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Autore: Lizhp    07/02/2016    2 recensioni
“Mantengo una promessa” spiegò semplicemente l’uomo, tornando ad osservarsi alla finestra.
“Con chi?” chiese Andy, avvicinandosi a lui e facendo sì che il suo volto venisse riflesso dal vetro accanto a quello di Mika.
L’uomo allungò una mano e prese la lettera che aveva appena finito di leggere, per poi osservare gli occhi della sua metà dal vetro: azzurro mare, così chiari e accoglienti, così di casa.
A trent’anni aveva sperato che quella lettera avrebbe potuto cambiare qualcosa raggiunti gli ottanta; in qualche modo aveva funzionato.
Lo aveva aiutato a rendersi conto dell’importanza delle cose che aveva conquistato dopo i trent’anni, gli aveva insegnato che congelare il tempo, a volte, può aiutare a riflettere. Lo aveva aiutato a capire che aveva fatto le scelte giuste e soprattutto che aveva lottato per le battaglie giuste.
“Con me stesso”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*coff coff*

Ne ho inventata un'altra.

Dunque, tutto questo nasce da un'ora di insanità mentale questo pomeriggio; io e le altre ragazze, quando abbiamo scritto i prompt del contest "Nothing's only words" avevamo pensato che magari se ci veniva l'ispirazione avremmo scritto anche noi qualcosa (OVVIAMENTE senza partecipare xD)

E quindi niente, qui quello che è venuto in mente a me sulla prima traccia, che si sta per concludere, in cui si chiedeva di scrivere una OS o su un Mika del passato o su un Mika del futuro. Poco importa da dove arriva, è comunque una delle mie normalissime OS, solo che invece di usare una canzone ho usato qualcos'altro :P

Spero vi piaccia ;)


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Una mano ormai segnata dal tempo era tranquillamente appoggiata sulla sua gamba, a riposare.
L’altra mano invece stringeva un foglio di carta che, per quanto avesse ormai cinquant’anni, era ancora perfettamente intatto, rovinato soltanto dalle correzioni effettuate nel momento in cui le parole erano state scritte.
Le dita dell’uomo iniziarono a giocherellare con gli angoli di quel foglio che gli sembrava così prezioso in quel momento, un collegamento indissolubile con i suoi trent’anni, con tutto quello che ormai si era lasciato alle spalle, ma che avrebbe comunque ricordato con felicità, gratitudine e soddisfazione per tutta la vita.
Era il 18 agosto del 2063 e gli occhi castani del signore seduto su un vecchio sgabello vicino alla finestra - occhi che nonostante gli anni passati non erano cambiati e avevano mantenuto quella luce particolare che tanto li caratterizzava - si posavano su ogni singola persona che aveva deciso di affrontare il minaccioso e cupo temporale di quel giorno per camminare nelle strade umide e scivolose della sua Londra.
Guardava, ma non osservava; nella sua mente non c’era spazio per cercare di intuire il motivo che aveva spinto tutta quella gente a camminare nella via della sua casa, ciò che stringeva tra le mani non lasciava modo a nessun altro pensiero di coglierlo alla sprovvista.
Il passare degli anni non aveva in alcun modo intaccato la sua indole letargica - fatto che gli veniva spesso ricordato con una punta di divertimento - ma quella mattina si era svegliato incredibilmente presto; cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare la sua metà, aveva aperto il cassetto in legno del suo comodino e ne aveva estratto una piccola chiave argentata.
Camminando vicino al muro e sostenendosi con una mano, aveva raggiunto la porta del suo studio. Due lievi colpi di tosse lo avevano colpito prima che riuscisse ad aprire la porta e a raggiungere lo scaffale sul quale vi era appoggiata la sua vita intera, quasi letteralmente.
Alla sua sinistra una cornice in legno decorata da sua sorella maggiore conteneva una foto della sua famiglia davanti alla Tour Eiffel, scattata quando ancora i suoi occhi vivaci erano incorniciati da un viso fanciullesco. Verso destra poi facevano capolino altri scatti, raffiguranti momenti importanti della sua vita, ma soprattutto persone che avevano contribuito a renderla una vita per cui essere felice. Sua madre, suo padre, le sue sorelle, suo fratello, il suo allora compagno e attuale marito, i loro figli, i loro nipoti. Una foto che era stata messa lì per ricordargli il suo sogno realizzato e per cui aveva tanto lottato in passato: lui, un palco, un microfono, un pianoforte e la folla di fronte a lui.
Gli album che aveva inciso nel corso della sua carriera musicale erano infilati con un ordine quasi ossessivo uno di fianco all’altro, con i titoli che svettavano sul dorso della copertina. Innumerevoli fogli ormai ingialliti dal tempo erano appoggiati uno sopra l’altro all’estrema destra; erano spartiti musicali che più di una volta aveva deciso di prendere tra le mani e osservare, nonostante non riuscisse ancora a comprenderli. Il suo primo concerto con un’orchestra, uno dei momenti che ricordava con più soddisfazione in assoluto.
Appoggiata sopra gli spartiti, gli restituiva lo sguardo una cornice vuota, destinata a contenere la foto che avrebbero scattato quel giorno.
La sua attenzione si era però rivolta ad una piccola scatoletta blu, sulla quale vi erano disegnati dei fiori stilizzati gialli. L’uomo aveva inserito la piccola chiave argentata nel lucchetto e ne aveva estratto con delicatezza il contenuto: un semplice foglio.
Aveva poi deciso di prendere lo sgabello di fronte al pianoforte bianco e di portarlo vicino alla finestra, per poi sedersi.
Aveva paura ad aprire il foglio e leggere le parole che lui stesso aveva scritto cinquant’anni prima; era sempre cinquant’anni prima che aveva promesso a se stesso che avrebbe riletto quelle parole al compimento degli ottant’anni; quel giorno era ormai giunto e si sentiva così strano.
Non era la prima volta che si ritrovava a riflettere sul tempo, su quanto possa passare velocemente, senza che una persona se ne renda conto. Ma in quel momento questa consapevolezza si era fatta più chiara, più veritiera.
La sua mano destra aveva iniziato a tremare leggermente: succedeva sempre più spesso negli ultimi mesi, gli acciacchi della sua veneranda età sembrava che non potessero far altro se non aumentare.
Dispiegò il foglio e i suoi occhi si posarono sulla sua calligrafia disordinata; inforcò gli occhiali e iniziò a leggere, con la consapevolezza che molti dettagli di quella lettera a se stesso erano sicuramente finiti nel dimenticatoio: era il momento giusto per riportarli a galla.
 
Caro Mika,
non ho idea in quale parte del mondo tu sarai quando leggerai questa lettera.  La mia vita finora è stata costellata da tanti colpi di scena, cambiamenti e contraddizioni, che non c’è modo di prevedere né dove sei e neppure come stai.
 
Un lieve sospiro fuoriuscì dalle labbra dell’uomo, che riuscì attraverso quelle parole a sentire di nuovo l’incertezza che lo aveva spinto a scriverle alla soglia dei suoi trent’anni. Gli erano sembrati un passaggio così significativo, mentre in realtà poi nel corso della sua vita ce n’erano stati molti altri.
Cos’è mai un numero?
Forse nulla, forse tutto.
Eppure per lui qualcosa doveva significare: aveva aspettato il raggiungimento di un numero ben preciso per rileggere quelle righe; un numero che indicava il punto a cui la sua vita era giunta, proprio dopo tutti i cambiamenti e le contraddizioni che aveva messo in conto da giovane.
Una cosa però non era cambiata: Londra era sempre casa sua. Aveva ancora il suo appartamento a Parigi, così come quello a Milano, quasi a testimoniare anche i viaggi continui a cui aveva dovuto prendere parte durante la sua carriera.
Ma al momento di decidere un luogo in cui far crescere i loro figli, lui e il suo compagno di vita avevano scelto ancora Londra: il posto in cui tutto era iniziato, la città che aveva fatto loro da rifugio sicuro innumerevoli volte e che ora era diventata a tutti gli effetti lo sfondo della loro vecchiaia.
A trent’anni ancora non sapeva che tutti quei viaggi sarebbero serviti a riportarlo a quella che era sempre stata casa sua, alla fine.
 
Per cominciare, spero solo che tu sia ancora vivo! Anche se la Terra sarà diventata un posto terribile e ostile, senza acqua e senza stagioni, spero che tu ci sia ancora. E vorrei che tu ci fossi non perché voglio rimanerci il più a lungo possibile, ma solo perché sono curioso e tu sei il mio unico modo di scoprire come è diventato il mondo.
 
Curioso come si fosse rivolto al se stesso del futuro facendo domande e sperando di ottenere risposte. In realtà, le risposte le stava ottenendo in quel momento.
Aveva sentito che rileggere quella lettera era qualcosa che doveva al suo sé passato e ora sentiva che rispondere a quelle domande era una cosa altrettanto dovuta: a se stesso, al ragazzo che era stato, all’uomo che poi era diventato.
“Le stagioni ci sono ancora, anche se i loro confini sono sempre più labili. Ma ci ostiniamo a chiamarle ancora Inverno, Autunno, Primavera e Estate, anche se si passa dal caldo al freddo in un attimo. Sono le mezze stagioni ad essere sparite del tutto” sussurrò quelle parole, meravigliandosi di come la sua voce suonasse roca alle sue orecchie, scalfita dagli anni e dall’orario mattutino.
“L’acqua c’è ancora”.
Fece una pausa, rileggendo la prima frase di quel paragrafo.
“E sì, sei ancora vivo”.
Rispondere a quelle domande ora che conosceva le risposte, gli permetteva di sentirsi in pace con se stesso, come se stesse chiudendo un circolo iniziato tantissimi anni prima. Non sapeva davvero cosa avrebbe significato per lui quella lettera, ora però iniziava a rendersene conto: un collegamento diretto, scritto di suo pugno, con il suo passato. La possibilità di dare uno sguardo indietro con più chiarezza e lucidità, la possibilità di vedere da dove era partito e dove era giunto.
L’uomo alzò la mano destra, ancora tremante, e sfiorò l’inchiostro leggermente sbiadito con un dito, sospirando di nuovo.
Lesse velocemente le quattro righe successive, poiché di seguito a quelle notò qualcosa che catturò immediatamente la sua attenzione.
 
L’unico motivo per cui penso che adesso questo traguardo anagrafico sia interessante e sia considerato una tappa importante, è che ai 30 davvero accade qualcosa. Si diventa consapevoli. Negli anni precedenti, i confini che demarcano la differenza tra fanciullezza e adolescenza sono molto labili; mancando le transizioni nette da una fase all’altra, si vive fino a questo limite una sorta di “fanciuldezza” come se l’età adulta e la fanciullezza fossero la stessa cosa. Improvvisamente raggiungiamo i 30 e non abbiamo più scuse.
 
Si lasciò andare ad una leggera risata; a trent’anni si acquisisce una consapevolezza minima rispetto a quella che si acquisisce negli anni successivi.
È vero, si passa all’età adulta, ma nulla ti mette di fronte alle tue responsabilità quanto l’arrivo di un bambino. O di quattro bambini, come nel suo caso.
La sua riflessione sul compimento dei trent’anni gli ricordò come avesse affrontato seriamente quello che aveva considerato come una sorta di rito di passaggio, superato il quale, per l’appunto, non si possono più prendere scuse. Si è adulti e basta; non si è più ragazzi, ma uomini.
Nel 2013 aveva deciso che, raggiunto il traguardo dei trenta, avrebbe iniziato a fare almeno una cosa che gli faceva paura all’anno: ai tempi era stata la prima edizione di X Factor Italia e, col passare degli anni, aveva sempre mantenuto questo suo impegno. Almeno una cosa all’anno che lo terrorizzava, che lo metteva alla prova: una sfida che avrebbe provato a superare.
Cinquant’anni fa aveva radunato tutta la sua famiglia e i suoi amici per un viaggio in Italia; quel giorno, cinquant’anni dopo, tutta la sua famiglia lo avrebbe raggiunto lì, nella sua villa di Londra. Una famiglia che inevitabilmente era cambiata, una famiglia che si era allargata.
 
Mentre quelli intorno a me stanno facendo un gran casino per il mio compleanno, questa lettera che ti scrivo è come una mia piccola oasi; da ragazzino, l’unico potere segreto che ho sempre desiderato avere era quello di poter fermare il tempo. Per assaporare un po’ di più i momenti che amavo, oppure per potermi vendicare su coloro che mi avevano fatto male. Scrivendoti e scrivendomi, congelo il tempo per un attimo, come per infilarlo in una capsula o mettere un messaggio in una bottiglia. E tutto ciò nonostante non mi interessi la mia età, finché mi sento e sono libero.
 
Con un lieve sorriso si rese piacevolmente conto che alcune cose non cambiavano mai. Ottant’anni erano un importante traguardo così come lo erano stati i trenta, ma non prestava troppa attenzione al fatto che fosse invecchiato: certo, il tempo passava velocemente, ma lui si sentiva ancora libero, era ancora libero. Forse anche più di prima: i tempi erano maturati non solo per lui, ma anche per il resto del mondo. Era riuscito a costruirsi la famiglia che aveva sempre desiderato, nel suo posto sicuro, con la sua persona. Era giunto, qualche anno prima, al termine di una carriera che migliore di com’era stata non poteva proprio immaginarla e nemmeno desiderarla.
Desiderava ancora poter fermare il tempo per godersi i bei momenti della vita; ma così come aveva congelato il tempo scrivendo quelle parole, lo stava congelando anche in quel momento rileggendole.
Una lettera scritta nel passato pensando al futuro, che ora era il presente. Mettere contemporaneamente insieme qualcosa che in realtà non potrà mai accadere nello stesso momento; la scrittura gli aveva permesso di farlo, si sentiva molto fortunato per questo.
 
Ti sto scrivendo dalla cantina di casa ai confini di Londra. C’è un motore di un’auto fuori che fa rumore. Mia madre ha appena fatto capolino per una tazza di tè e il mio cane è addormentato in un angolo. Loro saranno morti, quando leggerai questo messaggio. Io non ho mai affrontato la morte, tu sì. Devi pensare, immagino, che io sono davvero molto fortunato perché ho ancora quelli che amo con me. Ma non farti idee troppo romantiche, lo sai che non sono così perfetti da vicino? Finora ho visto accadere cose terribili a persone che amo molto, ma non ho ancora mai perso nessuno di loro. Tu invece sì e mi dispiace tanto per il dolore che questo ti ha causato.
 
Una fitta dolorosa lo pervase; a trent’anni forse aveva scritto quelle parole senza pensare davvero a cosa avrebbero scatenato nel se stesso ottantenne. Un misto di dolore, nostalgia e tristezza.
Sua madre e suo padre non c’erano più da parecchi anni ormai, un dolore che era stato difficile da superare, ma per affrontare il quale aveva sempre potuto contare sul sostegno e l’appoggio delle sue sorelle e suo fratello; un sostegno reciproco, grazie al quale tutto era stato un pochino più semplice.
Melachi e Amira erano scomparse parecchi anni prima dei suoi genitori: il ricordo di loro due che zampettavano per la loro villa londinese gli creò un forte moto di nostalgia nei confronti delle due “ragazze”, come le aveva sempre definite.
 
In Russia, a seguito del bigottismo della potente chiesa ortodossa il governo si sta trasformando in modo grottesco e brutale in anti-gay, però il matrimonio in Europa e in America è visto in modo positivo. Tranne  in Italia, Dio sa perché! Mi chiedo se hai dei bambini e come li hai avuti, perché so già per certo che non sei stato con una ragazza. Tuttavia spero che tu li abbia e che mi assomiglino.
 
Questo paragrafo, invece, lo fece tornare a sorridere.
Riportò sì alla mente gli anni in cui era stato scritto, gli stessi anni in cui aveva ancora dovuto lottare contro la discriminazione, ma gli rimandava anche alla sua famiglia attuale, ai suoi figli.
La sua memoria iniziava decisamente a vacillare, ma era quasi sicuro che fosse in quegli anni il momento in cui aveva chiuso i conti con la sua adolescenza: ben impressa nella sua mente appariva ancora l’immagine di due cartelloni dei suoi concerti nella bella Firenze, imbrattati da quel genere di persone che impediva all’Italia di raggiungere un po’ di civiltà in più.
Aveva messo da parte il suo atteggiamento da sedicenne, quello di voltarsi dall’altra parte, stare in silenzio e ignorare, mentre dentro di sé quella parola scritta in nero si faceva sempre più rumorosa, fastidiosa, pressante.
Aveva preso in mano il suo telefono e aveva urlato al mondo di essere fiero di quello che era e della persona che amava.
Si era sentito così leggero dopo, così compreso, così sostenuto.
Poi era arrivato il matrimonio con lui, la sua libertà, colui che aveva sempre costituito la motivazione più sincera e profonda che giustificava tutte le sue lotte contro la discriminazione, contro l’ignoranza. Quando pensava alla vita meravigliosa che avevano costruito insieme, capiva davvero che nulla era stato sofferto invano.
“Hai dei figli” sussurrò poi, sempre rivolgendosi al se stesso del passato, costringendosi ad appoggiare il foglio sul davanzale della finestra, perché ormai il tremolio aveva colpito anche l’altra mano: la mattina gli succedeva spesso, tanto che ormai non ci faceva più caso.
Distolse l’attenzione dalle conseguenze negative del trascorrere del tempo e si concentrò solo su quelle positive.
Aveva sempre voluto una famiglia numerosa, un po’ come la sua, così aveva adottato insieme alla sua metà quattro bellissimi bambini. Li aveva visti crescere, andare a scuola, cercare un lavoro e infine costruirsi a loro volta una famiglia. Aveva cercato di insegnar loro una buona educazione, trasmettendo i valori che erano stati trasmessi a lui. Aveva fatto di tutto per insegnar loro l’amore, soprattutto quando uno di loro tornava a casa chiedendo per quale motivo loro avessero due papà; perché si sa, i bambini sanno essere tremendi e appena vedono qualcosa di diverso tendono a ridicolizzarlo.
Lo aveva provato sulla sua pelle e, purtroppo, il maggiore dei suoi figli aveva dovuto superare difficoltà simili.
Ma alla fine tutto era andato bene.
Era nonno di sei bellissimi bambini, e in arrivo vi era anche il settimo.
Ripensando ai suoi figli non poteva che sentirsi orgoglioso; la speranza del se stesso trentenne non era stata del tutto esaudita, non tutti assomigliavano a lui, ma forse il più grande sì. Aveva sempre rivisto in lui la sua stessa voglia di essere se stesso, anche con il rischio di risultare bizzarro.
 
Non posso fare a meno di immaginare e anche di sperare che nel caos di causa ed effetto che genera il nostro futuro, la sola piccola azione di scrivere questa lettera possa cambiare qualcosa a valle della linea, da me fino a te, fra 50 anni.
 
Una cosa, mi auguro che tu non sia diventato calvo, nel caso, mettiti un cappello.
 
Con tutto l’amore del mondo,
io, te.
 
In un gesto quasi involontario alzò la sua mano sinistra fino a toccare la sua testa, sulla quale i primi segni della calvizie iniziavano effettivamente a farsi strada.
Il cappello, come aveva fatto a dimenticarsi quel piccolo dettaglio? Una cosa che si ripeteva così spesso quando era giovane e poteva contare su un folto ammasso di riccioli disordinati, quando l’ipotesi di poter diventare calvo non lo sfiorava nemmeno.
Con movimenti lenti si alzò e raggiunse di nuovo lo scaffale sul quale era raccolta la sua vita: nella mensola più bassa, scorse ciò che stava cercando. Un berretto, con il suo nome scritto sopra a grandi lettere. Era un regalo che un fan gli aveva fatto molti anni prima. Lo aveva indossato per molto tempo ed era arrivato il momento di farlo tornare al suo posto.
Aveva appena appoggiato il cappello sulla testa e stava rimirando la sua immagine, forse un po’ buffa, nel riflesso che gli rimandava la finestra, quando un lieve cigolio lo avvisò del risveglio della sua metà.
“Mika” una voce familiare lo chiamò, costringendolo a voltarsi.
“Andy” rispose, rivolgendo un sorriso sincero a colui che doveva ringraziare più di ogni altra persona al mondo per essere arrivato a ottant’anni con il sorriso sul volto.
“Cosa stai facendo?”
Le rughe avevano segnato anche il viso del greco, tuttavia le espressioni erano sempre le stesse: un sopracciglio alzato, in quel momento, era ben in mostra sul volto dell’uomo, ad indicare perfettamente la sua perplessità circa il cappello che l’altro stava indossando.
“Mantengo una promessa” spiegò semplicemente l’uomo, tornando ad osservarsi alla finestra.
“Con chi?” chiese Andy, avvicinandosi a lui e facendo sì che il suo volto venisse riflesso dal vetro accanto a quello di Mika.
L’uomo allungò una mano e prese la lettera che aveva appena finito di leggere, per poi osservare gli occhi della sua metà dal vetro: azzurro mare, così chiari e accoglienti, così di casa.
A trent’anni aveva sperato che quella lettera avrebbe potuto cambiare qualcosa raggiunti gli ottanta; in qualche modo aveva funzionato.
Lo aveva aiutato a rendersi conto dell’importanza delle cose che aveva conquistato dopo i trent’anni, gli aveva insegnato che congelare il tempo, a volte, può aiutare a riflettere. Lo aveva aiutato a capire che aveva fatto le scelte giuste e soprattutto che aveva lottato per le battaglie giuste.
“Con me stesso” rispose solo, voltandosi per mostrare la lettera al marito, che solo in quel momento capì.
Ricordava molto bene il contenuto di quel foglio e tanto bastava a spiegargli il cappello che indossava in quel momento.
“Buon compleanno, Mika” sussurrò allora, prendendo tra le sue la mano del compagno di vita, rafforzando ancora di più la stretta quando sentì quell’ormai purtroppo familiare tremolio contro la sua mano.
 
Un paio d’ore più tardi osservava il suo armadio con sguardo perplesso. Un’altra cosa aveva chiesto a se stesso ottantenne: continuare ad essere eccentrico.
Il cappellino, per quel giorno, non l’avrebbe più tolto. Tra i vestiti, cercò i più colorati che aveva.
Finì di allacciarsi le scarpe proprio nel momento in cui sentì il campanello suonare e un gran vociare invadere la casa.
Si permise un ultimo sguardo al suo riflesso nello specchio, per poi scendere lentamente le scale e godersi lo spettacolo della sua famiglia che salutava Andy.
Quando si accorsero della sua presenza, gli riservarono lo stesso caloroso saluto.
Poi ci fu la musica, la torta preparata da Anne, la sua seconda figlia che adorava cucinare, i giochi dei bambini, le loro risate e i loro capricci.
Ogni volta che sentiva uno dei loro nipotini chiamarli nonni era sicuro di poter quasi vedere il suo sguardo illuminarsi.
“Andy” lo chiamò, quando ormai iniziava a farsi sera, immaginando che di lì a poco tutti se ne sarebbero andati.
“La facciamo una foto tutti insieme?”
Il suo compagno annuì sorridendo: così come per lui la musica era una certezza nella sua vita attuale, anche Andy non aveva mai perso la passione per i video, così come la sua voglia di immortalare i momenti importanti non era mai venuta meno.
Radunarono la famiglia, poi il greco posizionò la macchina fotografica sul tavolo, impostando l’autoscatto, raggiungendo subito dopo la sua metà e facendogli passare un braccio attorno alla vita.
Mika chiese a Andy di poter stampare immediatamente la foto e, salutati tutti, si affrettò a raggiungere il suo studio, tanto più velocemente quelle sue gambe lunghe ma affaticate glielo permettevano.
Quando entrò, però, non andò allo scaffale ma al pianoforte. Alzò il coperchio e passò le dita sui tasti bianchi.
Di anni ne erano passati cinquantasette eppure quelle note ancora le ricordava. Dieci dita leggermente tremanti raggiunsero la tastiera e poco dopo le prime note di Grace Kelly riecheggiarono nell’aria, un po’ incerte, ma allo stesso tempo abbastanza determinate.
Gli bastarono quelle.
Era stato lui, sempre; aveva messo alla porta tutti quelli a cui non andava bene e si era costruito la sua vita.
Aveva mantenuto le promesse fatte a se stesso.
Riprese la foto tra le mani e la mise nella cornice vuota, appoggiandola poi nuovamente sugli spartiti.
Era stata una giornata sospesa tra passato e futuro, ora però era il momento di tornare al presente; il giorno del suo ottantesimo compleanno si era permesso di voltare per un po’ lo sguardo indietro, ora voleva guardare avanti, agli anni che ancora gli rimanevano da vivere.
Prese la lettera dal davanzale della finestra e la rimise nella scatola, richiudendola a chiave e appoggiandola nella stessa posizione di prima, come se così facendo potesse impedire al tempo congelato in quelle parole di passare e andare oltre.
Riguardò la foto che raffigurava la sua famiglia davanti alla Tour Eiffel, concentrandosi sui suoi genitori e sul bambino che era stato; poi passò alla foto scattata anni dopo la precedente, durante uno dei suoi concerti sinfonici. Infine, riguardò la foto che poco prima avevano scattato tutti insieme.
Spostò la scatola con la lettera, posizionandola vicino a quell’ultimo scatto, come a dire che, mezzo secolo dopo, si ripartiva da lì.
 
 
   
 
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