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Autore: ___Ace    07/02/2016    4 recensioni
Perché Eustass Kidd altro non era che la sua certezza più vera e importante. Insomma, era concreto, era reale e, se il futuro era incerto, lui, al contrario, era una costante nella sua vita. Law sapeva, anzi, ne era certo, che ci sarebbe sempre stato, e viceversa lui sarebbe stato accanto al rosso. La loro amicizia, nel bene e nel male, era indissolubile, indistruttibile, era qualcosa che non si poteva spezzare ed era pronto a mettere la mano sul fuoco che nulla li avrebbe divisi, mai.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E’ una One-Shot lunghiiiiiiiissima, quindi potete anche leggervela in due volte se ad un certo punto vi impallate, ma non mi andava di dividerla. Divido troppe cose.
Divertitevi.  

 

 

Hello.

 

Law.
Kidd.
 
 
Spalancò le ante dell’armadio, setacciando con una veloce occhiata i vari capi e scartandoli automaticamente uno ad uno, passando poi a frugare nei ripiani alla ricerca di un maglione più pesante da indossare.
Quella mattina faceva dannatamente freddo e, dato che lui odiava letteralmente le temperature basse, era stato costretto a rientrare per evitare di prendersi un raffreddore con i fiocchi, perché una malattia era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel periodo.
Aprì un cassetto e si lasciò scappare uno sbuffo soddisfatto. Prese il capo piegato ad arte e lo indossò al volo, stringendoselo addosso come se fosse stato una seconda pelle, pensando che stava decisamente meglio, quando, nel chiudere tutto, la sua attenzione venne attirata da un particolare accessorio che credeva di aver sepolto anni prima nell’angolo più remoto del suo guardaroba e della sua mente.
Si sentì a disagio, come se nella stanza il riscaldamento avesse improvvisamente smesso di funzionare e l’enorme felpa che si era infilato non fosse stata sufficientemente calda, lasciando calare il gelo. Una sensazione di brividi pungenti gli si insinuarono sotto la cute, facendolo vacillare per un secondo e sprofondare nel vuoto. Aveva avuto la certezza di essere riuscito a superare quelle crisi ma, nel momento in cui pensava di esserne uscito, puntualmente i fantasmi del passato tornavano a torturarlo, mettendolo alla prova e dimostrandogli che no, anche se provava a restare indifferente, quella cosa lo avrebbe perseguitato per molto, molto tempo ancora.
Allungò una mano e, non sapendo nemmeno lui perché, estrasse con cautela un cappello invernale bianco a macchie nere che, a distanza di anni, era rimasto morbido e pulito; anzi, quasi come se avesse voluto farsi beffe di lui, sicuramente gli andava ancora bene.
Era stato un regalo che aveva ricevuto quando era solo un moccioso, in quel periodo in cui la sua vita era accompagnata da grandi sorrisi, abbracci e affetto.
Quando quell’amico era ancora al suo fianco.
 
Hello, it’s me
 
Trafalgar Law aveva sei anni quando, nel suo quartiere ed esattamente a dieci metri dalla sua casa, si era trasferita una nuova famiglia. Gente strana e un po’ bizzarra, ma brave persone ad una sua prima occhiata fatta con occhi da bimbo innocente. E lui, in fatto di rapporti, a quell’età non se ne intendeva ancora molto, altrimenti sarebbe stato bene attento ad evitarli come la peste.
La signora, appena era scesa dall’auto, era corsa a presentarsi ai suoi genitori e, senza battere ciglio quando, sulla soglia, erano apparsi due uomini e non il classico nucleo famigliare che chiunque si sarebbe aspettato, li aveva invitati la sera stessa a cena per conoscerli e stringere amicizia.
A quei tempi, però, lui era piccolo e abbastanza asociale e se ne era rimasto rintanato in camera a sbirciare dalla finestra quei nuovi individui che trasportavano i loro averi e le coro cose da un furgoncino fin dentro casa.
Fu quella la prima volta in cui intravide i capelli rosso fuoco di Kidd. All’epoca era un ragazzetto e non aveva che sette anni, ma già appariva una mina vagante e un piantagrane. Correva da una parte all’altra del giardino con un robot giocattolo in mano e curiosava ovunque. Aveva un aspetto trasandato, indossava una canottiera bianca di cotone troppo grande per la sua figura con le spalline che gli scivolavano costantemente lungo le braccia magre e lunghe; i pantaloncini di una tuta da cui sbucavano delle gambette agili e scattanti; esternava un sorriso enorme sul viso entusiasta e una chioma fulva che sventolava sulla testa, come un falò acceso e scoppiettante.
Ad un certo punto, Law se lo ricordava ancora, si era fermato nel bel mezzo della sua corsa, come se qualcosa l’avesse colpito all’improvviso, e si era voltato di scatto verso la finestra dalla quale lui stava osservando indisturbato tutta la scena e lo aveva guardato così intensamente da infastidirlo e costringerlo a tirare la tenda e sparire dentro quelle mura.
La sera era poi stato obbligato a seguire i suoi due papà a quella stupida cena, contro la sua volontà, ed ecco che gli adulti li avevano immancabilmente presentati, facendoli mangiare seduti uno accanto all’altro. Secondo il parere dei grandi, avrebbero dovuto andare d’amore e d’accordo essendo due vivaci maschietti; infatti, alla prima occasione, erano corsi a giocare in salotto con la playstation di Kidd che aveva ricevuto come regalo a natale.
Le cose erano sembrate svolgersi per il meglio e a Law era sinceramente piaciuto guardare lo schermo del televisore sul quale venivano proiettate le immagini di soldati che saltavano in aria, colpiti dalla buona mira del suo nuovo e ipotetico amico, il quale, in un attimo di ingenuità infantile, aveva pure iniziato a insegnargli come usare il joystick per fargli fare una partita. Il rosso si era lasciato sfuggire, persino, che era contento di aver trovato un compagno con cui passare il tempo ed era quasi riuscito ad infinocchiare pure Law con la sua stupida idea, ma i due ancora non sapevano che le cose non sarebbero state tutto rose e fiori.
Infatti, nonostante la prima buona impressione, iniziarono presto a fasi conoscere per quello che erano: due vere pesti. Non passava giorno che uno dei due non tornasse a casa con un ginocchio sbucciato, i palmi graffiati, le lacrime agli occhi o i vestiti sporchi di fango e terra. Avevano iniziato a farsi i peggiori dispetti e a giocare sporco durante le loro gare con le biciclette; si sfidavano a compiere imprese ai loro occhi impossibili: come arrampicarsi il più in alto possibile sugli alberi in giardino; fare scherzi ai rispettivi genitori; catturare le rane nei pressi del fiume vicino a casa con le mani e altre sciocchezze simili che ai bambini piaceva fare per passare il tempo e non annoiarsi.
Una volta, giocando a fare gli indiani, con tanto di capanna, arco e freccette finte con piume colorate attaccate alle estremità delle armi giocattolo, Kidd, completo di copricapo piumato, più simile ad un tacchino nel giorno del Ringraziamento che ad altro, aveva legato Law all’albero come suo prigioniero, ballandogli attorno fino allo sfinimento. Fino a quel punto nulla di male, se non fosse stato per il fatto che, una volta stanco, se ne era andato a casa, lasciandolo lì da solo a cercare di liberarsi. Il piccolo aveva sette anni e, all’arrivo dello zio Rocinante, il quale era andato a salvarlo quando non lo aveva visto rincasare per cena, aveva iniziato a piangere come un disperato. Tutta scena premeditata la sua, infatti Kidd aveva passato un brutto quarto d’ora con sua madre che lo aveva poi messo in castigo dopo aver saputo del guaio combinato.
Non ancora contento e soddisfatto della sua rivincita, poco tempo dopo Law si era vendicato, rincorrendo il rosso per tutto il perimetro del quartiere, impugnando nella mano una siringa vera, di quelle con l’ago che tanto facevano impressione all’amico. Non si era beccato nessuna sgridata, dato che il suo intento era stato nobile, e quando gli avevano chiesto perché avesse agito in quel modo, lui aveva semplicemente risposto che voleva solo che a Kidd passasse l’influenza che si era preso cadendo nel fiume vicino alle loro case, dentro al quale, per l’appunto, ce lo aveva spedito lui stesso alcuni giorni prima.
Quei due piccoli diavoli avevano passato in quel modo la loro infanzia, tra giochi di dubbia moralità, scherzi di cattivo gusto ad Halloween e a Carnevale, piani malefici riguardanti la conquista del mondo e, mano a mano che erano cresciuti, si erano susseguite vacanze assieme, i banchi di scuola condivisi, studio assistito, perché Law era molto più bravo di Kidd, sport, dove il moro assisteva alle partite del rosso per farsi poi offrire da bere a fine serata, le prime esperienze col mondo esterno, gli amici, la compagnia, le nottate fuori casa, le prime sbornie, la patente della macchina e successivamente quella della moto, una delle tante passioni di Kidd. In tutti gli anni della loro adolescenza avevano passato più tempo assieme che da soli, sempre, in ogni occasione. Certo, la tranquillità nel loro rapporto era l’ultima cosa che qualcuno si poteva aspettare, dato che si insultavano dalla mattina alla sera, Law stuzzicando la precaria pazienza di Kidd e quello intento a scaricare una quantità improponibile di bestemmie verso il compagno troppo divertito dalla sua ira incontrollata.
Se qualcuno avesse chiesto loro se erano amici, essi avrebbero risposto con una faccia disgustata che no, non lo erano, e che ad entrambi non importava nulla dell’altro, ma se la domanda veniva posta ai loro genitori, soprattutto a quelli di Trafalgar, rispondevano che al mondo non esistevano persone più affiatate di quei due mocciosi.
E, infondo, infondo, lo sapevano pure i diretti interessati che quell’amicizia era speciale, solo che, per orgoglio e per testardaggine, non lo avrebbero mai ammesso ad anima viva. A loro stava bene gridarsi l’odio reciproco che provavano col sorriso sulle labbra e basta. Quando erano da soli si facevano la guerra l’uno contro l’altro, ma non rinunciavano mai ad allearsi per contrastare ciò che c’era fuori dalle loro case. Si davano una mano, a modo loro, secondo uno strano equilibrio che tutti avevano smesso di cercare di comprendere. Sapevano che tutto andava bene, che erano contenti e che nulla avrebbe potuto separarli.
Almeno, Law, di ciò, ne era stato convinto fino ad alcuni di anni prima, quando era successo quell’incidente che aveva fatto scomparire Kidd dalla sua vita.
 
I was wondering if after all these years you’d like to meet

Strinse le mani attorno al cappello, fissando il vuoto e rimanendo completamente immobile, immerso nei ricordi che avrebbe voluto cancellare dalla sua mente.
Era stata anche quella una giornata molto fredda, in tutti i sensi. Un sabato pomeriggio invernale di gennaio, con la neve che ricopriva le strade e qualsiasi superficie senza avere voglia di smettere di scendere dal cielo. Cadeva fitta e attecchiva al terreno che era una meraviglia per gli occhi e per i mocciosetti che correvano per le vie a giocare.
Lui, invece, era rimasto tutto il tempo chiuso nel locale del padre di un suo amico per organizzare al meglio la festa di compleanno per quella testa rossa di Kidd, il quale, all’epoca, avrebbe compiuto diciannove anni.
Si ricordava ancora i salti mortali che aveva fatto per non fargli sospettare nulla. Gli aveva rifilato scuse su scuse, inventandosi di dover studiare e obbligando il resto dei loro conoscenti in comune a mentire. Aveva convinto persino uno dei migliori amici del rosso, Killer, che aveva trovato la scusa peggiore di tutte, ovvero quella di doversi assentare per alcuni giorni per fare visita a sua nonna, la quale si era rotta una gamba cadendo da un motorino assieme ad un altro vecchietto.
Il bello era stato che Kidd ci aveva creduto senza battere ciglio, quel demente.
Il mattino, dopo aver fatto gli auguri al rosso isterico, super esaltato per il suo compleanno, gli aveva sbattuto in faccia che avrebbe passato il giorno a studiare, ignorando le lamentele che erano subito seguite a quella notizia e rimanendo impassibile come sempre. Si era divertito un sacco a prenderlo per i fondelli, anche se una piccola parte di lui gli aveva urlato per tutto il giorno di andargli a tenere compagnia, o almeno di scrivergli qualche messaggio, ma era stato irremovibile, desideroso di aspettare la sera e il momento in cui avrebbe portato il rosso alla sua festa a sorpresa.
Aveva passato ore e ore al Baratie, controllando che Sanji, il figlio del proprietario, avesse capito bene quale torta preparare; assicurandosi che l’impianto musicale funzionasse; che i regali fossero ben impilati l’uno sull’altro e che Usopp non li facesse cadere come aveva rischiato più volte di fare; aveva aiutato Ace, il suo compagno di banco memorabile a tenere lontano Rufy, il fratellino minore di quell’ultimo, dal buffet che albergava nelle cucine e aveva fatto le corse al centro commerciale per recuperare le ultime cose in vista del grande evento della serata.
Un’altra cosa che aveva fatto quel giorno, era stato tenere il suo telefono rigorosamente spento.
Se doveva essere sincero con se stesso, aveva avuto una strana sensazione fin dall’inizio. Non era stato un malessere e nemmeno un’influenza, semplicemente non si era sentito del tutto tranquillo, ecco, ma aveva scambiato quel sentore per ansia e si era ripetuto fino allo sfinimento che sarebbe andato tutto bene.
Perché quella sera non solo avrebbe regalato a Kidd il più bel compleanno di sempre, compensando il fiasco accaduto l’anno precedente, quando avevano passato la notte in cella a causa di alcune effrazioni commesse con l’intenzione di festeggiare, ma gli avrebbe anche lasciato un segno indelebile che gli avrebbe fatto ricordare per sempre quel giorno.
Non era mai stato un tipo sentimentale e nemmeno voleva iniziare ad esserlo, però aveva pensato che, infondo, dire a Kidd quanto contasse la loro amicizia, a modo suo s’intende, sarebbe stata una bella cosa.
Perché Eustass Kidd altro non era che la sua certezza più vera e importante. Insomma, era concreto, era reale e, se il futuro era incerto, lui, al contrario, era una costante nella sua vita. Law sapeva, anzi, ne era certo, che ci sarebbe sempre stato, e viceversa lui sarebbe stato accanto al rosso. La loro amicizia, nel bene e nel male, era indissolubile, indistruttibile, era qualcosa che non si poteva spezzare ed era pronto a mettere la mano sul fuoco che nulla li avrebbe divisi, mai.
Law, poi, era sempre stato abbastanza sveglio e intelligente, e aveva capito che la vita poteva fare davvero schifo e che niente era certo, ma il rapporto con Kidd era diverso. Era strano, non sapeva nemmeno lui come spiegarselo e non aveva ancora trovato una motivazione logica, ma sentiva che era così, che lui c’era e ci sarebbe sempre stato.
Non glielo avrebbe detto in quel modo, ovvio, nemmeno sotto tortura o in punto di morte, mai, mai, mai. Non ce n’era bisogno e probabilmente i suoi erano gli stessi pensieri che faceva Kidd dentro quella sua mente contorta e dannatamente propensa al male. Non che gli dispiacesse, al contrario, Eustass-ya diventava, come dire, attraente quando negli occhi gli balenava quel luccichio crudele che gli si accendeva ogni volta che doveva, ad esempio, picchiare qualcuno o combinare qualche disastro.
Con Law come suo complice, s’intendeva.
Kidd era una persona difficile da descrivere e nemmeno un attento osservatore come Trafalgar era riuscito a trovare una definizione perfetta per lui, che lo rappresentasse correttamente. Ne aveva, però, scelte e classificate alcune in base alle evenienze. Si poteva dire che Eustass Kidd fosse la sua disgrazia, quasi sempre, ma anche tormento, disastro, catastrofe, maledizione ci stavano a pennello; quando si metteva nei guai, raramente, perché lui calcolava sempre ogni cosa, diventava un fratello; ogni tanto era persino divertente e tranquillo, soprattutto quando si avvicinava natale.
Ma era sempre il suo migliore amico.
Non gli voleva bene, affatto, ed era quasi certo che anche il rosso non lo sopportasse tanto, ma si poteva essere amici anche odiandosi a vicenda. Era normale, per loro almeno. Andava bene in quel modo, erano contenti, sapevano che potevano contare l’uno sull’altro, in qualsiasi occasione e per qualsiasi cosa, quindi non serviva dare a quel rapporto un nome o una definizione. Erano due amici, semplice e perfetto.
Ma a Law non bastava più.
Per quello, forse, si era sentito irrequieto per tutto il dannato pomeriggio, per l’idea di doversi esporre tanto.
Dopo anni, però, ancora si malediva per non aver seguito l’istinto e aver acceso quel dannato telefono.
 
To go over everything
 
Poco prima di dare inizio alla festa, Law era tornato a casa per cambiarsi e recuperare il regalo, sbrigandosi per andare poi alla porta del rosso e trascinarlo in macchina, immaginando già gli improperi e le bestemmie che avrebbe ricevuto non appena lo avesse scaricato davanti al locale.
Aveva raggiunto la sua stanza quando, mentre si stava infilando una maglia pulita, con sulle labbra stampato un impercettibile sorriso ebete, suo padre Doflamingo era entrato tutto trafelato e con la faccia spaesata.
Ricordava come se fosse accaduto da poco la presa salda sulle spalle, lo sguardo fisso che gli aveva rivolto dopo aver tolto gli occhiali che, per la precisione, teneva costantemente addosso, la voce pacata, ma intensa e la notizia che gli aveva fatto gelare il sangue e svuotare la mente.
Si era ritrovato nel giro di un minuto a suonare il campanello e a bussare alla porta di Kidd, incurante della neve mista a pioggia che cadeva e alla mancanza di un giubbotto sulle spalle. Era rimasto sulla soglia per dieci minuti buoni, suonando il campanello, chiamandolo e battendo i pugni sul portone, ma, quando aveva capito che nessuno gli avrebbe aperto, aveva fatto il giro della casa, trovandosi sul retro e dirigendosi a passo spedito verso la finestra della lavanderia che si apriva con un po’ di pressione in più. Era entrato come un ladro, non preoccupandosi di non fare rumore e aprendo tutte le porte fino ad arrivare nell’ampio soggiorno dove il caminetto ospitava un fuoco vispo e scoppiettante, ma che sembrava non scaldare affatto l’ambiente perché l’atmosfera era gelata.
Kidd era seduto sul divano con gli occhi fissi davanti a sé e non si era minimamente scomposto quando Law aveva fatto il suo ingresso, tutto bagnato e con il fiatone. Era rimasto immobile, quasi senza respirare. Aveva le braccia appoggiate sulle gambe e le mani abbandonate nel vuoto; i capelli spettinati; gli occhi vitrei e tutt’attorno a lui regnava il caos. C’erano sedie e tavoli ribaltati, vasi rotti e cocci ovunque, elettrodomestici sparsi a caso sul pavimento, i cuscini distrutti e un’anta della credenza sfondata.
Davanti a quella vista e col cuore pesante per il dolore, Law si era avvicinato piano all’amico e gli si era seduto accanto, attento a non scuoterlo troppo, senza fiatare.
Non sapeva per quanto tempo erano rimasti in quella posizione, in silenzio, senza sfiorarsi o guardarsi, ma ricordava perfettamente cos’era successo quando aveva raggiunto il limite di sopportazione e aveva provato a richiamare l’attenzione di Kidd, preoccupato per lui, chiamandolo con il nomignolo che gli aveva affibbiato fin da quando erano bambini: ‘Eustass-ya’.
Li rivedeva ancora nei suoi incubi gli occhi del rosso.
Kidd, non appena Law gli aveva sfiorato il braccio, si era voltato di scatto a guardarlo per una frazione di secondo, ma era stato abbastanza intenso da abbattere qualsiasi intenzione del moro, il quale non aveva avuto né il coraggio, né la forza per reagire, nemmeno la sfacciataggine di dedicargli uno sei suoi soliti ghigni di sufficienza. Quello che aveva letto in quello sguardo era stato abbastanza disarmante. Era bastato un attimo per fargli capire che era colpevole di aver compiuto una mancanza imperdonabile.
Perché Kidd aveva appena perso i suoi genitori in un incidente.
E lui, per tutto il giorno, lo aveva abbandonato.
Ecco perché aveva lasciato che Kidd, lentamente, quasi come se fosse stato in trance, lo prendesse per le spalle e lo trascinasse, a poco, a poco, sul pavimento, stringendolo senza fargli male, ma abbastanza forte da intimarlo ad obbedire, senza dargli una via di fuga. Ecco perché Law non aveva mosso un muscolo per impedirgli di togliergli la felpa fradicia e i pantaloni che gli si erano appiccicati alla pelle. Ecco perché aveva trattenuto il respiro non appena aveva intuito il motivo per cui anche Kidd si stava spogliando davanti a lui, senza guardarlo, levandosi con gesti meccanici la maglia che indossava e i jeans che erano andati a formare un ammasso indistinto di stoffa poco lontano da loro, in mezzo ai vetri delle porcellane distrutte. Ecco perché il moro aveva iniziato a tremare quando la bocca dell’altro aveva raggiunto la sua, troncando da subito qualsiasi tentativo di dialogo e coinvolgendolo in un bacio frenetico che non sapeva per niente di affetto, ma bensì di disperazione; una lotta di morsi al sapore di pioggia e lacrime versate in precedenza.
Il primo bacio di Law.
Il loro primo bacio che non si era immaginato in quel modo.
Ecco perché aveva abbassato lo sguardo con aria dispiaciuta quando aveva provato ad abbracciare il ragazzo e quello gli aveva imprigionato i polsi sopra la testa, stringendo forte, mordendogli un labbro e trasmettendogli in quel modo tutta la sua rabbia e il suo dolore, mettendo in chiaro che non doveva azzardarsi a fare niente. Ecco perché da allora si era lasciato baciare, leccare e toccare ovunque, senza obiettare o negare di volere quelle attenzioni dato che, pensandoci per un istante, aveva sempre sperato di riceverle. Ecco perché, anche se dentro di sé si sentiva morire, si era lasciato comunque sfuggire ansimi di piacere quando Kidd aveva iniziato ad accarezzarlo in maniera tanto eccitante da fargli quasi dimenticare, per un attimo, dove si trovavano e cosa era successo. Ecco perché aveva accettato di lasciarsi scopare dal suo migliore amico, sul pavimento freddo, senza ricevere mai uno sguardo o qualcosa di più dolce e confortevole del misero sesso. Ecco perché gli aveva dato se stesso senza tentennare nemmeno un secondo, lasciando che si prendesse tutto, i suoi sentimenti, la sua inesperienza, la sua prima volta.
Ed ecco perché, dopo che entrambi ebbero raggiunto l’orgasmo, quando Kidd si era rivestito in fretta ed era uscito di casa con le chiavi in mano senza dire una parola, Law lo aveva lasciato andare, stringendosi addosso la coperta del divano per ripararsi dal gelo pungente che sentiva e rimanendo ad aspettare il ritorno del rosso fino al mattino seguente, rincasando solo dopo essersi assicurato di aver lasciato un biglietto scritto di suo pugno nella speranza di rivederlo quando si sarebbe calmato.
Ma Kidd, dopo quella notte, non era più tornato.
Era sparito senza dire niente, senza salutare e senza dare spiegazioni a nessuno dei loro amici e solo dopo mesi erano riusciti a scoprire che era partito, abbandonando il paese e tagliando tutti i contatti. Come se non fosse mai esistito, come se non ci fosse mai stato.
E, da quel giorno, Law aveva iniziato a soffrire il freddo.
 
They say that time’s supposed to heal yeah but I ain’t done much healing
 
Lo squillo del telefono di casa lo riportò alla realtà, facendogli sbattere più volte le palpebre e mettere a fuoco l’armadio davanti a lui. Con uno sospiro, rimise il cappello nel cassetto, nascondendolo bene sotto agli altri indumenti invernali e chiudendolo subito dopo, affrettandosi ad uscire dalla stanza e scendendo le scale un passo alla volta, sfoggiando la solita espressione neutrale, come se nulla potesse scalfirlo.
Era acqua passata ormai. Erano passati due anni, la sua vita era andata avanti lo stesso e poteva dirsi più che soddisfatto dell’andamento positivo che aveva preso. Aveva finito il liceo con ottimi voti e stava affrontando bene il secondo anno di università. Durante le vacanze si sarebbe riposato e avrebbe avuto modo di fare anche un po’ di pratica nell’ambulatorio di suo zio, perciò doveva concentrarsi su tutte quelle faccende. Non aveva tempo da perdere con i fantasmi del passato.
Nell’atrio, una ragazza dai lunghi capelli neri con indosso una camicia viola e una minigonna in jeans aveva appena risposto al telefono, riattaccandolo qualche attimo dopo e assicurando all’agente dall’altra parte della cornetta che con i contratti telefonici erano più che sistemati e che non avevano bisogno di altro.
-Oh, ciao Law.- disse, non appena si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, spalancando gli occhi scuri e mordicchiandosi un labbro come se fosse stata in imbarazzo su cosa dire.
Il moro non ci fece tanto caso, dopotutto quella ragazzina era sempre stata un po’ strana fin da quando i suoi genitori l’avevano adottata. Voleva sempre rendersi utile ed era troppo ben disposta a dare una mano agli altri, lasciandosi spesso sfruttare senza rendersene conto.
-Papà ti stava cercando.- aggiunse Baby, prima che la superasse.
Law sospirò piano, chiudendo gli occhi e cercando di risultare il più freddo possibile. Di solito quel suo modo di fare metteva in fuga la sorella. -Quale dei due?-
Si voltò un poco, giusto per beccarla deglutire intimorita, mentre indietreggiava di un paio di passi. -Papà Doffy.- sussurrò, scomparendo al piano di sopra.
Il ragazzo scosse il capo quasi con esasperazione, dirigendosi verso la cucina da cui sentiva provenire un vociare parecchio rumoroso. Probabilmente qualcuno dei suoi stupidi fratelli aveva combinato qualche guaio, infastidendo zio Pica o zio Diamante, dipendeva dai casi. Non si era mai tranquilli in quella casa con gli elementi che ci vivevano. Fortuna che lui si era cresciuto da solo perché, se avesse dato retta agli adulti che vantavano l’esperienza che non avevano, si sarebbe ritrovato a lavorare come lavapiatti in qualche tavola calda. Pazienza poi che i suoi padri fossero i proprietari delle aziende più prolifere del paese. Rimanevano ugualmente una manica di idioti.
Aprì la porta scorrevole e fu sorpreso di non ritrovarsi davanti lo spettacolo a cui si era abituato col passare degli anni.
Solitamente, Buffalo e Dellinger avrebbero dovuto essere seduti a tavola, intenti a contendersi la colazione sotto lo sguardo divertito di zio Trébol e zia Jora, isterica come sempre; a capotavola, Doflamingo avrebbe assistito al teatrino con il solito ghigno beffardo stampato in faccia, anche se non era minimamente interessato alla faccenda, tenendo stretto tra le mani il giornale; infine, ai fornelli, Cora-san sarebbe stato impegnato a spegnere il fuoco che aveva accidentalmente raggiunto i suoi vestiti.
Diversamente da tutte le altre domeniche, però, quella mattina trovò tutti con il naso spiaccicato alla finestra che dava sul giardino laterale, lasciando le impronte delle dita unte di marmellata che Baby avrebbe ripulito lamentandosi e respirando alitate che appannavano il vetro anti-proiettile, richiesta imposta dal mai tranquillo per i suoi nipoti Rocinante.
Inutile dire che si diresse senza neanche pensarci verso di loro, arrivandogli alle spalle e schiarendosi la voce per domandare con un po’ di curiosità cosa ci fosse di così interessante fuori casa.
Li vide sobbalzare alla sua domanda e tutte le teste si voltarono a fissarlo con delle facce spaesate, come se fossero caduti dalle nuvole in quel preciso istante.
Lo sguardo di Doflamingo che, nascosto dalle lenti, puntava verso di lui, non lo tranquillizzò per niente, ma fu il suo membro preferito della famiglia che lo fece agitare, facendo nascere in lui la sgradevole sensazione che qualcosa di brutto stava ber abbattersi su di lui e, purtroppo, aveva imparato a sue spese di doversi fidare di quel peso sullo stomaco.
Cora-san aveva tentato di aprire bocca per dire qualcosa, ma ci aveva inspiegabilmente rinunciato ed era stato quel gesto ad accendere in Law il dubbio e la paura, perché Rocinante era sempre stato un libro aperto per lui: facile da leggere.
Doflamingo, intanto, lo fissava assente e serio, troppo serio, tanto che il giovane iniziò a preoccuparsi veramente. Quella non era una delle solite chiacchierate fatte di battute da parte di Doffy e risposte fredde e ciniche da parte sua, no, era qualcosa che richiedeva attenzione.
Vide le spalle di suo padre irrigidirsi e le mani stringersi a pugno prima di rilassarsi. Si passò le dita tra i corti capelli biondi, ben curati. Era sempre stato attento alla sua immagine e, sebbene fosse una persona eccentrica e amante degli abiti piumati e appariscenti, aveva un suo fascino, anche se a Law, personalmente, il suo guardaroba metteva inquietudine. Era nettamente migliore quello di Vergo. Più precisamente, papà Vergo, come voleva sentirsi chiamare.
-Forza, che denuncia si sono presi questa volta? Frode, atti osceni in luogo pubblico, furto, guida in stato di ebbrezza, o cosa?- mormorò Law, tentando di sdrammatizzare e immaginando che la casa fosse stata circondata da agenti della polizia, magari mandati dal vecchio Garp, o da Smoker, il nuovo Comandante del distretto. Dopotutto, non sarebbe stata la prima volta, per la precisione.
Doflamingo sospirò, facendosi largo tra la marmaglia impietrita davanti a lui e togliendosi gli occhiali, non facendo presagire nulla di buono perché, quando compiva quel gesto, significava che c’erano guai in arrivo.
Law si sentì per un attimo a disagio, ricordando l’unica volta in cui l’uomo aveva fatto un gesto simile. Non si scomodava mai a togliere la montatura dal viso, e correva voce tra i corridoi della casa che la tenesse anche per dormire, ma a lui non interessava, purché non la togliesse quando era in sua presenza dato che, l’ultima volta che lo aveva fatto, il suo mondo gli era crollato addosso insieme a tutte le sue certezze.
-Law.- iniziò, prendendo fiato. -Ascoltami…-
-Signore, le informazioni che mi aveva chiesto. A quanto pare sembra che sia tornato a casa a tutti gli effetti.-
Law poté notare come la mascella di Doffy si chiudesse di scatto, mentre la sua segretaria Monet entrava con la testa china su alcune scartoffie e un paio di occhiali tondi calati sul naso senza accorgersi di essere in compagnia. Quando poi alzò lo sguardo e si rese veramente conto di aver interrotto qualcosa di grosso, si scusò immediatamente e, con educazione e rispetto, ritornò sui suoi passi, ma Law si accorse ugualmente dell’occhiata preoccupata e tesa che la donna gli aveva rivolto.
Fu quando riportò l’attenzione su Doflamingo che capì cosa stava succedendo. Non aveva mai smesso di guardarlo, come se avesse voluto trasmettergli qualcosa che a voce non riusciva a dire. Aggiunse a ciò l’imbarazzo degli altri, il silenzio di Buffalo e Dellinger che tenevano la testa china, indecisi su cosa fare, le vaghe scuse che avevano piazzato Jora e Trébol per alzare le tende e svignarsela, e lo sguardo perso fuori dalla finestra di Cora-san che seguiva qualcosa con gli occhi.
Si sentì gelare nuovamente, ma rimase immobile e impassibile, le braccia incrociate e strette al petto, l’espressione indecifrabile e gli occhi distaccati, aspettando con pazienza che Doflamingo rendesse ufficiale la notizia che ormai aveva intuito anche troppo bene.
L’uomo sembrò rendersene conto e, rimessosi gli occhiali, si decise a parlare. -E’ tornato stanotte.-
Gli fischiavano le orecchie e forse gli girava un po’ la testa, ma Law non fece nulla e non disse nulla.
Mosse un passo, poi un altro, fino a raggiungerli, allungando un braccio per spostare gentilmente la figura di Rocinante e farsi un po’ di spazio per guardare e vedere, finalmente, cosa stava succedendo, mentre Doffy faceva segno agli altri due ragazzi di uscire.
Davanti al vialetto della casa che confinava con la sua stava parcheggiato un furgoncino bianco il cui retro era aperto e carico di cianfrusaglie varie, preceduto da un’auto piazzata poco distante. Numerosi scatoloni erano sistemati sul marciapiede e un omone grande e grosso aspettava impaziente qualcuno che sbucò da oltre la siepe pochi secondi dopo.
Rocinante e Doflamingo udirono solamente un respiro spezzato da parte di Law e poi più nulla. Rimasero in quel modo, loro tre, uno con l’espressione seria e gli occhiali dalle lenti scure calati sugli occhi e l’altro con una mano sulla spalla del figlioccio che, immobile, osservava come la stabilità che aveva raggiunto con fatica in quegli anni si sgretolava, andando in fumo e cenere assieme al suo piccolo mondo, guardando Eustass Kidd riprendere possesso della casa affianco.
 
* * *
 
Hello, can you hear me?
 
L’aria che si respirava era strana.
Si era chiesto mille volte, durante il viaggio di ritorno, come sarebbe stato aprire le porte della sua vecchia casa dopo così tanti anni. Cosa avrebbe provato? Cosa avrebbe sentito? Che emozioni sarebbero affiorate? Si era posto tutte quelle domande quando era sull’aereo diretto verso la sua città, quella in cui aveva vissuto la maggior parte della sua infanzia e della sua adolescenza. Si era interrogato anche le notti e i giorni prima della partenza, ma non aveva trovato risposte soddisfacenti, solo delle incognite. E, se doveva essere sincero con se stesso, non era nemmeno tanto sicuro di aver fatto la scelta giusta tornando alle vecchie origini.
Ad ogni modo, aveva appena aperto il portone d’ingresso, girando un vecchio e consumato paio di chiavi nella toppa, spingendo la porta verso l’interno e venendo investito da una zaffata di odore di chiuso, muffa e polvere.
Davanti a lui c’era il buio, ma la luce che filtrava alle sue spalle bastava per illuminare i primi metri dove, se ben ricordava, a sinistra stava una finestra. Infatti la trovò subito, lottando un po’ con la chiusura dei balconi per aprirla, costretto infine a tirare una spallata per ottenere il risultato sperato.
Si voltò a guardare il nulla, circondato da mobili ormai fuori uso, ricoperti da spessi teli bianchi, ma che avevano fatto ben poco contro i tarli e l’usura. Li avrebbe in ogni caso cambiati con altri di nuovi.
Avanzò ancora, superando l’entrata, il corridoio e arrivando nel salone che ricordava essere molto più grande di quello che aveva sotto al naso in quell’istante. Adocchiò un divano sfondato, dove si sedette ugualmente facendo si che una nuvola di polvere si alzasse improvvisamente, avvolgendolo e facendolo tossire un paio di volte.
Fissò il caminetto vuoto davanti a lui. Affianco, nella cassetta in legno che aveva fatto suo padre anni prima, c’erano ancora dei vecchi ceppi, mentre i resti di fuliggine erano diventati un tutt’uno con lo sporco. Il tavolino basso era sparito, ma ricordava vagamente di averlo distrutto lui stesso prima di partire e andarsene, lasciandosi casa, scuola, amici e città alle spalle.
A volte, si chiedeva ancora se aveva fatto bene o male.
 
* * *
 
-Ciao.-
-Ciao.-
 
I'm in California dreaming about who we used to be
 
-Vuoi provare? E’ facile.-
-Non mi piacciono i videogiochi.-
-Sei pazzo?-
-Preferisco i libri.-
-Puah! I videogiochi sono super fantastici! Avanti, prova questo.-
-Mi fai usare il tuo personaggio?-
-Sei scemo? Ti sto dicendo che puoi!-
-Non so come si fa, però.-
-Vieni qua, ti insegno io. Devi uccidere i nemici.-
 
When we were younger and free
 
-Ti sei spinto nel mio territorio, sporco cowboy! Ora ti brucerò vivo!-
-Maledetto indiano, liberami, codardo!-
-Zitto! Sto per fare la Danza della Morte!-
-Sembri una gallina con i reumatismi.-
-I reumache? Ah, ma che m’importa, tra poco morirai.-
-Ma così non vale!-
-Ehi, io ti ho catturato, quindi ho vinto.-
-Mi hai fatto lo sgambetto, Eustass-ya. Hai barato.-
-Tu l’altra volta mi hai lanciato un sasso in testa!-
-Volevo vedere se diventavi intelligente.-
-Allora sai cosa ti dico? Mi sono stancato di giocare. A domani, Trafalgar.-
-Ehi, dove vai? Aspetta! Eustass-ya! Non puoi lasciarmi legato qui! Cattivo! Eustass-ya!-
 
I've forgotten how it felt before the world fell at our feet
 
-Certo che potevi evitare di raccontare a mia madre la storia dell’albero. Mi ha messo in castigo per un mese!-
-Eustass-ya, fossi in te inizierei a correre.-
-Uh? E perché? Ehi, aspetta, cos’è quella?-
-Una siringa.-
-E c-cosa vorresti f-farci?-
-Sai, dentro c’è la stessa sostanza che ha ucciso il gatto della Signora Dadan. Ci ha impiegato solo cinque minuti. Ora voglio vedere quanto resiste un essere umano!-
-Sta lontano da me! Cazzo! Trafalgar, dannato mostriciattolo!-
 
There's such a difference between us
 
-Ciao Eustass-ya.-
-Vai via.-
-Ma sono appena arrivato!-
-Non m’importa! Etchù!-
-Dovevamo andare al parco.-
-E per colpa tua non posso. Se non mi avessi spinto nel fiume, forse avrei potuto uscire di casa, invece no perché ora ho il raffreddore! Etchù!-
-Salute.-
-Pensa per la tua.-
-E va bene, vorrà dire che faremo una partita alla play.-
-Guarda che tu puoi anche andarci. Ci saranno il moccioso col cappello di paglia e i suoi squinternati amici.-
-Nah, preferisco stare qui.-
 
And a million miles
 
-Ehi, Trafalgar.-
-Che vuoi?-
-Hai infilato tu i fuochi d’artificio nelle marmitte delle auto?-
-No, quello è stato Portgas-ya.-
-Ah, beh, io ho dato fuoco alla pira di pantegane stecchite nel giardino della vecchia Dadan. Te che hai fatto?-
-Ho scavato delle fosse.-
-E per fare cosa?-
-Buttarci dentro qualche cadavere. Per cosa sennò?-
-Mhm, hai ragione. Dopotutto è Halloween, un incidente a qualche gatto può succedere.-
 
Hello from the other side
 
-Come stanno i tuoi, Eustass-ya?-
-Insomma. I tuoi, invece?-
-Non male, anche se sono ancora chiusi in bagno.-
-Pure i miei. La prossima volta dobbiamo mettere meno lassativi nelle frittelle.-
-Ma a Carnevale ogni scherzo vale.-
 
I must've called a thousand times to tell you
 
-Ehi, questo non lo so fare.-
-Te l’ho spiegato prima, Eustass-ya. E’ facile.-
-Non è vero, sei stato vago e hai parlato d’altro.-
-Di questo passo rimarrai bocciato.-
-No grazie, ci tengo a vivere.-
-Guarda il lato positivo, ti ritroveresti nella mia classe.-
-Sai, Trafalgar, credo che verrò promosso.-
 
I'm sorry, for everything that I've done
 
-Allora?-
-Bocciato.-
-A quanto pare ci ritroveremo in seconda assieme.-
-Sai che palle.-

But when I call you never seem to be home
 
-Guarda cos’ho comprato!-
-Uh? Birra?-
-Si! Stasera ce la scoliamo tutta!-
-Fammi capire: dormiamo in tenda in giardino; mangiamo schifezze e ci ubriachiamo?-
-Esattamente.-
-Potevi comprarne di più!-
 
Hello from the outside

-Eustass-ya, non rut-tare. Fai schifo!-
-Chiudi quella boccaccia e passami la birra.-
-E’ quasi fin-ita, idiota.-
-Ne hai bevuta troppa. E a me gira la testa.-
-Sei tu che hai be-vuto tutto!-
-Sai, diventi balbuziente quando sei ubriaco.-
-Non è v-vero!-
-Si, e arrossisci.-
-E’ solo p-perché sei trop-po vicino.-
-Wow, ti metto in imbarazzo, Trafalgar?-
-Tieni giù quelle ma-ni!-
 
At least I can say that I've tried to tell you
 
-Hai visto, Trafalgar? Hai visto che razza di cannonate? Tutte in porta, una dietro l’altra!-
-Si, razza di esaltato, ce li ho gli occhi.-
-L’ho notato, non me li hai mai staccati di dosso durante la partita.-
-Invece di gongolare pensa ai soldi che dovrai sborsare stasera.-
-Perché? Tanto ti offro solo una birra, visto che l’alcool non lo reggi bene.-
-Oh, forse mi sono scordato di avvisarti che ho invitato anche Killer-ya. E Baby e Buffalo. Ah, e anche il Cappellaio e i suoi amici.-
-Stronzo! Mi manderanno in bancarotta quelli!-
 
I'm sorry, for breaking your heart
 
-Quindi ce l’hai fatta.-
-Si.-
-Sei patentato.-
-Già.-
-E adesso puoi guidare.-
-Assolutamente.-
-E sei anche in regola.-
-Esatto.-
-Bene.-
-Bene.-
-Meraviglioso.-
-Trafalgar?-
-Cosa?-
-Sali, ti porto a fare un giro.-
 
But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart anymore
 
-Eustass-ya, la macchina non ti bastava?-
-Avanti, non dirmi che questa bellezza non ti piace.-
-Non dico questo, ma… era necessaria una moto così potente?-
-Cazzo, ma che domande fai?-
-Dico solo che uno come te potrebbe rompersi l’osso del collo.-
-Senti, tappati la bocca, ficcati il casco in testa e reggiti forte. Se facciamo tardi dovrò accelerare.-
-Perché ho la sensazione che lo farai comunque?-
 
Hello, how are you?
 
-Ehi, principessa, siamo arrivati. Puoi staccarti adesso.-
-Piantala di fare il coglione.-
-Ma sentilo. Mi hai abbracciato così forte che avrò male alle costole per una settimana!-
 
It's so typical of me to talk about myself


-Eustass-ya, cosa vuoi?-
-Mpf.-
-E’ mezz’ora che sbuffi e che mi ronzi attorno e io non ho tempo da perdere. Perciò dimmi cosa ti serve e poi finiscila.-
-Stavo pensando che sabato potremmo uscire tutti insieme, magari fare un po’ di festa, ecco.-
-La facciamo tutti i fine settimana.-
-Si, beh, stavolta è diverso.-
-Non vedo il perché.-
-Lo sai benissimo, invece.-
-So cosa?-
-Smettila di fare lo stronzo, Trafalgar!-
-Oh, parli del tuo compleanno? Mi dispiace, ma devo studiare per una verifica importante di lunedì.-
-Che cazzo dici? Abbiamo verifiche? E comunque non vorrai dirmi che te ne starai a casa spero!-
-Purtroppo si, quest’anno va così.-
-Fanculo, non puoi dare buca in questa maniera.-
-Veramente io posso fare quello che voglio.-
-Ah si? sai cosa ti dico allora? Farò festa senza di te!-
-Mi si spezza il cuore.-
-Ti odio!-
 
I'm sorry, I hope that you're well
 
-Non verrà nessuno. Hanno tutti dei fottuti impegni.-
-Sicuramente saranno dispiaciuti.-
-Ti rendi conto? Passare il compleanno da solo! Io!-
-Appena finisco di studiare vengo a casa tua e vediamo di fare qualcosa.-
-Sul serio?-
-Ti ho appena detto di si. E cos’hai da ridere adesso?-
-Molli lo studio per me, che carino.-
-Eustass-ya, dì un’altra volta una cosa del genere e giuro che sarai il primo a cui farò un’autopsia.-
-E tu credimi che per te sarò il primo di tante cose, Trafalgar.-
-Me ne vado, mi hai rotto.-
-Adesso arrossisci anche senza l’alcool?-
-Vai al diavolo.-
-A domani sera!-
 
Did you ever make it out of that tow where nothing ever happened?
 
Inizio di chiamata.
-Avanti, rispondi! Rispondi, rispondi, rispondi. Dove sei finito?-
Il numero selezionato non è raggiungibile.
-No, no, no! Merda! Dove sei?-
Inizio di chiamata.
-Forza, rispondi! Accendi quell’affare!-
Il numero selezionato non è raggiungibile.
-Vaffanculo! Law! Dove cazzo sei? Law!-
Inizio di chiamata.
-Rispondi bastardo!-
Il numero selezionato non è raggiungibile.
-Me lo avevi promesso.-
 
It's no secret that the both of us are running out of time
 
* * *
 
Espirò pesantemente, riaprendo gli occhi e scoprendo di essersi appisolato sul divano polveroso con la testa abbandonata sullo schienale. Si sentiva vagamente spossato e senza forze, ma probabilmente era stato a causa del lungo viaggio in aereo. Dopotutto, aveva attraversato mezzo mondo, dato che quando se ne era andato aveva cercato uno dei luoghi più irraggiungibili e lontani. Ad ogni modo si alzò, spolverandosi i vestiti e dandosi una sistemata. Aveva un po’ di lavoro da fare.
Le pareti avevano bisogno di una nuova tinta perché la carta da parati era scrostata in più punti; mentre il pavimento necessitava di una lavata con i fiocchi, se non addirittura di nuove piastrelle.
Ci avrebbe impiegato settimane e ore di lavoro per far tornare quella casa uno splendore, ma non aveva fretta. Ci sarebbe riuscito e poi avrebbe ripreso in mano la sua vita, partendo da zero.
Non sapeva spiegarsi perché sentiva il bisogno di costruirsi un futuro proprio in quella città, esattamente nella casa che aveva abbandonato, ma aveva rimandato per troppo tempo quel desiderio che gli premeva sul petto, perciò aveva deciso semplicemente di buttarsi e basta.
Finì di fare il giro delle stanze, appuntandosi mentalmente tutti i lavoracci che aveva da fare, per concludere in giardino, dove le erbacce avevano formato una cazzo di foresta. Gli alberi che erano stati piantati quando era piccolo erano cresciuti e diventati enormi, una pianta rampicante aveva occupato mezza facciata sul retro e attorno alla sua proprietà c’era una siepe alta e verdeggiante che non ricordava di avere mai avuto.
Kidd corrucciò la fronte, avvicinandosi alle foglie verdi e sfiorandole con le dita, pensando se, per caso e a sua insaputa, i suoi genitori non avessero piantato quella roba prima di… insomma, prima.
Fu quando alzò la testa che comprese il perché di quella pianta.
Era finito sul lato dove era situata la casa della famiglia Donquixote, la quale si intravvedeva ugualmente tanto era grande.
La sua espressione si indurì e non ci mise molto a voltare le spalle al vicinato e rientrare in casa dove si sentiva al sicuro da ogni cosa, da ogni giudizio. Probabilmente Doflamingo e Vergo avevano pensato di piazzarla lungo tutto il loro perimetro, e anche il suo senza chiedere il permesso, per tenere fuori ogni genere di ricordo, o per tenere dentro i loro marmocchi, chi lo sapeva. La cosa certa era che a Kidd quella siepe faceva proprio schifo e, se quella posizionata sul lato che confinava con il suo giardino non poteva toglierla, avrebbe sicuramente pensato ad estirpare tutto il resto che circondava e oscurava la sua casa.
E sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto, dannazione.
 
* * *
 
Hello from the other side
 
Law aveva preso ad uscire di casa solo per frequentare i corsi universitari e per non ritrovarsi troppo indietro quando avrebbe dovuto sostenere gli esami che gli avrebbero permesso, un giorno, di laurearsi e trovare un lavoro onesto e che gli avrebbe dato soddisfazioni e una buona stabilità economica, anche se era di quella mentale ed emotiva che il ragazzo necessitava in quel periodo.
Da un paio di mesi a quella parte aveva preso a rintanarsi in camera sua, all’ultimo piano, con il riscaldamento al massimo, il soffitto con i travi in legno chiari e scuri che lo tranquillizzavano, dando all’ambiente un aspetto vivo e naturale che lo faceva sentire a suo agio, sepolto sotto una coperta calda e con i libri di medicina piazzati in una precaria pila sul materasso.
Passava in quel modo le sue giornate, studiando, mangiando e dormendo quando gli incubi e i pensieri che gli affollavano la mente si acquietavano.
Non guardava mai fuori dalla finestra, si accontentava di osservare di tanto in tanto i fiocchi di neve cadere lentamente, quasi danzando nell’aria, ma non si azzardava a scendere dal letto per coprire la breve distanza che lo separava con l’esterno, non dopo che, per sbaglio e inaspettatamente come un fulmine a ciel sereno, lo sguardo di Kidd e il suo si erano incrociati un giorno in cui lui si era perso a spiarlo dal soggiorno.
Entrambi avevano immediatamente voltato le spalle, uno rientrando in casa e l’altro scomparendo in camera sua, sbattendo la porta e appoggiandosi contro la parete con una mano sul petto per calmare i battiti e cercare di riprendere fiato.
Non voleva sentirsi ancora in quel modo, come se stesse per spezzarsi di nuovo da un momento all’altro come era successo quasi tre anni, prima perché dal baratro in cui era caduto ne era uscito con fatica e pagando un caro prezzo.
Quando Kidd se ne era andato senza una parola, senza un saluto e senza uno sguardo, lasciandogli solo il ricordo di una squallida scopata e la sensazione di essere stato usato e gettato via come una pezza, Law aveva avuto un paio di seri problemi: prima aveva smesso di mangiare, andando avanti con acqua e qualche yogurt, poi, come ciliegina sulla torta per i suoi preoccupati famigliari, aveva scoperto l’immenso mondo della depressione, dove nessun motivo era buono per continuare a lottare e il disprezzo per se stesso il suo nuovo migliore amico.
Se ne era uscito era stato solo grazie all’affetto dei suoi papà, dei numerosi fratelli, zii, parenti, e in particolare modo lo aveva fatto per Cora-san, l’uomo che, stanco di vederlo ridotto in quel modo, lo aveva scosso semplicemente imitandolo, smettendo anche lui di mangiare, perdendo peso, svenendo a lavoro e finendo al pronto soccorso, spaventando Law talmente tanto da fargli capire cosa stava facendo passare alla sua famiglia e come loro si sentissero male a vederlo patire tutta quella sofferenza.
Si era ripreso, rimesso in forze, aveva concluso il liceo, riallacciato i rapporti con i compagni di classe e con qualche vecchia conoscenza, si era iscritto all’università di medicina e aveva viaggiato tantissimo durante i tre mesi di vacanza, visitando quanti più posti era riuscito in compagnia di Rocinante, il quale era stato felice di aver riportato alla ragione il ragazzo per il quale nutriva un profondo affetto anche se, senza farglielo notare, qualche cambiamento in Law c’era stato.
Ad ogni modo, era andato avanti e aveva trovato un modo bizzarro, ma per lui efficace, di lenire in parte la mancanza di Kidd.
Gli spediva delle cartoline.
 
I must've called a thousand times to tell you
 
Tante, tantissime, volumi e volumi di cartoline da ogni città, paesino, luogo o stato che visitava. Riempiva ogni spazio vuoto, indirizzandole tutte al numero civico dopo del suo, accennandogli appena della vacanza e facendogli domande su dove fosse, come stesse, se fosse felice o se si sentisse solo, se lo odiasse o se gli mancasse. A volte lo insultava, lo accusava di averlo abbandonato, ma nelle lettere successive tornava a parlare d’altro, senza rancore. Nelle giornate buone riusciva ad essere persino sarcastico o saccente, ma capitava di rado.
Da quando il rosso era tornato, invece, non gli aveva più spedito nulla. Un po’ perché non si era mosso da casa, un po’ perché sapeva che se le avesse spedite in quel momento Kidd le avrebbe sicuramente ricevute.
E lui, ad essere sincero, non voleva che sapesse quanto ci era rimasto male, quanto lui gli facesse ancora male, perché significava ammettere a se stesso che non aveva superato lo scoglio della lontananza, che quella ferita era ancora aperta e che tutte le balle che si era raccontato per convincersi che era forte e che aveva superato quella rottura, erano state solo ed unicamente balle.
Non sapeva se le altre gli erano state recapitate, e non ci teneva nemmeno a scoprirlo perché si vergognava come un ladro. Quando le aveva spedite lo aveva fatto con leggerezza, tanto Kidd se ne era andato e nessuno avrebbe potuto leggerle, ma le cose erano cambiate e quelle cartoline potevano essere dentro la cassetta delle lettere o all’ufficio postale dove, prima o poi, sarebbero state ritirate dal destinatario in persona.
In ogni caso, non lo riguardava.
 
I'm sorry, for everything that I've done
 
Aveva perso il conto di quante gliene aveva mandate e non ricordava nemmeno bene i particolari di quello che ci aveva scritto a quel tempo, quando si sentiva svuotato e senza più alcuna certezza.
Sapeva solo che non gli aveva mai spiegato perché, quel maledetto giorno, non gli fosse stato accanto. Ne era sicuro perché, a parer suo, certe cose avrebbe potuto solo spiegargliele a voce, parlandogli faccia a faccia, come aveva sperato di poter fare quando Kidd se ne era andato, lasciandolo solo e nudo come un verme sul pavimento. Aveva creduto che sarebbe tornato, prima o poi, ma i giorni erano diventati settimane; le settimane mesi e i mesi si erano trasformati lentamente in lunghi anni. Alla fine ci aveva rinunciato più per disperazione che per resa, ma il tarlo di quel chiarimento testa a testa gli era rimasto in mente, intrattenendolo più volte a fantasticare su come avrebbe potuto essere e come sarebbe andata a finire se avessero avuto l’opportunità anche solo di urlarsi contro.
E perché non farlo in quel momento? Perché non scendere, attraversare il giardino e andare a suonare a quella porta, o addirittura entrare senza il permesso e obbligare Kidd ad ascoltarlo? Dopotutto, il rosso gli aveva impedito in tutti i modi di spiegarsi, lo aveva escluso dalla sua vita senza battere ciglio e senza ripensamenti, non rispondendo mai nemmeno una volta alle sue chiamate, o a quelle dei suoi vecchi amici, cambiando numero e rendendosi irraggiungibile. Aveva tutto il diritto di andare li e vomitargli addosso tutto il rancore, la rabbia e il male che aveva patito.
 
But when I call you never seem to be home

Si era ritrovato nel giardino di casa sua senza nemmeno rendersene conto, non ricordando bene il momento in cui aveva mollato sul letto libri e matite per mettersi le scarpe, volando poi giù dalle scale, spintonando Baby addosso alla parete per farsi largo e uscendo sul retro, dove aveva socchiuso gli occhi a causa della distesa bianca e accecante di neve che aveva attecchito al terreno e che continuava a scendere indisturbata.
Uno spettacolo che non vedeva da tanto e, se non avesse avuto altri problemi per la testa, si sarebbe preso volentieri una pausa dallo studio e avrebbe portato Cora-san a fare una passeggiata, sapendo quanto l’uomo adorasse la neve e quanto smaniava tutti gli anni che arrivava l’inverno per andare in montagna a sciare e a congelarsi.
Non era quello il caso, però, e una folata di vento gelido glielo ricordò, facendolo rabbrividire e dandogli la carica per deglutire, fissare la siepe che delimitava il grande giardino dalla quale si intravvedeva a fatica un cancelletto in ferro battuto che dava sulla proprietà del suo ritrovato vicino.
Nella sua testa passavano a raffica tutti i più vividi e accesi improperi, accompagnati da immagini di mani alzate, pugni e persino bisturi usati come arma per enfatizzare la sua collera, e poteva dire grazie alla sua immaginazione per la carica che gli aveva dato, giusto quella che gli serviva per poggiare le mani sul vetro della finestra della lavanderia e premere di più con il suo peso per aprirla ed entrare, sentendo subito come quell’abitazione fosse ritornata calda.
Non si preoccupò di essere entrato in una proprietà altrui, sapeva che non rischiava nessuna denuncia, al massimo qualche destro in faccia, ma disturbarsi e andare a bussare alla porta d’ingresso non gli era parla l’idea migliore, dato che, sicuramente, il proprietario non lo avrebbe mai e poi mai fatto entrare di sua spontanea volontà, ammesso che fosse stato in casa.
Law si chiese per la prima volta se, per l’appunto, Kidd ci fosse stato o meno, ma si rispose che, in caso di assenza, se ne sarebbe andato senza lasciare traccia del suo passaggio, raccontandosi che ci aveva provato fino in fondo e che, dopo quella volta, non lo avrebbe cercato più, lasciandolo finalmente da parte e dimenticandolo.
Scosse il capo, riportando l’attenzione su altro e sentendosi uno stupido per aver ripreso a prendersi in giro in quel modo.
Osservò la lavanderia, rimasta uguale a come la ricordava, tranne che per un nuovo impianto di riscaldamento e il pavimento lucido, segno che qualcuno aveva fatto le pulizie di fondo. Un cesto per la biancheria era dimenticato da più di qualche giorno accanto alla lavatrice e Law quasi fu tentato di rovistare tra i vestiti solo per scoprire qualcosa sul ragazzo che viveva in quella casa dato che, ne era certo, fosse molto cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto.
Gli piaceva ancora vestirsi di nero? Indossava sempre le mutande portafortuna quando aveva una partita? E i calzini erano sempre accoppiati uno di un colore e l’altro di uno diverso? E lo shampoo che usava per i capelli era rimasto invariato?
A quell’ultima, stupida domanda, Law si rispose gettando un’occhiata furtiva nella doccia, scoprendo che la marca era rimasta la stessa, ma la confezione era diversa. Ad un secondo sguardo al cesto dei panni sporchi, inoltre, notò come i calzini fossero del medesimo colore.
Un po’ ci rimase male perché sperava che Kidd non fosse poi così cambiato, ma era cresciuto anche lui e doveva farsene una ragione.
Con un respiro profondo, aprì un pochino la porta socchiusa, senza fare il minimo rumore, e spiò il corridoio per assicurarsi che nessuno passasse di lì in quel momento, arrischiandosi ad uscire, guardandosi attorno e scoprendo con piacere che quell’angolo della casa era rimasto invariato.
Era caldo e pulito, e i quadri che c’erano quando era piccolo erano tornati appesi alle pareti, nello stesso ordine, come se qualcuno avesse voluto ricreare lo stesso ambiente di proposito.
Si attardò a guardarli, riconoscendo anche vecchie foto dei genitori di Kidd e, con malinconia, ci passò sopra una mano come in una lieve carezza, prima di riprendere il suo tour, quasi certo che in casa non ci fosse nessuno.
Le luci nel soggiorno erano spente, ma da fuori entrava un po’ di luce che dava un effetto grigiastro alla stanza a causa delle nuvole che coprivano il cielo da più di una settimana, ma era sufficiente a permettere a Law di muoversi senza inciampare.
La stanza era sempre grande e spaziosa, ma ugualmente diversa da come se la ricordava.
Il televisore, più grande dell’ultimo, era dalla parte opposta rispetto a quando era piccolo e giocava alla playstation; nessun tavolino occupava lo spazio tra esso e il divano, per la precisione nuovo anche quello, ma era comparso un tappeto abbastanza grande da non rendere l’ambiente spoglio e vuoto. L’arredamento contribuiva a dare a quella stanza un’aria di vitalità e il camino, ciò che aveva sempre preferito, era spento, ma pulito e pronto per essere acceso, ne davano la conferma i grossi ceppi posizionati su una cassetta di legno lì vicino.
Law si avvicinò per passarci sopra le dita, sentendo il marmo liscio e raccogliendo nella sua mente quanti più particolari possibili in modo da dare ai suoi ricordi una nuova sfumatura, quella che avrebbe poi rievocato alla memoria nei giorni a venire.
Non aveva intenzione di ritornare e di lì a poco se ne sarebbe andato, magari dopo aver curiosato in cucina per placare la sua sete di informazioni riguardanti il suo vecchio amico di infanzia. Si chiedeva, infatti, se i muffin facessero ancora parte della sua colazione o no e doveva anche scoprire se il bastardo bevesse caffè, o se gli facesse ancora schifo. Infine, se avrebbe avuto tempo e coraggio, avrebbe fatto una corsa al piano di sopra, perché si, moriva dalla curiosità di sapere come fossero cambiate le camere, per poi andarsene e non tornare mai più.
Guardò le fotografie incorniciate sulla mensola, riconoscendo la signora e il signor Eustass in svariati momenti vissuti in quel quartiere, finendo con l’immagine di Kidd da bambino circondato dai suoi genitori seduto fuori sulla veranda.
Rimase immobile a fissarla, sentendo improvvisamente freddo e ripensando a come erano stati belli quei momenti, quando lui aveva scattato quella foto su richiesta della donna e a quante storie aveva fatto il mostriciattolo che spuntava lì in mezzo, ricordandosi che, subito dopo, i genitori li avevano costretti a farsi una foto loro due assieme, scatto storico che veniva riproposto e piazzato su ogni imbarazzante cartellone che i loro amici creavano ad ogni compleanno e che ritraeva un Law imbronciato e un Kidd sorridente che lo stritolava come se fosse stato un pupazzo.
Non si mosse nemmeno quando la luce del salotto si accese, illuminando le fotografie, il camino e la parete che aveva di fronte, facendo si che si rendesse conto che il colore del muro era cambiato, passando da un semplice bianco a un color panna, impercettibile a luce spenta.
Eppure li aveva sentiti i leggeri passi al piano di sopra, come li aveva avvertiti scendere le scale che poco distavano dalla cucina e dal soggiorno, ma non si era spostato dalla sua posizione, non era corso in lavanderia a nascondersi, non era scappato da quello che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare. Sarebbe stata solo questione di tempo, perciò tanto valeva risolvere il problema una volta per tutte.
In un attimo di debolezza, però, si era domandato cosa gli fosse passato per la testa e perché non se ne era rimasto a casa, al sicuro da tutto dove, forse, sarebbe riuscito, magari col tempo, a riprendere da dove era rimasto un paio di mesi prima.
 
Hello from the outside
 
Ed era strano il modo in cui si sentiva, quasi a disagio fra quelle mura che un tempo conosceva, ma che faticava a riconoscere dopo anni passati a non metterci piede, rivivendole solo nella sua testa. Era diverso quello che provava nel sapere che Kidd stava proprio alle sue spalle, a pochi metri di distanza, e l’effetto che gli facevano un tempo i suoi occhi addosso, in quel momento gli sembrava che gli stessero perforando la schiena.
Non erano più Kidd e Law, o Law e Kidd, ma due sconosciuti e lui, con quelli che non conosceva e che gli stavano sulle scatole, non si comportava in maniera troppo gentile, soprattutto non si faceva vedere debole, mai.
-Non è più usanza bussare alla porta prima di entrare in casa d’altri, Trafalgar?-
Per un solo, minimo e unico istante, Law chiuse gli occhi e sorrise ampiamente e sinceramente divertito nel sentirsi chiamare ancora in quel modo. Gli altri non lo facevano e si rivolgevano a lui chiamandolo per nome o storpiandolo un poco, come faceva il fratellino del suo amico Ace, ma mai usavano il suo cognome come invece aveva sempre fatto Kidd, un po’ per vendicarsi della sua mania di prenderlo in giro, affibbiandogli un nomignolo che non aveva mai abbandonato.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Law per lasciare spazio ad una smorfia di sicurezza, quasi spavalda, che sfoggiò prima di voltarsi tranquillo, con le mani nelle tasche, rilassato come se nulla potesse scalfirlo, e puntando gli occhi chiari e freddi in quelli più scuri e caldi di Kidd.
-Preferisco le entrate ad effetto, Eustass-ya.-
Ed era vero, Law non solo adorava stupire gli altri, ma si divertiva sorprenderli citando vecchie frasi dette in passato da loro stessi e non si era risparmiato nemmeno in quel caso, usando le stesse parole che aveva detto Kidd la prima volta che, a quattordici anni, si era intrufolato in camera sua, entrando dalla finestra dopo essere salito dalla grondaia, svegliandolo e proponendogli di uscire a fare festa con i loro sbandati amici.
E poteva ben vedere che anche il rosso se la ricordava, quella notte, esattamente come lui, e forse fu per quel motivo che seguì un silenzio piuttosto lungo, durante il quale entrambi si presero il loro tempo per studiarsi a vicenda, con Law in piedi, davanti al camino e Kidd appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte e l’espressione corrucciata e attenta.
Quasi tutto in lui era cambiato, notò Law, analizzando velocemente le varie differenze che spiccavano nel corpo del rosso. A parte i capelli e gli occhi, il resto era diverso, soprattutto il fisico. Era diventato, se possibile, ancora più alto, superandolo nettamente in altezza, cosa che lo infastidiva parecchio e che sempre era stata un fastidio per lui; le spalle erano più larghe e ampie, tanto che la maglia che aveva addosso sembrava piccola in confronto, mentre braccia e torso erano più muscolosi. Sicuramente, se Law lo avesse incontrato per strada, lo avrebbe scambiato per un armadio.
Ad ogni modo, si consolava guardando i suoi capelli, sempre rossi, sempre disastrati, sempre gli stessi, forse solo un pochino più lunghi. Guardando con più attenzione, poi, anche nel viso poteva riconoscere bene il vecchio Kidd, quello senza barba perché gli dava fastidio e con poche e chiare sopracciglia. Persino l’aria infastidita lo aiutava a ritrovare sempre più sfaccettature del ragazzino che aveva conosciuto un tempo, anche se i pugni stretti attorno al petto gli facevano intendere che il rosso si stava trattenendo dall’aggredirlo.
Si chiese distrattamente come appariva lui agli occhi del rosso, ma poi decise che si erano guardati abbastanza e che, per quello che valeva, perdersi nei ricordi non poteva di certo servire a sistemare il passato, perciò riordinò le idee, senza scomporsi e senza apparire agitato, anche se dentro di sé era in tumulto, e si preparò ad affrontare l’ultimo scoglio. Almeno, avrebbe potuto dire che ci aveva provato.
 
At least I can say that I've tried to tell you
 
-Sei tornato.- iniziò, partendo dalle cose più semplici e testando in quel modo il terreno per capire quanto Kidd fosse disposto a lasciarlo parlare.
Lo vide scrutarlo serio, quasi come se stesse cercando di capire cosa aveva in mente, ma era sicuro che entrambi conoscessero il motivo di quella visita, anche se ci stavano palesemente girando attorno.
-Già.- si sentì rispondere infine.
-Avrai avuto il tuo bel da fare per rimettere tutto in ordine.-
-Ci è voluto un po’, ma mi sono fatto dare una mano.-
-Killer-ya?- domandò Law di getto, immaginando l’unico essere vivente che avrebbe potuto aiutare Kidd a reintegrarsi. Non sapeva come lo aveva convinto, dato che il biondo ci era rimasto parecchio male quando aveva saputo della sua partenza e Law poteva quasi dire con  certezza che il biondo fosse l’unico che poteva capirlo più degli altri, ma come i due si fossero riappacificati non gli riguardava.
-Si, Killer.-
Il moro annuì, spostando lo sguardo e lasciandolo vagare per la stanza in modo da formulare la prossima frase, quella che avrebbe acceso la miccia e che avrebbe fatto saltare tutto, ma qualcosa che prima gli era sfuggito attirò la sua attenzione, lasciandolo totalmente spaesato.
In un angolo del salone, fungente da porta oggetti, un tavolinetto basso ospitava un paio di scatole aperte e, sparse sulla superficie, delle immagini di paesaggi che lui conosceva bene.
Si avvicinò senza nemmeno curarsi di avere davanti Kidd, il quale non vedeva da anni, preoccupato per la prima volta di aver fatto una grandissima cazzata a spedirle e maledicendosi per non aver agiti come qualsiasi altro essere umano, sfogando le sue paranoie su un diario, o un’agenda, come molti gli avevano consigliato. Si era detto all’epoca che Buffalo o Dellinger avrebbero potuto leggere i suoi pensieri, perciò aveva pensato che spedire cartoline a qualcuno che non le avrebbe lette sarebbe stata la soluzione migliore, invece aveva fatto un bel casino.
Anzi, la colpa era di quel coglione di Kidd che era tornato.
-Sei stato in un sacco di posti.-
Sussultò nel rendersi conto che si era inginocchiato per terra, frugando tra le cartoline, prendendole in mano e leggendone alcuni versi, cambiandole velocemente e scorrendole una ad una. Erano tante, davvero tante e si stupì di essersi spostato in tutti quei luoghi in quei tre anni.
In quel momento, Kidd era proprio dietro di lui, più vicino di quanto si sarebbe aspettato, e lui si sentiva così vulnerabile con tutti i suoi sentimenti tra le mani che non avrebbe opposto resistenza se il rosso avesse deciso, in un impeto di rabbia, di picchiarlo.
Dopotutto, lo avrebbe preferito. Quella sera di tre anni fa avrebbe preferito un pugno in faccia, o qualche costola incrinata, pur di non perdere il suo amico, la sua persona, quella che lo conosceva meglio di tutti e che lo accettava com’era, senza provare a cambiarlo.
E lui doveva dirglielo, doveva fare quello che non gli era stato permesso l’ultima volta, quando Kidd gli aveva tappato la bocca con la sua. Allora aveva accettato e subito, rispettando il suo dolore, mettendosi in secondo piano e ripetendosi che avrebbero parlato dopo, quando tutto si sarebbe calmato e il dolore per la perdita si sarebbe affievolito. Non aveva di certo immaginato che non avrebbe più rivisto il rosso e che quelle cose non dette si sarebbero ingrandite fino a diventare il peso sul petto e il rimpianto di entrambi.
-E tu dove sei stato?- chiese, mantenendo a stento un tono abbastanza pacato e comprensibile, ma più basso e meno fiero, anche se sfacciato. Non era quella la domanda, o la frase che aveva pensato di dire, ma gli era uscita spontanea, come gli era venuto naturale sfidare Kidd a rispondere, curioso di vedere se avesse avuto abbastanza coraggio da affrontarlo come aveva deciso di fare lui.
Seguì un silenzio ancora più pesante del primo, ma molto breve. Non passò molto prima che il rosso parlasse, riuscendo a tenere testa alla sua provocazione con una frecciatina altrettanto sfrontata.
-Il più lontano possibile.-
Law si ritrovò a fronteggiare Kidd nel giro di qualche secondo, scattando in piedi e voltandosi ad affrontarlo, incurante della differenza di altezza e alzando il capo con aria truce, mentre il rosso lo guardava dall’alto, un po’ curvo verso di lui e con le braccia tese lungo i fianchi, come se avesse dovuto aggredirlo da un momento all’altro.
-L’ho notato.- disse velenoso Law, sentendo nascere dentro di sé la rabbia che aveva covato dentro per troppo tempo. -E dimmi, scappando in un altro continente i tuoi problemi si sono risolti?-
Le sopracciglia di Kidd si aggrottarono e l’espressione si fece furibonda. -Io non sono scappato!-
-Oh, certo che no.- fece uno strafottente Law, -Mollare tutto e scomparire non vuol dire scappare, giusto?-
La mano destra del rosso si chiuse a pugno, segno che stava cercando in tutti i modi di trattenersi. Aveva sempre fatto quel gesto e Law era quasi sicuro che stesse anche contando fino a dieci, come gli aveva consigliato lui una volta, quando era stato chiaro a tutti che Kidd non era in grado di controllare bene la sua rabbia e il suo innato istinto omicida. Un altro aspetto che non era cambiato.
-Non devo rendere conto a nessuno, tantomeno a te!- gli rispose il rosso con sarcasmo.
-Non si tratta di me, razza di idiota, qui c’è un sacco di gente di cui devi tenere conto, o ti è bastato volare dall’altra parte del mondo per dimenticarti di Ace, Rufy e tutti gli altri?- sbottò Law, aggiungendo al suo rancore quello dei suoi amici con cui era cresciuto anche Kidd, per quanto facesse finta di nulla.
-Se ne saranno fatti una ragione. La vita va avanti.- commentò con un’alzata di spalle l’accusato e Law arrivò al punto di perdere le staffe. Possibile che non capisse il dolore che aveva causato a tutti quel suo gesto disperato e improvvisato?
-No, non l’hanno fatto!- quasi urlò il più giovane, stupendosi tanto quanto Kidd di aver alzato la voce, cosa che non era mai stata da lui fare. -Non si sono buttati tutto alle spalle.- aggiunse poi con più calma.
-Beh, avrebbero dovuto.-
Ma non si stava parlando di altri, si stava parlando di Kidd e Law. Uno era andato avanti, l’altro invece no.
-Non sono tutti come te.- fece acidamente il moro, scoccando un’occhiataccia gelida al diretto interessato.
-Non accetterò la predica da uno che volta le spalle agli amici nel momento del bisogno!- sentenziò il rosso, imprimendo in ogni parola tutto quello che provava e ferendo Law più di quanto avesse mai fatto la sua lontananza in quegli anni.
 
* * *
 
I'm sorry, for breaking your heart
 
Lui non era scappato, non era stato un codardo, aveva solo preso la strada che gli era sembrata più facile e meno dolorosa, andandosene e lasciandosi tutto alle spalle per cominciare una nuova vita da un’altra parte. Aveva dovuto affrontare altri tipi di preoccupazioni, tipo iscriversi ad una scuola serale per concludere il liceo e diplomarsi, trovare un appartamento in affitto e un lavoro che rendesse abbastanza, ma alla fine ce l’aveva fatta e si era ricostruito, piano, piano, una vita stabile. Aveva fatto nuove amicizie, anche se le persone che aveva apprezzato davvero dove aveva vissuto si contavano sulle dita di una mano, come Heat, Wire e quella scalmanata di Bonney, ma per il resto potevano tutti andare a quel paese. Aveva persino avuto un paio di relazioni, il sesso non gli era mancato, si era goduto i suoi anni da ventenne come qualsiasi altro giovane della sua età.
Guardando bene dentro agli occhi di Trafalgar, però, aveva avuto la certezza che quegli ultimi anni erano stati solo bugie che si era raccontato per andare avanti. Aveva avuto i suoi dubbi, ma non aveva mai voluto affrontarli e accettarli per paura di ammettere di avere, in parte, le sue colpe.
Andandosene, non aveva riavuto indietro i suoi genitori, loro erano rimasti sotto terra, al cimitero; i suoi vecchi amici li aveva persi tutti e se aveva riallacciato i contatti con Killer era stato solo perché si era presentato sotto casa sua tutti i giorni, aspettando che quello lo facesse entrare per ascoltarlo.
E non era ciò che aveva fatto Trafalgar?
Anche se aveva saltato la parte di bussare alla sua porta ed era andato subito al dunque, piazzandosi sotto al suo naso, era la stessa identica cosa. E chi lo poteva sapere, magari lo avrebbe fatto entrare se avesse scelto di passare dall’ingresso.
Ma quel moccioso era fatto alla sua maniera, ed era per quel motivo che Kidd lo aveva sempre apprezzato, tenendolo sempre in considerazione e vedendolo crescere assieme a lui, arrabbiandosi quando si rendeva conto che era persino migliore di lui, ma sentendosi segretamente soddisfatto quando lo preferiva agli altri ragazzi più intelligenti e altolocati. Erano sempre e solo stati loro due, insieme, giorno dopo giorno, anno dopo anno, e aveva creduto che non sarebbero mai cambiato.
Poi il suo mondo era andato in pezzi, Trafalgar lo aveva tradito e lui si era ritrovato da solo, senza sapere dove andare per sbattere la testa.
Si era chiesto tante volte perché fosse andata a finire in quel modo, ma anche leggendo e divorando quelle infinite cartoline, che per la precisione non si era aspettato di ricevere e di ritirare all’ufficio postale, ma che lo avevano toccato nel profondo, anche se si rifiutava di ammetterlo, non aveva trovato risposta.
E, proprio quando avrebbe potuto averla, si rifiutava di ascoltarla.
Voleva che Trafalgar se ne andasse, non voleva starlo a sentire e non lo voleva più vedere. Non gli importava più sapere cosa diavolo stesse facendo quel giorno, con chi fosse o per quale ragione lo avesse abbandonato, non gli interessava e sperava di non ricevere una risposta che gli avrebbe fatto aprire gli occhi e rendere conto che aveva sbagliato tutto.
Perché in cuor suo sapeva che Law aveva un motivo, lo aveva sempre saputo, solo che aveva preferito scappare, piuttosto che ammettere di aver avuto torto. Era stato più facile.
 
But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart anymore
 
-Non poi pensarlo davvero.- mormorò Law, gli occhi sgranati e increduli. -Dopo tutto quello che abbiamo passato, non puoi…-
-Passato cosa, Trafalgar? Eravamo dei mocciosi che facevano cose da mocciosi.-
-Non era solo questo, lo sai!- ribatté serio il moro. La cosa stava andando più sul personale di quanto avesse mai immaginato e quel bastardo non poteva liquidare tutto in quella maniera. Per quanto poco avvezzi alla dolcezza fossero stati, non potevano negare di essere stati amici e se lo ammetteva lui, poteva farlo anche Eustass-ya.
-Ma lo è diventato quando hai deciso di infrangere la nostra promessa!- lo aggredì il rosso, facendo cozzare i pugni che aveva stretto tutto quel tempo contro il muro e facendo vibrare la parete, intrappolando l’altro ragazzo e togliendogli ogni via di uscita. Era stato bravo, se non si fosse controllato avrebbe potuto indirizzarlo alla testa di Trafalgar.
-Piantala con le stronzate, Kidd!-
La risposta di Law, però, in confronto avrebbe potuto far crollare i muri della casa stessa.
Non lo chiamava mai per nome, usava sempre e solo quello stupido nomignolo che non era mai riuscito a fargli dimenticare. Se l’era sempre chiesto, Kidd, come sarebbe stato sentire Law pronunciare il suo nome, solo che aveva sperato che la situazione fosse diversa, con tutto il tempo disponibile per guardare le sue labbra pronunciarlo e sentirsi andare a fuoco incrociando il suo sguardo.
Invece si stavano urlando dietro, arrabbiati l’uno con l’altro, dimentichi di un rapporto che, forse, non avrebbero più ricostruito.
-Lo sai dov’ero quel giorno?-
La voce di Trafalgar arrivò alle sue orecchie in un sussurro, mentre attorno a loro c’era silenzio, spezzato solamente dai loro respiri e dal martellare incessante dei loro cuori nelle casse toraciche.
Voleva dirgli di stare zitto, di fermarsi, di non osare aprire bocca, ma era bloccato da quello sguardo limpido e disperato, l’esatto riflesso del suo in quell’istante in cui tutto stava per spezzarsi irrimediabilmente.
-Lo sai cosa stavo facendo?-
No, no, non lo sapeva, non ne aveva la minima idea. Si ricordava solo che un attimo prima stava guardando l’orologio per sapere quanto mancasse all’ora in cui lo avrebbe visto entrare in casa sua per festeggiare con lui il suo compleanno, immaginandosi di fregarsene di tutto e di trovare il coraggio per baciare quell’impiastro che era diventato una costante della sua vita, mentre l’attimo dopo lo aveva chiamato la polizia, ordinandogli di andare all’ospedale perché i suoi genitori erano lì.
Già morti.
E ricordava perfettamente il vuoto, l’angoscia, l’ansia, il blackout della sua mente quando lo aveva chiamato ripetutamente, ma senza successo. Aveva avuto un bisogno disperato di lui, sella sua razionalità, delle parole che sapeva lo avrebbero aiutato ad elaborare il lutto, salvandolo da quell’abisso di dolore che gli aveva attanagliato lo stomaco e le viscere. Lo aveva cercato perché si fidava e perché Trafalgar sarebbe stato l’unico a poterlo aiutare.
Invece lui non c’era stato. Non lo aveva aiutato.
E Kidd aveva perso tutte le sue certezze in un istante.
Vide Trafalgar accennare un debole sorriso, abbassando il capo, quasi come se si vergognasse di dirglielo, di spiegargli perché aveva compiuto una mancanza tanto grave nei suoi confronti.
Ancora continuava a sperare di non sentire nulla, di essere sordo a quelle spiegazioni rimaste in sospeso per tre anni. Temeva di comprendere che c’era stato un malinteso, che la sua era stata una decisione troppo affrettata e drastica e che, a causa sua, avessero perso tanto di quel tempo da non riuscire più a recuperarlo.
Perciò pregò qualsiasi entità che Law stesse zitto, che non dicesse niente, che lo guardasse con disprezzo e che se ne andasse, imitandolo.
Ma non accadde.
-C’era una festa a sorpresa per il tuo compleanno.- disse il moro, scandendo piano le parole, -Eravamo tutti al Baratie. Non dovevi saperlo fino all’ultimo momento. Era una sorpresa.- fece una pausa, drizzando le spalle e puntando gli occhi nei suoi. -Per quello che può valere adesso, quel giorno volevo… io volevo dirti che…-
 
Anymore
 
Una sorpresa. Gli avevano dato tutti buca per fargli una sorpresa, solo per lui, solo perché fosse felice e si sentisse voluto bene. Ecco perché Killer non era andato a trovarlo quel giorno, infatti la storia di quella vecchiaccia di sua nonna gli era sembrata un po’ troppo esagerata; ecco perché pure Ace aveva trovato il modo di evitarlo, imitato dal resto della loro compagnia; ed ecco per quale ragione Law si era inventato una verifica che non esisteva, non era stata una sua svista che non aveva scritto nel diario scolastico.
Gli avevano organizzato una festa per il suo compleanno e lui li aveva ringraziati voltando loro le spalle, voltandole soprattutto a Trafalgar.
Gli era sembrato giusto in quel momento, la cosa migliore da fare, il modo perfetto di vendicarsi. Ma era stato bello? Gli era piaciuto spezzargli il cuore per punirlo? Effettivamente, col senno di poi, si era sentito uno schifo per molto tempo, ripensando a come lo aveva lasciato: praticamente privato di tutto l’affetto, quasi violentato e umiliato sul pavimento. Per anni, crescendoci assieme, si era immaginato qualcosa di diverso da quella disperata prima volta. Aveva sempre immaginato di portarlo al limite, facendolo arrabbiare come accadeva di rado, poi Law avrebbe iniziato a sfotterlo, mettendogli i bastoni tra le ruote e prendendosi gioco di lui per ricordargli quanto era sciocco in confronto, allora avrebbe perso le staffe e lo avrebbe baciato fino a soffocarlo.
Invece era stato tutto troppo veloce e troppo drastico.
E che cosa voleva dirgli quel giorno? Cosa aveva di così importante da fargli sapere, tanto da dover spegnere il telefono e risultare irraggiungibile? Cosa lo aveva tenuto così lontano? Cos’era che ancora, in tutti quegli anni di amicizia, non era stato detto tra loro?
-Che cosa?- gli chiese allora Kidd, gli occhi fissi in quelli grigi di Trafalgar in una muta supplica di dirgli tutto, anche se si era sempre rifiutato di ascoltarlo in quegli anni.
Lo vide tentennare e voltarsi verso il tavolino basso, lasciando cadere un paio di cartoline, forse tre, che aveva tenuto e stropicciato nelle mani.
-E’ scritto in una di quelle.- gli rispose, il coraggio di prima ormai scomparso e nello sguardo solo dolore mal celato e rimpianto, indietreggiando per aggirarlo e dirigendosi lentamente verso la porta d’ingresso e non la finestra della lavanderia.
Si fermò un attimo sull’uscio prima di gettargli un’ultima occhiata spenta, vuota, senza più nulla da trasmettere se non scuse non dette.
Kidd si aspettò di sentirsi dire un sacco di cose, come, ad esempio, ‘leggile’, oppure ‘fammi sapere’ o ‘fatti vivo quando la trovi’, ma niente. Law uscì da casa sua chiudendo la porta, e fu come se fosse uscito per la seconda volta dalla sua vita, lasciandolo da solo, nel suo salotto, al freddo e con numerose cartoline sotto agli occhi che raccontavano di emozioni, sentimenti, e cuori infranti, dandogli la vaga sensazione che, tempo fa, lui avesse lasciato Trafalgar in quelle stesse condizioni.
 
* * *
 
Hello from the other side
 
Baby sbatté le palpebre un paio di volte prima di essere certa di non stare avendo le allucinazioni.
Poco prima stava gingillandosi in giardino, quando un rumore strano aveva attirato la sua attenzione, facendola incuriosire non appena si era resa conto che quello che pareva essere un motore scarburato proveniva proprio dall’abitazione di quel vicino di casa.
Così era scesa dalla veranda e si era avvicinata all’enorme muro di siepe, scostando qualche ramo e dando una veloce occhiata sul campo dall’altro lato, restando di stucco.
-Ehi, Baby, che fai?- le domandò la voce incuriosita di Buffalo, suo fratello, appena uscito.  -Il gatto è scappato ancora?-
A parte il fatto che il loro ultimo gatto era morto due mesi prima per colpa di ignoti, anche se lei un’idea su chi fosse stato il colpevole dell’avvelenamento ce l’aveva, scosse la testa e gli fece cenno di raggiungerla, voltandosi a guardarlo con le sopracciglia corrucciate e l’aria di chi ha appena visto un fantasma.
-C’é Kidd.- mormorò, scuotendo il capo da quanto le sembrava assurdo persino dirlo. -E sta guidando un trattorino.-
Buffalo la fissò domandandosi se fosse diventata matta, poi la fece spostare e diede una sbirciata pure lui, lasciando immediatamente le foglie coprire la sua visuale e facendo un paio di passi indietro.
-C’è Kidd su un trattorino.- ripeté allibito.
-E’ quello che ho detto!- sbottò la corvina, oltrepassandolo e correndo in casa ad avvisare uno degli zii, tutti tranne Corazòn, ovviamente, il quale non era mai tanto gentile con loro.
Non sapeva se, a loro insaputa, i Signori Donquixote avessero accordato il permesso a quel piantagrane di abbattere la siepe che con tanta dedizione avevano fatto crescere alta e rigogliosa, ma era meglio non correre il rischio di riservare a Doffy e Vergo la sorpresa, nel caso non ne fossero stati a conoscenza.
 
I must've called a thousand times to tell you
 
Mancava ancora qualche giorno a natale, ma in casa già si respirava quell’atmosfera natalizia che tutti tanto amavano, ma che a lui, in certi casi, faceva venire il voltastomaco.
Il suo disgusto si impossessava di lui quando aveva dello studio arretrato, quasi mai; quando per troppi giorni di fila c’era del panettone a colazione, ovvero a volte, perché alla maggior parte degli abitanti di quella casa faceva schifo il panettone; quando compravano troppo pane, mai di rado; e quando i suoi parenti decidevano di abbandonare la ragione per la stupidità, cioè sempre.
I cappellini rossi e bianchi che Baby imponeva a tutti, tranne a lui, poteva sopportarli; i dolci di Buffalo che facevano odorare la cucina di pan di spagna e marmellata per ore, passabili; le canzoncine che Dellinger continuava a mettere allo stereo, poteva sopportarle; Doffy con la sua giacca piumata rossa e Vergo, papà Vergo, con la cravatta con gli alberi di natale, li evitava, ma andavano bene.
Quello che non poteva sopportare era Rocinante, Corazòn, Cora-san, che dispensava amore a destra e a manca. Quello non riusciva a mandarlo giù, non in quel periodo, non quando il mondo gli stava lentamente crollando addosso.
-Ehi, ragazzino.- lo salutò suo zio, trovandolo accoccolato sulla cassapanca posta davanti ad una delle due grandi finestre del salotto, il posto preferito di Law, quello dove si fermava sempre a riflettere, guardando fuori, incurante della stagione.
Law si strinse nella coperta blu di lana, restando immobile con la fronte contro il vetro, fuori congelato, e la testa altrove, lasciando vagare lo sguardo sul prato laterale della casa di Kidd, privo di quella siepe che per quei tre anni lo aveva salvato in parte dai ricordi. Aveva dimenticato che l’albero al quale era stato legato era così grosso e maestoso.
-Law?-
Il moro sbatté le palpebre, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso tirato che non raggiunse gli occhi, salutando Rocinante.
-Come stai?-
Law evitò lo sguardo dello zio di proposito, dando una risposta vaga che avrebbe accontentato tutti, lui per primo. -Bene.-
Una mano andò ad afferrargli gentilmente il mento, obbligandolo ad incontrare i grandi occhi di Corazòn che gli diedero il colpo di grazia. Per fortuna, l’uomo aveva avuto l’accortezza di chiudersi a chiave nel salone, in modo da evitare che qualcuno passasse di lì proprio in quel momento. Law aveva bisogno di sfogarsi e, se non gliene dava l’opportunità, si sarebbe lasciato logorare dal dolore, dal rimorso e dai sensi di colpa che ingiustamente si era fatto in quegli anni.
-Cora-san.- sussurrò il ragazzo, con la voce incrinata e gli occhi lucidi. Lui non piangeva mai, non gli piaceva e lo faceva sentire debole, ma Rocinante era la sua roccia, lo era sempre stato fin da quando i suoi papà lo avevano adottato e sapeva che con lui poteva permettersi quella debolezza.
-Oh, figliolo. Va tutto bene.- mormorò Corazòn, abbracciandolo e lasciando che Law affondasse la testa nella sua giacca, uguale a quella del fratello Doflamingo, come faceva anche da piccolo, cullandolo dolcemente.
-Passerà, vedrai.- tentò di consolarlo.
-Sono passati tre anni!- singhiozzò Law, stringendosi a lui. -Tre anni e mi odia più di prima!-
-Sai che non è così.-
-Si invece. Credevo di no, ma sono stanco di illudermi. E’ finita e basta.-
Rocinante sospirò. Anche se non lo dava a vedere, anche se il suo figlioccio dimostrava a tutti di stare bene, di essere forte e di sapersela cavare in ogni situazione, lui sapeva che, in fondo, dentro di sé, Law non aveva mai smesso di soffrire.
-Mi dispiace, figliolo.-
 
I'm sorry, for everything that I've done
 
La vigilia era arrivata in fretta, troppo forse, ma non era un problema, anzi. Almeno il giorno dopo sarebbe stato natale e poi tutti avrebbero smesso di essere tanto dolci, affettuosi e diabetici.
Lo sfogo con Cora-san lo aveva fatto sentire meglio e lo aveva svuotato di ogni emozione, perciò era pronto ad affrontare il cenone con un’aria contenuta, severa, impassibile e vagamente omicida, come piaceva a lui. Quell’anno non era in vena di festeggiamenti e non aveva voluto saperne di uscire con la compagnia come da tradizione, ovvero vigilia con gli amici e natale in famiglia. Aveva preferito restarsene a casa a sorbirsi le storie della gioventù ormai perduta di zia Jora e dei monologhi di zio Diamante. Poi avrebbe osservato zio Trébol dare fuoco alla tovaglia nel tentativo di accendere le candele che durante l’anno produceva e avrebbe silenziosamente esultato quando zio Pica, prevedibilmente, avrebbe preso a ceffoni quel moccioso di Dellinger che, puntualmente, lo avrebbe sfottuto per il tono di voce. Alla fine, dopo aver preso una fetta di dolce, se ne sarebbe andato a letto prima della mezzanotte, aspettando segretamente che Corazòn passasse casualmente per il corridoio con la scusa di andare in bagno per abbracciarlo forte e fargli gli auguri, tornandosene a letto e raggomitolandosi sotto le coperte dopo, pregando che quel periodo passasse presto.
Non aveva voglia di rimanere a festeggiare, quindi aveva organizzato la serata in modo da sopportare la compagnia altrui il meno possibile e stava giusto attendendo in salotto, con una vecchia copia di Notre-Dame de Paris di Hugo, che lo chiamassero per la cena, quando il campanello di casa suonò.
Alzò la testa dal libro che stava leggendo per svago, una prima edizione che Doffy gli aveva regalato qualche natale prima, osservando il corridoio d’ingresso dal quale intravvedeva la porta e aspettandosi di vedere sbucare qualcuno che andasse ad aprire, ma ciò non accadde.
-Hanno suonato!- strillò Diamante dal piano di sopra, sicuramente con la piastra per i capelli in mano.
-Andate a vedere chi è!- sbottò in risposta Buffalo dalla cucina.
-Non stavamo aspettando nessuno.- si accigliò Baby, scendendo a rotta di collo le scale con i capelli che rimbalzavano sulla schiena, ma ormai Law aveva raggiunto la porta per primo e, sorridendole complice, girò la chiave nella toppa, apprestandosi ad aprire.
-Sarà qualche stupido coro natalizio.- le sibilò complice, dandole ad intendere che avrebbe sbattuto la porta in faccia a chiunque. Ogni anno capitava che qualche branco di mocciosetti girasse per le strade porta a porta a diffondere stonate canzoncine sulla nascita del redentore, su stelle comete, pastorelli e regali. Quando capitava, non negava di divertirsi a fissarli glaciale per farli demordere dal loro intento di chiedere qualche spicciolo. O ci pensava lui, o sganciava Corazòn che, con i bambini, non ci sapeva proprio fare, anzi, li odiava.
Baby per poco non si strozzò quando intravide la chioma fulva sostare sull’uscio e si dileguò ancora prima di vedere in faccia niente meno che l’espressione arcigna e scocciata di Eustass Kidd che, infagottato a causa del freddo, batteva i denti davanti casa loro.
Law rimase di ghiaccio, e non solo perché il pianerottolo era ricoperto di neve e lui era uscito senza una giacca.
-Disturbo?- borbottò il rosso, spezzando per primo il silenzio che si era venuto a creare e guardandolo di traverso, poco entusiasta del fatto che non si fosse messo qualcosa di più pesante addosso, non che gliene importasse, anche se il moro scambiò quello sguardo per puro malumore. Dopotutto, era una cosa più da Kidd, essere scontroso e non preoccuparsi per gli altri.
Automaticamente, Law fece cenno di no con la testa, non sapendo cos’altro aspettarsi. Il fatto che Eustass avesse bussato alla sua porta, rischiando che ad aprire fosse stato qualsiasi altro membro della famiglia era già di per sé assurdo e, se doveva essere sincero, non sapeva proprio cosa pensare.
-Ceni da me questa sera.- sbottò allora Kidd, dopo aver cincischiato un po’, ancora combattuto e indeciso sull’idea suicida che gli era venuta. -Ti aspetto tra dieci minuti.- tagliò corto in fine, e non era una domanda.
Poi gli voltò le spalle e se ne andò, lasciando a Law il tempo di assimilare la cosa, facendogli venire, per la prima volta in vita sua, un attacco di panico.
 
But when I call you never seem to be home
 
* * *
 
Cinque dei dieci minuti che Kidd gli aveva dato per prepararsi psicologicamente prima di andare da lui, Law li passò sull’uscio a fissare il vuoto davanti a sé, incurante del vento freddo che faceva cadere la neve in grossi fiocchi sul terreno, ricoprendo la strada deserta del quartiere illuminato da lucette di mille colori diversi, facendo sembrare le case delle slot machine enormi.
Quando si riscosse, si fiondò dentro casa, sbattendo la porta e non scontrandosi per un soffio con Baby, la quale lo aveva aspettato nascosta dietro il muro che faceva angolo con lo sgabuzzino, decidendosi a sbucare fuori all’improvviso quando aveva sentito la porta richiudersi.
Si ritrovò aggrappata alle braccia del fratello acquisito, mentre lui la sosteneva per le spalle per non farla cadere, gli occhi scuri puntati in quelli chiari di lui.
-Va…- provò a dire. -Va tutto bene?- soffiò a bassa voce, non certa che gli sarebbe piaciuto che gli altri conoscessero i suoi piani per la nottata.
Lo vide tentennare prima che riacquistasse la solita indifferenza, scostandola con distaccata gentilezza da sé per andarsi a mettere un maglione in più, visto e considerato che l’ultima volta che aveva passato la notte a casa di Kidd era quasi morto congelato.
-Benissimo.- rispose, scomparendo al piano di sopra, facendo le scale due a due con in faccia l’espressione più atterrita di sempre. Arrivò addirittura a darsi dell’idiota, chiedendosi che cazzo gli era saltato in mente di accettare l’invito, scavandosi praticamente la fossa con le sue stesse mani.
Non era stata una buona idea, se lo sentiva nelle viscere che ribollivano come il minestrone di zia Jora, ma ormai aveva combinato la peggior cazzata della sua vita e non poteva di certo andare da Kidd e dirgli che annullava l’invito, sarebbe stato come gettare benzina sul fuoco. Ad ogni modo, avrebbe smesso di vantarsi tanto della sua tanto elogiata calma, dato che era bastata una frase di Eustass-ya e lui già si era arreso. Che squallido.
Intanto Baby era rimasta all’ingresso a mordicchiarsi le unghie per la preoccupazione. E se il rosso avesse voluto uccidere il suo fratellone? E se era tutta una scusa per vendicarsi e fargli ancora più male? Doveva dirlo a Buffalo e rischiare che Law la uccidesse nel sonno con qualcuna delle sue diaboliche medicine, o lasciare perdere?
Quando il ragazzo tornò giù, l’aria omicida e l’aspetto stravolto, la trovò ancora dove l’aveva lasciata e con l’aria smarrita e sull’orlo dell’isteria.
Così sbuffò esasperato, avvolgendosi la sciarpa attorno al collo e raggiungendola, fermandosi accanto a lei fingendo di dover sistemare il cappotto e approfittando del momento per calmarla. Sapeva che andava in crisi facilmente e, anche se psicologia era tra le sue materie preferite e aveva avuto a che fare con i deviati mentali fin da quando era piccolo, non voleva darle troppi pensieri e farla stare male.
-Ti terrò informata.- disse, ostentando indifferenza, ma ciò bastò per far spuntare un sorriso sollevato e radioso sul viso di Baby che, prima di lasciarselo sfuggire, lo abbracciò di slancio, ridacchiando contenta come una bambina.
Law se la scrollò di dosso immediatamente, rimettendola in riga e dandole le spalle, sbattendole la porta in faccia, ma a lei poco importò. Ci teneva molto a lui e, anche se le aveva sempre fatto un po’ paura, sapeva di essere ricambiata e di poter contare su di lui se avesse avuto bisogno, perciò voleva essere certa che anche lui sapesse di averla dalla sua parte e, a giudicare dallo sguardo meno arcigno e più affettuoso che le aveva rivolto, uno sguardo più da fratello, ci era riuscita.
 
Hello from the outside
 
Quella volta, Law suonò il campanello di casa Eustass tentando inutilmente di ignorare o placare il nodo che gli stringeva lo stomaco, togliendogli quasi il respiro. Se da fuori sfoggiava un’espressione impenetrabile e intoccabile, dentro tutto era in subbuglio.
Per un attimo aveva pensato di entrare di nuovo dalla lavanderia, ma aveva accantonato l’idea subito dopo averla formulata. Non era il caso di tirare troppo la corda, non dopo che era arrivato a pensare che Kidd non si sarebbe più fatto vivo. Nelle cartoline che gli aveva spedito c’era scritto tutto e niente, Dio solo sapeva cosa poteva aver letto, dato che ricordava meno della metà di tutto ciò che gli aveva scritto. Gli insulti erano stati una buona parte, il resto erano goffi tentativi di fare finta di nulla, parlando del posto, della città, dei monumenti e cose futili.
In ogni caso, aveva appena suonato il campanello, dopo aver digitato un messaggio veloce a Cora-san, avvertendolo che non sarebbe rimasto per cena e che avrebbe raggiunto Rufy e gli altri, pregando che Baby fosse tanto brava da reggergli il gioco, altrimenti la casa di Kidd sarebbe stata circondata entro breve dalle volanti dei poliziotti corrotti della città, visto che Doffy aveva giurato, durante una sbornia con i fiocchi, che avrebbe volentieri ucciso il rosso se si fosse azzardato a rifarsi vivo.
Per un paio di minuti non successe nulla, poi una finestra alla sua destra si aprì e poté udire distintamente la voce sbraitante di Kidd che gli intimava di entrare perché la porta era aperta e lui aveva da fare.
Fissò le ante che si richiudevano, un po’ allibito, la stessa espressione ambigua che assumeva Doffy quando si ritrovava davanti un cliente troppo stupido per i suoi gusti e decideva su due piedi di freddarlo senza un buon motivo o di scioglierlo nell’acido.
A lui stava capitando più o meno lo stesso, perché Eustass-ya nel giro di un quarto d’ora gli aveva dato già due ordini, facendo come se nulla fosse, come se avesse la certezza che lui non avrebbe ribattuto, e la cosa lo irritava parecchio, se si fermava a rifletterci dato che, purtroppo, non aveva saputo dire di no, perciò la colpa era solo sua se si sentiva uno stupido.
Era stato talmente colto alla sprovvista che aveva avuto la risposta pronta per dirgli che no, non avrebbe cenato da lui e che poteva benissimo marcire in quella casa da solo come un cane, ma si ripromise che gliele avrebbe cantate di santa ragione una volta dentro, al caldo magari.
La casa era più ordinata dell’ultima volta, eccezione fatta per le scarpe in bella mostra e qualche maglia sparsa in giro, ma era di un rozzo come Kidd che si stava parlando, perciò era tutto nella norma, anzi, forse era anche troppo pulito da far apparire il proprietario come una persona curata e meticolosa. A quel pensiero, quasi rise.
Si tolse il cappotto e lo lasciò sullo schienale del divano, poco distante da quello del rosso, poi si tolse le scarpe ed infine la sciarpa, dirigendosi verso la cucina da dove proveniva il rumore di un televisore sintonizzato su una stupida commedia natalizia, la stessa che riproponevano ogni anno, con standard bassissimi per i suoi gusti e il rumore di pentole e cassetti sbattuti.
Si affacciò sulla soglia e tutti i suoi buoni propositi di mettersi a dare sfogo al suo miglior repertorio di maledizioni che col passare degli anni era solo che migliorato scemò nel giro di un paio di secondi.
-Cosa. Stai. Facendo.- sillabò, le braccia strette al petto e le sopracciglia che avevano quasi raggiunto l’attaccatura dei capelli davanti alla figura di Kidd che, imprecando sonoramente, nascondeva mezzo busto dentro al forno.
Il rosso sbatté la testa prima di riuscire a venire fuori dall’elettrodomestico, maledicendosi per aver tentato di riparare quell’affare dopo che aveva quasi bruciato l’arrosto. Sapeva che avrebbe fatto meglio ad ordinare delle pizze, invece che rompersi tanto i coglioni per cucinare; dopotutto, conoscendo la sua fortuna, non avrebbero messo in bocca nulla e si sarebbero solo urlati dietro. Inoltre, se guardava quanto magro era Trafalgar poteva benissimo intuire che non si sarebbe ingozzato come qualsiasi altra persona normale.
-Questa merda si è rotta.- spiegò brevemente, gettando dentro la cassetta degli attrezzi posta al suo fianco un cacciavite e pulendosi le mani su un canovaccio. Avrebbe continuato il giorno dopo, vedendo di cavare un ragno da buco. -Siediti, è già pronto.-
-E’ la terza volta che mi dai ordini.- chiarì a quel punto Law, immobile sulla porta, -Non ho intenzione di sopportarne altri.- sibilò infine, concludendo la frase e facendola apparire velatamente come una minaccia.
Kidd la recepì al volo e fece un ghigno sarcastico, inchinandosi eccessivamente per prenderlo in giro. -Se Vostra Grazia è in comodo, la cena è pronta.-
-Deficiente.- mormorò il moro, muovendosi comunque per andare a sedersi.
-Testa di cazzo.- aggiunse il rosso, scuotendo il capo e voltandosi verso i fornelli per prendere i piatti e organizzarsi con le portate. Non aveva fatto grandi cose, solo le lasagne e l’arrosto, con qualche contorno, un po’ di cibo spazzatura che non guastava mai e che piaceva a tutti, niente di troppo impegnativo o lodevole, ma almeno si era impegnato, anche se non gli era ancora ben chiaro cosa gli fosse saltato in testa quel pomeriggio.
Sperava di capirlo nel corso della serata.
 
At least I can say that I've tried to tell you
 
La prima mezz’ora fu facile da gestire.
Nessuno dei due aveva aperto bocca, troppo impegnati a mangiare il pasticcio, uno a sbranarlo, l’altro divertendosi ad infilzarlo con la forchetta per poi giocarci un po’ prima di addentarlo. Si erano scambiati qualche assenso quando Kidd aveva proposto il bis, stupendosi di vedere Law mangiare più di un piatto, ricordandosi che da piccolo quel moccioso faceva sempre tante storie prima di cedere e mettere in bocca qualcosa.
Se glielo domandavano, non avrebbero saputo dire esattamente quando o come avevano iniziato a rompere il ghiaccio, scambiandosi qualche convenevole sulla cena e su quanto era buono il pollo, costringendo il rosso ad ammettere che era stato Killer ad insegnargli come cucinare qualcosa di decente da quando era tornato a casa e viveva da solo.
-Prima andavo avanti con pizze e cibo da asporto.- stava raccontando a bocca piena e rigorosamente spalancata con le fauci in bella mostra. -I miei coinquilini erano negati in cucina, inoltre lavoravano tutto il giorno.-
-Che tipi erano?- chiese a quel punto Law, allontanando da sé il cestino del pane. Schifosissimo pane.
Kidd si strinse nelle spalle, rievocando alla memoria i delinquenti con i quali aveva diviso l’appartamento. -Beh, uno era uno spacciatore.- iniziò tranquillamente, come se stesse parlando di qualcuno di rispettabile, elencandoli pure sulle dita di una mano. -Si chiamava Wire e aveva in mano tutto il quartiere. Era bravo, un futuro imprenditore.-
-Magari Doflamingo gli propone un lavoro.- scherzò Trafalgar, sogghignando ironico e scambiando con Kidd la prima occhiata complice dopo anni. Il rosso, infatti, la colse al volo, come se fosse stato il gesto più spontaneo e naturale del mondo, segno che l’affinità che avevano avuto una volta non era poi scomparsa del tutto.
Non ne fecero parola, comunque, e continuarono il discorso senza interruzioni, anche se a Law fece immensamente piacere scoprire che non tutto era andato perduto, bastava solo scavare un pochino più a fondo e con calma.
Kidd era una persona estremamente difficile da gestire e si riusciva a tenerlo a bada solo se si era dotati di un’infinita pazienza, qualità che, fortunatamente, Law aveva da vendere, per quel motivo erano cresciuti assieme andando sempre, più o meno, d’accordo, perché si compensavano entrambi. Uno impulsivo, l’altro più pacato, per non parlare di tutte le altre differenze che avevano nei vari aspetti della vita, piccole cose, ma che facevano la differenza.
-Poi ce n’era un altro, Heat, quella testa di cazzo. Lavorava in un negozio dove vendevano strumenti musicali, dischi e altre cazzate e aveva un gruppo con cui suonava. Faceva il bassista. Ho partecipato pure io qualche volta.-
-Gesù, non mi dirai che hai imparato a suonare qualcosa. alle elementari facevi pena.- affermò il moro, giocherellando con gli avanzi delle patatine fritte, intingendole nella salsa per poi abbandonarle sul piatto.
Kidd, ovviamente, rispose stizzito, punto nell’orgoglio. -Invece, per tua informazione, suonavo la chitarra, ed ero pure bravo!-
-Va bene.- concesse Law, disinteressato, -Mi farai sentire un giorno.-
Eustass sapeva che Trafalgar non credeva ad una minima parola di quello che aveva detto, ma era più che intenzionato a dimostrargli che aveva ragione, giusto per godersi la sua faccia stupefatta che, anche se sarebbe rimasta nascosta dietro ad una maschera di indifferenza da perfetto sbruffone, lo avrebbe ripagato di quello smacco.
-Poi c’era Bonney.- continuò, non senza avergli prima scoccato un’occhiataccia.
-Bonney?- fece Law, apparentemente tranquillo, anche se aveva stretto la forchetta con più forza del necessario. Fortuna che la testa rossa non se ne era accorta, troppo impegnata ad ingozzarsi di patatine e salsa.
-La spogliarellista.- fece con ovvietà, deglutendo a fatica, mentre al moro andava di traverso il sorso d’acqua che aveva deciso di bere per imporsi di calmarsi.
-Faceva la parrucchiera di giorno e lavorava in uno strip club il fine settimana. Una tutta matta, ma matta sul serio! Tipo, problemi con la legge, con la famiglia, con i soldi, con tutto il mondo!- strillò, allargando le braccia per rendere meglio l’idea, ma non lo diceva con disprezzo, sembrava quasi affetto il sorriso appena accennato e lo sguardo allegro.
E ciò fece gelare Law, perché degli amici poteva sopportarli, anche degli ex, dopotutto erano passati anni ed erano entrambi andati avanti con la loro vita, ma una fidanzata no. Come avrebbe potuto competere con una cosa seria? Come avrebbe fatto a sistemare le cose? Ma soprattutto, voleva davvero sistemarle? Era davvero disposto a rischiare di chiarire i disguidi e accettare un futuro con Kidd che non sarebbe più stato suo?
Come amico, ovviamente.
Fissava le sue mani strette sul bordo del tavolo mentre il rosso sparlava di qualcosa che non aveva ben capito, sentendo improvvisamente freddo e ritrovandosi senza una minima idea su come proseguire la serata.
-Ehi? Mi hai sentito, deficiente?-
Law alzò lo sguardo su Kidd, il quale aveva una bella smorfia contrariata dipinta in faccia mentre aspettava una sua risposta.
Voleva biascicare un ‘si’ solo per farlo stare zitto, ma ciò che gli uscì dalla bocca fu completamente diverso e totalmente, decisamente e assolutamente sbagliato.
-E’ la tua ragazza?-
Il silenzio che seguì subito dopo fu uno dei più pesanti che avesse mai sopportato e, mentre si sentiva soffocare, senza darlo a vedere, Kidd lo fissava di rimando, non muovendo un singolo muscolo.
Poi si schiarì la voce e spezzò il silenzio, la tensione e quel barlume di intesa che si stava ricreando. -Va pure in salotto. A sistemare ci penso io.-
Dopodiché si alzò e gli diede le spalle, mettendo i piatti nel lavello, gettando via i pochi avanzi e organizzandosi per fare un po’ di ordine.
Il moro era rimasto sulla sedia, immobile. Aveva stupidamente pensato che non avrebbe preso altri ordini, ma i suoi pensieri si erano successivamente concentrati su altro ed era rimasto fermo lì a riflettere, i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani che reggevano il mento, accarezzandosi distrattamente il pizzetto, decretando alla fine che lui in primis era un idiota, ma che Eustass-ya superava di gran lunga tutti gli stupidi bifolchi che aveva incontrato nella sua vita fino ad allora. deteneva semplicemente il primato e qualcosa gli diceva che lo avrebbe sempre avuto, nonostante il mondo fosse vario e zeppo di zucconi ignoranti.
Forse la serata era finita, forse avrebbe dovuto tornarsene a casa senza aggiungere altro e dimenticare tutto. Certo, ci avrebbe messo del tempo, forse tanto, ma cosa importava? Alla fine ce l’avrebbe fatta, ne era certo.
Se solo Kidd non fosse tornato, però.
Sospirò stancamente, distanziando la sedia dal tavolo e facendola strisciare sul pavimento, producendo un rumore fastidioso, ma non era in vena di essere ben educato. Si alzò e raggiunse il rosso verso il lavello, prendendo un canovaccio appeso ad una mensola e iniziando ad asciugare le stoviglie che Kidd nel frattempo aveva ammucchiato sulla credenza accanto a lui.
Nessuno dei due disse nulla, così finirono in silenzio di riordinare la cucina, ognuno perso nelle proprie riflessione, consci che, al termine di quella cena, avrebbero decretato il futuro del loro rapporto, sempre se ne era rimasto uno.
-Caffè?- domandò il rosso, indicando la macchinetta.
-No, grazie.-
Kidd annuì, dondolandosi sui talloni e affondando le mani nei pantaloni neri e, Law lo notò solo allora, a sigaretta, particolare che apprezzò molto quando che il padrone di casa si voltò per andare in salotto, offrendogli una bella visuale del suo sedere e facendolo sorridere impercettibilmente.
Eustass-ya aveva sempre avuto un bel culo e nel tempo era migliorato, doveva ammetterlo. Ancora si ricordava quella volta al liceo, quando Nami, una ragazza facente parte della sua cerchia di amici, aveva tirato una pacca scherzosa sul sedere del rosso e lui aveva passato il mese successivo a trucidarla con lo sguardo, arrivando persino a farla piangere.
Poteva apparire anche un menefreghista, ma era molto geloso delle sue cose.
Era passato tanto tempo, però, da allora e le cose erano cambiate, anzi, si erano stravolte, tanto che non poteva nemmeno più considerare amico quello che era stato il suo migliore amico. E la colpa era sua, sua e basta.
 
I'm sorry, for breaking your heart
 
In salotto Kidd aveva alzato il riscaldamento e si era tolto la felpa. non avrebbe mai pensato di alzare di qualche altro grado la temperatura semplicemente perché stava sudando, anche se non gli era ben chiaro se per il caldo, per i vapori della cucina o per l’ansia che gli corrodeva lo stomaco, ma aveva visto Trafalgar rabbrividire più di una volta e non ci aveva pensato due volte prima di fare qualcosa di carino per lui, tipo mettendolo a suo agio e preoccupandosi che avesse troppo freddo.
Non era da lui, se ne rendeva conto, ma quando c’entrava Law, tutto si scombussolava, lui per primo, compresi i suoi modi di fare, mentre il suo caratteraccio si addolciva in una minima parte. A dire la verità, se scavava nei ricordi, Law aveva sempre avuto un effetto calmante su di lui, o aizzante, dipendeva dalle circostanze.
Gettò la felpa sullo schienale di una poltrona, incurante del disordine, osservando di sottecchi il moro che curiosava con il naso all’insù e gli occhi persi in tutte le modifiche che aveva apportato da quando aveva reso la casa di nuovo abitabile. Ci aveva messo un po’ prima di disfarsi delle cose vecchie e di alcuni ricordi, ma alla fine aveva fatto un bel lavoro, doveva ammetterlo.
Notò lo sguardo del ragazzo fisso su qualcosa vicino al camino e già prima di guardare sapeva di cosa si trattava.
-Le ho lette tutte.- buttò lì casualmente, stringendosi nelle spalle e poggiando gli avambracci sul divano, mentre il moro aggirava il tavolinetto basso e si avvicinava alle cartoline ben ordinate dentro ad uno scatolone abbastanza grande da riuscire a contenerle tutte.
Non poteva vederlo in faccia, ma quando gli rispose con un tono strafottente, tipico di lui quando tentava di stare sulla difensiva, seppe che stava ghignando. -Il tuo cervello ha retto così a lungo? Complimenti, se fosse stato così anche a scuola saresti rimasto promosso.-
-Non è stato carino quando hai scritto di voler usare il mio corpo come cavia da laboratorio.- lo citò il rosso, contrariato.
A Law scappò una breve risata in ricordo di quel giorno. -Beh, sai, dovrò pur far pratica su qualcuno, no?- lo beccò, continuando a dargli le spalle.
-Certo,- accordò Kidd, ma usò un tono troppo accondiscendente per passare inosservato e, se il moro si fosse voltato in quel momento, si sarebbe accordo del sorriso bastardo che Kidd stava sfoderando prima di continuare. -Ma hai recuperato punti quando ci hai definito due facce della stessa medaglia.-
Law si voltò a guardarlo con gli occhi chiari sbarrati e l’espressione rabbiosa di un animale pronto ad attaccare. -Non ti azzardare, Eustass-ya.- lo avvisò, stringendo i pugni lungo i fianchi e cercando di intimidirlo con lo sguardo.
Il sorriso inquietante del rosso si allargò ulteriormente, mentre oltrepassava il divano ed iniziava ad avvicinarsi, prendendo ugualmente tempo ed iniziando a ripetere a memoria svariate frasi citate nelle cartoline. -E’ buffo perché, anche se ci odiavamo, andavamo bene come coppia di amici.-
-Eustass-ya, ti giuro che non finirà bene.-
-Sei sempre stato uno stronzo. Ehi, qui mi sono offeso, lascia che te lo dica.- fece Kidd, puntandogli un dito contro.
Fu il turno di Law di ghignare sadicamente. -E continui ad esserlo tutt’ora.-
-Ah davvero? Allora che mi dici del fatto che valgo più di quello che credo, eh?-
-Che vuoi che ti dica, sei peggiorato col tempo.- ribatté Trafalgar, rimangiandosi tranquillamente gli apprezzamenti che aveva fatto in momenti difficili e instabili della sua vita sul conto di quell’impiastro dai capelli rosse che mai avrebbe dovuto leggere quelle scartoffie. Si era proprio fottuto da solo.
-Quella in cui praticamente mi definisci l’unica cosa capace di sollevarti l’umore nelle giornate storte è una delle mie preferite, sappilo.- continuò Kidd, deciso a farlo crollare, avvicinandosi di un altro passo.
-Mi faceva ridere la tua stupidità.-
Anche Law aveva preso ad andargli incontro, ma con un cipiglio serio e determinato a far chiudere il becco a quello stronzo che gli stava rinfacciando le sue debolezze e il periodo più brutto della sua vita, calpestandolo e riducendolo ad un ammasso di niente come aveva fatto anni prima.
-Ti piacevo davvero.- mormorò Kidd, il sorriso scomparso e le sopracciglia aggrottate.
-Sta zitto.- ordinò il moro, bloccandosi davanti a quella serietà che lo aveva colto impreparato.
-Ero la tua persona.-
-Eustass-ya, non un’altra parola.- disse Law, volendo sembrare intimidatorio, ma la voce gli uscì comunque un po’ tremante. Non riusciva ad essere più calmo, non con le sue ammissioni sbattute in faccia in quel modo. Come poteva negare tutte quelle verità?
-Ti eri innamorato.-
Furono quelle parole e quel sussurro da parte di Kidd a dargli il colpo di grazia.
-Smettila!- urlò allora, battendo i pugni sul petto del rosso con tutta la forza della rabbia, -Non sai un cazzo! Smettila!-
-Cosa non so?- rispose allora l’altro, stringendogli i polsi e tenendoli fermi per non beccarsi altri colpi e per assicurarsi che Law non si spostasse nemmeno di un millimetro durante la loro resa dei conti. -Eh, cosa? Che fin da piccolo non hai mai avuto nessun vero amico a parte me? Che ero la tua costante nella vita? Che ero l’unica persona che avresti sempre voluto accanto? Che ero praticamente tutto per…-
Il pugno lo colpì dritto sullo zigomo e fu più inaspettato che doloroso, perché non avrebbe mai pensato che lo smilzo sarebbe riuscito a liberare una mano.
 
But it don't matter,
 
-Che importanza ha tutto questo adesso?- fece Law, stringendo i denti e mordendosi l’interno della guancia per impedire agli occhi di inumidirsi. -E’ per vendicarti? Mi sbatti in faccia i miei sentimenti per ricordarmi che erano solo illusioni? Risparmiati il disturbo,- sputò velenoso, gli occhi ridotti a due fessure e carichi di disprezzo, -Quando te ne sei andato sei stato chiarissimo, Kidd.-
Quello fu peggio del pugno in faccia per Eustass.
Sapeva che stava esagerando, ma quando aveva capito che quello era territorio minato, aveva deciso di insistere per vedere fino a dove si sarebbe spinto Trafalgar. Non aveva immaginato che lo avrebbe distrutto in quel modo.
Di nuovo.
Sbatté le palpebre egli riafferrò al volo un braccio prima che quello potesse afferrare il cappotto e andarsene, visto che si stava dirigendo verso la porta.
-Lasciami.- aveva scandito il moro, glaciale.
-Non è la mia ragazza.- disse di getto Kidd, mordendosi subito dopo le labbra, ottenendo però l’effetto sperato, cioè quello di trattenere Law abbastanza a lungo da sistemare le cose.
Perché voleva che tutto andasse per il meglio, se ne era reso conto, alla fine. Era stato chiaro quando aveva visto la speranza abbandonare gli occhi di Law, segno che, dopotutto quello che gli aveva fatto e che era successo tra loro, ancora ci teneva ad aggiustare tutto.
-Cosa?- chiese Law, che non si era aspettato quell’uscita.
-Bonney, non stiamo assieme.- ripeté, spostando lo sguardo sui suoi piedi e accennando un sorriso. -A lei piacciono quelli in divisa.-
-Oh.-
-Già.-
-Bene.- tentennò a quel punto il moro, ignorando il senso di sollievo ingiustificato che aveva provato in quell’istante. -Buon per lei.- disse infine.
Rimasero a studiarsi ancora per qualche minuto, poi l’attenzione di Kidd venne attirata da qualcosa oltre le spalle del ragazzo più basso, facendolo sorridere genuinamente.
Poi seguirono i botti.
-Li fanno ancora?- chiese, sinceramente stupito, avvicinandosi di corsa alla finestra guardando oltre il vetro per vedere i fuochi d’artificio esplodere nel cielo, mentre fuori nevicava.
Law roteò gli occhi, sbuffando e raggiungendolo svogliato. -Finché Ace continua a vendere a Buffalo quella roba, si.-
-Come sta quello sbandato?-
-Bene. E tu non sei tanto meglio per poter giudicare.- lo riprese, giusto per mettere in chiaro le cose e ricordargli che era lui ad avere ragione, oltre che l’ultima parola.
Il rosso ghignò. -Come ti pare. Belli comunque.-
-Si,- concordò Law, -Belli.-
Fin da quando il loro amico d’infanzia aveva scoperto la passione per la pirotecnica, aveva preso a vendere a loro e al resto dei loro compagni fuochi d’artificio per ogni occasione, come compleanni, cene di famiglia, matrimoni, ricorrenze religiose come, per l’appunto, Pasqua e Natale. Tutto era andato bene, ma poi la famiglia di Trafalgar era venuta a scoprirlo per vie secondarie e da allora, ogni anno, intrattenevano il quartiere con fuochi d’artificio degni di nota, pagandoli un sacco di soldi e facendo lievitare le finanze di Ace, ben felice di fare affari.
-Trafalgar.-
-Mhm?-
-Perché non mi guardi?-
-Perché sto ammirando questi spettacolari fuochi d’artificio.-
-Li hai sempre detestati.-
-Beh, adesso mi piacciono.-
Sorrisero entrambi, continuando a fissare il mondo fuori dalla finestra. Il cielo era scuro, ma le vie erano illuminate con le decorazioni natalizie e tutti i tipi di lucette colorate che splendevano più dei lampioni lungo la via principale del quartiere; i tetti delle case e i giardini erano ricoperti di neve che continuava a cadere silenziosa, imbiancando ogni cosa per la gioia dei piccoli mocciosi che si rincorrevano sotto gli occhi delle rispettive famiglie. Al di là della siepe, invece, Law poteva immaginare la sua di famiglia con i suoi matti componenti che si godevano il natale, uniti e felici.
Era contento per loro, ma non gli dispiaceva di non esserci e non era triste. Ad essere sincero, era il primo natale, dopo tre anni, in cui non si sentiva depresso e solo. Sentiva di essere a casa, nel posto giusto, dove era sempre stato da piccolo e dove avrebbe sempre voluto stare, ovvero accanto a quell’idiota dai capelli rossi che continuava a fissarlo.
-Eusyass-ya.- disse allora e non poté trattenersi dal sogghignare ancora di più quando vide con la coda dell’occhio l’espressione di Kidd illuminarsi, interpretando quel fastidioso nomignolo come un’offerta di pace.
-Si?-
-Cosa c’è?- domandò allora Law, ben consapevole che quella testaccia rossa stava rimuginando su qualcosa.
-Stavo pensando.- ammise Kidd, lasciando la frase in sospeso apposta perché il moro continuasse a fargli domande.
-Tu pensi? Ecco perché nevica.- ironizzò l’altro, ma il rosso le aveva messe in conto quelle frecciatine, conoscendo Trafalgar erano d’obbligo.
-Sarebbe strano se noi, insomma… lo sai.- mormorò, con un tono che non era affatto imbarazzato.
La smorfia sulle labbra di Law prese una piega sarcastica. -Assolutamente si.- dichiarò, non impedendo comunque al rosso di passargli un braccio attorno alla schiena per poi poggiare la mano sul bordo della finestra, avvicinandolo di più a sé e bloccandolo lì, accanto a lui, con i loro fianchi che si toccavano e la pelle d’oca sotto la stoffa della maglia del moro.
-Assurdo, forse?- propose Kidd.
-Decisamente.-
-E da pazzi.-
-Senza dubbio.- asserì Law, voltando un pochino il capo quando il mento di Kidd gli sfiorò i capelli.
-Ma anche piacevole, non credi?- chiese il rosso, circondando il busto di Law con le braccia e poggiando la testa sulla sua spalla.
-Lo immagino.-
-Magari, solo per poco.-
-Un paio di secondi.- soffiò Law, lasciando che Kidd lo voltasse lentamente, trovandosi poi faccia a faccia con lui e con i visi tanto vicini da sentirne il respiro sulla pelle.
-Si potrebbe fare, dopotutto…-
-Eustass-ya?-
-Si?-
-Parli sempre troppo.-
Un bacio a fior di labbra, giusto per riconoscersi; poi un altro, perché il primo era stato troppo breve, poi era stato troppo difficile per Kidd frenarsi e non forzare la bocca di Law con la sua lingua per costringerlo ad aprirla ed iniziare a rincorrere la sua, baciandolo con passione e stringendolo al suo petto come se avessero dovuto diventare una cosa sola, mentre il moro gli artigliava i capelli per non lasciarlo andare mai più, soffocando i singhiozzi in quel bacio che sapeva di casa.
E non importavano gli anni che li avevano separati, non importava il fraintendimento che c’era stato e che li aveva divisi, non importava il dolore, la sofferenza, la lontananza, il periodo che avevano vissuto l’uno separato dall’altro, nulla aveva più il minimo interesse.
C’erano loro, la loro amicizia fatta di odio reciproco, il loro essere l’uno il meglio dell’altro e il loro primo, vero bacio.
 
It clearly doesn't tear you apart anymore.

 

 

The End.

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice.
Non la tiro per le lunghe, ho sonno, ma sono soddisfatta di averla finita, dato che me la trascino dietro da una vita. E’ stata il mio parto questa cosa e sono certa che ci saranno errori e che Law potrebbe sembrare a tratti disperato ma, ehi, provate voi a venire usati e poi messi da parte come una pezza e a non morire dentro.
Ad ogni modo, mi scuso se è infinita, ma non riuscivo a fermarmi e la canzone non aiutava, LOL.
Credo che ci sarà pure un seguito, magari con una piccola parentesi sugli amici di Kidd e un confronto con quelli vecchi. E poi, dopotutto, non ho mai detto che tra i due sia davvero tutto sistemato, mlmlml.
Anyway, la dedico a tutte le persone che hanno bisogno di uscire dal tunnel perché per tutti c’è sempre un piccolo lieto fine :3
Un abbraccione e grazie *arcobaleni*
 
See ya,
Ace.
  
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