Arlong
all’asilo
I
trovatelli
C’erano
una volta, nella lontana e felice isola degli uomini pesce, sempre
baciata dal
sole e dal mare, quattro pirati che, con la loro condotta stravagante e
alquanto molesta, si erano guadagnati a buon diritto l’ambito
titolo di “Scemi
del villaggio ufficiali”, “Pericoli pubblici numero
Questi
personaggi così pittoreschi rispondevano ai nomi di Hacchan
il polpo, Kuroobi
la manta, Chu il pesce trombetta e Arlong il pesce sega.
Il
primo era semplicemente la creatura più idiota che si fosse
mai vista
sull’isola ( e il fatto che gli uomini pesce risaputamene non
brillano per la
loro intelligenza vi dà l’idea della
gravità del caso), e in più adorava
agitare a casaccio spadoni giganteschi senza curare di chi o cosa
stesse
falciando; il secondo, colto da una crisi mistica mentre stava vedendo
“Le
tartarughe ninja”, si aggirava per quelle terre demolendo
case e montagne con
fantomatiche mosse di karate da lui stesso inventate; il terzo usava
trascorrere ore e ore a ubriacarsi nelle peggiori osterie, rimanendo
spesso
coinvolto in accoltellamenti e scazzottate, poiché amava
rompere sedie in
testa al prossimo; l’ultimo era
infine era infine il più pericoloso, perché usava
addentare tutto ciò che
attirava la sua attenzione ( quindi anche oggetti animati) e passava il
suo
tempo a ridere in modo maniacale e a farfugliare confusamente
“della
superiorità della razza”, “
dell’impero di Arlong” ecc ecc.
I buoni
e pacifici uomini pesce, dato che ne avevano fin sopra i capelli di
quei
quattro scalmanati, dopo aver discusso a lungo se impiccarli a un
albero o se
ghigliottinarli sulla pubblica piazza decisero di sbarazzarsene con uno
stratagemma.
Approfittando
del fatto che nonostante fossero alti fra due metri e mezzo e tre metri
la loro
età cerebrale era di circa due anni, i paesani li convinsero
a gettarsi in una
buca con la falsa promessa che sarebbero arrivati i Teletubbies a
giocare con
loro.
I
quattro ovviamente ci cascarono in tutti i sensi e i concittadini
fecero
scattare il loro diabolico tranello: li spararono delle freccette
intinte di
sonnifero, quindi li prelevarono dalla buca con l’ausilio di
una gru, li
conciarono in modo tale da ridurli a oscene imitazioni di un neonato
umano e li
ficcarono in una culla di colossali dimensioni.
Rimboccarono
loro le coperte, quindi affidarono il tutto al mare: alla culla era
attaccato
un foglio dove gli uomini pesce avevano scritto, dando prova di una
notevole
conoscenza della grammatica, il seguente messaggio: “Noi no
avere cibo per dare
mangiare loro. Te prendere cura di loro”.
Che
orrenda bugia per coprire un così atroce misfatto!
I
quattro infanti vagarono galleggiando per l’oceano: uno
squalo avrebbe potuto
mangiarli, un’onda sommergerli, ma niente di tutto questo
accadde.
Non
soffrivano neanche il mal di mare, perché avevano i
braccialetti apposta per
quello.
Approdarono
infine sulla spiaggia dorata di un’ allegra isola del Mare
orientale.
Ora
direte: furono allattati da una lupa e fondarono una città
su sette colli? Li trovò
la figlia del faraone e guidarono il loro popolo nella Terra Promessa?
Niente
di tutto questo amici.
A
raccoglierli e ad avere compassione di loro fu nientepopodimenoche lo
spettro
di Gold Roger, che si stava concedendo la sua solita passeggiatina
notturna in
riva al mare.
Con il
suo respiro che sapeva vagamente di rum (anche i fantasmi bevono) e di
cadavere
in decomposizione svegliò i “bambini”
che presero a gemere disperati.
“Orsù,
non piangete pargoli miei! Lo zio Roger vi troverà una casa
tutta nuova con
tanti amici colorati ! Vero che ve la troverà?”
bofonchiò accarezzando Chu che
inizio a emettere strilli demoniaci.
Detto
ciò l’arzillo spirito si caricò sulle
spalle la culla formato maxi e si avviò
verso la città più vicina
Vedendo
che i trovatelli non avevano un aspetto del tutto normale Roger decise
di
rivolgersi alla chiesa locale, che spesso accoglieva simili scherzi
della
natura e ospitava tra gli altri un campanaro gobbo fissato con i
modellini: ma
il vescovo, per nulla meravigliato dall’apparizione del
fantasma del re dei
pirati, spiegò brevemente che con la scusa dell’8
per mille gli inviati del
Vaticano avevano saccheggiato tutto, pure l’acqua santa, e
richiuse con un
tonfo il portone.
Il
povero spettro non sapeva più cosa inventarsi quando, nel
mezzo di una marea di
bestemmie contro
Corse
come un matto attraverso la città, quindi arrivò
davanti a un edificio alquanto
pittoresco, al cui confronto la casa della famiglia Addams sembrava la
reggia
di Versailles.
In
pratica si vedeva da un chilometro di distanza che erano gli scafi di
due navi
privati delle prue e degli alberi e malamente saldati fra loro, come
testimoniavano gli oblò e i cannoni che facevano capolino in
vari punti.
Sul
tetto erano fissate due sculture assai male in arnese rappresentanti un
gatto
nero e una tigre dai denti ai sciabola e lì accanto
sventolavano due singolari
bandiere nere con teschi, ossa e quant’altro.
Il
giardino era preda di rovi ed erbacce che sembravano voler afferrare
gli
incauti che volessero entrare, e nelle aiuole erano conficcate spade e
fucili
come su un campo di battaglia: poco dietro erano ammassati i bidoni
dell’immondizia che, rovesciati e dilaniati, spargevano il
loro maleodorante
contenuto attirando colonie di ratti.
La
porta era chiusa a chiave, ma non si
poteva dire lo stesso dei muri pieni di buchi e delle
finestre mezze
frantumati e cigolanti da cui non proveniva nessuna luce.
Confidando
nella Provvidenza, come gli aveva insegnato il suo amico Fra Cristoforo
che era
stato per un certo periodo al suo servizio con discreto successo, Roger
depose
i bambini piangenti proprio sul gelido selciato dell’uscio e
si volatilizzò
cantando una canzoncina natalizia del tutto fuori luogo, visto che si
era a
marzo.
Nel
frattempo, al calduccio nonostante non pagasse nessun tipo di bolletta
da ormai
cinque anni (rubava
acqua, luce e gas
dalla rete pubblica, sennò che pirata sarebbe stato?), il
valoroso Don Krieg
dormiva spaparanzato sul pavimento, appoggiando i
piedi rigorosamente nudi sul letto sfatto,
devastato e sporco di pomodoro, con coperte tanto piene di pulci che
probabilmente secoli addietro avevano causato la peste nera.
Su un
tavolo là vicino era posata la sua grandiosa armatura dorata
piena di
diavolerie, ricordo di giorni migliori: ma adesso il nostro stava
indossando
una lurida canottiera che emanava un tanfo pestilenziale di sudore e di
sporcizia, unta e macchiata di grasso, mentre dai pantaloncini
sbottonati
emergeva una mostruosa trippa ballonzolante.
Intorno
a lui giacevano incustoditi un paio di pantofole rosa a forma di Winnie
Pooh,
un hamburger in cui era ancora conficcato qualche dente di colui che lo
aveva
azzannato, un sacchetto di patatine semivuoto, una caterva di popcorn,
numerose
bottiglie di Coca cola senza contenuto, che era in parte fuoruscito a
provocare
laghetti stagnanti e un cappellino da baseball.
Dormiva
tranquillo, sognando chissà quali misteriosi mondi, quando
un’aspra voce
che non si poteva
identificare come
maschile o femminile, lo riportò bruscamente alle cose
terrene: “Krieg! Brutto
panzone ubriaco! Stai dormendo come un bradipo!
Scostumato! IO mi danno per mandare avanti questa baracca
e tu…” e prima
che il pirata potesse aprire gli occhi l’enigmatico essere
calò su di lui una
mano con le unghie smaltate di viola ( No, non è uno
dell’Akatsuki nda) e gli
affibbiò un ceffone come solo nei manga è
possibile.
Krieg
si tamponò i fiumi di sangue che gli uscivano dalla guancia
con un
provvidenziale cuscino che fino a quel momento giaceva sotto il suo
deretano
non propriamente pulito e guardò la propria
“moglie” Kuro che lo fissava
vomitando fiamme come una furia uscita dall’inferno.
Da
qualche anno ormai il capitano dei pirati Kuroneko manifestava certi
disturbi
psichiatrici per cui credeva di appartenere al gentil sesso: sotto la
solita
giubba da comandante ormai logora e piena di toppe indossava un lungo
abito
verde da donna ( imbottito di cotone all’altezza del petto)
con tanto di gonna
e scarpe coi tacchi a spillo da vera vamp.
A
rendere il tutto più orribile ci pensavano
la pacchiana parrucca bionda coi bigodini, le lunghe ciglia unite al
fondotinta, il grossolano rossetto luccicante e lo smalto di cui si
è già
detto.
“Ascoltami
amore…” mormorò Krieg con la voce
impastata dal sonno, rassegnato alla pazzia
dell’altro.
“NO! TU
ASCOLTA ME! Abbiamo lasciato la pirateria per soddisfare il mio
desiderio di
maternità, per cui abbiamo fondato questo asilo per i
piccoli pirati… MA E’ DA
MESI CHE QUI NON C’E’ NENCHE L’OMBRA DI
UN BAMBINO!”.
“Da
quando il figlio di Bagy il Clown ha accoltellato in un occhio il
nipotino di Iena
Bellamy ci siamo fatti una pessima
pubblicità…”.
“Che
colpa avevamo noi se erano da soli in giardino mentre tutti gli altri
stavano
giocando a Monopoli? Da quando i bambini se ne sono andati non abbiamo
più
guadagnato una lira! E dobbiamo anche mantenere quei due lavativi
beoni!” gridò
indicando con un dito i loro ex vicecomandanti e ora sguatteri Gin e
Jango, che
stavano rispettivamente dormendo in poltrona con il telecomando in una
mano e
una bottiglia di vodka nell’altra e facendo sogni in cui
inseguiva
rumorosamente il proprio idolo Michael Jackson.
“Questa
topaia è diventata una discarica!”
continuò Kuro camminando fra bambole
disarticolate, pezzi di puzzle, trenini, peluche, fango, resti di
biberon
,bucce di banana e residui di rigurgito. “Cosa darei per
sentire di nuovo la
dolce voce di un bambino !” e neanche lo avesse fatto apposta
si sentì
l’inquietante pianto di un infante provenire dal giardino.
“Cosa?
Amore, vengo subito! “ gridò Kuro, ma fu fermato
dal marito che pretese di
andare a controllare con la pistola in pugno, temendo che ci fossero
dietro i
fantasmi.
Aprì la
porta, puntò l’arma e proprio prima di premere il
grilletto si accorse di avere
sotto gli occhi una culla di dimensioni stratosferiche, su cui
campeggiava una
copertina coi merletti che raffigurava il pescecane di “Lo
Squalo” nell’atto di
divorare una ragazza; dentro si annidavano quattro strane creature, di
lunghezza più che umana,abbigliate con pigiamini, bavaglini
e cuffiette che
piangevano come dannati.
A
quella vista il cervello di Kuro andò definitivamente in
pappa; emise un urlo
belluino, i suoi occhi divennero cuoricini e si fiondò sulla
culla iniziando a
sbaciucchiare i pargoli e a
domandare: “Li teniamo? Dai,teniamoli amore! Ti prego ti
prego ti prego ….” mentre
Krieg insospettito leggeva il messaggio incorporato nella culla.
Hacchan
sgusciò fuori dal giaciglio e si attaccò con
tutti i tentacoli a Kuro,
strusciando il muso sulla schiena dell’altro.
“Oh ma
non è adorabile?”.
“Penso
che sia un fenomeno di imprinting, come succede per le oche.. Ora crede
che sia
sua madre…” mormorò perplesso Jango, ma
subito Krieg lo chiamò: “Jango, prepara
il caffé! Sarà una lunga
notte…” sibilò sconsolato mentre Arlong
dormiva alla
grande, Chu raccattava un rossetto da terra e iniziava a ripassare le
labbra
già naturalmente carnose e Kuroobi iniziava a saltellare per
la stanza
demolendo divani e tavoli.
Per
ultimo arrivò Gin che, vedendo la confusione provocata dai
nuovi venuti,
esclamò in stato di ebbrezza: “Hello people!
Perché gli Unni ci invadono?”.