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Autore: Kore Flavia    07/02/2016    2 recensioni
[Miraxus][Perché sono stata convinta a scrivere anch'io su una NOTP][Per tutte le partecipanti al mio contest e a chi volesse leggere]
Dal testo:
-Che ci fai qui?- Domandò una voce sopra di lei. Dalle labbra sfuggì un sorriso e, subito dopo, come a rimproverarsi di tale inadeguatezza, un singhiozzo. [...]
La mano sinistra fu percorsa da un fremito iroso, corse giù lungo il proprio corpo, come a sincerarsi che fosse ancora lì, che fosse ancora lei.[...]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luxus Dreher, Mirajane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Note di un'autrice scema: (Perché scema, perché boh, volevo variare) In ogni caso eccomi con una mini-oneshot su Mirajane e Laxus (a che serve che lo ripeta visto che l'ho scritto anche nell'introduzione io non lo so). 
Mi sono ispirata ad un'immagine (non commento l'immagine in sé che è meglio) su deviantart che rappresentava Mira e Laxus davanti ad una tomba e alla frase che vedete qui sotto.
Faccio le mie solite spiegazioni pallose così da annoiarvi tutti/e e farvi mollare la lettura fin da subito.
Mira copre il ruolo materno tra i fratelli e penso sia normale che sia sola e non con Elfman davanti alla lapide. Questo perché non vuole far preoccupare Elfman ne venire meno al proprio ruolo. 
Per il resto penso che siano tutti mutamenti caratteriali plausibili visto il lutto affrontato dalla ragazza e penso che sia normale che persino Laxus rispetti questa cosa. 
Spero di non essere andata OOC like always. 
NO BETA
 perché sono scema (appunto).
Spero che recensiate così da farmi sapere cosa ne pensate.
Kore



Di conforto e pioggia

 
 
“È sempre dura, quando muore una persona, in qualunque circostanza. Si apre un buco nel mondo. E noi dobbiamo celebrare questo lutto. Altrimenti il buco non si chiuderà piú.”
 

 
Pioveva. La donna accovacciata veniva inzuppata da quel pianto celeste. Le membra ne erano intirizzite, ne erano gelate le ossa. L’abito si appiccicava al corpo in un abbraccio disperato, era una scultura greca facente uso del panneggio bagnato. Non era sola a piangere davanti a quella pietra intagliata, davanti a quelle lettere incise, con lei c’era il riversamento della pura rabbia celeste. Rabbia nei confronti della terra su cui la donna, la sua compagna durante quel dolore, poggiava le ballerine e le ginocchia.
Lei donna, però, non era. Una poco più che ragazza osservava prima quella lapide e poi il cielo, da cui ricadevano innumerevoli aghi a trafiggerla. L’umido le penetrava le carni in una morsa glaciale. Liquida, irrefrenabile era come un bacio che dalla bocca scivolava dappertutto. Non salvando nulla al proprio passaggio.
Era uscita con la pioggia ed era rimasta con ella. L’aveva fatto per non restare sola davanti a quella lapide spoglia i cui colori non ricordavano affatto gli occhi azzurri e i capelli platino della sorellina. Per non restare sola davanti a quel dolore di cui il fratello non doveva entrare a conoscenza.
-Che ci fai qui?- Domandò una voce sopra di lei. Dalle labbra sfuggì un sorriso e, subito dopo, come a rimproverarsi di tale inadeguatezza, un singhiozzo. Si passò il pugno della mano destra sul volto umido innumerevoli volte, quasi scordandosi della pioggia che continuava a vanificare ogni suo sforzo. Era la pioggia a celarne le lacrime, asciugarle sarebbe stata solo un’idea sciocca e ingenua.
Non si girò.
-Nulla.- borbottò per tutta risposta prendendo un lungo respiro e stringendo con l’altra mano dei fili d’erba tra le proprie dita. Li osservava rigogliosi bearsi di quella doccia primaverile e li detestava. Eppure lei era proprio come quelle ciocche della terra, era viva e stava approfittandosi della pioggia. La stavano sfruttando per sopravvivere proprio come lei. Lei era un filo d’erba. Si vergognò di star piangendo davanti a quegli occhi, si vergognava di star piangendo davanti a quel mondo. Elfman non lo stava facendo, lui si stava comportando “da uomo” proprio come lui era solito dire. Un secondo ghigno si librò su quelle labbra inumidite da pioggia e lacrime, come una farfalla che si posa sul fiore, quel sorriso si appoggiò sulle labbra. Peccato che la vita delle farfalle fosse breve come quel riso. Entrambi destinati a morire nel luogo d’appartenenza, una sul fiore, l’altro sulle labbra.
-Piove.- Constatò quella voce dietro di sé in un sogghigno, così da lui. Mirajane si lasciò andare ad un altro singulto e si tappò la bocca con le mani per non far rumore. Lasciò così andare la presa sui fili d’erba e lasciando così la presa anche su se stessa. Voleva miscelarsi alla pioggia come stavano facendo le sue lacrime, voleva nascondercisi e non trovarsi più. Voleva sentirsi scrosciare al suolo con essa. Colpire il mondo con la propria rabbia e impotenza. Voleva essere tempesta e distruggere la terra, voleva distruggere i fili d’erba.
La mano sinistra fu percorsa da un fremito iroso, corse giù lungo il proprio corpo, come a sincerarsi che fosse ancora lì, che fosse ancora lei. La mano continuò la propria corsa fino a terra, poggiandosi tra i fili d’erba, li accarezzò con fare materno.
-Lo so.- Gli occhi saettarono verso il basso osservando la propria mano vezzeggiare quei filamenti terreni. La terra si trasformava in fango impiastricciando le dita e le unghie della ragazza. –Lo so.- ripeté più a se stessa che all’uomo dietro di sé. –Lo so.- confermò nuovamente alla pioggia, come se quella non ne fosse certa nella sua immensità.
-Ti prenderai un raffreddore se rimani qui fuori. Lisanna ti rimprovererebbe.- Mirajane poté sentirlo muoversi dietro di sé. Strusciare gli stivali sul terreno e posizionarsi al suo fianco davanti alla lapide. Mirajane distolse lo sguardo dalla lapide per poggiarlo su Laxus. Il giaccone che si scuriva sotto i colpi delle gocce. L’uomo si passò una mano tra i capelli biondi e gocciolanti. Chissà da quanto stava lì ad osservarla nel suo sacrificio alla pioggia.
Al solo nominare la sorella, però, la mano sinistra cominciò a tremare e, come a colpire se stessa, strappò i fili d’erba che si trovavano sotto la sua infantile carezza. Li strappò con furia, annientando vite e popolazione, il potete nelle sue mani continuava a strappare e strappare e strappare, tanto da creare veri e propri aloni scuri tra quel verde rigoglioso.
Sentiva di non poter smettere, di non esserne in grado e di non volerlo realmente. Ma aveva bisogno di fare del male a qualcuno, a qualcosa. E se quel qualcosa era solo l’erba a lei non faceva differenza, la stava ugualmente distruggendo. Poteva sentirne risuonare le grida imploranti nella propria mente, inventava ferite inguaribili davanti ai suoi occhi.
Fu solo il contatto con la mano dell’altro a farla smettere. Una scintilla febbrile le percorse le nocche arrivando su, fino al cervello rettiliano. Mirajane boccheggiò e annaspò alla ricerca di aria, ma la sua gola fu colmata solo dall’acqua che ancora precipitava dal cielo. Quella mano poggiata sulla sua, stretta tra le sue dita e impiastricciata di fango e fili d’erba era riuscita a fermarla, a farla tornare in sé. Era furibonda per questo, ma allo stesso tempo ne era grata.
Nessuno dei due disse nulla per svariato tempo, entrambi rimasero a guardarsi davanti verso la lapide, ma vedendo altro al suo posto. Forse una figura giovanile, forse ricordi, forse qualcosa che non aveva minimamente a che fare con essa.
Non smise di piovere. Non appena le loro mani si toccarono Mirajane si trovò fuori luogo sotto quella cascata. Mirajane dimenticò i suoi pensieri negativi, ma di ciò la pioggia non sembrò curarsene, troppo interessata a distruggere ciò che le si stagliava davanti.
Mirajane ebbe l’impulso di baciarlo, quando egli si sfilò la propria giacca, ormai zuppa, per poggiarla sulle spalle della maga. Una magra copertura vista la violenza che li colpiva. E lo avrebbe baciato, l’avrebbe fatto suo, se non si fossero trovati lì in quel momento e se il ricordo di Lisanna non fosse ancora così vivo nella sua mente, tanto da offuscarne ogni desiderio, o meglio, ogni volontà nel realizzare le propri ambizioni.
Di una cosa era certa, se l’avesse baciato in quel momento Lisanna si sarebbe messa a saltarellare attorno ai due e avrebbe riso e avrebbe vissuto in entrambi.
Non smise di piovere, ma a Mirajane non interessava. A lei bastava sapere di avere Laxus al suo fianco, a reggerla quando lei da sola non ce la faceva e a rassicurarla quando lei aveva rassicurato tutti gli altri tranne se stessa.
 
Durante l’esilio dell’uomo, Mirajane continuò a vederlo. Per non lasciarlo da solo e per non essere sola. Si cercavano lontano dalla gilda, si trovavano e un giorno finirono persino per baciarsi. Fu Mirajane a prendere l’iniziativa e, senza sorpresa da nessuno e con l’aspetto di qualcosa a lungo ricercato, Laxus ricambiò.

 
   
 
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