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Autore: Hagumi    20/03/2009    2 recensioni
Kakashi è parecchio deluso dalla vita, che gli ha portato via famiglia e migliore amico, ed ha deciso di chiudere il suo cuore a sentimenti così forti, pur di non soffrire ancora per la perdita di persone importanti. Eppure, qualcuno che possa liberarlo dall'oscurità che l'ha inghiottito c'è!
- Smettila di guardarmi con quegli occhi.- gridai, e fu solo per pura fortuna che nessuno mi sentì. – Smettila di cercarmi, e di ronzarmi intorno. Io non sopporto quel tuo sguardo. Hai la pretesa di essere sempre positivo, sempre sorridente. Dalla prima volta che ti ho visto pensavi solo al bene degli altri. Ti ho osservato così tanto. Ti ignoravo, ma al contempo mi attiravi… Dio solo sa, quanto l’avevo osservato. Di nascosto, ogni volta che lo incrociavo. Lo ignoravo, e poi lo seguivo. Silenziosamente, senza farmi vedere. Come un ladro, mi muovevo nell’oscurità e cercavo di carpire il segreto del suo essere così semplice e pulito.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Iruka Umino, Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che lo vidi avevo sedici anni, mentre lui appena tredici, ed era rimasto orfano l’anno precedente a causa del Kyuubi. Anche io avevo perso famiglia e quant’altro, compreso il mio maestro, l’eroe che sigillò il demone volpe a nove code e ci regalò un lungo periodo di pace. Comunque non mi aveva colpito per la sua bravura come ninja o chissà cosa, era decisamente scarso e a tredici anni era ancora un genin, quando io alla sua età ero già diventato Jonin. Comunque c’era qualcosa nei suoi modi di fare che compensava tutto il resto: il suo candore.

*

«Fermati Iruka, dove stai andandooooo?» era la vocina della piccola Kurenai Yuhi, la ragazzina più dolce e graziosa che conoscessi, figlia di conoscenti di famiglia, e con cui avevo giocato insieme qualche volta, quando eravamo piccoli. Ero disteso sull’erba umida del settore d’addestramento numero tredici, in cerca di un po’ di pace almeno in quel luogo lontano dal centro del villaggio, il primo libro della serie “delle pomiciate” aperto e abbandonato sul mio volto e le mani poste dietro la testa, a farmi da cuscino. Nell’udire la voce squillante di Kurenai, aprii pigramente gli occhi e inclinai appena il capo in avanti, lasciando che il libro scivolasse giù dal volto, e ricadesse a terra con un piccolo tonfo che lo fece richiudere. Vidi la moretta correre dietro  un ragazzino dall’espressione gentile che, mentre le camminava avanti, si voltava di tanto in tanto verso di lei e le faceva cenno di non parlare, portandosi un dito sulle labbra. Mi incuriosirono parecchio, se non altro per il fatto che era assurdo vedere due Genin in quel settore, dove eravamo soliti allenarci noi Jonin, quando non eravamo in missione. Mi tirai su a sedere e raccolsi il libro, riponendolo nel marsupio che portavo legato alla cinta, quindi mi alzai in piedi e mi spolverai da un po’ di terriccio, battendo le mani sul retro dei pantaloni della mia divisa. Ero molto più veloce di loro, così senza nessun sforzo li raggiunsi. Mi parai davanti al ragazzino che correva senza che lui potesse rendersene conto, tornò a guardare avanti troppo tardi perché potesse fermarsi, così mi investì in pieno. Non vacillai neanche per un attimo, ma alzai un braccio e lo presi per il collo, alzando invece la mano libera per salutare Kurenai.

- Presooo!- dissi allegramente, mentre il ragazzino rimase immobile, e con la gola accerchiata dalla morsa del mio braccio. Non disse nulla, né provò a dimenarsi. Kurenai, tutta trafelata, ci raggiunse e mi sorrise radiosa. – Kakashi-san! Grazie per averlo fermato…- si incurvò in avanti ed allungò una manina verso Iruka, afferrando una sua chiusa a pugno e facendo forza per aprirgliela. Questa rivelò un pezzettino di carta accartocciato, che la ragazza si affrettò a prendere e a ficcarsi in tasca. – Così impari, Iruka!- sbottò acidella, prima di sorridermi ancora. – Sono in debito! A presto Kakashi-san!- detto questo si voltò e tornò sui propri passi, diretta verso il villaggio.

Io rimasi ancora con quella sottospecie di marmocchio sotto il braccio e, solo quando Kurenai si fu allontanata ed abbassai lo sguardo su di lui, notai che non aveva ancora parlato semplicemente perché lo stavo quasi strozzando. Era cianotico.

- Ah. Scusami!- risi e lo lasciai andare. Il ragazzo cadde a terra tenendosi la gola con le manine e cacciò fuori la lingua, mentre riacquistava un po’ di colorito umano.

- A… accidenti… quanto sei forte… - farfugliò cercando di riprendere fiato.

Mi inginocchiai di fronte a lui e lo guardai incuriosito.

- Che tremendo scherzetto stavi facendo alla piccola Kurenai?- chiesi con un sorriso, che lui però non poteva vedere dato che già al tempo avevo l’abitudine di coprire quasi per intero il mio volto.

Boccheggiando ancora, affamato d’aria, mi guardò severamente.

- Non avresti dovuto intrometterti. Le stavo preparando una sorpresa… aveva scritto una lettera d’amore per il senpai Asuma, e così gliela stavo semplicemente portando, perché lei non ne aveva il coraggio.- disse lui ingenuamente, sedendosi sull’erbetta ed incrociando le gambette a mo’ di indiano.

Lo guardai stralunato. – E ti sembrano scherzi da farsi? Poveretta, ci credo che ti rincorreva disperata…-

Lui brontolò qualcosa di confuso, prima di schiarirsi la voce e aggiungere altro – Ripeto, non era uno scherzo. Quei due dormono, ma si piacciono a vicenda, volevo solo aiutare.

- Mh. Molto nobile… - dissi, scrutandolo appena, prima di voltarmi verso la direzione in cui Kurenai era corsa via. – Ti do un consiglio, lascia che se la sbrighino da soli. So che non avevi cattive intenzioni, ma se non si sono ancora dichiarati, significa semplicemente che non sono ancora pronti. Non credi?

Mi voltai di nuovo verso il ragazzino e osservai attentamente il suo volto. Aveva dei lineamenti molto dolci, una folta capigliatura castana che teneva raccolta in una specie di codino-carciofo, e i suoi occhi erano di un nocciola che avrebbe rapito l’anima anche alla persona più insensibile. Sembrava quasi brillassero di luce propria, due pozze scure, ma che scintillavano di purezza. Non avevo mai visto uno sguardo così candido  e sincero in vita mia, forse solo quello di Minato sensei avrebbe potuto tenergli testa. Se solo fosse stato ancora vivo.

Lui, dal canto suo, aveva ascoltato tutte le mie parole e sembrò prenderle come oro colato. Annuì con la testolina castana e poi sorrise. – Credo tu abbia ragione. A proposito, il mio nome è Iruka. Umino Iruka.-

Non mi porse la sua mano, anzi fu una presentazione molto informale. Lo imitai, alzando la mancina a mezz’aria e salutandolo solo così.

- Io sono Kakashi Hatake.

- Si, so chi sei.

Rimasi perplesso a quell’affermazione. Non sapevo di essere conosciuto tra i kohai.

Si rialzò in piedi e mi fece un cenno con la mano.

- Sono stato contento di imbattermi in te, Kakashi-san, anche se in quel modo brusco. Sei una leggenda tra i miei compagni, sei stato il primo a diventare Chunin a soli sei anni.- alzò lo sguardo verso il cielo, che ormai aveva assunto tinte aranciate a causa del tramonto. – Vado a casa, devo prepararmi ancora la cena. Alla prossima, senpai!- disse con un sorriso, prima di voltarsi e seguire le orme di Kurenai, in direzione del villaggio. Quel sorriso mi lasciò piuttosto scosso. Era il sorriso più dolce che avessi mai visto.

*

Ero appena uscito da un negozio. Aprii l’ombrello per ripararmi dalla pioggia battente che ormai cadeva da parecchie ore sull’isola. Rombi di tuono spezzavano il silenzio calato sulla cittadina a causa del maltempo, le strade erano sgombre e solo i fulmini che di tanto in tanto squarciavano il cielo plumbeo mi tenevano compagnia.  Fischiettavo mentre mi dirigevo con calma verso casa, quando una figura conosciuta attirò la mia attenzione, tagliandomi la strada di corsa ed imbucandosi in un vicoletto buio. Rimasi un attimo perplesso, mentre le mie labbra sussurrarono quasi meccanicamente il suo nome.

- Iruka…?- mi chiesi sorpreso, prima di imboccare anche io la stradina e seguirlo. Era passato un anno da quando lo conoscevo e ormai eravamo diventati piuttosto amici. Tuttavia era la prima volta che lo vedevo così strano, per non dire che il suo volto mi era sembrato rigato dalle lacrime, ed ero quasi sicuro non fossero solo gocce di pioggia. Era la prima volta che lo vedevo in quello stato e fu un vero colpo al cuore, anche se ancora non sapevo spiegarmi il perché.

Lo trovai accucciato in un angolo remoto della stradina, che si rivelò essere un vicolo cieco. Mi dava le spalle, rivolto verso il muro, e riuscivo a vedere distintamente il suo corpo scosso dai singhiozzi. Sospirai, chiedendomi se i suoi coetanei lo avessero ancora preso in giro per le sue buffonate, e mi avvicinai, inginocchiandomi dietro di lui e coprendolo con l’ombrello.

- Sei completamente zuppo.- dissi in modo scontato, e non feci nessuna domanda, se avesse voluto aprirsi con me lo avrebbe fatto di sua volontà.

Scosse la testa, rimanendo appallottolato come un cucciolo ferito.

- Non è successo niente… - disse con una voce piuttosto flebile per il suo timbro.

- Io non ti ho chiesto niente, infatti.- sorrisi, cercando di farlo sentire a suo agio.

Sembrò che stessi riuscendo facilmente nell’intento, infatti alzò la testolina e si voltò verso di me, rimanendo però inginocchiato a terra.

- Mi hanno preso in giro.- disse senza riuscire a guardarmi negli occhi.

Sospirai. Accidenti ai quattordicenni, erano così problematici. Ovviamente non mi rendevo conto che io, a diciassette anni suonati, lo ero più di loro, e lo avrei scoperto solo a breve.

- Cosa ti hanno detto?- chiesi ora, sentendo che stavolta avrebbe potuto rispondermi.

Lui scrollò le spalle, incerto.

- Mi hanno chiamato checca…

Strabuzzai gli occhi, compreso quello coperto dalla fascia da ninja della foglia. Ero estremamente sorpreso.

- Sei fuggito da qualche duello?- chiesi, certo che fosse un soprannome dovuto ad un’ipotetica codardia che aveva potuto mostrare ai compagni.

Lui scosse il capo, negativamente.

- No… no… è perché… hanno scoperto che mi piace qualcuno… - terminò la frase in un pigolio che fu completamente coperto dallo scrosciare insistente della pioggia. Tuttavia mi fu abbastanza chiaro il concetto.

Alzai una mano e la portai sotto il suo mento, alzandogli il viso per farmi guardare. Per rassicurarlo.

Mi guardò negli occhi, e un brivido mi percorse la schiena, come la prima volta che avevo incontrato quello sguardo meraviglioso.

- Non dar loro retta. Che male c’è se ti piace una ragazza? Non sei mica un debole solo per questo… - dissi dall’alto della mia ignoranza, non avendo ancora compreso a fondo la situazione.

- Ma… Kakashi-san… non hai capito… ti ho detto che mi hanno chiamato checca… - sbottò lui, stavolta ridacchiando ed alzando le mani per asciugarsi il viso. Dalla pioggia, ma anche dalle lacrime.

Ci pensai un attimo, ed improvvisamente mi resi conto.

- Ah. E lo sei?- chiesi in modo estremamente ingenuo.

Lui rise. – Se così ti piace definire i ragazzi a cui piacciono altri ragazzi… allora si, lo sono.- disse con un tono piuttosto maturo.

Ritirai la mano dal suo viso, in modo automatico. Ovviamente me ne pentii subito, sapevo di averlo ferito con  quel gesto. Infatti abbassò lo sguardo ed assunse un’espressione tremendamente abbattuta.

- Ti faccio schifo, senpai?- mi chiese docile. Un sorriso piuttosto amaro gli si dipinse in volto, ma non mi accusò minimamente per i miei modi rozzi.

Scossi la testa, cercando di giustificare quel gesto tremendo che avevo compiuto nei suoi confronti. Allungai di nuovo la mano e gliel’appoggiai sulla guancia, doveva capire che non mi disgustava per niente, che non lo trovavo affatto anormale.

- Ovvio che non mi fai schi—

Mi interruppe.

- Sei tu quello che mi piace, Kakashi-san.

Sgranai gli occhi, allibito. Il mio cuore aveva saltato un battito, mentre mi scrutava con quel sorriso furbetto e quello sguardo che sembrava riuscire a superare tutte le mie barriere e scrutare nel profondo del mio animo. Quello sguardo mi dava i brividi, in quel momento. Ma non ero disgustato. Ero sorpreso. Incredulo. Forse anche un po’ lusingato.  Infine spaventato. Non dalle sue inclinazioni sessuali, quello mai. Dopotutto, mi resi conto nello stesso istante in cui mi si era dichiarato, che io provavo lo stesso. Non ero spaventato dai suoi sentimenti, né dai miei. Mi terrorizzava solo come, in poco tempo, avesse abbattuto tutte le mie difese, scavando in fondo al mio essere e trovando del buono. Del buono in me, che lo aveva fatto innamorare, se già amore si poteva definire.

Boccheggiai appena, la gola straordinariamente arida. Avevo bisogno di bere. Bere, e pensare.

- Ho capito.

Fu l’unica cosa che riuscii a dire, per non lasciarlo senza neanche una parola. Gli sorrisi e lui potè notare distintamente le increspature della fascia nera che nascondeva il mio volto, e mi sorrise di rimando.

Ma poi non riuscii a resistere più, sotto il peso di quegli occhi che mi facevano sentire nudo. Avevo paura di essere giudicato da quegli occhi pieni di ottimismo e di speranza. Non c’era speranza per me. Ero solo un tipo solitario che non voleva legarsi più a nessuno. Non voleva amare più nessuno. Perdere qualcun altro, come avevo perso famiglia ed Obito, sarebbe stato troppo doloroso. Mi alzai e gli lasciai l’ombrello, e dopo avergli consigliato di tornare a casa per asciugarsi e cambiarsi me ne andai, sotto la pioggia. Senza una mèta e con la testa piena fino a scoppiare.

*

Era passata qualche settimana, ed io ero appena tornato da una missione piuttosto importante, una livello A. Ero seduto al bancone dell’Ichiraku, il chiosco che preparava il miglior ramen del paese, in compagnia di Asuma, mio coetaneo e Jonin come me, anche se da meno tempo.

Eravamo in attesa delle nostre ordinazioni e chiacchieravamo del più e del meno, quando mi pose una domanda piuttosto inaspettata.

- Eri parecchio distratto, stavolta. E’ la prima volta che ti vedo tornare da una missione con qualche graffio, in genere torni totalmente integro e senza neanche i vestiti sgualciti. Sembrava che tu non vedessi l’ora di tornare a Konoha. C’è qualcosa che ti turba, Kakashi?- mi chiese in tono premuroso. Asuma aveva imparato a conoscermi abbastanza, e anche se non mi aprivo più con nessuno, almeno a lui qualcosa di me lo dicevo. Quel tanto perché almeno qualcuno potesse comprendermi. Era un ragazzo maturo e sapevo di potermi fidare. Feci spallucce e cercai di concentrarmi sulla ciotola di ramen dall’aria squisita che mi fu messa sotto il naso, ma Asuma la prese e la tirò verso di sé. – Non mangi finché non mi rispondi, Kakashi!- calcò il tono ancora una volta sul mio nome, volendo suonare quasi minaccioso.  – Ti stai fissando… - risposi brusco, allungando le mani per recuperare il mio pasto, ma non ci riuscii, Asuma l’allontanò ancora di più.

- No, che non mi sto fissando. Avevi la testa completamente da un’altra parte. Posso sapere cosa ti è preso?

- Ero solo un po’ pensieroso… - cercai di convincerlo, e allungai di nuovo le mani, finalmente riuscendo a riprendere il mio ramen. Gli diedi le spalle, mi abbassai la fascia dal viso e iniziai a trangugiarlo affamato. In missione si mangia una vera schifezza, e mi mancava quel sapore così piacevole.

- Buongiorno!- nel sentire quel saluto e la voce di chi l’aveva rivolto entrando nel chioschetto, risputai un po’ di brodo nella ciotola, preso alla sprovvista. Mi pulii velocemente le labbra con una mano e rimisi la fascia al suo posto, quindi tornai a voltarmi in avanti, agitato. “Accidenti, non ora…”

Lanciai un’occhiata di sbieco ad Asuma, che mi guardava perplesso e che poi portò lo sguardo sul ragazzino appena entrato: Iruka.

- Kakashi-san!- disse allegro il brunetto, avvicinandosi al bancone seguito a ruota da Kurenai e da un altro loro compagno di cui io non avevo la più pallida idea di chi fosse.

Nel constatare la presenza di Kurenai, comunque, Asuma si dimenticò praticamente subito di me e dei miei turbamenti, e scalò di un posto in modo da farla sedere tra me e lui.

- Kurenai!- disse infatti il mio amico, senza alcun titolo onorifico. Ormai c’era una certa intimità, platonica, ma pur sempre intimità. La ragazza arrossì e si sedette sullo sgabello cedutole dal ragazzo. Rimasero in silenzio per il resto del tempo, a gettarsi occhiatine eloquenti mentre consumavano i loro ramen. Io, dal canto mio, osservavo disperato la ciotola ancora mezza piena e ormai freddatasi, mentre Iruka si sedeva accanto a me e il suo amico con lui.

- Ehilà… - dissi non troppo convinto, voltandomi verso i due. E il sorriso del ragazzino mi colpì di nuovo in pieno, come un pugno.

- Kurenai ci ha detto che siete stati in una missione di livello A. Che invidia, senpai Kakashi. Essere Jonin deve essere davvero eccitante. – ordinò qualcosa, poi tornò a rivolgersi a me – Sono contento tu sia tornato tutto integro e... mi sei mancato…- aggiunse infine, provocando in me uno spasmo involontario della mascella. Che razza di situazione assurda, insomma! Perché diavolo quel marmocchio doveva turbarmi così tanto?

Notò che io non rispondevo, e che non ne avevo la minima intenzione, così ignorò bellamente la ciotola che gli fu posta davanti e mi guardò preoccupato.

- Va tutto bene, Kakashi-san?- mi chiese con quella sua voce così gradevole per il mio udito, ma quando mi resi conto che quel ragazzino si stava stranamente insinuando nella mia mente più del dovuto, battei un pugno sul bancone, guardandolo terribilmente nervoso.

- Siete fastidiosi. Stavo parlando con Asuma… - e pensare che, dato l’interrogatorio del mio amico, avrei dovuto mostrarmi ben lieto della loro interruzione.

Lo sguardo di Iruka si fece piuttosto mortificato e le sue guance arrossirono, mentre gli altri tre sembravano non aver accusato minimamente il colpo delle mie parole, anzi mi ignorarono categoricamente.

Stavo per assumere quasi la sua stessa espressione, sentendomi legato a lui da un’empatia impressionante, ma scacciai subito anche quei pensieri e mi alzai. Lasciai un paio di monete per pagare il mio ramen e mi allontanai dal chiosco, inquieto come non mai.

*

Successivamente furono rare le volte in cui ebbi contatti con lui. Lo ignoravo il più possibile, non volevo avere niente a che farci. Aveva lo strano potere di scioccarmi, per chissà quale oscuro motivo chiaro solo al mio inconscio. A me, no di certo.

Quando lo incontravo per caso lo ignoravo, quando per missioni di grado inferiore dovevo collaborare con lui, cercavo qualche mio sostituto, inventando tutte le scuse di questo mondo, tra cui anche diarrea fulminante, attirando le prese in giro di metà ninja della foglia. Ma a me non importava niente, volevo solo ignorarlo e rimanere nelle mie tenebre. La luce che emanava era troppa, per me.

Fu solo dopo due ulteriori anni da quando l’avevo conosciuto, che ebbi di nuovo un contatto forzato con lui, da cui non potevo sottrarmi.

Quel mattino uggioso un chunin venne a chiamarmi mentre era ancora l’alba e dormivo beatamente, con l’ordine da parte del terzo Hokage di presentarmi subito al suo cospetto. Avevo diciannove anni, ero un ninja scelto e mi venivano affidate ormai missioni dal sandaime in persona. Fu per questo che quella volta non potei farei nulla per sottrarmi al mio dovere.

Neanche un’ora dopo ero dinnanzi a Sarutobi-sama e nascondevo a mala pena la mia irritazione alle sue parole.

- Non per mancarle di rispetto, hokage-sama… ma non sarebbe meglio se mi facesse andare con altri Jonin? Non mi sembra una missione da chunin, questa- sbottai acido, ma cercando di mantenere un contegno.

Ma l’Hokage non volle sentire ragioni. Così mi ritrovai ad uscire dal suo ufficio seguito a ruota da due chunin che non conoscevo… e da quello stramaledettissimo Iruka Umino, che ormai era diventato una vera persecuzione.

- Andate a prepararvi, partiremo fra un’ora… - dissi gelidamente, e i primi due rispettarono subito il mio ordine. Continua a camminare con le mani in tasca, cercando di ignorare il ragazzo che ancora mi seguiva.

- Ho dato un ordine, Umino-san- cercai di suonare brusco anche con lui, ma una volta andati via gli altri, proprio non mi riusciva. Rallentai la camminata, prima di fermarmi del tutto e voltarmi verso di lui. – Che c’è?- chiesi in un sospiro rassegnato. A quanto pareva era arrivato il momento di affrontarlo. Lui e i suoi cazzo di occhi puri. O almeno così li definivo, in quel periodo.

- Vorrei solo sapere… che cosa ti ho… - si fermò un attimo, come se stesse cercando di selezionare attentamente le parole -… cosa LE ho fatto, Kakashi-san. Ha iniziato a trattarmi male senza un motivo che per me fosse plausibile.

Sbuffai infastidito. Ci mancava solo il vittimismo.

- Ti tratto come tratto tutti gli altri miei kohai, Iru… Umino. Cosa c’è che non va in questo?

Anche lui sbuffò, quasi imitandomi, ed incrociando le braccia al petto

- Ha iniziato a farlo all’improvviso, e sempre con più astio verso di me. All’inizio era gentile, poi iniziò ad ignorarmi… e infine questo.

Feci spallucce. – Non c’è mai stato motivo per cui dovessi trattarti diversamente dagli altri.

Vidi un lampo attraversare il suo sguardo, sembrava quasi angosciato. Rimanemmo in silenzio qualche momento, prima che il mio cervello mi abbandonasse definitivamente ed in un moto d’ira lo sbattessi contro il muro del corridoio alle sue spalle, portandogli un braccio al collo e usando l’altra mano per fermargli i polsi e tenerglieli ben serrati sopra la testa. Ero troppo veloce per lui, non aveva avuto neanche il tempo di vedermi o di sentirmi afferrarlo, che si ritrovò spiaccicato contro il muro, il mio corpo che faceva pressione sul suo.

- Smettila di guardarmi con quegli occhi.- gridai, e fu solo per pura fortuna che nessuno mi sentì. – Smettila di cercarmi, e di ronzarmi intorno. Io non sopporto quel tuo sguardo. Hai la pretesa di essere sempre positivo, sempre sorridente. Dalla prima volta che ti ho visto pensavi solo al bene degli altri. Ti ho osservato così tanto. Ti ignoravo, ma al contempo mi attiravi…

Dio solo sa, quanto l’avevo osservato. Di nascosto, ogni volta che lo incrociavo. Lo ignoravo, e poi lo seguivo. Silenziosamente, senza farmi vedere. Come un ladro, mi muovevo nell’oscurità e cercavo di carpire il segreto del suo essere così semplice e pulito. Era un po’ il buffoncello del gruppo, io lo vedevo. Cercava di attirare l’attenzione degli adulti, dopo la morte dei suoi genitori. Non era uno studente brillante, così doveva fare altro doveva fare di più. Mettersi in mostra, far ridere tutti. Voler piacere agli altri, più di qualunque cosa. E non si rendeva conto che per piacere agli altri tutto ciò non serviva. Lui era già perfetto, così com’era. E io mi ero lentamente innamorato di lui, senza neanche rendermene conto. Lui, che aveva perso la sua famiglia, ma era sempre così positivo, così ottimista. Aveva risucchiato la mia oscurità, tutta. Quando lo vedevo piangere silenziosamente nel cuore della notte, affacciandomi alla sua finestra senza che potesse vedermi. Quando mi sorrideva, anche se incrociandoci lo ignoravo o lo trattavo come uno zerbino. Il suo sorriso era il tesoro più prezioso di questo mondo, mi aveva colpito in pieno fin dalla prima volta che l’avevo incontrato, mi aveva arpionato il cuore e mai più l’aveva lasciato.

Fui ripescato dai miei pensieri da un suo gemito affannato. Gli stavo mozzando il respiro, premendogli sulla gola con il braccio. Insomma, era destino che ogni volta che avessimo incontri ravvicinati, avrei dovuto soffocarlo in qualche modo.

Allentai un po’ la presa, ma non lo lasciai. Eravamo così vicini, il suo respiro soffiava sul mio viso coperto, ma io riuscivo a sentirlo distintamente.

- Kakashi-san… perché… non me l’ha… mai detto…?- chiese un po’ affaticato, mentre mi guardava con gli occhi socchiusi.

- Cosa ti dovevo dire, Iruka? Cosa avresti voluto sentirti dire?

Non potevo esprimere i miei sentimenti, non più di quanto avessi già fatto. Tanto bastava. Non volevo umiliarmi più di così.

- Che anche io le…- iniziava a respirare di nuovo senza fatica, lo tenevo ancora fermo, ma non ero più d’intralcio per la sua gola -… che anche io ti piacevo. E’ così, vero? Tu hai iniziato ad ignorarmi quando ti ho detto che mi piacevi… che cosa ti faceva paura, Kakashi? Che io fossi omosessuale? O che fossi tu ad esserlo?

Quelle parole, per me, suonavano fin troppo taglienti. Stridevano alle mie orecchie, non volevo sentire niente, non volevo che lui mi purificasse. Io ero solo. Dovevo rimanere solo. Solo il buio doveva essermi amico e nessun’altro. Solo l’oscurità e la solitudine potevano avere posti riservati al mio fianco. Io non volevo amare. NON POTEVO AMARE PIU’ NESSUNO!

Ma prima che me ne accorgessi, qualche lacrima aveva già rigato il mio viso. Allentai la presa sui  polsi di lui, che riuscì a liberarsi facilmente, e con le mani dunque dovette fare leva davvero poco sul braccio che ancora appoggiavo appena al suo collo, per allontanarlo. Abbassai il viso, scosso dai singhiozzi. Accidenti. Lui e la sua speranza di pace e bontà per tutti gli uomini di buona volontà. Lui e le sue immani stronzate. E quegli occhi. Quegli occhi che a tutti i costi, fin dalla prima volta che li avevo incrociati, avevano voluto cercare di liberarmi dai miei fantasmi.

La sua mano entrò improvvisamente nel mio campo visivo, e prima che riuscissi a capire cosa stesse per fare, mi afferrò per il colletto e mi attirò verso di sé, abbassando la fascia che mi copriva il volto con la mano libera ed annullando la distanza tra le nostre labbra. Cercai di tirarmi indietro, ma a quanto pareva non era così deboluccio come pensavo fosse, e mi tenne ben stretto. Fu quando sentii la sua lingua calda premere sulle mie labbra e farle schiudere, che un fiotto di calore mi inondò il cuore. Appoggiai le mani sul muro, ai lati della sua testa, e chiusi gli occhi per ricambiare quel bacio infinitamente dolce, mentre lui mi teneva ora il viso tra le mani, accarezzandomi con dolcezza.

Fu allora che mi resi conto che mi aveva liberato dalle tenebre che mi ostinavo a voler tenere con me, e che mi aveva circondato con la sua luce e il suo candore.

Quando ci separammo per riprendere fiato, appoggiai la fronte sulla sua, e lo guardai in quegli occhi limpidi che avevano segnato il mio cambiamento.

- Ti amo… - sussurrai io, ma lo fece anche lui. Lo dicemmo insieme, prima di sorriderci e baciarci di nuovo. Con quel gesto colmo d’amore aveva semplicemente spazzato via tutto ciò che tormentava il mio cuore da anni. Perché lui era Iruka, la persona più candida che avessi mai conosciuto, che liberava le persone dai turbamenti con la sua innata speranza e il suo ottimismo, ed era questa la sua forza.

 

The End

  
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