Libri > Hunger Games
Segui la storia  |      
Autore: Kary91    07/02/2016    8 recensioni
[One-Shot | Gale/Johanna | Introspettivo | quasi-Lemon | Missing Moment di "Mockingjay"]
“Non preoccuparti, non darò più fastidio a nessuno” ribatté freddo il ragazzo, superando i cocci di vetro. Prese l’asciugamano bianco buttato sul letto e si diresse in bagno.
Fece per slacciarsi i pantaloni, ma quando si accorse che Johanna era rimasta immobile e continuava a fissarlo, lasciò perdere.
“Potresti andartene?” sbottò, visibilmente seccato. “Devo farmi la doccia.”
Il ghigno di Johanna tornò a riempirle il viso di malizia.
“Potrei, ma non mi va…” replicò, avvicinandosi a lui. “Sai com’è… Vederti nudo sarebbe la prima cosa interessante a cui mi capita di assistere da mesi.”
Gale non reagì alle sue provocazioni. Si limitò ad analizzarla a sua volta con sguardo cauto, distaccato.
Infine, il ragazzo si voltò e tirò una delle porte della doccia. Lo scroscio d’acqua si fece più intenso e Johanna arretrò d’istinto. Tutto a un tratto le venne voglia di prenderlo a pugni.
“Perché non entri anche tu, allora?”
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Io non ho paura;'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa. Questa storia è ambientata durante il breve soggiorno dei Vincitori e dei Ribelli a Capitol City, subito dopo la fine della rivolta. In poche parole, è ambientata qualche giorno dopo la morte di Snow e l’uccisione della Coin da parte di Katniss. Nel mio immaginario, sia Johanna che Gale sono ancora a Capitol City e vengono ospitati in camere adiacenti.

Questa storia si ispira al prompt “Johanna che si sente come un tronco alla deriva nelle rapide” lasciatomi da Chara (anche se in realtà le rapide non vengono mai menzionate, porta pazienza -\-)

 

Alla Deriva

«La sensazione è di non avere alcun controllo. La sensazione è che stiamo andando alla deriva. Non è come un viaggio. È più come se stessimo solamente aspettando.»

Survivors. Chuck Palahnniuk

 

Quando un tronco finisce in acqua non affonda, ma con il tempo diventa pesante. È un corpo morto, inerte, trascinato con violenza dai capricci della corrente.

Johanna aveva incominciato a sentirsi così dopo il periodo di prigionia, quando aveva messo per la prima volta piede dentro una doccia.

Il contatto con la superficie spugnosa e umida del tappetino le dava l’impressione di venire risucchiata verso il basso e le porte metalliche del box alimentavano la sensazione di reclusione.

Aveva resistito a fatica ai primi dieci secondi di getto, ma ogni striatura d’acqua che le scorreva addosso era dolorosa come un colpo di frusta. L’acqua la trascinava prepotente verso i suoi incubi e lei non poteva fare niente per ricacciarli indietro. Era in balia di quella pioggia artificiale, appesantita dal ricordo dell’elettroshock, ancora percepibile. Dai graffi che le sfregiavano la pelle, rendendola rugosa e irregolare come la corteccia di un albero.

Così, Johanna aveva smesso di fare la doccia, ma la sensazione di debolezza e appesantimento non si era ridotta. Forse era troppo pregna d’acqua e di ricordi di torture. Forse era semplicemente infastidita dall’idea di essersi lasciata sconfiggere da una paura così stupida.

E poi era arrivato Gale.

In realtà era stata lei a piombare addosso al ragazzo, una delle ultime sere trascorse a Capitol City dopo la rivolta. Era stanca del trambusto di sedie rovesciate e vetri infranti provenienti dalla stanza di fianco alla sua. Stanca dai silenzi affilati con cui il giovane soldato graffiava chiunque provasse ad avvicinarglisi. Stanca della rabbia, del dolore e della rassegnazione con cui Gale sedeva per intere mezzore di fronte alla porta di Katniss, nella speranza di sentirla parlare. Di sentirsi chiamare, forse: di scoprire che l’aveva perdonato, che lo aspettava, che aveva ancora bisogno di lui.

Stupido, stupido Hawthorne.

All’ennesimo rumore di oggetti scaraventati per la stanza, Johanna aveva spalancato la porta della camera a fianco senza tanti complimenti.

Lui era lì e respirava affannato, con i pugni appoggiati al muro. Aveva addosso solo i pantaloni e i piedi nudi erano circondati da schegge di vetro: uno dei suoi talloni sanguinava.

Era girato di schiena e questo permise a Johanna di osservare per la prima volta la sua schiena scorticata. Anche Gale, come lei, era un pezzo di legno rovinato. Un tronco d’albero reciso, abbandonato in balia di qualche discesa troppo ripida. O forse di un fuoco di quelli voraci, costantemente alimentati dal vento.

Quando il ragazzo si voltò, Johanna non riuscì a trattenere un ghigno di apprezzamento, in aperto contrasto con la maschera di dolore e rabbia che contraeva i lineamenti del giovane.

Tuttavia, la sua espressione si indurì quando riconobbe il rumore d’acqua scrosciante che proveniva dalla porta spalancata del bagno.

“La guerra è finita…” dichiarò secca a quel punto, mettendosi a braccia conserte. “… E nella stanza accanto alla tua qualcuno starebbe cercando di godersi un po’ di pace.”

Questa volta fu Gale a sorridere sarcastico. Nessuno in quell’ala del Palazzo di Addestramento sarebbe riuscito a rilassarsi in un posto come quello: né Gale, né i Vincitori superstiti e, dunque, tanto meno Johanna.

“Non preoccuparti, non darò più fastidio a nessuno” ribatté freddo il ragazzo, superando i cocci di vetro. Prese l’asciugamano bianco buttato sul letto e si diresse in bagno.

Fece per slacciarsi i pantaloni, ma quando si accorse che Johanna era rimasta immobile e continuava a fissarlo, lasciò perdere.

“Potresti andartene?” sbottò, visibilmente seccato. “Devo farmi la doccia.”

Il ghigno di Johanna tornò a riempirle il viso di malizia.

“Potrei, ma non mi va…” replicò, avvicinandosi a lui. Esaminò con interesse il corpo del ragazzo per farlo innervosire ulteriormente. “Sai com’è… Vederti nudo sarebbe la prima cosa interessante a cui mi capita di assistere da mesi.”

Gale non reagì alle sue provocazioni. Si limitò ad analizzarla a sua volta con sguardo cauto, distaccato.

Infine, il ragazzo si voltò e tirò una delle porte della doccia. Lo scroscio d’acqua si fece più intenso e Johanna arretrò d’istinto. Tutto a un tratto le venne voglia di prenderlo a pugni.

“Perché non entri anche tu, allora?” ribatté freddo: non c’era malizia nel suo sguardo, solo rabbia e aria di sfida. E anche qualcos’altro a cui Johanna non riuscì a dare un nome, ma che trovò comunque il modo di infastidirla.

Le bastò guardarlo negli occhi per intuire che sapeva, che la sfida che gli aveva mosso aveva un secondo fine: quello di istigarla a scuotersi di dosso la paura e la rabbia che non sapeva raschiare via da se stesso.

Lo odiò, per quello. Lo odiò perché in pochi secondi l’aveva resa vulnerabile, annientando con l’acqua la sua sfrontata assenza di pudore. Lo odiò perché sapeva di non potersi permettere la resa in una situazione come quella, a costo di perdersi nella violenza delle correnti d’acqua.

Lo odiò perché temeva la sua reazione a contatto con l’acqua e perché era certa che lui lo sapesse: ce l’aveva scritto nello sguardo e sembrava certo di avere la vittoria ormai in pugno.

E infine Johanna sorrise, con l’aria sardonica di chi vuol far credere di avere tutto sotto controllo.

“Perché no?” sussurrò maliziosa, sfiorandogli il collo per poi scendere fino al torace, là dove due proiettili avevano rovinato la sua pelle con ferite ancora non del tutto cicatrizzate.

Per un istante il ragazzo sembrò sul punto di allontanarle la mano, ma il ricordo della sfida in atto lo trattenne.

Johanna incominciò a spogliarsi, con la scioltezza ereditata da anni di buon viso a cattivo gioco, essenziale per sostenere il personaggio che si era costruita addosso.

Gale l’osservò impassibile, deciso a non mostrare segni di cedimento. Quando Johanna calciò via anche l’ultimo indumento non si era ancora mosso di un millimetro, lo sguardo indifferente o e le braccia serrate sul petto.

Erano entrambi troppo rabbiosi e feriti dalle proprie battaglie personali per potersi permettere di lasciarsi toccare da emozioni neutre come l’imbarazzo.

“Tocca a te, bellissimo” lo punzecchiò Johanna con un sorrisetto di sfida.

Giocherellò con la cerniera dei suoi pantaloni fino a quando Gale non si decise a spogliarsi a sua volta.

Johanna dovette frugare a lungo nel suo sguardo per scovare una punta d’imbarazzo, ma quando la trovò il suo sorriso divenne ancora più marcato.

Gale s’introdusse nella doccia per regolare il getto d’acqua, che nel corso dell’ultimo quarto d’ora si era fatto bollente.

“Allora entri?” le chiese, rinnovando l’aria di sfida di poco prima. Cercava di mostrarsi calmo, ma la sua tensione era palpabile: sembrava arrabbiato, deciso a risolvere la questione il prima possibile.

Johanna mise prima un piede sull’odioso tappetino di gomma e poi il secondo, rabbrividendo allo scroscio d’acqua tagliente che le si riversò addosso.

D’istinto chiuse gli occhi e boccheggiò: per un istante, un istante solo, si sentì scaraventare con violenza sott’acqua e attese con paura le scosse che di lì a poco l’avrebbero trafitta.

Cercò di sgusciare fuori dalla doccia, ma la presa energica di Gale la trattenne all’altezza dei fianchi.

“Lasciami!” sbottò lo ragazza, piantandogli le unghie nelle mani.

Gale allentò la presa. Raccolse l’asciugamano che aveva appoggiato alla porta della doccia e glielo porse.

“Va tutto bene” mormorò poi, chiudendo il getto d’acqua.

Johanna scosse la testa, incredula.

“Va tutto bene?” ripeté seccata, prima di colpirlo con l’asciugamano arrotolato. “Proprio tu, Hawthorne? Tu, che passi le giornate ad auto-distruggerti e fare a pezzi la tua stanza vieni a dirmi che va tutto bene?”

“Smettila” replicò incollerito il ragazzo, scostandosi i capelli fradici dagli occhi.

“No, smettila tu” lo rimbeccò Johanna, colpendolo ancora una volta con l’asciugamano. “Già che ci sei dimmi anche che sono perfettamente al sicuro: nudo e fradicio come un pulcino sotto la pioggia magari riesci anche a suonare più convincente di Aurelius.”

Gale si riappropriò dell’asciugamano e se lo legò in vita, prima di indirizzarle un’occhiata cauta.

“Nessuno è mai perfettamente al sicuro” ribatté, in tono di voce insolitamente fermo. “Ma non troverai nessun pazzo armato di attrezzi per l’elettroshock in una doccia.”

“E credi che io non lo sappia?” sbottò Johanna, stringendosi le braccia al petto per ripararsi dal freddo. “Credi che sia contenta di puzzare come una capra solo perché non ho le palle per ficcarmi sotto un getto d’acqua?”

“Perché non ci provi?” replicò Gale, porgendo un asciugamano a Johanna.

La ragazza glielo sfilò dalle mani solo per colpirlo ancora una volta.

“Ma sei scemo o cosa?” strillò, gettandolo per terra.

“Intendevo dire provarci più volte” specificò il ragazzo in tono di voce nervoso, distogliendo lo sguardo. “Se mi fossi arreso tutte le volte che ho cercato di costruire una trappola e non ci sono riuscito non avrei mai preso nemmeno un coniglio.”

Johanna lo fissò in cagnesco, per nulla convinta dalle sue parole. Non aveva senso mettere a confronto le sue abilità artigianali con la paura di venire fritti nell’acqua. Stava per augurargli di venire torturato da un esercito di coniglietti assatanati, quando il fantasma di un ricordo vago le accarezzò la mente.

Ripensò all’espressione cauta di sua sorella Sloane mentre le porgeva l’ascia e una se stessa bambina dall’aria furibonda, con le mani sottili piene di calli. Era arrabbiata con se stessa perché non aveva forza a sufficienza nelle braccia per adoperare l’ascia. Alla fine se l’era presa con sua sorella, che continuava a porgerle l’accetta per riprovare, facendole così fare ogni volta la figura della stupida di fronte agli altri boscaioli.

L’aveva odiata quel giorno, proprio come in quel momento odiava Gale.

Poi, però, dopo un paio di settimane di tentativi, la lama della sua ascia era andata a fondo per la prima volta. Le sue mani stavano diventando più forte e resistenti. E tutto quell’odio si era silenziosamente trasformato in gratitudine.

 

Johanna indirizzò a Gale una lunga occhiata inquisitoria. Infine, lo spinse di lato e azzardò un passo verso il box doccia.

Quando roteò il pomello di accensione lo scrosciò d’acqua la punse all’improvviso, facendola sobbalzare. Tuttavia, non uscì. Si limitò ad irrigidirsi e a spostarsi di lato per evitare il grosso del getto.

“Che stai aspettando? Un’illuminazione divina?” commentò poi, dando le spalle a Gale.

L’espressione del ragazzo venne alleggerita per un istante da un lieve sorriso. Lentamente, si sfilò l’asciugamano e tornò nella doccia. Regolò il getto d’acqua per indebolirlo e, solo a quel punto, Johanna si staccò dalla parete del box.

Circondò il collo di Gale con le braccia e si strinse a lui, facendo aderire i loro corpi.

“Se esci e mi lasci sola qui dentro ti ammazzo” gli sussurrò poi, sfiorandogli l’orecchio con le labbra.

“Non lo farò” dichiarò fermo il ragazzo, facendole scivolare le mani sui fianchi.

Johanna si era aspettata di irrigidirsi e stringere i denti nel momento in cui l’acqua avrebbe incominciato a pungerla con insistenza, coprendole volto e bocca. E così accadde. Quello che invece non si era aspettata era la sicurezza che avrebbe tratto dalla presa salda del ragazzo sui suoi fianchi, dal contatto con il suo corpo, dal supporto donatole dalle sue spalle.

Non esitò prima di cercare le sue labbra e far scendere le mani ad accarezzargli il torace e poi il ventre, senza perdere il contatto contro la sua pelle; senza osare allontanarsi troppo, per evitare di perdersi nella pioggia d’acqua crudele, di finire alla deriva.

 

Con sua sorpresa, Gale la lasciò fare; rispose ai suoi baci con una voracità improvvisa, sospingendola contro la parete della doccia. La proteggeva dal getto, facendole scudo con la schiena. Forse Gale non aveva paura dell’acqua, ma c’era qualcosa di quella situazione che sembrava trafiggerlo allo stesso modo con cui il getto tiepido faceva soffrire lei. E in quel momento, toccarsi e sfogarsi l’uno con l’altra era l’unico modo per tenere il tormento a bada.

La presa di Gale sui suoi fianchi era rimasta salda – gentile, ma ferma: Johanna appoggiò le mani sulle sue per guidarle verso il basso, mentre le labbra del ragazzo studiavano il suo corpo. Tirò poi indietro la testa e gemette, concentrandosi sul tocco caldo dei suoi baci per ignorare quello gelido dell’acqua. C’era del fuoco nei modi irruenti di Gale, nella foga con cui la cercava e l’accarezzava, e Johanna immaginò che una tale fiamma potesse, talvolta, far arretrare chi non vi era avvezzo. Forse era per quello che Gale sembrava convinto di poter ferire con il solo tocco di una mano. Di rischiare di deludere con un solo sguardo, di allontanare gli altri con qualche parola.

Forse era per quello che se ne stava spesso in silenzio. Imbottigliava la rabbia – il fuoco – e la faceva esplodere tutta d’un colpo, quando ben pochi sarebbero stati in grado di soffocarla.

A lei, però, quel fuoco faceva bene. L’aiutava a tenere a bada l’acqua: a renderla insulsa e insignificante ai suoi occhi, perché per quanto forte non era in grado di spegnere le sue fiamme.

Tornò ad aggrapparsi alla schiena del ragazzo e avvolse una gamba al suo bacino, facendo pressione per far aderire ulteriormente i loro corpi.

Gale si mosse per assecondarla, accarezzandole le natiche. Le sue labbra ripresero a percorrerle il collo e poi i seni e a quel punto Johanna era completamente esposta al getto d’acqua della doccia. Tuttavia, non ebbe tempo di pensarci, né di provare rabbia e disprezzo per se stessa al pensiero di quanta paura le mettesse qualcosa di così insulso e fragile come un po’ d’acqua.

Non era più solamente un pezzo di legno strattonato dalla corrente, ma anche un corpo riscaldato dal fuoco. I brividi che le attraversavano la pelle l’irradiavano di piacere e non di paura. I ricordi violenti della sua prigionia erano caduti in basso, sotto la corteccia, e per un attimo la lasciarono in pace.

“Possiamo chiudere l’acqua quando vuoi” mormorò improvvisamente Gale, facendo scorrere le dita lungo le braccia di Johanna: si era accorto che tremava, che aveva la pelle d’oca.

La ragazza scosse categorica la testa, benché una parte di sé stesse lottando per convincerla a dire di sì.

“Non ti fermare” gli mormorò invece contro la bocca, prima di mordicchiargli appena un labbro.

Gale sorrise e tornò a far scorrere le dita lungo i suoi fianchi e poi più in basso, afferrandole le cosce per permettere ai loro bacini di aderire.

Mentre la prima spinta costringeva Johanna a un nuovo gemito e i suoi brividi a farsi più insistenti, l’acqua tornò a farle paura per un istante.

Per un secondo, un secondo solo, si sentì disarmata, vulnerabile, in piena balia di quel piacere che le stava scorrendo dentro.

Se le scosse di elettro-shock l’avessero sorpresa in quel momento non avrebbe potuto fare nulla per difendersi, per mostrarsi spavalda nonostante il terrore. Per salvarsi.

D’istinto tornò a irrigidirsi e si aggrappò a Gale con maggior vigore, affondando le unghie nella sua carne.

Era tornata a sentirsi un pezzo di legno in balia della corrente.

Gale digrignò i denti in una smorfia di dolore, ma non disse nulla. Sollevò lo sguardo per incontrare quello di Johanna, che era velato in egual misura da terrore e piacere.

“È vero, non sarai mai perfettamente al sicuro” mormorò a quel punto il ragazzo, cercando alla cieca il pomello della doccia per moderare il getto d’acqua “Ma quello che posso assicurarti e che in questo momento, insieme a me, lo sei.”

Johanna sostenne lo sguardo a lungo, incapace di distogliere il contatto. Alla fine si costrinse ad alzare gli occhi al cielo con fare cinico. Non era riuscita tuttavia a ignorare la stretta insolita che aveva avvertito fissando così a lungo i suoi occhi grigi. Era ancora alla deriva, ma in quelle acque le correnti avevano incominciato a farsi meno violente.

“Te lo ripeterò ancora una volta, Hawthorne, ma ascoltami bene perché sarà l’ultima” mormorò infine, rinvigorendo la presa delle sue gambe attorno al bacino di Gale. “Non. Ti. Fermare.”

Il ragazzo scosse appena la testa, ma, ancora una volta, non riuscì a nascondere un mezzo sorriso.

Tornarono a far aderire i loro corpi, concedendosi al piacere e lottando per sfuggire al dolore sempre in agguato.

 

*

Quando un tronco finisce in acqua non affonda, ma con il tempo diventa pesante. È un corpo morto, inerte, trascinato con violenza dai capricci della corrente.

Eppure, c’è una probabilità su un mille che qualcuno prima o poi trovi quel tronco. Qualcuno di altrettanto smarrito, rovinato ed esausto: qualcuno in cerca di un appoggio.

È probabile che, a quel punto, la persona si aggrapperà al tronco. Il pezzo di legno sicuramente continuerà a sentirsi pesante e inutile. Verrà ancora strattonato dai corsi d’acqua o dalla furia delle rapide, eppure questa volta avrà qualcuno con cui condividere il dolore e la paura. Qualcuno con cui spartire la stessa, attanagliante sensazione di smarrimento.

E forse, prima o poi, uno di quei corsi d’acqua tutti uguali trascinerà entrambi fino a riva.

Forse, un giorno, grazie a quel qualcuno il tronco di legno verrà condotto a casa.

 

Note Finali.

È da diverso tempo che sogno di scrivere una shower!Ganna, probabilmente perché già in diverse storie, soprattutto in Mi Aggrappo a Te, avevo accennato che nel mio head-canon Johanna fa praticamente sempre la doccia con Gale, per via della sua fobia dell’acqua. In realtà la prima shower!Ganna me l’ero immaginata molto più fluffosa, ma alla fine non ce l’ho fatta, mi è venuta fuori più ‘spigolosa’. La verità è che non riuscivo a immaginarmeli troppo sdolcinati siccome la storia è ambientata in un momento abbastanza angst. Johanna è ancora devastata da ciò che le è accaduto durante il periodo di prigionia e arrabbiata con se stessa per via di questa fobia paralizzante che la rende fragile e vulnerabile. Anche e Gale è devastato, vuoi per la morte di Prim e la questione delle bombe, vuoi per via di Katniss e del modo in cui si è chiusa in se stessa dopo l’uccisione della Coin. Tra l’altro, qui Gale e Johanna sono ancora poco più che conoscenti, nonostante abbiano già condiviso alcuni momenti assieme, come raccontato per esempio in “Prendi la mia mano”. Eppure, io mi sono sempre immaginata la loro prima volta a questo punto della loro relazione. Non sono ancora guidati da un sentimento vero e proprio, ma sanno capirsi, si sfidano l’un l’altro a superare le loro paure e si leccano le ferite a vicenda. Solo con il tempo la loro relazione verrà approfondita anche sul piano emotivo.

E niente, è una cosa un po’ delirante, lo so. Ma ogni tanto il mio cuore torna a tifare per la Ganna e il prompt lasciatomi da Chara era troppo bello e azzeccato e ci tenevo a usarlo (anche se mi veniva da ridere perché scrivendo di tronchi e bei fusti ignudi come Gale mi veniva in mente la Littizzetto con il suo ‘tronco di pino’ xD). Ho inserito il rating arancione, però non sono sicura che sia adatto, perché io e le lemon non andiamo molto d’accordo, sono una grandissima imbranata a riguardo e, oltre a non saperle scrivere, fatico anche a capire quando il rating diventa più scuro. Spero di aver inserito il colore giusto!




   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91