo esterno. Sentì la rabbia, il dolore muoversi nel suo cuore, mentre il sangue gli pulsava in testa. Sentì lacrime amare come il veleno scendere dai suoi occhi e arrivargli in bocca, mentre un urlo acutissimo e terribile, simile a quello di un pipistrello, proveniva dai suoi polmoni, infrangendo la quiete e il silenzio che avevano governato la città sino a due minuti prima. Quella sera, a Crime Alley, un ragazzino, chino verso i cadaveri dei genitori, urlava e piangeva e gemeva disperato. Ma non arrivò nessuno.
   
 
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