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Autore: Hotaru_Tomoe    07/02/2016    4 recensioni
Sebastian Moran, deciso a vendicare la morte di Moriarty, entra in possesso di un dispositivo sperimentale che permette di entrare nei sogni altrui ed è deciso ad usarlo su Sherlock per distruggerlo, ma Arthur ed Eames cercheranno di impedirglielo.
[Crossover con il film Inception]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro, personaggio, John, Watson, Mary, Morstan, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti e bentrovati ^_^
Prima di parlarvi della storia, vorrei ringraziare di cuore chi commenta o semplicemente mi legge, mi fa sempre un enorme piacere.
Questa fanfiction è un crossover fra Sherlock ed il film Inception e ho paura che se non avete visto quest'ultimo, molte cose vi risulteranno poco chiare (se non l'avete fatto, guardatelo: è un gran bel film). È ambientato nell'universo di Sherlock, ma sono presenti alcuni personaggi di Inception, e la conoscenza del dreamsharing è piuttosto diffusa nella società; in verità secondo me alcune delle cose che ho scritto non sarebbero verosimili nell'universo di Inception e, verso gli ultimi capitoli, temo di aver scritto delle gravi inesattezze a livello medico, ma non sono una dottoressa e questa è solo una fanfiction, quindi vi chiedo di chiudere un occhio.
Saranno undici capitoli e la storia non è una w.i.p. perché è già scritta tutta.
Buona lettura!


DREAMSCAPE
CAPITOLO 1

L'automobile avanzava lenta nel traffico pomeridiano di Lisbona; l’aria condizionata era al massimo, ma poco poteva contro il caldo torrido che li circondava.
L'enorme stadio di calcio Da Luz torreggiava poco lontano ed Eames gli dedicò attenzione per qualche minuto, prima di tornare a fissare le auto incolonnate davanti a lui; sospirò spazientito, si slacciò la cintura ed appoggiò le ginocchia al cruscotto, ignorando l'occhiataccia di rimprovero di Arthur. Come se potesse succeder loro qualcosa quando procedevano a due chilometri all’ora e si fermavano di continuo.
Nel contempo regolò lo specchietto laterale per inquadrare le auto dietro alla loro.
"Mi dici dove stiamo andando o vuoi continuare a fare il misterioso?"
"Non mi andava di parlarne in aereo, troppe orecchie nei paraggi - rispose Arthur - Si tratta di un mio vecchio amico, Edward Stan."
Eames gli rivolse un sorriso smagliante.
"Devo essere geloso, tesoro?"
"Riesci a restare serio per almeno cinque minuti di fila?" domandò Arthur con una punta di esasperazione nella voce, muovendosi sul sedile. Rimpianse di non essere in un sogno, alla guida di un gigantesco spazzaneve per farsi strada tra le auto.
"Va bene, va bene, continua."
"L’ultima volta che parlai con Edward risale a circa due anni e mezzo fa: stava lavorando a un progetto rivoluzionario, così mi disse.”
"In quale campo?"
"Il nostro."
"Oh."
"Veramente ci stava dietro già da diversi anni, ma faticava a trovare dei finanziatori."
"Chiaro - ridacchiò Eames - non puoi certo andare in banca e dire 'salve, vorrei dei soldi per implementare il sistema per rubare informazioni dai sogni altrui'."
"Però l'ultima volta che avemmo occasione di incontrarci, mi disse di aver ottenuto importanti sovvenzioni da un privato."
"Sai il suo nome?"
"No, e non lo sapevo nemmeno Edward."
“Mh, non mi piace.”
“Già, nemmeno a me. Glielo dissi all’epoca, ma Ed era troppo contento di aver trovato i soldi per portare avanti i suoi studi.”
"Ha ottenuto qualche risultato nel frattempo?"
Arthur strinse il volante, mentre l'auto si mosse di qualche metro.
"A sentire lui, fin troppi."
"Cosa intendi dire?"
"Due settimane fa Edward mi ha contattato: pare che in questi due anni e mezzo sia riuscito a completare il suo progetto, e a testarlo, con ottimi risultati."
"Bene, no? Dove sta il problema?"
“Edward mi ha confidato lo strumento che ha ideato è troppo potente e ha effetti collaterali che non aveva previsto, anche se non è voluto entrare nei dettagli, di questo parleremo all'incontro di domani, ma una cosa me l'ha detta: vuole tirarsi fuori dal progetto e distruggere tutto. Però sembra che i suoi finanziatori non siano d'accordo."
"E perché ha chiamato noi? Non siamo guardie del corpo o mercenari privati."
"Non vuole protezione, non in quel senso: ha già cancellato dai computer tutti i dati del suo progetto, ma c'è un altro luogo dove essi si trovano."
"Ma certo, nella sua mente" rispose Eames mentre metteva mano anche allo specchietto retrovisore.
"Esatto, e lui vuole che cancelliamo anche da lì ogni traccia del lavoro che ha portato avanti, affinché nessuno possa estrarli."
Eames schioccò le labbra, dubbioso.
"Possiamo estrarre informazioni, siamo riusciti con successo ad impiantare un'idea, una volta, ma non credo si possa cancellare così radicalmente qualcosa dalla mente di qualcuno."
"Edward dice che con il suo nuovo strumento è possibile, ma non può farlo da solo perché la mente ha troppi meccanismi di autoprotezione.”
L’altro annuì: “Dentro di noi nessuno desidera mai davvero autodistruggersi.”
“Precisamente: deve essere un esterno a farlo."
"Ricapitolando - disse Eames con voce allegra - dobbiamo utilizzare uno strumento mai visto per fare una cosa mai fatta."
"Esatto."
"Sai Arthur, una volta tanto mi piacerebbe fare un lavoro semplice, per cambiare."
Si raddrizzò sul sedile, si stiracchiò e guardò la fila di auto di fianco alla loro.
“Mi dici cosa stai controllando? È da quando siamo saliti in auto che fai così.”
Eames storse le labbra in una smorfia infastidita: “Nulla di preciso, ma quando eravamo in coda per ritirare il bagaglio, per un istante ho come avuto l’impressione di essere spiato, e non riesco a scrollarmela di dosso. Tu no?”
Arthur si strinse nelle spalle: “No.”
“Magari è solo una mia impressione.”
Ma dopo quello che Arthur gli aveva raccontato, non ne era così sicuro.
Finalmente l'ingorgo si risolse e i due riuscirono a raggiungere l'anonimo motel di periferia dove alloggiavano. Stanchi per il viaggio, nessuno dei due aveva voglia di andare fuori a cena, così Eames prese un take away da McDonald per entrambi, e si addormentarono abbastanza presto.

Lo scenario mutò improvvisamente ed i due si trovarono al centro di una grande piazza di forma circolare, circondata da cubi e parallelepipedi dai colori slavati che ricordavano vagamente delle abitazioni.
“Ma cosa…?” borbottò Eames di fronte ad un paesaggio tanto improbabile.
“È un sogno” rispose Arthur con sicurezza.
“Vuoi dire che qualcuno ci ha agganciato ad un Pasiv mentre dormivamo? Come cazzo ha fatto”
Eames non ebbe la sua risposta dal compagno, perché un uomo sulla settantina spuntò da dietro ad un cubo e andò loro incontro.
“Ah, eccovi: sono felice di avervi trovato immediatamente.”
“Edward! - Arthur lo salutò alzando la mano e l’altro ricambiò - Sei stato tu?”
“Sì.”
Eames si tenne in disparte con le mani sprofondate nelle tasche, dove aveva materializzato una pistola ed un coltello, e lanciava occhiate diffidenti ai dintorni.
“È il mio sogno o quello di Arthur?” volle sapere.
“Di entrambi: il sognatore principale è Arthur, perché conosco meglio la sua mente, e tu, Eames, sei quello secondario, all’interno del sogno del primo - rispose Edward con un sorriso di modestia - è uno dei vantaggi del mio dispositivo.”
“Ma come funziona? Cioè, con il Pasiv…” iniziò Arthur, ma Edward lo interruppe scuotendo la testa con fermezza.
“Non voglio che lo conosciate meglio, o sarete in pericolo anche voi: voglio solo che mi aiutiate a cancellarlo dalla faccia della terra, in modo che i miei ex finanziatori non possano utilizzarlo.”
“In tutta franchezza - disse Eames guardandosi intorno - non riesco a comprendere perché lo desiderino tanto. Voglio dire, se questo è il massimo del realismo prodotto dal tuo dispositivo, un simulatore che gira su Windows ‘95 saprebbe fare meglio: anche un bambino si renderebbe conto di stare sognando.”
“Questo perché il mio dispositivo ha bisogno di più sogni di seguito per riuscire ad elaborare uno scenario realistico nel quale il sognatore non si renda conto di stare sognando.”
“A costo di sembrarti ripetitivo, amico, Pasiv e Somnacin funzionano meglio di così. Dove risiede la sua pericolosità?”
Edward si grattò la testa e sospirò, e Arthur si sedette su uno dei parallelepipedi, invitandolo a fare altrettanto.
“Non vuoi addentrarti nei dettagli tecnici del tuo macchinario e questo ci sta bene, ma Eames ha ragione: se vuoi che il nostro aiuto sia efficace, devi darci qualche informazione, perché dobbiamo capire con che cosa abbiamo a che fare. Prima di tutto, perché hai deciso di contattarci tramite un sogno, quando eravamo d’accordo nell’incontrarci di persona domani?”
“Avete ragione” Edward fece comparire una valigetta metallica dalla quale estrasse alcuni strumenti: due grossi auricolari simili a dispositivi bluetooth, un apparecchio che assomigliava ad un lettore ottico di codici a barre ed un monitor con alcuni cavi che terminavano con degli elettrodi.
“Sembra materiale per un cosplay di Star Trek” rise Eames, ma smise di scherzare quando vide il volto terribilmente serio del loro ospite.
“Si tratta di un dispositivo per entrare nei sogni altrui ed è wireless: basta avvicinarsi una prima volta al soggetto di nostro interesse e rilevare la frequenza delle sue onde cerebrali con questo - indicò l’oggetto che sembrava un lettore di codici - dopodiché si trasferisce l’informazione al dispositivo vero e proprio, questi - e mostrò gli auricolari - Una volta attivati essi si insinuano nella stessa frequenza cerebrale del sognatore, inducendo il cervello a secernere una sostanza simile al Somnacin e facendolo così sognare. Il dispositivo funziona fino a un raggio di trenta chilometri di distanza, senza necessità di aghi e, soprattutto, senza che sognatore ed estrattore debbano trovarsi a stretto contatto tra di loro.”
“Inizio a capire perché i tuoi finanziatori siano tanto interessati: il tuo dispositivo permette di crearsi un alibi pressoché perfetto, in caso la polizia svolga delle indagini” osservò Arthur, ma Eames lo interruppe posandogli la mano sulla spalla.
“Un attimo: quando hai rilevato le nostre onde cerebrali?” volle sapere il truffatore, mettendo inconsciamente mano alla pistola che aveva in tasca.
“Ieri pomeriggio, mentre eravate all’aeroporto in attesa dei vostri bagagli.”
“Vedi, lo sapevo!” disse ad Arthur e quest’ultimo si rivolse a Edward: “E perché non ci hai parlato direttamente in quella occasione?” Quella storia gli piaceva sempre meno.
“Non era prudente: subito dopo averti contattato due settimane fa, una delle persone che mi stanno cercando è riuscita a scoprire dove stavo e ho dovuto cercare in fretta un altro nascondiglio. Non so come ci sia riuscito, ma sembra che questa gente abbia occhi dappertutto: ecco perché non mi sono fidato ad incontrarvi faccia a faccia, è stato anche per la vostra sicurezza.”
“Una cosa non capisco, Edward - disse Arthur - se queste persone sono così pericolose come dici, non potresti semplicemente consegnargli il tuo dispositivo e tirartene fuori? Il Pasiv ed i narcotici che usiamo non sono più legali di questo, e si trovano con una facilità disarmante sul mercato nero: non penso che la tua invenzione arrecherebbe chissà quali danni in più.”
L’anziano strinse le labbra e per un istante sembrò restio a proseguire.
“Se vuoi il nostro aiuto devi dirci tutto, Ed.”
“Lo so Arthur. Spero solo che non penserai troppo male di me, poi. Come già sai, circa due anni e mezzo fa ottenni un ingente finanziamento da parte di un uomo che volle sempre restare anonimo; ricordo che eri contrario alla cosa e io stesso sapevo bene che il finanziatore non poteva essere uno stinco di santo, ma non avevo altro modo di ottenere i soldi che mi servivano, così accettai il suo aiuto. Poi egli scomparve nel nulla, non si interessò più ai miei progressi né si fece vivo in alcun modo, tanto che pensai che fosse morto. Nel frattempo, ovviamente, portai avanti il progetto e, circa sei mesi fa, ultimai i primi dispositivi: a quel punto mi contattò un uomo che disse di essere un socio del mio primo finanziatore.”
“E tu gli hai creduto?”
“Sì, perché sapeva troppe cose sul finanziatore per essere un truffatore. Il dispositivo doveva essere testato e lui mi fornì diversi volontari.”
“E…?”
“Andò male.”
“Male quanto?” volle sapere Eames.
“Finirono tutti in coma e morirono nel giro di pochi mesi.”
“Cazzo” borbottò l’altro.
“Ma sei sicuro che sia colpa del tuo dispositivo?” domandò Arthur: conosceva Ed, sapeva che non avrebbe mai fatto volontariamente del male a qualcuno.
“Sì, purtroppo è un effetto collaterale a lungo termine che non avevo previsto: in pratica man mano che l’architettura onirica si perfeziona e diventa più realistica, il dispositivo opera a livelli sempre più profondi della mente, fino ad arrivare al limbo - sospirò - E forse anche più in profondità: lì il sognatore non è più in grado di distinguere realtà e sogno, anzi, si convince che il sogno sia la realtà e vi rimane intrappolato mentre il suo cervello muore lentamente in un coma che non conosce risveglio. Ed il rischio è lo stesso sia per il sognatore che per l’estrattore che utilizza il dispositivo wireless, se non si sgancia per tempo.”
“Ehi, un attimo! Tu stai usando quell’aggeggio infernale su di noi in questo momento!” lo accusò Eames puntandogli contro l’indice.
“Sì.”
“Il tuo amico è un vero stronzo!” esclamò l’uomo, mentre Arthur cercava di blandirlo con un gesto della mano.
“È solo il primo contatto che abbiamo e a questo livello non c’è alcun rischio: mi basta interrompere il collegamento e vi risveglierete, esattamente come succede con il Pasiv - lo rassicurò Edward - Ora però capite perché voglio che tutto questo sia distrutto? Un conto è estrarre delle informazioni dalla mente di qualcuno senza provocare conseguenze sulla psiche, un altro è questo. Si può sprofondare nel limbo anche senza un evento traumatico provocatore e a quel punto non c’è nemmeno più bisogno che l’estrattore resti collegato con il dispositivo wireless, fa tutto la mente del sognatore.”
“Non hai pensato di fornire un calcio alle tue cavie umane?”
“Sì, ma non ha funzionato.”
“Perché, l’hanno mancato?”
“Questo con precisione non so dirvelo: era un aspetto della vicenda che avevo iniziato a studiare per far risvegliare le persone dal coma, ma i miei finanziatori volevano andare in tutt’altra direzione.”
“Infatti mi sembrava strano che tu non avessi cercato di porre rimedio a questa situazione.”
“Sì, ho tentato, Arthur, dio solo sa se ho tentato: non appena mi sono reso conto che le coppie di sognatori ed estrattori finivano in coma, ho cercato di capire come e perché e, soprattutto, di impedire che avvenisse. C’è un momento, il punto di non ritorno, in cui l’attività cerebrale dell’inconscio prende il sopravvento su quella cosciente: è possibile monitorare l’andamento delle onde cerebrali tramite questo - e indicò l’ultima parte del suo macchinario, lo schermo con gli elettrodi - e, prima che questo accada, si iniettano nel soggetto cinque millilitri di un farmaco sperimentale a base di adrenalina: lo shock è tale da indurre un risveglio forzoso, ma anche questa è una procedura non priva di rischi per la salute, specie sul lungo periodo.”
“Sono d’accordo: chi vorrebbe svegliarsi col cuore al galoppo da ogni sogno?”
“Sono sicuro che esistano anche altri sistemi e altri farmaci meno dannosi per la salute, ma non mi è stato modo di studiarli: quando il socio del mio finanziatore ha saputo che mi ero messo al lavoro per risvegliare le persone dal coma, mi ha minacciato di morte ordinandomi di interrompere gli esperimenti.”
“È pazzo!” esclamò Arthur.
“Sì, ne sono convinto anch’io: per questo voglio che distruggiate le informazioni sul dispositivo dalla mia mente. Dopo averti contattato, ho nascosto due di questi dispositivi, alcune dosi di farmaco e un campione delle mie onde cerebrali nel posto dove ci siamo conosciuti la prima volta, in caso di necessità. Trovateli, collegatevi, entrate nella mia mente e cancellate la mia ricerca.”
“Davvero non riesco a capire - disse Eames - se il tuo finanziatore è consapevole dei rischi che corre non solo il sognatore, ma anche chi utilizza il tuo dispositivo wireless, perché insiste tanto nel volerlo? Il gioco non vale la candela, sul mercato nessuno si farebbe avanti per acquistare un aggeggio tanto pericoloso: non solo ci guadagnerebbe pochi soldi, ma si ritroverebbe alle calcagna parecchia gente piuttosto inferocita, una volta che il difetto venisse alla luce.”
Prima che Edward potesse rispondere, Arthur ed Eames si risvegliarono di soprassalto nel loro letto d’albergo.
“Che cosa è successo?” domandò Eames stringendosi le tempie, in preda a un fortissimo mal di testa.
“Il collegamento si è interrotto… e così all’improvviso che temo che Ed sia stato trovato” rispose Arthur mettendosi a sedere a fatica: provava una gran nausea, forse perché l’interruzione del collegamento cerebrale era stata così brusca, ma considerati quelli che erano gli effetti a lungo termine dell’invenzione di Edward, potevano dirsi entrambi molto fortunati.
“Muoviti, allora - gli disse Eames alzandosi - andiamo a salvare le chiappe al tuo amico.”
“E come? Non abbiamo idea di dove si trovi.”
“Sì, ma nel sogno ci ha detto dove ha lasciato un paio dei suoi macchinari infernali: dobbiamo provare a ricontattarlo.”
“Sì, e a fare quello che ci ha chiesto. Questa gente non mi piace per nulla.”

Presero la macchina, anche se il luogo menzionato da Edward non era molto distante dal loro albergo, perché Eames riteneva fosse più prudente: avrebbero potuto squagliarsela velocemente se le cose si fossero messe male. Parcheggiarono il mezzo in Rua do Norte e proseguirono a piedi, guardandosi intorno con circospezione.
“Edward non è stato solo un amico per me - disse Arthur, mentre camminavano lungo le strade assolate - è stato anche il mio maestro, è lui che mi ha insegnato tutti i trucchi del mestiere per penetrare nei sogni altrui.”
“Oh, allora devo ringraziarlo.”
“Per cosa, per avermi fatto diventare un criminale?” rise Arthur.
“Vedila così: se tu non fossi diventato quello che sei, noi due non ci saremmo mai incontrati.”
Arthur mise mano alla tasca con un’espressione sbalordita, ed Eames si accigliò: “Cosa fai?”
“Controllo il mio totem per capire se ci troviamo ancora nella realtà.”
“Poi ti domandi perché non faccio mai il romantico” borbottò Eames con aria fintamente offesa.
“Scherzavo.”
Arthur gli toccò il gomito, spingendolo verso una via laterale.
“Ci siamo?” domandò Eames, strizzando gli occhi contro il riverbero accecante del sole mediterraneo che si rifletteva sui muri bianchi dei palazzi.
“Sì, è lì.”
Arthur indicò con l’indice un edificio abbandonato di tre piani che aveva conosciuto tempi migliori, il cui piano terra era sprangato da assi di legno ricoperte di graffiti inneggianti a varie squadre di calcio. Lo condusse sul retro fino ad una vecchia scala antincendio piuttosto malridotta, da dove i due entrarono al primo piano, ugualmente malmesso; tuttavia, una serie singola di impronte di scarpa sul pavimento mostrarono che qualcuno era stato lì di recente.
“Un tempo al piano terra c’era un ristorante, mentre le stanze erano affittate a turisti o studenti: c’era sempre un gran caos - disse Arthur, guardandosi intorno - Prima ancora di far pratica all’interno di un sogno, Edward mi insegnò a ignorare i rumori esterni, ad isolarmi in una specie di bolla, ad essere sempre una singolarità ben specifica, nella realtà così come anche all’interno di un sogno altrui. È uno dei trucchi, oltre al totem, che mi aiuta a capire se sto sognando o se sono sveglio.”
“Il tuo maestro aveva anche un nascondiglio segreto?” domandò Eames, guardando la stanza spoglia e priva di mobilia.
Arthur andò alla finestra dalla quale erano entrati, camminò in avanti per dieci passi e a sinistra per cinque, battendo col piede sui listoni del parquet, che produssero un suono sordo.
“Qui.”
Sotto le assi consunte, che Eames sollevò con l’aiuto di un coltello, c’era una valigetta metallica simile a quella mostrata loro da Edward nel sogno, con gli stessi componenti ed in più alcune fiale del farmaco.
“Molto bene, ora togliamoci da qui, prima che i finanziatori del tuo amico si facciano viv-”
Non finì nemmeno la frase, che la vecchia scala antincendio da cui erano entrati scricchiolò rumorosamente.
“C’è un’altra uscita?” sussurrò Eames, sistemando frettolosamente l’asse di legno al suo posto e ripulendola dalle proprie impronte digitali. Arthur annuì e lo precedette fino a un’altra stanza che si affacciava su un corridoio fortunatamente deserto, solo che, invece di scendere i gradini, salì verso l’alto fin sul tetto: quell’edificio era costruito in aderenza ad altri tre, e così, muovendosi cauti tra le tegole, raggiunsero l’estremità del complesso e gettarono un’occhiata in strada: due donne in bicicletta, qualche passante ed un gruppo di turisti danesi che si stavano facendo dei selfie davanti ad un edificio ricoperto di maiolica azzurra.
“Sembra tutto a posto, sbrighiamoci ad andarcene da qui, prima che i nostri inseguitori capiscano dove siamo.”
Eames forzò la porta del terrazzo di copertura ed i due scesero in strada, mescolandosi al piccolo gruppetto di turisti che, per fortuna, stava camminando nella stessa direzione in cui avevano lasciato l’automobile.
“Come pensi ci abbiano trovato, avranno fatto parlare il tuo amico?” chiese Eames, mettendo in modo la macchina.
Arthur lo difese con veemenza: “No, lo escludo categoricamente! Conosco Ed, non ci venderebbe mai.”
“Conosci lui - osservò Eames - ma non sai nulla della gente che l’ha in pugno. In base a come si muovono e agiscono, a come riescono a rintracciare le persone e alle loro disponibilità economiche, tutto in questa gente grida ‘paramilitari’, e, credimi: quelli possono far parlare un esercito di muti, se vogliono.”
“Non Edward, non è uno sprovveduto: ha sempre pronte una decina di bugie diverse, tutte molto articolate, da rifilare al suo avversario per guadagnare tempo.”
“Lo spero per lui” mormorò Eames in tono lugubre, tornando verso la loro pensione: non voleva pensare a cosa sarebbe successo a Stan una volta che i suoi finanziatori non avessero più avuto bisogno di lui.

“Hai capito come funziona?” gli domandò Arthur porgendogli l’ennesima tazza di caffè.
Appena rientrati in hotel, si erano messi a studiare i diversi componenti della macchina di Edward, erano riusciti a caricare il campione delle onde cerebrali del suo vecchio maestro sul dispositivo wireless e, finalmente, dopo un’ora di elaborazione dei dati, la luce verde sull’auricolare di destra mostrava che l’apparecchio era pronto per essere messo in funzione.
“A grandi linee - rispose Eames bevendo un sorso di caffè - anche se in questo momento vorrei aver capito male.”
“Cioè?”
Eames gli mostrò l’altro auricolare.
“Vedi queste linee sul display?”
“Sì.” Ce ne erano alcune simili a quelle che indicavano la potenza del segnale su un cellulare e, sotto, una sequenza che andava dall’azzurro chiaro fino al nero.
“Le prime indicano la quantità di campo presente e le seconde, stando agli appunti del tuo amico, il livello di sogno dove si trova la mente.”
“Ce ne sono accese quattro” disse Arthur con un piccolo sospiro: capiva da sé cosa significasse, senza bisogno di chiedere. Quarto livello, limbo pieno. “Cazzo” disse Arthur.
“Per dirla in modo elegante, tesoro.”
Edward aveva detto che il coma era un effetto dell’uso prolungato del suo macchinario e lui era solo alla seconda volta, ma era anche vero che avrebbe dovuto scendere estremamente in profondità nel sogno: c’era comunque il rischio di restare intrappolati laggiù, quindi doveva essere più prudente che mai. Stava già pensando all’equipaggiamento da portare con sé, ma Eames interruppe le sue elucubrazioni.
“Avremmo dovuto giocare a dottore e infermiera qualche volta.”
“Eames, ti prego…” Capiva il tentativo del suo ragazzo di volerlo tirare su di morale con una delle sue battute, ma davvero non era il momento adatto.
“No, no, sono serio: almeno ora saprei se sei bravo con le iniezioni.”
Arthur ci mise un attimo a realizzare il significato di quelle parole.
“Non se ne parla, non sarai tu a entrare nella mente di Edward, sarò io.”
“Sapevo che questa discussione era inevitabile - sospirò lui - Arthur, abbiamo a che fare con paramilitari: devi lasciar andare me, perché so che tipo di addestramento riceve questa gente, fidati.”
“È una storia interessante e un giorno me la racconterai, ma no, non se ne parla.”
“Arty…”
“Loro saranno anche dei professionisti, ma noi siamo i migliori in questo campo, e poi la mente è quella di Edward, la conosco meglio di te, saprò come muovermi e cosa fare.”
Eames capiva quando Arthur era inamovibile su qualcosa: non avrebbe arretrato di un passo dalla sua decisione ed era sterile continuare a discuterne, non sarebbero arrivati da nessuna parte, perdendo solo tempo.
“E va bene! - si arrese infine - Ma non sono per niente d’accordo.”
“Me lo segno” rispose Arthur, poi iniziò a prepararsi per entrare nel sogno di Ed: Eames gli fissò gli elettrodi sulle tempie per monitorare l’attività cerebrale e poi posizionò il dispositivo wireless, ma prima di accenderlo lo guardò serio negli occhi: “Sii prudente.”
“Ci proverò… tesoro.”
Eames accennò un sorriso, attivò il dispositivo e Arthur si addormentò all’istante.
L’uomo si trovò proiettato in uno scenario di guerra estremamente realistico, che nulla aveva a che fare con l’innocuo sogno dove si erano visti con Ed il giorno prima. Si trovava in una specie di pueblo abbandonato, con gli edifici bianchi sforacchiati da proiettili e i tetti di paglia in fiamme; da non troppo lontano provenivano rumori di esplosioni che facevano tremare il suolo e grida concitate.
Arthur si allacciò saldamente in testa un casco, imbracciò il mitra e si diresse verso un’altura, oltre la quale si levava una densa colonna di fumo nero. Alcuni guerriglieri gli passarono accanto senza degnarlo di uno sguardo: erano parte dell’inconscio di Ed e per ora non lo consideravano una minaccia. Avanzò cautamente verso la cima della collina e guardò giù: dall’altro lato si stava svolgendo una cruenta battaglia tra un gruppo di soldati pesantemente armati ed altri asserragliati in un fortino: l’ultima difesa della mente di Edward.

Nel frattempo, nel loro albergo di Lisbona, Eames monitorava attentamente l’attività cerebrale del compagno: quella dell’inconscio era in leggero aumento, ma per il momento il livello non era preoccupante. Comunque aveva già predisposto sul letto il laccio emostatico e la siringa col farmaco.
Erano trascorsi solo pochi minuti, ma era l’attesa più snervante della sua vita.

“Deve esserci un modo per entrare nel fortino aggirando la linea del nemico, Ed deve avermi lasciata aperta una porta di sicurezza, dannazione! Sapeva che sarei venuto ad aiutarlo.”
Un aereo della Prima Guerra Mondiale sorvolò l’area a bassa quota e sganciò una bomba che esplose a pochi metri dalle mura del forte. Quando la polvere si diradò, rivelò un profondo cratere, che però non era riuscito ad intaccare le fondamenta della fortezza.
“Cobb detesterebbe fortemente questi barbari privi di eleganza: nessuno di noi condurrebbe così una estrazione.”
No, Eames aveva ragione: quella era una vera e propria offensiva militare, portata avanti da dei soldati più che da degli estrattori. Nondimeno, doveva cercare di entrare in quel fortino e parlare con Edward.
Un coniglio bianco balzò fuori da un cespuglio secco poco lontano da lui, attraversò trotterellando il terreno brullo e si tuffò senza indugio in un vecchio pozzo in sassi.
Arthur accennò un sorriso.
“Il bianconiglio? Sul serio, Ed?”
Strisciando ventre a terra per non farsi vedere dagli uomini che cingevano d’assedio il forte, si avvicinò al pozzo e vi sbirciò dentro: era profondo, ma sul fondo c’era parecchia acqua, calcolò, gettandoci una pietra dentro. Sperò che la sua intuizione fosse corretta e si tuffò nel pozzo: appena la di sotto del pelo dell’acqua c’era una piccola galleria; trattenendo il fiato, Arthur si immerse e la percorse tutta, emergendo in un corridoio scavato nella roccia, al termine del quale si intravedeva una luce che filtrava dai contorni di una porta chiusa. Non sapendo cosa aspettarsi, la aprì tenendo il mitra spianato, e si trovò a sua volta circondato da tre uomini che gli puntavano addosso i loro fucili. In lontananza, sopra le loro teste, si susseguivano scoppi ed esplosioni.
“Abbassa l’arma, o non potrò trattenerli” gli disse Edward dal fondo della stanza, e lui obbedì. Immediatamente anche le altre persone si rilassarono, ignorandolo, e tornarono alle loro occupazioni.
“Sono contento che tu ce l’abbia fatta - disse il suo vecchio maestro - Dov’è il tuo amico?”
“È sveglio e mi sta monitorando mentre dormo.”
“Molto bene, è stata una scelta saggia: in condizioni normali non avresti avuto bisogno del farmaco per risvegliarti dal sogno, essendo solo al secondo utilizzo del dispositivo, ma quando quegli uomini mi hanno catturato, ho dovuto rifugiarmi al livello più basso del limbo. E nonostante questo, il loro capo mi ha trovato anche qui.”
“Ma chi diavolo è questa gente?”
“Là fuori sono una squadra, credo non molto numerosa, ma se alludi a chi sta cercando di estrarre le informazioni da questo sogno, è un uomo solo. Si chiama Sebastian Moran ed è un ex militare.”
“Eames aveva ragione” sospirò Arthur, mentre una bomba fece tremare le pareti del bunker sotterraneo ed una sottile striscia di polvere cadde dal soffitto sulla sua spalla.
“Quando mi ha trovato non mi ha nemmeno lasciato il tempo di parlare: ha campionato le mie onde cerebrali, si è collegato al dispositivo e ha indotto il mio sogno. Credo volesse testarne limiti ed efficacia e mi ha inseguito attraverso tutti i livelli fin quaggiù, senza darmi tregua.”
“Non riesco a credere che sia riuscito a fare tutto questo da solo: in un sogno serve un architetto, oltre che un estrattore, e anche una squadra di supporto. Ah… non dirmelo.”
“Il mio dispositivo permette di bypassare tutti questi passaggi. Volendo si può anche fare alla vecchia maniera, ma se vuole e se ne è in grado, un uomo solo può fare tutto. Serve solo qualcuno dall’altra parte che monitori l’attività cerebrale e ti risvegli con il farmaco se sei in pericolo.”
Si udì un’altra tremenda esplosione ed una pioggia di calcinacci investì gli uomini all’interno della stanza.
“Sbrigati, non hai molto tempo” lo esortò Edward.
Arthur si sfilò lo zaino che portava sulle spalle e ed estrasse due panetti di C4 ed un detonatore.
“Dove sono i progetti del dispositivo?”
“Qui, ma aspetta solo un secondo, devo dirti un’altra cosa.”
“Sì?”
Prima di addormentarmi ho sentito Moran parlare con un suo tirapiedi: intendono usare il mio dispositivo per un lavoro da svolgere a Londra: faranno a qualcun altro la stessa cosa che hanno fatto a me.”
“Chi è?”
“Questo purtroppo non l’ho sentito ma… senti, lo so che ti ho già chiesto moltissimo e non ho alcun diritto di farlo, ma ti chiedo di provare a fermare Moran. Non permettere che faccia del male a qualcun altro… ho già troppi morti sulla coscienza.”
“Va bene, va bene, io ed Eames ci proveremo.
“Grazie.”
A quel punto Edward gli indicò una vecchia cassaforte a muro e Arthur vi piazzò l’esplosivo tutto attorno, collegò le cariche al detonatore e in quel momento realizzò una cosa che lo fece bloccare: si trovavano nel punto più profondo della coscienza di Edward. Lui aveva Eames che lo stava monitorando, ma Ed non aveva nessuno ad aiutarlo, e se fosse morto in quel sogno…
“Finirò in coma irreversibile come tutti gli altri e alla fine morirò.” Il vecchio confermò tutti i suoi dubbi inespressi con voce calma e rassegnata: forse pensava che per lui fosse la fine più giusta visto che aveva provocato la morte di altre persone, ma Arthur non la pensava allo stesso modo.
“Dimmi dove ti trovi nella realtà - disse con veemenza - io e Eames possiamo venire a salvarti.”
“Non c’è assolutamente più tempo, restano forse altri dieci minuti e tu lo sai.”
“Deve esserci un’altra soluzione.”
“Non più.”
“Dannazione!”
I muri del bunker tremarono di nuovo e su quello alle loro spalle si aprì una grossa crepa.
“Sbrigati Arthur: la struttura non reggerà ancora a lungo, e Moran non deve mettere le mani sui progetti, è già abbastanza terribile che abbia in mano i due dispositivi che avevo con me.”
L’attività inconscia del cervello di Arthur subì un’impennata improvvisa, avvicinandosi pericolosamente a quella dell’attività cosciente e, senza indugio, Eames gli stringe il laccio emostatico attorno al braccio.
“Basta così: pronto o non pronto, io ti riporto indietro, tesoro.”
Il pollice di Arthur esitò ancora un istante sul pulsante del detonatore, perché non importava che quello scenario non fosse reale: facendo saltare in aria quel posto, avrebbe condannato a morte il suo vecchio maestro.
“Non avrei mai voluto chiedertelo - disse Edward con voce carica di tristezza - e se solo potessi lo farei da solo, l’avrei già fatto da tempo, credimi, ma non posso, e tu devi aiutarmi.”
Arthur annuì, ma non riuscì a dire nulla.
“Ti prego.”
“Grazie per tutto ciò che mi hai insegnato, Ed.”
Arthur premette il pulsante e, un secondo prima di venir investito dall’esplosione, si ritrovò sdraiato sul letto con gli occhi spalancati e il cuore che galoppava a mille.
“Lo so, lo so, è una sensazione orribile, ma è solo l’effetto dell’adrenalina del farmaco, passerà presto - lo rassicurò Eames prendendogli i battiti - Dunque… come è andata?”
“Ce l’ho fatta. Purtroppo.”
Eames esitò un istante e poi gli posò una mano sulla spalla.
“Mi dispiace per il tuo maestro.”
“Grazie. C’è un’ultima cosa che mi ha chiesto di fare per lui.”
“Sentiamo.”

Moran si svegliò, strappandosi con rabbia il dispositivo dalla testa, e si alzò dal letto.
“Dannazione, c’ero quasi!”
“Colonnello, dovrebbe restare sdraiato - disse un uomo sfilandogli il laccio emostatico dal braccio - Cos’è successo?”
“Ero quasi riuscito a violare le difese mentali di Stan, quando c’è stata un’esplosione che ha distrutto tutto. È stato aiutato, il maledetto.”
“Chi…?”
“Gli stessi che vi sono sfuggiti ieri, presumo” osservò Moran con sarcasmo.
“Vuole che proviamo a rintracciarli di nuovo?”
L’ex militare ci rifletté a lungo, poi scosse la testa.
“Non al momento, sarebbe uno spreco di tempo e risorse, tanto non sanno di più di quello che sapeva Stan, ossia poco o niente.”
“E di lui cosa ne facciamo?” domandò l’altro uomo, indicando Edward, ormai immerso in un sonno perenne.
“Ripuliamo le nostre tracce e lasciamolo qui, ormai è nel limbo e non ne uscirà più. Noi avremo anche perso i progetti di questo macchinario, ma abbiamo ancora una missione da portare a termine, la più importante di tutte - si avvicinò all’altro uomo e gli passò una mano dietro la nuca in un gesto cameratesco - Sei con me, Freddie?”
Durante la guerra il colonnello Moran aveva portato in salvo la loro divisione, quando i piani alti dell’esercito li avevano già dati per morti e avevano rinunciato a cercarli. Li aveva salvati dall’inferno e, anche se erano passati anni da allora, Freddie non aveva mai dimenticato: doveva la vita al Colonnello e lo avrebbe seguito ovunque.
“Ma certo.”

La sigla del notiziario di RTP International passò quasi inosservata nel frastuono che regnava nel bar.
La conduttrice mosse alcuni fogli sulla scrivania e guardò in camera.
“E dopo le notizie dall’estero, torniamo a quelle di casa nostra: questa mattina un turista britannico di circa settant’anni è stato trovato in coma nella sua stanza d’albergo in un hotel di Lisbona dal personale di servizio. Dai primi accertamenti l’uomo non sembra aver assunto droghe né alcool. È stato pertanto ricoverato in isolamento nel reparto malattie infettive del São José, anche se le autorità rassicurano la cittadinanza che si tratta di una decisione presa a scopo precauzionale, e che al momento non ci sono motivi per supporre che l’uomo sia affetto da una malattia contagiosa.
Passiamo ora allo sport. Sono in corso di svolgimento i campionati nazionali di vela…”

   
 
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