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Autore: Kary91    07/02/2016    3 recensioni
[Mini-Long | Post-Epilogo | Sequel de "The Miner Saw a Comet"e "La Cometa del Distretto 12 | Gale&Katniss]
Sono passati quindici anni dall'ultima volta che Katniss e Gale si sono parlati; molte cose sono cambiate da allora.
Katniss vive con Peeta e i loro due bambini. Gale si è trasferito nel Distretto 2, ma non ha mai dimenticato il proprio passato. Lo dimostra suo figlio, il piccolo Joel Jr., che porta il nome del nonno. E lo dimostra anche il suo ritorno improvviso nel Distretto 12 assieme al figlioletto, per assistere al passaggio di una cometa. La cometa di Halley - quasi come Haley, il nome della piccola Mellark; la stessa cometa avvistata da suo nonno e dal nonno di Katniss ormai 76 prima. Halley come la cometa che Katniss e Gale si erano ripromessi di veder passare assieme quando erano ragazzini, in onore dei loro padri.
Questa è la storia in cui si parla del ritorno di quella cometa. è la storia di un'amicizia rimasta in sospeso per anni, di un legame sfilacciato che tuttavia resiste ancora. E a ricucirne i lembi sdruciti di quel legame saranno due bimbi e una vecchia storia.

O, forse, solo il destino.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We Might Fall - La Cometa di Halley.'
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Il ritorno della cometa

 

Three | On the Road to Forgiveness Home

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“Nonno Michael e Samuel erano appena usciti dalle miniere, quando videro la cometa.

Rimasero di sasso tutti e due, a bocca aperta quasi, quando videro quella codina bianca nel cielo.

Sembravano intontiti, come se avessero appena visto passare la donna più bella del mondo.”

 

“Vuoi che torniamo a casa?”

Peeta si sistemò fra le braccia il figlio mezzo addormentato e scrutò con attenzione la moglie. Katniss scosse la testa; non riusciva a distogliere lo sguardo da Haley, che continuava a girare su se stessa con le braccia distese. Joel la stava imitando e, di tanto in tanto, Haley lo  afferrava per farlo cadere con sé nell’erba alta: nessuno dei due riusciva a smettere di ridere.

“Se ce ne andassimo adesso non me lo perdonerebbe mai” osservò, una punta di dolore non del tutto mascherata nella voce.  “Restate ancora un po’. Io incomincio ad andare.”

Peeta fece per ribattere, ma qualcosa nello sguardo della moglie lo spinse a cambiare idea.

Katniss accarezzò la testa di Rowan, prima di dirigersi verso casa. Aveva bisogno di stare sola, di gironzolare per un po’ senza essere costretta a mascherare la delusione mista a dolore che le vorticava dentro.

Attraversò il Prato con le braccia strette al petto: era una tiepida serata d’Agosto, eppure sentiva freddo e non riusciva a spiegarsi il perché. Mentre camminava, il suo sguardo puntò istintivamente i margini del bosco. Si chiese se Gale fosse andato a rifugiarsi da quelle parti: un tempo era quello il posto dove l’avrebbe sempre trovato. Si fermò, incerta se proseguire o meno verso quella direzione. Alla fine, si convinse a lasciar perdere.

Continuò a camminare fino a quando non raggiunse il cortile di casa sua, a pochi decine di metri dalla nuova panetteria Mellark. Non aveva nemmeno raggiunto i gradini d’ingresso, quando un’ombra alla sua destra la costrinse a voltarsi.

Gale era lì, di fronte a lei, il fiato corto e le guance arrossate: forse aveva corso.

 

“Ed era velocissima, quella cometa. Attraversò il cielo come se stesse correndo, come se avesse fretta; magari era in ritardo per qualcosa, però era lì: era lì per loro.”

 

Si squadrarono per qualche istante, entrambi alla ricerca delle parole giuste da scegliere. Katniss, che era stanca di tutti quei silenzi, scelse a bruciapelo una delle domande che le ronzavano in testa e la sputò fuori prima che il buonsenso la bloccasse.

“È Johanna Mason sua madre?”

Gale la osservò confuso per qualche istante, prima di dar cenno di aver compreso.

“Fra tutte le cose che avresti potuto chiedermi è questo che ti interessa sapere?”

Katniss continuò a sostenere il suo sguardo con decisione.

“Questa era la domanda più facile.”

Gale sospirò. Tornò a incrociare le braccia sul petto, ripristinando il distacco fra sé e ciò che lo circondava.

“No, non è lei” concluse, con una nota di durezza nella voce. Per un attimo sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi tornò silenzioso.

Katniss ne fu infastidita.

“Perché non sei più tornato?” chiese, la delusione a malapena riconoscibile attraverso la freddezza con cui parlò.

Gale scosse la testa.

“Un soldato lo capisce, quando è costretto ad annunciare la ritirata.”

“Ma tu non eri un soldato” ribatté la donna. “Eri un cacciatore. ”

E il mio migliore amico, aggiunse mentalmente con una fitta di delusione.

“Lo ero…” confermò lui, azzardando un passo  avanti. “… E lo eri anche tu, ma poi? Ho perso, Katniss” dichiarò secco, tornando a scuotere la testa. “Fine della storia. Non c’era più nulla per me al Distretto 12, nulla per cui valesse la pena cercare di rimettere insieme i pezzi.”

“C’era la tua famiglia” gli fece notare Katniss.

Gale tornò a distogliere lo sguardo.

“Loro sono stati meglio senza di me.”

“Ne sei sicuro?” replicò fredda la donna: non poteva essere lui, il ragazzo che era cresciuto assieme a lei nei boschi. Non poteva essere lui il giovanotto disposto a sacrificare tutto pur di prendersi cura della sua famiglia. “E tuo figlio? È stato meglio senza di loro?”

Tutto a un tratto, lo sguardo di Gale venne attraversato da un dolore autentico; la decisione sfumò dal suo volto.

“No…” mormorò il soldato, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. “No, per niente.”

La sua espressione ferita riuscì a fare breccia nella mente di Katniss; d’un tratto si sentì in colpa e il risentimento generò rabbia. Non voleva pentirsi di averlo ferito: il suo ragionamento era sbagliato. Eppure…

“Ho visto come lo guardi…” esclamò all’improvviso Gale, infilandosi le mani in tasca. “Mio figlio” precisò, in risposta allo sguardo confuso di Katniss. “Non devi avercela con lui: non è colpa sua se ha stretto amicizia con tua figlia, non sapeva che ci conoscessimo...”

“Non ce l’ho con lui” lo interruppe Katniss. “Sono solo preoccupata per Haley. Sa che non lo rivedrà più, eppure non fa altro che parlare di lui… Come se si conoscessero da sempre.”

Gale si strinse nelle spalle.

“Sono solo bambini” osservò: non sembrava condividere le sue preoccupazioni.

Katniss non era della stessa opinione. L’intesa fra Haley e Joel non sembrava il frutto di  una di quelle amicizie casuali fra bambini destinate a durare qualche giorno. Per Haley, Joel era stato come una cometa: aveva buttato luce su alcuni dettagli del suo passato che nemmeno sapeva esistessero. Dettagli che facevano parte della storia di entrambi.

"In ogni caso non dovrai preoccuparti troppo a lungo” riprese Gale, dopo essersi schiarito la voce. “Domani mattina ce ne andiamo. La cometa è passata, non c’è più nulla che ci trattenga qui.”

 

Non lo disse con freddezza o antipatia; c’era persino una nota malinconica nel suo tono di voce, tuttavia questo non impedì a Katniss di arrabbiarsi.

 

 

“Sì, bravo, vattene” esclamò, incrociando a sua volta le braccia contro il petto. Una collera fredda e calcolata le modellò lo sguardo. “Fai la cosa che ti riesce meglio."

 

Gale reagì con sorpresa a quella sfuriata, ma non ribatté. Il dolore tornò a contrarre i lineamenti del suo volto e, se non fosse stato così buio, Katniss avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi farsi lucidi.

 

Quando l’ex-soldato tornò a parlare, tuttavia, il suo tono risultò risoluto.

 

 

“Non ha senso che resti” dichiarò, cercando conferma nel suo sguardo. “Sei cambiata, Katniss. Adesso sei una donna, hai una famiglia: un marito e dei bambini tuoi. Non hai più bisogno di me.”

 

Fece una pausa, come se stesse aspettando una sua smentita.


Vero o Falso?

 

Katniss scosse la testa.


“Stai sviando” ribatté con rabbia. “Cerchi di rigirare i fatti come se fossi stata io ad allontanare te, ma sappiamo entrambi che non è stato così.”

 

“Non mi volevi attorno” ribatté con freddezza Gale, il dolore tramutato tutto a un tratto in collera. “Quando ci siamo parlati l’ultima volta me l’hai fatto capire chiaramente.”

 

“Potevi insistere” replicò ancora Katniss, alzando il tono di voce. Una pioggia di immagini le rovinò addosso, ricordandole ciò che per anni aveva cercato di seppellire in un angolo della mente. “Potevamo parlarne e cercare di aggiustare quello che si era rotto, ma no, tu hai deciso di tagliare i ponti” concluse, scacciando una lacrima con un gesto brusco del polso.

 

“Sapevo che non saresti stata sola” rispose Gale in tono di voce asciutto.

 

Katniss lo freddò con lo sguardo.

 

“Ma io ero sola.”

 

La sua voce s’incrinò, mentre cercava di dare ordine e filo logico alle parole successive da pronunciare. “Lei era morta, Gale! Era morta e tu te ne sei andato, mia madre se n’era andata! La mia intera famiglia era scomparsa!”

 

Quelle parole sembrarono risvegliare qualcosa in Gale, perché la sua espressione incominciò a mutare. La sua compostezza svanì e i suoi occhi si imperlarono di un dolore che aveva l’aria antica, diverso da quello che li aveva avvolti fino a pochi minuti prima.

 

 

“Mi dispiace…” replicò infine con voce talmente bassa che Katniss l’udì a stento. “… Ma che altro potevo fare? Un’unica cosa mi avevi chiesto di fare…” proseguì, indurendo la sua espressione. “… Una sola: proteggere la tua famiglia. E lei… lei è morta per causa mia.”

 

Ormai nemmeno il buio era sufficiente a mascherare le lacrime sul volto di Gale. Un singhiozzo lottò con prepotenza per uscire dalla gola di Katniss, e alla fine la donna lo lasciò andare.

 

 “Con che coraggio potevo ancora abbracciarti, starti accanto? Prendermi cura di te non poteva più essere compito mio: non ero più in grado di badare a nessuno, a stento riuscivo a farlo con me stesso.”

 

Katniss scosse la testa, cercando di scacciare dalla mente le parole del giovane. Le lacrime ripresero a scivolare lungo il suo volto, imperlate dalla luce pallida delle stelle.

 

 

“Lei avrebbe dovuto esserci oggi” mormorò infine con voce rotta. Gale arretrò di nuovo, quasi le sue parole gli avessero provocato una ferita fisica. “Amava la storia della cometa tanto quanto noi”.

 

“Mi dispiace” ripeté il soldato, la voce spezzata dal dolore.

 

Katniss fece un passo avanti e poi un altro ancora; in pochi secondi fu così vicina a Gale da poter percepire il calore delle sue lacrime. Provò a fare una cosa che aveva fatto una sola volta prima di allora: cercò di immaginare i loro ruoli invertiti. Pensò a Posy, alla piccola Posy, e al suo corpicino fatto a brandelli da un’arma che lei stessa aveva contribuito a ideare. Come si sarebbe sentita?

 

Distrutta, probabilmente. Marchiata a fuoco in maniera irrimediabile; indegna di rivolgere a Gale o a sua madre anche solo uno sguardo.

Un senso di orrore le impregnò la bocca dello stomaco; forse, in fondo, non era nemmeno così difficile immaginare come si sentisse Gale. Parte di quel senso di colpa l’aveva sempre provato, anche se per proteggersi aveva continuamente cercato di rimuoverlo, di spingerlo da parte. Perché era stato più facile associare la morte di sua sorella e il ricordo delle bombe a lui, che non alla guerra in sé. Alla rivolta, e a chi l’aveva scatenata rifiutandosi di morire in primo luogo.

Era più facile limitarsi ad odiare lui, evitando di domandarsi se Prim avesse perso la vita solamente per colpa di chi aveva costruito quelle bombe. In fondo era davvero così?

Tutti quei bambini a Capitol City… I colpevoli della loro morte erano davvero coloro che avevano ideato o sganciato le bombe? Oppure ogni cosa riconduceva a chi aveva dato inizio a quella carneficina? A lei?

“Non ti ho mai incolpato per quello che è successo a Prim” ammise infine, la voce inspiegabilmente rauca. “All’inizio non riuscivo a separare l’idea delle bombe da te, ma è una cosa diversa” ribadì, allungando una mano verso il suo volto. Esitò, nel notare ancora una sua volta le sue lacrime. Alla fine, ritirò il braccio. “Era semplicemente più facile così. Meno doloroso. Meno…”

 

Non riuscì a completare la frase; si aggrappò alla speranza che Gale, proprio come un tempo, sarebbe riuscito a capire lo stesso. E quando tornò a incrociare lo sguardo, fu certa che ci fosse  riuscito: c’era ancora dolore nei suoi occhi, ma anche una nuova, lieve, punta di consapevolezza.

 

“Era più semplice collegare a me il ricordo della sua morte, vero?” chiese, in tono di voce stranamente pacato. “Tenendo lontano me avresti allontanato anche il senso di colpa.”

 

Qualcosa dentro Katniss sembrò andare in frantumi. La maschera di certezze che aveva tenuto insieme con fatica per anni si era sgretolata con un unico colpo ben assestato.

 

“Avrei dovuto capirlo” mormorò infine, con un filo di voce. “Avrei dovuto proteggerla. Continuo a pensare… Continuo a ripetermi…” s’interruppe per riprendere fiato: le lacrime le rendevano difficile proseguire. “Continuo a mettere in fila tutti i miei passi falsi: cosa sarebbe successo mi fossi limitata a offrirmi volontaria per salvarla e basta? Se non avessi dato quelle bacche a Peeta, se avessi convinto Snow del mio amore per lui in tempo, se non avessi scoccato quella freccia contro il campo di forza… Se, se, sempre solo se…”

 

 

 

“Si sentì strano. Gli sembrò quasi di avere paura, tanto gli batteva forte il cuore.

Ma era una paura bella, che lo faceva sentire bene. Samuel Hawthorne non aveva occhi che per quella cometa.”

 

 

Il contatto freddo con le sue dita la fece rabbrividire: Gale le stava sfiorando una guancia con una delicatezza tale da farle dubitare che stesse succedendo per davvero. Aveva un tocco leggero, evanescente, come se fosse destinato a scomparire da un momento all’altro. Proprio come aveva fatto lui in passato.

 

“Dimmelo, Gale” lo supplicò all’improvviso, cercando il suo sguardo. Aveva paura di ciò che stava chiedendo, ma sentiva che lui avrebbe capito, che non c’era altra persona in grado di infonderle la certezza che stava cercando in quel momento. Gale era l’unico che avrebbe potuto aiutarla ad alleggerire quel dolore. Perché era la cosa di cui anche lui aveva un disperato bisogno. “Per favore.”

 

E Gale capì. Le afferrò una mano e ne accarezzò il dorso con il pollice.

 

“Non è stata colpa tua, Katniss” dichiarò infine con sguardo fermo. La sua voce tremò appena, sopraffatta dall’emozione.

 

Quel Katniss risuonò strano dalle sue labbra: non si addiceva alla sua voce. Lei per Gale era sempre stata Catnip. Tutto a un tratto venne attraversata da un fiotto di nostalgia; avrebbe voluto dirgli che le mancava sentirsi chiamare così, ma ancora una volta non trovò le parole per farlo.

 

 

“Avrebbe voluto gridarle qualcosa, qualcosa come: «Eccomi, sono qui! Sei venuta per me? Ti aspettavo! »”

 

 

“Quello che hai fatto ci ha salvato” proseguì Gale. “Ha salvato tutti, inclusi Prim e i miei fratelli. Inclusi i nostri figli” aggiunse in un tono tutto a un tratto più controllato.

 

 

Il peso che da sempre gravava sullo stomaco di Katniss si affievolì: il cambiamento fu leggero, ma sufficiente a permetterle di respirare regolarmente per la prima volta da ore.

Si sentiva tranquilla, adesso; forse un po’ smarrita, come qualcuno che ha fra le mani qualcosa di antico e non sa come maneggiarlo per paura di romperlo. Tuttavia, non si sentiva arrabbiata, né spaventata. Non aveva più paura di Gale e dei quindici anni che li avevano tenuti separati.

 

Per questo, quando il soldato allentò la presa sulla sua mano, Katniss lo trattenne.

 

“Adesso dimmelo tu” mormorò a quel punto l’uomo, guardandola con insistenza.

Le lacrime avevano smesso di scendere, ma ne era rimasta qualcuna appesa alle sue ciglia; nel guardarlo meglio, alla poca luce che le stelle le concedevano, Katniss, si accorse che aveva conservato la bellezza di quando era ragazzo. C’era qualcosa nel suo sguardo, tuttavia, che rendeva il suo bell’aspetto spento, sfiorito. Forse era il risentimento, così riconoscibile nei suoi occhi cerchiati dal dolore.

 

“Non è stata colpa tua” sussurrò infine, con tutta la sicurezza riuscì a imprimere in quelle cinque parole.

 


“In quel momento, Samuel incominciò a sentirsi improvvisamente leggero come se, assieme alla cometa, se ne stessero andando anche le cose brutte che portava lì dentro, nel petto, e che si portava dietro sin da quando era piccolo.”

“Che genere di cose?”

“Cose come la paura, o la tristezza, o i sensi di colpa. Le cose che ti schiacciano, sai, quelle che ti buttano giù.”

 

 

Una lacrima solitaria tornò a rigare il volto dell’ ex-soldato.

In quel momento Gale le sorrise; era la prima volta da quindici anni che lo faceva e una stretta allo stomaco avvisò Katniss della familiarità di quel gesto: il suo sorriso era rimasto lo stesso di un tempo. Era ancora in grado di trasformarlo da qualcosa di minaccioso a qualcuno che avresti desiderato conoscere. [1]

 

Con improvviso impaccio, Katniss tese una mano per accarezzare il volto dell’amico: attraverso il suo sguardo, tutto a un tratto più disteso, riusciva quasi a intravedere il fardello del suo senso di colpa. Quel peso che si portava sulle spalle ormai da anni e che probabilmente gli avrebbe gravato addosso per sempre, così come sarebbe accaduto a lei. Quella sera, tuttavia, erano riusciti a disfarsi di parte di quel carico.  Erano tornati ad aiutarsi, a condividere come facevano un tempo, quando erano responsabili delle rispettive famiglie.

 

“Adesso dovresti perdonarti” mormorò infine Gale, stringendosi nelle spalle. “Così forse, prima o poi, riuscirò a fare lo stesso con me.”

 

Katniss annuì.

 

“Mi perdono” azzardò, asciugandosi il volto con una manica del golfino. “Io… ci perdono.”

 

Gale le sorrise di nuovo.

 

“Mi sei mancata, Catnip” ammise infine, tornando a mettersi le mani in tasca.

 

Il nomignolo le svolazzò dentro più volte, provocandole un piacevole sfarfallio all’altezza del petto.

 

Questa volta sorrise anche lei.

 

 “Mi sei mancato anche tu” rivelò, appoggiando la fronte al suo torace.

 

Gale la strinse a sé, e per un attimo fu come se non nessuno dei due avesse mai cessato di esistere nella vita dell’altro. Fu come se fossero stati sempre e solo loro due, il ragazzo e la ragazza che un giorno si erano incontrati per caso nei boschi e avevano finito per diventare inseparabili.

 

 

“Quella cometa doveva proprio avere qualcosa di magico, perché fece qualcosa di strano a tuo nonno: lo cambiò un po’ dentro, lo rese più ottimista. Ogni sera Michael guardava il cielo, nella speranza di veder passare di nuovo Halley. Perché, nel momento in cui l’aveva vista per la prima volta, il nonno si era sentito come se l’avesse attesa da sempre, quella cometa. E quando se ne era andata, lui aveva capito subito che avrebbe continuato ad aspettarla per sempre.

 

Katniss allacciò le braccia al collo di Gale e inspirò il suo odore, che non era poi così diverso rispetto a quello di una volta. Sapeva ancora di legna e arance, ma anche di soldato, di uomo. Sapeva di sicurezza, di qualcosa di familiare.

 

E in quel momento, vicina al suo migliore amico come non lo era più stata da anni, avvertì finalmente quel calore che aveva sperato di provare al passaggio della cometa: fu come se Halley stesse passando una seconda volta sopra le loro teste per cambiare il loro destino in meglio, come aveva fatto più di settant’anni prima con i loro nonni. Per ricordare a entrambi che in passato si erano appartenuti a vicenda e che avrebbero potuto continuare a essere una squadra, non importava quanto fossero cambiate le loro vite.

 

“Ehi, Gale…”

 

Katniss sorrise, separandosi dall’amico. Cercò di imitare il tono scherzoso del Gale adolescente e lui si passò imbarazzato una mano dietro la nuca.

 

“… Torna a casa.[2]

 

 

“Certe persone pensarono che si fosse un po’ ammattito. Forse, un po’ matto, lo era diventato sul serio. Ma che importanza aveva? Era felice.”

 

Tutto a un tratto, scoppiarono entrambi a ridere. Il momento d’ilarità durò a lungo e senza ragione apparente, ma questo non impedì loro di andare avanti fino a quando non dovettero riprendere fiato. Nel giro di un minuto i loro occhi avevano ripreso a lacrimare, ma nessuno dei due avrebbe saputo dire se quella reazione fosse dovuta al troppo riso oppure a qualcos’altro.

 

“D’accordo” fu una delle ultime cose che Gale mormorò all’orecchio dell’amica, prima di salutarla.

 

Katniss gli credette.

 

E quella sera, senza nemmeno rendersene conto, incominciò ad aspettarlo.

 

 

 

“Vedi, Katniss, in fondo tutto ciò di cui tuo nonno aveva bisogno era un po’ di speranza. Qualcosa che gli suggerisse che alla fine tutto sarebbe andato a posto: che sarebbe stato bene. E quel qualcosa fu la cometa di Halley.”

 

 

***

 

Note Finali.

Ed ecco che finalmente, dopo averci girato intorno per capitoli e capitoli, Gale e Katniss finalmente si incontrano. Non so se il mio punto di vista sul motivo per cui questi due abbiano finito per distanziarsi sia condivido o meno, ma io ho sempre visto negli atteggiamenti di Katniss questo egoismo spesso inconsapevole; sono sicura che si sia sentita in colpa per la morte di Prim e credo anche che allontanare Gale e incolparlo per la storia delle bombe l’abbia aiutata a sentire meno questo dolore. In sostanza non penso che abbia mai davvero pensato che la colpa fosse sua (anche perché non lo è). In un certo senso lo si intuisce anche da ciò che viene raccontato negli ultimi capitoli, sia durante il loro ultimo incontro che quando Katniss torna a casa. Quando trova sollievo nel sentir dire da Sae la Zozza che si è trasferito nel Due, ma al tempo stesso lo aspetta e prova fastidio quando lo pensa distante e  intento a baciare un altro paio di labbra. Gale invece incolpa se stesso, per questo ci tenevo proprio che ci fosse quel momento di rassicurazione in cui i due si perdonano a vicenda.

E niente, questo era l’ultimo capitolo vero e proprio: il prossimo sarà più breve, essendo l’epilogo. Nell’epilogo troveremo, come accennato in precedenza, Gale e il suo figlioletto, Joel.

Grazie mille a Sfiorarsi per aver continuato a seguire questa storia! Questo capitolo è tutto per te!

Un abbraccio e buona domenica!

Laura



[1] Questo passaggio è una citazione tratta da “Hunger Games”: Katniss nel libro stava raccontando della prima volta in cui aveva visto Gale sorridere.

[2] Questo è un riferimento alla mia primissima Gale!centric intitolata appunto “Torna a casa”, dove è Gale, mentre segue gli Hunger Games dal televisore di casa Everdeen, a mormorare la stressa frase, desiderando che Katniss torni a casa.

   
 
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