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Autore: Astral    20/03/2009    7 recensioni
"Con la coda dell’occhio sbirciai la figura esile, fragile, appena ricurva su se stessa, come portante un peso esagerato per lei. Era splendida. Maledettamente meravigliosa in quell’abito dalla foggia vintage color avorio, troppo leggero forse per quel tempo guastato dall’improvviso acquazzone.
"-Che succederà, ora?- La sua voce, timida, mi procurò solo una risata. Cattiva, quasi. "
Pioggia. Nozze. Quando tutto è appeso ad un filo...quale decisione prendere?Cosa è giusto, cosa sbagliato? Questa fanfiction partecipa al concorso 100 Prompt indetto dal forum Fanfiction contest- Collection of Starlight
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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justmarried

Just married



Questa fanfiction partecipa al concorso 100 Prompt indetto dal forum Fanfiction contest- Collection of Starlight



La pioggia scendeva e scendeva quella notte. Sembrava che con la sua furia volesse trascinare via tutto il fango, lo sporco, la terra.

Per un attimo non resistetti dall’immaginare di essere inghiottito da quella ferocia e debordare assieme a fogliame e detriti. Andare alla deriva privo di forze.
Le mie dita affusolate seguivano l’incalzare dell’acqua piovana ticchettando in modo pacato o rassegnato sul volante della macchina.
Respirai, sebbene non ne avessi bisogno, con il solo scopo di ubriacarmi nuovamente con quell’aroma di fresie e lavanda che riempiva ormai prepotentemente l’abitacolo, come per rassicurami che lei fosse ancora lì, accanto a me.
Infantile e irrazionale. Se fosse scesa dall’auto, avrei sentito lo sportello chiudersi, avrei sentito i suoi battiti venir meno nel silenzio della macchina.
Sorridendo amaramente, mi resi conto di come in realtà di lei, se se ne fosse andata, proprio solo il profumo sarebbe rimasto con me. Quello che per notti intere era stato il mio unico compagno, il mio unico ricordo. L’unica reliquia che mi fosse concesso tutelare e conservare gelosamente.
Lei invece era lì.
Con la coda dell’occhio sbirciai la figura esile, fragile, appena ricurva su se stessa, come portante un peso esagerato per lei. Era splendida. Maledettamente meravigliosa in quell’abito dalla foggia vintage color avorio, troppo leggero forse per quel tempo guastato dall’improvviso acquazzone.
Le braccia alabastrine si erano riempite di puntini, come reazione a quella temperatura troppo bassa per lei.
Con un gesto fluido, mi sfilai la giacca dello smoking e la posi sulle sue spalle, in quell’attimo colsi lo sguardo di ringraziamento nei suoi occhi, ma le sue labbra restarono mute. Quali erano state da quanto eravamo saliti sull’auto.
Mute di parole, ma non di sospiri e gemiti disperati.
Perché come disperati, non altre definizioni sarebbero corrette, avevamo fatto l’amore fino a  qualche minuto prima, per poi rivestirci in silenzio, esattamente come tutte le altre volte.
Come ladri, come assassini, come sacrileghi.
Andava bene per me, io un assassino lo ero: avevo ucciso, torturato, seviziato.
Ladro e sacrilego pure. Avevo fatto mia la donna di mio fratello.
Lei, no. Lei era pura, candida. Anche mentre le sue guance si arrossavano per un orgasmo che non era stato il suo futuro sposo a procurarle. Anche mentre le labbra si gonfiavano rosse e pronunciavano in sussurri il mio nome e non quello di Edward.
Isabella era diversa da me, lo sarebbe sempre stata.
Sospirai stringendo più forte il volante, con entrambe le mani stavolta.
-Che succederà, ora?-
La sua voce, timida, mi procurò solo una risata. Cattiva, quasi.
Il rancore, la cattiveria tuttavia non erano dovute a lei, alla domanda in sé. Tutto era per me.
“Succederà” era un voce futura che in quel frangente non acquisiva la minima giustificazione.
Malinconicamente presi coscienza del fatto che per noi definitivamente non ci sarebbero state altre occasioni, un futuro.
Sarebbe già stato molto se un futuro, pur separato, quella sera si sarebbe prospettato per almeno uno dei due.
Pentito di quella risata che probabilmente l’aveva ferita, alzai le spalle, sconsolato.
-Dovresti tornare dentro…-mormorai guardando dritto davanti a me. Le mie iridi, nere, non accennarono a posarsi su di lei, il mio tono era già poco convincente senza che pronunciassi quelle parole guardando la concretizzazione dei miei più proibiti desideri.
Era il giorno del suo matrimonio.
Me lo ripetei ossessivamente nella testa, lo mimai sulle labbra per renderlo più reale. Il dolore diffuso su tutto il mio corpo mi diceva che avevo ragione.
Tuttavia chiudendo gli occhi immaginai di prenderle la mano, di correre con lei in spalla sotto la pioggia, di fuggire lontano. In un luogo in cui Jasper e Bella non sarebbero stati due nomi indegnamente  legati.
Ma quella che avevo accanto non era più Isabella Marie Swan.
Non era la mia Isabella, anzi ora lo era ancora meno, in quanto mia non era mai davvero stata.
Era Isabella Marie Swan in Cullen. Era la sposa di mio fratello da meno di due ore e avevamo già violato quel giuramento solenne d’amore.
-Ti prego, non mandarmi via- la sua voce era flebile,  implorante. Di quel passo avrei ceduto alla fantasia di portarla via con me.
-Isabella, tu ed Edward siete sposati-
Non c’era traccia di rancore nella mi voce. Non le avevo mai chiesto di lasciare mio fratello per me. Con me non sarebbe mai stata davvero felice. Lo sapevo, nonostante tutto.
-Non ci riusciremo, Jas. Non ce la farò a nasconderglielo per sempre.-mi minacciò quasi. Faceva tenerezza persino in quel frangente.
Per sempre. Lei sarebbe diventata un’immortale. Tra due, una, quattro settimane. Forse quella notte stessa.
Avevo votato di sì, e non per mio fratello. Mi tranquillizzava l’idea di non dover un giorno andare  a portare fiori sulla sua tomba.
Ancora non avevo realizzato perché quell’idea mi tranquillizzasse.
Presto sarebbe diventata perfetta per me. Senza la paura di farle del male…
Ma, appunto, qualche ora prima era stato celebrato il loro matrimonio. Mi ero ripromesso che non l’avrei più toccata e invece…tutto era svanito nell’istante stesso in cui l’avevo sentita bussare al finestrino bagnato della macchina.
Avevo sentito pronunciare il sì, avevo visto i baci.
Avevo stretto la mano di Alice, di mia moglie, di quella che era la mia compagna da cinquant’anni, cercando bastardamente conforto in quella stretta, mentre lei guardando Bella ricordava il giorno del nostro matrimonio.
Invece?
Invece l’unica cosa di cui ero stato in grado di preoccuparmi era ripetere alcuni passi Hegeliani della Fenomenologia dello spirito in tedesco originale e stare attento a non entrare nelle visioni di Alice.
Paradossalmente avevo scoperto che tanto più i sensi di colpa mi attanagliavano, tanto più non riuscivo a decidere se ciò che facevamo fosse giusto o giustificabile, tanto più ero al sicuro dalle visioni di mia moglie.
-Jasper…- la voce mi giunse vellutata alle orecchie.
Con la mano mi accarezzava con la fragilità di una bimba la mascella.
Sorrisi pensando che tutto ciò che di me lei vedeva, non era in realtà che un fetida illusione volta a ingannare prede umane.
Il mio volto, devastato da morsi crudeli e affamati, disperati, le appariva come quella di un angelo.
Lo sapeva Bella che anche Lucifero una volta era un angelo bellissimo?
Il più etereo nella corte angelica.
-Jasper, ascoltami- tentava di essere ferma.
Ma non aveva deciso, ancora.
-Cosa, Bella?-
Perché, perché tra i due dovevo proprio io essere quello ragionevole?Soprattutto tenendo conto che ero lo stesso che fino a pochi istanti prima immaginava di portarla via per sempre.
Ma stava zitta.
Cosa avrebbe dovuto dirmi?
Il mio sguardo si portò involontariamente, o quasi, oltre il finestrino di Bella.
La terrazza era illuminata delle lampade che Alice aveva voluto a tutti costi per rendere il contesto più scenografico.
Pioveva ancora a dirotto, ma una figura, minuta, stava ancora imperterrita sotto la pioggia.
Da quanto?
Con un click veloce, affrettato lo sportello della macchina si era spalancato.
Davanti ai suoi occhi, lei. Isabella.
Fradicia sotto la pioggia, le mani tremanti, le labbra strette in modo nervoso.
Non una parola. Non una scusa. Non un accenno di legittimazione.
Tra le sue braccia, nuda.
Nient’altro contava.
Lei, i suoi baci, quel gioco di carezzargli l’orecchio con la lingua bollente.
Aveva desiderio di lui. Di Jasper.
Lo aveva deciso.
 
Chiusi gli occhi, stanco. O meglio abbandonato a quello che da sotto le ciglia chiare vedevo ormai come scritto a lettere chiare su un libro enigmatico che neanche a noi immortali è dato conoscere.
Sento lo schiocco appiccicaticcio del fango sotto i passi affrettati, nonostante la pioggia continui a scrosciare con insistenza.
Mi allungo senza dire una parola verso lo sportello di Bella, do un colpo alla maniglia schiudendolo.
Per un attimo la sfioro con lo sguardo e negli occhi castani scorgo ciò che sento palesemente venire da lei.
Paura, angoscia, incomprensione.
Non capisce la mia piccola Isabella, e infantilmente spero di riuscire a portarla fuori da tutto questo prima che davvero giunga alla vera conclusione, prima che assista ad un pessimo spettacolo.
-Aspe…- non le permisi di continuare, con l’indice serrai le sue labbra.
-Vai- le imposi perentorio, minacciarla non sarebbe servito a nulla, testarda com’era.
Tre colpi rabbiosi picchiarono contro il suo finestrino, prima ancora che lei facesse in tempo a voltarsi, le chiusi la giacca che prima le avevo dato sulle spalle, carezzandole per l’ultima volta i capelli, poi con un gesto leggero la sospinsi fuori dall’abitacolo. Appena in tempo.
-Corri, vai dentro- il mio tono era penosamente supplichevole.
Un fulmine azzurrognolo si insinuò serpentino tra le nubi, in un attimo l’immagine ossimorica mista di pacatezza e furia di Edward si specchiò sul mio finestrino.
Mentre Isabella si voltava e ignara correva sotto la pioggia tornando alla sua festa, una voce sottile, inudibile alle sue fragili orecchie mi giunse dall’esterno.
-Ti devo parlare, Jasper-
 
 
! Si può essere fan di loro e anche della Jasper/Bella? Ovviamente  sì ù.ù
 
 
 
 
   
 
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