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Autore: Emily Darcy    06/02/2016    1 recensioni
I pensieri e le riflessioni delle persone sono incontrollabili e imprevedibili, come un fiume che scorre. Quando emergono, vogliono uscire, vogliono essere espressi proprio come un fiume in tempesta che rischia di straripare da un momento all'altro: hanno bisogno di una voce che li conduca fuori e di influenzare, di essere condivisi o ignorati. Nessuno può prevedere dove porterà qualcosa che viene pensato e per evitare di falsificare qualcuno dei miei pensieri, non rileggerò quello che ho scritto una seconda volta. Non voglio cedere alla tentazione di cambiarli.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando mi chiedo chi sono, io non rispondo me stesso

 

I miei pensieri ruotano ossessivamente intorno alla stranezza della mia esistenza. Se essa non è insensata, perché esisto? Perchè io sono io e non sono qualcun altro?

A queste due domande una persona potrebbe avere due reazioni diverse. Alla prima, potrebbe pensare che chi si pone la domanda “perché esisto?”, sia depresso e pensi che la sua vita non abbia senso. Ma chiedersi che senso abbia la nostra vita non vuol dire necessariamente voler morire, non vuol dire pensare che non ci sia alcun motivo al mondo per cui dovremmo esistere, perché niente ci lega al mondo o alle persone care che ci amano.

Al contrario ci si può porre la domanda “perché esisto?” concependola in maniera diversa: perché io sono io e non sono qualcun altro? Perché io ho la mia voce, quando potrebbe essere quella di un altro? Perché io sono in questo corpo, quando potrei essere in quello di un altro?

Il colore rosso è rosso perché qualcuno gli ha dato questo nome. La rosa è tale perché qualcuno l'ha chiamata così, ma se questo qualcuno l'avesse chiamata in un modo diverso, perché la rosa sarebbe sempre una rosa?

Io potrei chiamarmi con qualunque nome, ma sarei sempre io. Eppure avere un nome è importante, perché il nome è il simbolo più emblematico della nostra identità. Allora perché se qualcuno mi chiede chi sono, io non rispondo il mio nome?

Vivo una sensazione di irrealtà. Il mio nome è davvero la mia identità? Ma se io perdessi il mio nome, non sarei più io? Forse il nome è quello che io sono per gli altri. Se devo essere identificato e collocato in un mondo in continuo movimento, io devo avere un nome.

Io però posso rimanere me stesso anche senza il mio nome, anche senza il mio corpo. L'importante è che io rimanga mio, è che io rimanga me stesso. Il che non significa che devo rimanere me stesso, in base alla persona con cui mi relaziono. Io sono tante persone diverse, indosso tante maschere diverse e mento come chiunque altro, qui, sulla terra.

Piacerei davvero se io fossi me stesso?

Ecco perché indosso tante maschere, perché voglio piacere e stare con persone che hanno l'impressione che io le adori. Ma c'è un motivo per cui ci sono alcuni aspetti che non tollero di quelle persone, e così sarà lo stesso per loro. Forse la parte che non tolleriamo è quella parte che in genere teniamo nascosta?

Se voglio essere me stessa, gli altri non devono solo tollerarmi. Non devo nascondere la mia parte intollerabile, perché lei è mia come le altre. Perché se questa parte non ci fosse io non sarei più io, ma se non ci fosse il mio nome, o il mio corpo, o il mio viso io continuerei a rimanere io? Forse alle persone non va di vedere chi sono veramente io, altrimenti dovrei rimanere nuda. Nuda, senza vestiti, senza pelle. L'Io è una creatura diversa da quello che noi siamo per gli altri: il nome, il corpo e tutto ciò che aiuta e contribuisce a identificarci al mondo esterno come individui reprime ciò che siamo veramente.

Il termine “individuo” – dal latino individuus, parola composta da in privativo e dividuus, "diviso" – vuol dire indivisibile e indica l'individualità che rende unico ciascuno di noi. Io però, posso essere autenticamente io, solo se non sono obbligato o non mi sento obbligato a essere diverso in base alla persona con cui devo relazionarmi.

Si viene strappati con brutalità dal nostro Io perché ci preoccupiamo solo di cose esterne a noi stessi e non dobbiamo stupirci se non sappiamo chi siamo: viviamo costantemente momenti di depersonalizzazione, senza rendercene conto quando ci relazioniamo in modo diverso con gli altri. Emerge solo un aspetto di noi, in basa a una miriade di fattori, ma non emergiamo noi come individui.

Se è questa l'immagine di me che hanno gli altri, allora io non posso dire di avere consapevolezza di me. Solo quando io sceglierò la mia immagine e non ne creerò una diversa per ciascuno, allora potrò dire di avere creato l'uomo che sono. Io devo avere un'immagine che è valida per tutti, un'immagine universale: se da un punto di vista esterno, l'aspetto esteriore, il nome e altri elementi sono necessari, ma per avere un legame di anime con le persone, sono coinvolti altri fattori: siamo coinvolti noi, ciò che veramente siamo.

Dobbiamo essere orgogliosi delle persone che siamo, perché essere è un'atto di creazione. Noi nasciamo due volte in un certo senso: la prima volta nasciamo da nostra madre, la seconda volta siamo noi che dobbiamo costruire la nostra individualità attraverso le nostre scelte. Attraverso tale costruzione, di cui siamo responsabili, noi affermiamo noi stessi e è questo quello che dobbiamo presentare al mondo, non qualcos'altro.

L'artificio non è attraente come lo può essere l'originalità, solo che mostrare se stessi richiede coraggio. È come essere nudi di fronte a degli sconosciuti. Loro vedono tutto ciò che siamo, tutte le nostre imperfezioni, tutte le nostre paure, tutto ciò che nascondiamo. Possono accettarle e rispettarci, o prenderci in giro perché ritengono incomprensibile ciò che facciamo o perché invidiosi del nostro coraggio.

Per tanto tempo cerchiamo comprensione negli occhi degli altri: cerchiamo di essere compresi. Mentre aspettiamo però, rimaniamo nascosti e quando davvero qualcuno è interessato a noi, al nostro Io e vuole scoprire chi siamo, non sappiamo cosa rispondere.

 

   
 
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