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Autore: Federico    20/03/2009    1 recensioni
Arlong, come tutti sanno, è spietato… Ma riuscite a immaginarvi lui e i suoi soci che si comportano come bambini piccoli? E se, per complicati intrighi che coinvolgono lo stesso Gold Roger, finissero in uno stravagante asilo per piccoli pirati gestito da Don Krieg e dal Capitano Kuro? Nota: In questa fic compaiono moltissimi personaggi di O.P, sia vecchi che nuovi, nei ruoli più assurdi che si possano immaginare: spero di riuscire ad accontentare i fan di ciascun personaggio, che però dovranno avere i nervi saldi...
Genere: Commedia, Parodia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Arlong all’asilo

 

I trovatelli

 

C’erano una volta, nella lontana e felice isola degli uomini pesce, sempre baciata dal sole e dal mare, quattro pirati che, con la loro condotta stravagante e alquanto molesta, si erano guadagnati a buon diritto l’ambito titolo di “Scemi del villaggio ufficiali”, “Pericoli pubblici numero 1” e “Notori rompiscatole”.

Questi personaggi così pittoreschi rispondevano ai nomi di Hacchan il polpo, Kuroobi la manta, Chu il pesce trombetta e Arlong il pesce sega.

Il primo era semplicemente la creatura più idiota che si fosse mai vista sull’isola ( e il fatto che gli uomini pesce risaputamene non brillano per la loro intelligenza vi dà l’idea della gravità del caso), e in più adorava agitare a casaccio spadoni giganteschi senza curare di chi o cosa stesse falciando; il secondo, colto da una crisi mistica mentre stava vedendo “Le tartarughe ninja”, si aggirava per quelle terre demolendo case e montagne con fantomatiche mosse di karate da lui stesso inventate; il terzo usava trascorrere ore e ore a ubriacarsi nelle peggiori osterie, rimanendo spesso coinvolto in accoltellamenti e scazzottate, poiché amava rompere  sedie in testa al prossimo; l’ultimo era infine era infine il più pericoloso, perché usava addentare tutto ciò che attirava la sua attenzione ( quindi anche oggetti animati) e passava il suo tempo a ridere in modo maniacale e a farfugliare confusamente “della superiorità della razza”, “ dell’impero di Arlong” ecc ecc.

I buoni e pacifici uomini pesce, dato che ne avevano fin sopra i capelli di quei quattro scalmanati, dopo aver discusso a lungo se impiccarli a un albero o se ghigliottinarli sulla pubblica piazza decisero di sbarazzarsene con uno stratagemma.

Approfittando del fatto che nonostante fossero alti fra due metri e mezzo e tre metri la loro età cerebrale era di circa due anni, i paesani li convinsero a gettarsi in una buca con la falsa promessa che sarebbero arrivati i Teletubbies a giocare con loro.

I quattro ovviamente ci cascarono in tutti i sensi e i concittadini fecero scattare il loro diabolico tranello: li spararono delle freccette intinte di sonnifero, quindi li prelevarono dalla buca con l’ausilio di una gru, li conciarono in modo tale da ridurli a oscene imitazioni di un neonato umano e li ficcarono in una culla di colossali dimensioni.

Rimboccarono loro le coperte, quindi affidarono il tutto al mare: alla culla era attaccato un foglio dove gli uomini pesce avevano scritto, dando prova di una notevole conoscenza della grammatica, il seguente messaggio: “Noi no avere cibo per dare mangiare loro. Te prendere cura di loro”.

Che orrenda bugia per coprire un così atroce misfatto!

I quattro infanti vagarono galleggiando per l’oceano: uno squalo avrebbe potuto mangiarli, un’onda sommergerli, ma niente di tutto questo accadde.

Non soffrivano neanche il mal di mare, perché avevano i braccialetti apposta per quello.

Approdarono infine sulla spiaggia dorata di un’ allegra isola del Mare orientale.

Ora direte: furono allattati da una lupa e fondarono una città su sette colli? Li trovò la figlia del faraone e guidarono il loro popolo nella Terra Promessa?

Niente di tutto questo amici.

A raccoglierli e ad avere compassione di loro fu nientepopodimenoche lo spettro di Gold Roger, che si stava concedendo la sua solita passeggiatina notturna in riva al mare.

Con il suo respiro che sapeva vagamente di rum (anche i fantasmi bevono) e di cadavere in decomposizione svegliò i “bambini” che presero a gemere disperati.

“Orsù, non piangete pargoli miei! Lo zio Roger vi troverà una casa tutta nuova con tanti amici colorati ! Vero che ve la troverà?” bofonchiò accarezzando Chu che inizio a emettere strilli demoniaci.

Detto ciò l’arzillo spirito si caricò sulle spalle la culla formato maxi e si avviò verso la città più vicina

Vedendo che i trovatelli non avevano un aspetto del tutto normale Roger decise di rivolgersi alla chiesa locale, che spesso accoglieva simili scherzi della natura e ospitava tra gli altri un campanaro gobbo fissato con i modellini: ma il vescovo, per nulla meravigliato dall’apparizione del fantasma del re dei pirati, spiegò brevemente che con la scusa dell’8 per mille gli inviati del Vaticano avevano saccheggiato tutto, pure l’acqua santa, e richiuse con un tonfo il portone.

Il povero spettro non sapeva più cosa inventarsi quando, nel mezzo di una marea di bestemmie contro la Chiesa, ebbe un illuminazione geniale: “Ci sono! L’asilo dei pirati!”.

Corse come un matto attraverso la città, quindi arrivò davanti a un edificio alquanto pittoresco, al cui confronto la casa della famiglia Addams sembrava la reggia di Versailles.

In pratica si vedeva da un chilometro di distanza che erano gli scafi di due navi privati delle prue e degli alberi e malamente saldati fra loro, come testimoniavano gli oblò e i cannoni che facevano capolino in vari punti.

Sul tetto erano fissate due sculture assai male in arnese rappresentanti un gatto nero e una tigre dai denti ai sciabola e lì accanto sventolavano due singolari bandiere nere con teschi, ossa e quant’altro.

Il giardino era preda di rovi ed erbacce che sembravano voler afferrare gli incauti che volessero entrare, e nelle aiuole erano conficcate spade e fucili come su un campo di battaglia: poco dietro erano ammassati i bidoni dell’immondizia che, rovesciati e dilaniati, spargevano il loro maleodorante contenuto attirando colonie di ratti.

La porta era chiusa a chiave, ma non si  poteva dire lo stesso dei muri pieni di buchi e delle finestre mezze frantumati e cigolanti da cui non proveniva nessuna luce.

Confidando nella Provvidenza, come gli aveva insegnato il suo amico Fra Cristoforo che era stato per un certo periodo al suo servizio con discreto successo, Roger depose i bambini piangenti proprio sul gelido selciato dell’uscio e si volatilizzò cantando una canzoncina natalizia del tutto fuori luogo, visto che si era a marzo.

Nel frattempo, al calduccio nonostante non pagasse nessun tipo di bolletta da ormai cinque anni  (rubava acqua, luce e gas dalla rete pubblica, sennò che pirata sarebbe stato?), il valoroso Don Krieg dormiva spaparanzato sul pavimento, appoggiando  i piedi rigorosamente nudi sul letto sfatto, devastato e sporco di pomodoro, con coperte tanto piene di pulci che probabilmente secoli addietro avevano causato la peste nera.

Su un tavolo là vicino era posata la sua grandiosa armatura dorata piena di diavolerie, ricordo di giorni migliori: ma adesso il nostro stava indossando una lurida canottiera che emanava un tanfo pestilenziale di sudore e di sporcizia, unta e macchiata di grasso, mentre dai pantaloncini sbottonati emergeva una mostruosa trippa ballonzolante.

Intorno a lui giacevano incustoditi un paio di pantofole rosa a forma di Winnie Pooh, un hamburger in cui era ancora conficcato qualche dente di colui che lo aveva azzannato, un sacchetto di patatine semivuoto, una caterva di popcorn, numerose bottiglie di Coca cola senza contenuto, che era in parte fuoruscito a provocare laghetti stagnanti e un cappellino da baseball.

Dormiva tranquillo, sognando chissà quali misteriosi mondi, quando un’aspra voce che  non si poteva identificare come maschile o femminile, lo riportò bruscamente alle cose terrene: “Krieg! Brutto panzone ubriaco! Stai dormendo come un bradipo!  Scostumato! IO mi danno per mandare avanti questa baracca e tu…” e prima che il pirata potesse aprire gli occhi l’enigmatico essere calò su di lui una mano con le unghie smaltate di viola ( No, non è uno dell’Akatsuki nda) e gli affibbiò un ceffone come solo nei manga è possibile.

Krieg si tamponò i fiumi di sangue che gli uscivano dalla guancia con un provvidenziale cuscino che fino a quel momento giaceva sotto il suo deretano non propriamente pulito e guardò la propria “moglie” Kuro che lo fissava vomitando fiamme come una furia uscita dall’inferno.

Da qualche anno ormai il capitano dei pirati Kuroneko manifestava certi disturbi psichiatrici per cui credeva di appartenere al gentil sesso: sotto la solita giubba da comandante ormai logora e piena di toppe indossava un lungo abito verde da donna ( imbottito di cotone all’altezza del petto) con tanto di gonna e scarpe coi tacchi a spillo da vera vamp.

 A rendere il tutto più orribile ci pensavano la pacchiana parrucca bionda coi bigodini, le lunghe ciglia unite al fondotinta, il grossolano rossetto luccicante e lo smalto di cui si è già detto.

“Ascoltami amore…” mormorò Krieg con la voce impastata dal sonno, rassegnato alla pazzia dell’altro.

“NO! TU ASCOLTA ME! Abbiamo lasciato la pirateria per soddisfare il mio desiderio di maternità, per cui abbiamo fondato questo asilo per i piccoli pirati… MA E’ DA MESI CHE QUI NON C’E’ NENCHE L’OMBRA DI UN BAMBINO!”.

“Da quando il figlio di Bagy il Clown ha accoltellato in un occhio il nipotino di Iena Bellamy ci siamo fatti una pessima pubblicità…”.

“Che colpa avevamo noi se erano da soli in giardino mentre tutti gli altri stavano giocando a Monopoli? Da quando i bambini se ne sono andati non abbiamo più guadagnato una lira! E dobbiamo anche mantenere quei due lavativi beoni!” gridò indicando con un dito i loro ex vicecomandanti e ora sguatteri Gin e Jango, che stavano rispettivamente dormendo in poltrona con il telecomando in una mano e una bottiglia di vodka nell’altra e facendo sogni in cui inseguiva rumorosamente il proprio idolo Michael Jackson.

“Questa topaia è diventata una discarica!” continuò Kuro camminando fra bambole disarticolate, pezzi di puzzle, trenini, peluche, fango, resti di biberon ,bucce di banana e residui di rigurgito. “Cosa darei per sentire di nuovo la dolce voce di un bambino !” e neanche lo avesse fatto apposta si sentì l’inquietante pianto di un infante provenire dal giardino.

“Cosa? Amore, vengo subito! “ gridò Kuro, ma fu fermato dal marito che pretese di andare a controllare con la pistola in pugno, temendo che ci fossero dietro i fantasmi.

Aprì la porta, puntò l’arma e proprio prima di premere il grilletto si accorse di avere sotto gli occhi una culla di dimensioni stratosferiche, su cui campeggiava una copertina coi merletti che raffigurava il pescecane di “Lo Squalo” nell’atto di divorare una ragazza; dentro si annidavano quattro strane creature, di lunghezza più che umana,abbigliate con pigiamini, bavaglini e cuffiette che piangevano come dannati.

A quella vista il cervello di Kuro andò definitivamente in pappa; emise un urlo belluino, i suoi occhi divennero cuoricini e si fiondò sulla culla  iniziando a sbaciucchiare i pargoli e a domandare: “Li teniamo? Dai,teniamoli amore! Ti prego ti prego ti prego ….” mentre Krieg insospettito leggeva il messaggio incorporato nella culla.

Hacchan sgusciò fuori dal giaciglio e si attaccò con tutti i tentacoli a Kuro, strusciando il muso sulla schiena dell’altro.

“Oh ma non è adorabile?”.

“Penso che sia un fenomeno di imprinting, come succede per le oche.. Ora crede che sia sua madre…” mormorò perplesso Jango, ma subito Krieg lo chiamò: “Jango, prepara il caffé! Sarà una lunga notte…” sibilò sconsolato mentre Arlong dormiva alla grande, Chu raccattava un rossetto da terra e iniziava a ripassare le labbra già naturalmente carnose e Kuroobi iniziava a saltellare per la stanza demolendo divani e tavoli.

Per ultimo arrivò Gin che, vedendo la confusione provocata dai nuovi venuti, esclamò in stato di ebbrezza: “Hello people! Perché gli Unni ci invadono?”.

  
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