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Autore: rossella0806    07/02/2016    2 recensioni
Il commissario Alessandro Terenzi è ormai alla sua terza indagine letteraria: un lunedì mattina di inizio novembre, viene ritrovato cadavere il noto imprenditore delle ceramiche torinesi Giorgio Appiani Uzia, ucciso nell'ufficio della sua fabbrica e, così, per il poliziotto, si apre un nuovo rompicapo da risolvere il prima possibile.
Ghirodelli, il fedele collega ed ispettore, sarà sempre al suo fianco, così come Ginevra, la simpatica ed impicciona archeologa ormai diventata la fidanzata ufficiale del commissario, la cui unica compagnia, fino ad allora, era stata Miss Marple, la tartaruga di terra.
Tra malanni di stagione, ex mogli, segretarie eccentriche, vecchiette diffidenti e figli ambigui, accompagneremo Terenzi in questa nuova avventura dai risvolti, man mano, sempre più oscuri.
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lunedì 10 Novembre, ore 00.00, Torino, Fabbrica delle Ceramiche "Appiani Uzia"



Era stato un ottobre molto mite, con temperature, sostenevano gli esperti della meteorologia, al di sopra delle medie stagionali.
Ciò aveva permesso ai torinesi di godersi il tepore del sole, passeggiando nei parchi con il solo riparo di una giacca o di un maglione non troppo pesante, attardandosi sulle panchine o sui ponti che galleggiavano sopra il Po, andando a lavorare con un sorriso e tornando a casa soddisfatti per quel tempo così magnanimo.
Tuttavia, l’epoca dell’estate prolungata, come l’avevano definita i colonnelli dell’Aeronautica, impettiti e professionali davanti alla cartina dell’Italia, si poteva considerare ormai agli sgoccioli: la ricorrenza di Ognissanti, infatti, oltre ad aver portato con sé fiumane di persone tra le tombe di defunti di cui, solitamente, si sarebbero dimenticati per il resto dell’anno, maree di lumini e vagonate di fiori finti, aveva riversato sulla città un vento gelido, le cui raffiche erano talmente potenti da fare quasi invidia alla bora triestina.
Tristi mucchi di foglie accartocciate rimbalzavano da un lato all’altro dei marciapiedi, come in un folle ping pong senza sosta; le fronde nodose degli olmi e dei frassini oscillavano pericolosamente, piegandosi come in una danza macabra.
La stretta strada che conduceva alla fabbrica era illuminata da due soli lampioni, poiché il terzo si era guastato per chissà quale motivo.
Ai lati del lungo sentiero, nella periferia più estrema e meno accogliente, si propagavano distese di erba secca, alte mezzo metro e bisognose di una bella e abbondante innaffiata.
L’insegna della fabbrica “Ceramiche Appiani Uzia” era insolitamente accesa: la costruzione, un lungo parallelepipedo bianco con le finestre nere, si stagliava diritta e fiera nel cielo povero di stelle.
Improvvisamente, un lieve, breve sussulto fece capolino in mezzo a quel silenzio, seguito da un grido soffocato, un crescendo di voci, un rumore, poi più niente.
Il sipario della morte era calato, avvolgendo ogni suo personaggio che vi era rimasto impigliato.




Ore 8.15, commissariato “L’Aquila”, Torino


Mezzo commissariato era decimato dai vari malanni di stagione: influenza, tosse, raffreddore, insomma, in confronto la pioggia di cavallette biblica si sarebbe rivelata una comoda passeggiata tra le vie del centro cittadino.
In quei giorni, il tempo era stato davvero inclemente, freddo ed uggioso: ormai, seppure con qualche brontolio di disappunto, ci si era abituati alle temperature autunnali, ai maglioni, ai cappotti e ai calzettoni pesanti, ma, al vento freddo proveniente da est, a quello ancora i torinesi non avevano fatto il callo.
I corridoi della stazione di Polizia risultavano così meno caotici del solito, mentre un uomo sulla trentina, alto come una pertica, i capelli ricci e rossi in contrasto con gli occhi petrolio e il naso aquilino, barcollò fino a una porta bianca, alla quale si ritrovò a bussare con un paio di colpi di nocche.
L’ispettore Francesco Ghirodelli si affacciò alla soglia dell’ufficio del suo superiore, il commissario Alessandro Terenzi.
-E’ permesso?-
-Vieni pure- lo accolse l’altro, intento a battere sulla tastiera del computer, mentre la voce del nuovo arrivato, nasale e distorta, anticipava il suo ingresso, seguito da un rumoroso starnuto.
-Ghirodelli, per favore, stammi lontano! Questo non è più un commissariato, è un lazzaretto! Bini e Di Biase sono a casa con la febbre a quaranta, Rossetti è più le volte che tossisce di quelle che respira, adesso anche tu stai covando qualcosa?!-
-Ma no, commissario, è solo un semplice raffreddore. Sa, tra il riscaldamento interno e il freddo che c’è fuori, è facile beccarsi qualcosa-
-Basta che non mi stai troppo vicino: se mi ammalo anch’ io e tu sei conciato così, chi ci viene a sostituire? Il questore?-
L’ispettore sorrise, strofinandosi il naso arrossato con un fazzoletto di carta, un naso simile a quello degli attori degli anni Trenta, divertito ad immaginarsi la dottoressa Del Fiore al posto loro.
-Dai, a parte gli scherzi, cosa volevi?-
-Purtroppo, non porto buone notizie. Hanno ammazzato Giorgio Appiani Uzia … -
Terenzi, la solita barba incolta, s’interessò subito a quella rivelazione: socchiuse gli occhi scuri e arricciò le labbra, cercando di trovare, in mezzo ai cassetti della memoria, qualche appiglio che gli confidasse chi fosse la vittima.
-Dovrei conoscerlo?- si arrese poco dopo, scuotendo il capo.
-Ma era il noto imprenditore, quello della fabbrica di ceramiche Appiani Uzia! Non mi dica che non lo conosce? Mezza Torino quando si sposa va a fare la lista di nozze lì!-
Il commissario sbuffò e alzò lo sguardo al cielo, quindi si drizzò in piedi e fece il giro della scrivania, ponendosi di fronte al sottoposto, le braccia conserte.
-E invece ti dico che non lo conosco! E poi, nessuno di noi due è sposato, quindi come fai ad essere così informato?-
-Beh, è per via di mia sorella. L’anno prossimo si sposa … e la lista di nozze la vuole fare a tutti i costi da loro, nel negozio che hanno in centro!-
-Ah, non lo sapevo, congratulazioni!- si rabbonì Terenzi, regalando una pacca affettuosa sulla spalla sinistra dell’ispettore, che ringraziò imbarazzato.
-Comunque, tornando a noi, chi ci ha avvisato del ritrovamento del cadavere?-
-Carlo Della Robbia, il braccio destro di Appiani-
-E si sa già come l’hanno ucciso?-
Ghirodelli scosse la testa, il volto desolato:
-Da quello che ho capito, dovrebbe essere stato colpito al capo, ma Della Robbia era talmente scosso che non è stato molto chiaro sulle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo-
-Testimoni?-
-Quanti ne vuole … ovvero, nessuno-
-Hai già avvisato il medico legale?-
-Sì, commissario, e ho mandato Rossi sul posto -
-Bene, andiamo anche noi-
L’uomo recuperò il cappotto in finta pelle e uscì con l’ispettore, la porta dell’ufficio accostata.



Venti minuti più tardi, Terenzi e Ghirodelli arrivarono sul luogo del delitto, un paio di macchine parcheggiate nel piazzale e la camionetta della Scientifica già pronta per compiere i primi rilievi .
Tirandosi su il bavero del cappotto, il commissario salutò con un cenno del capo un uomo sulla cinquantina, alto e dalla corporatura massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla mano destra, i folti capelli castani striati di grigio.
-Buongiorno, dottore-
L’uomo, in piedi davanti al cofano di un' Alfa Romeo rossa, si girò, sorridendo stancamente:
-Direi che non è un ottimo buongiorno, commissario, almeno per quel poveretto. Sono appena arrivato, anzi, la mia cara e vecchia automobile rischiava di lasciarmi a piedi, quindi non ho ancora avuto modo di visionare il cadavere. Vogliamo vederlo insieme?-
-Visto che ci tocca … - cercò di ironizzare l'altro, notando la scarsa voglia di fare conversazione del dottore.
Terenzi e l’ispettore seguirono Bertani, il medico legale, all’interno della fabbrica, un’immensa costruzione degli anni Cinquanta, bianchissima e con la grossa insegna in ferro battuto “Ceramiche Appiani Uzia” scritta a ghirigori, sovrastante il tetto piatto di ghisa.
I tre percorsero un lungo corridoio, le pareti tinte di un giallo limone e adornate da stampe raffiguranti opere di Dalì ed Andy Warhol, fermandosi alla quarta porta a destra, attirati dagli agenti della Scientifica che stavano fotografando la stanza, ampia e luminosa, i muri decorati da quadri di paesaggi naturalistici.
Però, constatò il commissario, il proprietario aveva una passione per l'arte ... alternativa.
Agguantarono un paio di calzari e dei guanti bianchi che un agente gli stava passando, quindi si prepararono a varcare la soglia.
Subito, il loro sguardo cadde sulla lunga libreria stracolma di volumi, proprio dietro un’elegante poltrona castagna in ecopelle, su cui si abbandonava mestamente il corpo di Giorgio Appiani Uzia.
La vittima era seduta alla scrivania di vetro, immobile e con la testa rivolta a sinistra appoggiata al tavolo, le braccia cascanti lungo i fianchi.
Doveva essere un bell’uomo, pensò Terenzi, e anche particolarmente elegante, almeno dal taglio della giacca.
Era completamente pelato, ma si vedeva che era alto ed atletico, intuizione dettata dall’ampiezza delle spalle.
Un rivolo di sangue gli aveva macchiato il colletto della camicia, per il resto risultava impeccabile.
Il medico legale si avvicinò al corpo e, appoggiando sul pavimento di grandi piastrelle grigie rettangolari la borsa da lavoro, si acquattò di fianco al cadavere.
Lo toccò con mani esperte, spostandolo con delicatezza, dopo che, una giovane agente della Scientifica che stava fotografando la stanza, gli diede il via libera.
-A prima vista, direi che l’hanno colpito con qualcosa di non molto pesante, come un fermacarte o un posacenere-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono intorno, concentrandosi sugli oggetti che meglio avrebbero rappresentato l’arma del delitto.
-Da una prima occhiata, dottore, direi che qui in giro non vedo nulla di simile- constatò pensieroso il commissario, convinto che l’assassino non sarebbe stato così stupido da lasciare sul luogo del misfatto la prova regina che avrebbe potuto incastrarlo senza troppa difficoltà.
-Pensa che potrebbero aver inscenato una colluttazione?- continuò, indicando con un cenno del capo Appiani Uzia.
-Voglio dire, da come doveva essere piazzato la vittima, mi sembra strano che non abbia opposto un minimo di resistenza al suo assassino … - gli fece notare il poliziotto, mentre Bertani esaminava le unghie del cadavere.
-Questo ancora non glielo posso dire, mi faccia fare l’autopsia, poi confermerò o smentirò quello che le ho appena detto-
-A che ora dovrebbe risalire la morte?-
-E’ freddo e anche particolarmente rigido, quindi direi da almeno una decina di ore. Più o meno, ovviamente-
-Secondo lei il corpo è stato trasportato o l’hanno ucciso qui?-
-No, non credo lo abbiano spostato: è posizionato troppo bene, non so se mi spiego … - azzardò il medico legale, alzandosi.
-Ho capito. Per quando potrebbe fare l’esame autoptico?-
-Posso dargli un’occhiata già oggi pomeriggio, ma prima di domani mattina non riescirò a cominciare sul serio-
-D’accordo. Grazie, dottore, la chiamerò domani nel primo pomeriggio-
-Va bene, commissario. Arrivederci-
Terenzi e l’ispettore si accomiatarono da Bertani e dagli agenti della Scientifica, apprestandosi ad uscire dall’ufficio, ma subito vennero bloccati da un giovane poliziotto, magro e con i capelli corti castani.
-Oh, Rossi, allora?- lo salutò il primo, dandogli una pacca sulla spalla destra.
-Commissario, sono arrivato un’ora fa, ma purtroppo non ho trovato nessuno che possa aver visto o sentito qualcosa. Questa è una zona di periferia, destinata ai capannoni industriali. Le abitazioni più vicine sono a mezzo chilometro di distanza, tutto il resto è area per i podisti amatoriali … -  puntualizzò concentrato l’agente scelto.
-Mi sono accorto anch'io che non è propriamente il posto ideale per reclutare testimoni, ma sembra essere piuttosto il luogo ideale per commettere un omicidio. Altre cose?- domandò con una punta di amarezza, grattandosi la barba incolta.
-Di là ci sarebbe Carlo Della Robbia, è lui che ha trovato il corpo-
-Ti ha già detto qualcosa?- gli chiese il superiore, incamminandosi dietro il giovane.
-E’ molto sconvolto: ha solo confermato che ha trovato il corpo questa mattina, alle sette e mezza, quando è entrato in fabbrica. Toccava a lui aprire, oggi, per questo è arrivato così presto. Di qua, commissario-
Terenzi, Ghirodelli e Rossi scesero una scala con i gradini in pietra e si ritrovano in quella che aveva tutta l’aria di essere una sala mensa: in una grande stanza color avorio, tre lunghi tavoli ricoperti di tela cerata colorata occupavano la parte centrale del locale, mentre sulla parete nord, dalla parte opposta dell’ingresso, erano stati collocati due distributori di bevande.
-Ecco, è lui- gli fece cenno l’agente, indicando un uomo sui sessant’anni, abbandonato su una sedia di ferro, i capelli non molto folti biondo scuro e gli occhi chiari acquosi, intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua, la bottiglia sul tavolo davanti a sé.
Il commissario e l’ispettore gli si avvicinarono, mentre l’altro poliziotto rimase in disparte a pochi passi dal gruppetto.
Poi, recuperarono due sedie e vi si accomodarono.
-Signor Della Robbia, buongiorno, sono il commissario Terenzi: insieme al mio vice, l'ispettore Ghirodelli, mi occuperò dell’indagine. Potrei farle qualche domanda?-
L’uomo alzò la testa, visibilmente sconvolto e, il volto pallido, annuì comprensivo, stringendo le mani dei poliziotti.
-Lo so che è un momento difficile, ma è importante cominciare ad indagare fin da adesso, mi capisce?-
L’uomo fece di sì con la testa un’altra volta, lo sguardo concentrato sul bicchiere mezzo vuoto.
-Mi hanno detto che è stato lei a trovare il signor Appiani Uzia ... -
-E’ così, ma ho già detto tutto al vostro collega, poco fa … - la voce era un sibilo, mentre accennava a Rossi, davanti a lui.
-Questo lo sappiamo, ma anche noi abbiamo la necessità di porle delle domande. Ascolti, ha toccato qualcosa quando è entrato nella stanza?-
-No, nulla- si rassegnò a rispondere Della Robbia.
-Era normale che il signor Appiani arrivasse in fabbrica così presto? Mi risulta che, oggi, toccasse a lei aprire. Per quale motivo?-
-Sì, di solito alle sette e mezza era già in ufficio: gli piaceva occuparsi di ogni cosa, era fatto così, povero Giorgio. Venerdì pomeriggio, però, mi chiese se avrei potuto arrivare prima, stamattina, per aprire al suo posto. Ma non mi domandi il motivo, perché non me lo ha detto …  -
Terenzi rivolse uno sguardo d’intesa all’ispettore, come a voler dire che quello avrebbe potuto rivelarsi un indizio molto importante, un punto di partenza per cominciare a far luce sul caso.
-Era solito fermarsi a dormire qui in fabbrica?-
-No, che io sappia non è mai successo, ma perché me lo sta chiedendo?-
Carlo Della Robbia si risvegliò dall’apatia in cui era precipitato, interessato a quella domanda di cui non trovava un senso.
-E’ molto probabile che la morte risali a questa notte, che l’abbiano ucciso proprio qui, nel suo ufficio-
L’uomo si mise le mani nei capelli, ritornando ad abbassare lo sguardo.
-Giorgio ed io eravamo amici, oltre che soci. Questa mattina ci saremmo dovuti incontrare con un gruppo di francesi interessati a comprare un cospicuo numero delle nostre ceramiche: era un affare molto importante, che ci avrebbe assicurato grande visibilità ma, purtroppo, non è andata così … -
-Conosceva bene il signor Appiani?-
-Lavoravo con lui da venticinque anni, praticamente è stato Giorgio ad insegnarmi tutto quello che so: è stato il mio maestro, il mio consigliere, un grande amico e ... adesso non c’è più –
-Vuole fare una pausa?-
Della Robbia scosse la testa, versandosi poi dell’altra acqua.
-Dove si trovava questa notte?-
-A casa mia, dormivo: c’è mia moglie che lo può confermare- si irrigidì il braccio destro, sistemandosi meglio sulla sedia.
-Che ruolo ricopre nell’azienda, signor Della Robbia?-
-Sono il vice direttore della fabbrica da dodici anni-
Altro elemento interessante, rifletté il commissario.
-Quando ha visto per l’ultima volta la vittima?-
L’uomo si passò una mano sulla bocca, poi sospirò stancamente.
-Gliel’ho detto, è stato venerdì sera, intorno alle sette, o era dopo, non mi ricordo, quando mi chiese di arrivare prima, stamattina. Ci eravamo fermati fino a tardi per definire gli ultimi preparativi per l’incontro con i francesi. Poi, l'ho lasciato come al solito, normalmente. Non avrei mai pensato che potesse succedergli una cosa così brutta ... -
-A questo proposito, ha idea di cosa sia successo? Voglio dire, il signor Appiani aveva dei nemici, aveva dei conti in sospeso con qualcuno?-
L’interrogato fissò per qualche secondo il bicchiere mezzo vuoto, dopodiché guardò smarrito Terenzi.
-No, commissario, non lo so. Qui tutti gli eravamo affezionati e la concorrenza da queste parti praticamente non esiste: non sono molte le aziende come la nostra, il settore non è particolarmente ghiotto per il mercato, per cui non riesco a capire chi possa aver fatto questo e, soprattutto, perché! -
-Quando è entrato nella fabbrica, questa mattina, ha visto qualcosa di inusuale, di diverso dal solito?-
L’altro deglutì e rimase in silenzio per qualche secondo, quindi rispose:
-Solo io e Giorgio avevamo le chiavi: prima, però, non le ho nemmeno usate, perché il portone d’ingresso era aperto. Ho subito pensato che Giorgio fosse già arrivato, che avesse cambiato idea, così sono andato direttamente in ufficio da lui: la porta era aperta e…  l’ho visto- l’uomo trangugiò un altro sorso d’acqua, fece un sospiro profondo, d’incoraggiamento, poi continuò lentamente, incredulo:
-Era riverso sulla scrivania, immobile. Ho capito che c’era qualcosa che non andava, così mi sono avvicinato, l’ho chiamato, ma lui non mi rispondeva … -
-Ha toccato il corpo, quindi?- domandò incalzante Terenzi, lievemente irritato e intuendo già la risposta, sebbene poco prima gli avesse assicurato di non aver toccato nulla.
-Sì, per vedere se era ancora vivo-
-Ha notato se mancava qualche oggetto, un posacenere o un fermacarte, per esempio?-
-Giorgio non fumava e, a dir la verità, non ci ho fatto caso. Sono subito uscito dalla stanza per cercare aiuto, ma i primi operai ancora non erano arrivati, così vi ho chiamato perché veniste … -
Il poliziotti osservò per qualche secondo il viso magro e spigoloso dell’uomo, una faccia rassicurante e a modo suo anche dai bei lineamenti.
-Il signor Appiani era sposato?-
-Sì ... cioè, lui e Clelia si erano separati cinque anni fa, ma i loro rapporti sono sempre rimasti  buoni. Si vedevano di frequente, per questo avevano mantenuto una relazione il più normale possibile. E poi, la loro ra stata una separazione consensuale, molto civile -
-Si stavano forse riavvicinando?- s’informò interessato il commissario, incrociando lo sguardo con quello di Ghirodelli.
-Non credo, Giorgio non parlava volentieri di questa cosa: sono convinto che, in cuor suo, non si fosse completamente rassegnato, infatti, non aveva trovato nessun’altra donna. Capitava che si vedessero perché Clelia è a capo di una piccola ditta di abiti da sposa e, ancora quando stavano insieme, Giorgio le aveva fatto creare l’esposizione a fianco dei laboratori delle ceramiche, nella dependance qui dietro-
-A che ora apre il negozio?-
-Alle nove, ma in questi giorni non l’ho vista, credo sia un po’ influenzata-
-Dovremo avvisarla di quello che è successo: mi può dare l’indirizzo?-
-Lo posso fare io. Sa, sarei già andato a trovarla oggi pomeriggio, per quella faccenda dei francesi che volevano vedere anche il suo laboratorio, però, se vuole, le do ugualmente il numero di telefono e l’indirizzo. Se aspetta un attimo, glielo scrivo sul mio biglietto da visita-
L’uomo tirò fuori dalla tasca interna della giacca una Montblanc nera e un rettangolo di carta plastificata, su cui cominciò a scarabocchiare delle cifre.
-Tenga-
-Grazie, per me basta così, signor Della Robbia. La faccio accompagnare nell’ufficio della vittima, così può controllare che non manchi nulla-
-No, commissario, la prego- lo interruppe agitato -le faccio un inventario, qualsiasi cosa, ma non mi chieda di entrare lì dentro, non reggerei un’altra volta alla vista del povero Giorgio-
-D’accordo- acconsentì l’altro –ma dovrà compilarmi un elenco degli oggetti e delle carte del signor Appiani, entro oggi, se riesce. Se si dovesse accorgere della mancanza di qualcosa, me lo faccia sapere immediatamente-
-Non mancherò -
Terenzi si alzò dalla sedia e appoggiò una mano sulla spalla di Carlo Della Robbia, che sorrise mestamente.
-Vuole che la faccia riaccompagnare a casa?-
-Non si preoccupi, ho l’auto qui fuori-
-Si tenga a disposizione, allora, potrei avere ancora bisogno di lei-
-Certamente, commissario-
   
 
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