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Autore: thatsvalentina    06/02/2016    1 recensioni
Si può convivere con tutto questo dolore? Vale la pena andare avanti quando si è troppo giovani e soli?
[Inoobchannel-Spawn]
I fatti sono puramente inventati e non c'entrano nulla con youtube, l'unico motivo per cui l'ho pubblicata in questa sezione è che il protagonista maschile è Spawn.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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È una bella sensazione, lo ammetto. L'odore di fumo. L'alcol in circolo e la testa che gira. Le mie dita fra i suoi ricci neri. Le lingue che si incastrano tra loro. Le sue grandi mani sul collo. Sulle scapole. Sul seno. "Non stringere troppo". È in questi momenti che vorrei avere ancora la mia verginità per poterla perdere di nuovo. "Non così forte". È una bella sensazione. Ma poi si rimette i pantaloni, mi dà un bacio sulla bocca. "Ci si sente". E se ne va. Succede ogni volta. Sento una strana tristezza. La tristezza di chi non prova nulla. Nessuna emozione. Mi lascio trasportare dal grande vuoto che ho dentro. Ed è così che capisco che altri vuoti non possono riempirlo. Ma non mi importa, perché il passaggio da un vuoto ad un altro mi fa capire che esisto anch'io. Che non sono solo vuoto, che lo porto dietro, ma che sono lì, sono viva. E poi inesorabile ritorna, il vuoto. E porta via tutto: passione, gioia, paura, rabbia. Lascia solo la tristezza. Non la tristezza di quando ti lascia il fidanzato o di quando muore il tuo personaggio preferito della serie TV che stai seguendo. Quella tutto sommato è una bella tristezza, fa parte della vita. Io, invece, la vita non la vivo più. Mi accontento di non morire. La mia è la tristezza malinconica di chi manca di qualcosa, senza sapere cosa sia. Perché mi sembra di avere tutto, ma poi mi accorgo che in realtà mi manca la cosa più importante della vita: i sentimenti. È a quel punto che mi rendo conto di non essere nulla, solo vuoto. Mi ci vuole un momento prima di capire che stare seduta sul gabinetto di una discoteca non era quello che avevo immaginato come fine serata. Mi alzo, mi sistemo il vestito. Mi guardo allo specchio, il mascara colato. Quand'è che ho pianto? Non mi ricordo. È tardi. Mi gira la testa più del dovuto. Lo chiamo. "Arrivo" è l'unica cosa che riesco a sentire. Esco dal bagno. La musica è alta, mi rimbomba nel cuore e in tutte le parti del corpo. Miracolosamente prendo la borsa e mi dirigo verso l'uscita. Mi siedo sulle scale. Le luci, troppo forti, troppo sfocate. Mi si chiudono gli occhi. Mi addormento. Mi risveglio in macchina, lui che guida. "Dovresti smetterla, Valentina". Odio quando mi chiama con il nome intero. Lo fa solo quando è arrabbiato o peggio, deluso. "Sì, mamma" ribatto. La voce mi cade, probabilmente sono ancora ubriaca. "Dico sul serio. Hai vent'anni, ti stai rovinando. Non puoi comportarti così tutte le sere." "Non tutte le sere." "Tutti i weekend." "Non come stasera." "C'era Michele?" "Sì." "Avete scopato?" "Sì." Silenzio. Non mi piacciono gli interrogatori e lui lo sa. Il silenzio dura finché non arriviamo a casa. Sono ancora un po' barcollante ma riesco ad arrivare fino al terzo piano. Entro in casa e mi butto su una sedia, appoggiando i gomiti sul tavolo. Si siede vicino a me. "Perché? ". La domanda mi prende alla sprovvista. Di solito tiene il broncio finché non mi sono ripresa del tutto. La sua voce sembra calma, piatta. Come se avesse paura della risposta, ma volesse saperla a tutti i costi. Lo guardai con aria interrogativa. "Perché?" ripeté, come se ripetendo la domanda nello stesso modo ne cambiasse il significato. "È una bella sensazione". È la prima risposta che mi viene in mente. Ed è così, in un certo senso. In realtà mi sento solo più vicina a loro. E questo sì, è una bella sensazione. "D'accordo". Si alza e viene verso di me. "Io non vorrei solo che tu ti facessi troppo del male. Mi preoccupo, tutto qui". Mi dà un bacio sulla fronte. "Grazie" è tutto ciò che riesco a dire. Non riesco a ribattere quando si comporta in questo modo. Poi però mi viene in mente una cosa. "Giovanni... hai mangiato?" Non risponde. Dovevo immaginarlo. Tra studio e lavoro non ha tempo e quando una persona si abitua a non mangiare poi continua, fino a che non è troppo tardi. "Dai, ti preparo della pasta", e sorrido. Lui no. "Non ho fame". Mi avvicino e lo abbraccio. "Permetti anche a me di prendermi cura di te, tu lo fai già troppo spesso." Ricambia l'abbraccio e mi stringe più forte. "Grazie", dice.
  
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