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Autore: _Lady di inchiostro_    08/02/2016    4 recensioni
«Ti sta bene…»
«Non dirlo, altrimenti penserò che mio nonno ti abbia fatto il lavaggio del cervello!»
«Dico sul serio, non calza a tutti la divisa da marinaio. A te sì…»

**
Se c’era una cosa che Law odiava, erano le missioni di recupero, specie quando era lui la persona da recuperare. E, dopo quanto avvenuto a Dressrosa, ora si ritrovava nella stessa situazione.
Ma se ci fosse bisogno dell’intervento di un giovane pirata vestito da Marine per fargli cambiare idea e – cosa più importante – liberarlo?
**
{LawLu
{Lime
{Ispired by a doujinshi
{What else? ♥
Genere: Erotico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Monkey D. Rufy, Trafalgar Law
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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{Sai che la divisa da Marine ti sta bene?}






Mai sottovalutare il proprio avversario.
È una legge che il Chirurgo della Morte conosceva più che bene, tanto che la metteva in atto in quasi tutti i suoi scontri, anche quando era in netto vantaggio. L’esperienza gli aveva insegnato che il nemico poteva avere sempre un asso nella manica da giocare. 
Proprio perché vigeva questa legge all’interno del sottomarino giallo, ormai la sua umile dimora e quella dei suoi compagni, era difficile che Trafalgar Law non cadesse in piedi davanti a uno scontro, per quanto arduo potesse essere. Certo, le regole non sono fatte per essere rispettate costantemente alla lettera, si sa che qualche volta ci può stare una piccola trasgressione. Come la trasgressione che Law stesso, colui che aveva volutamente imposto questa regola per evitare situazioni spiacevoli, aveva compiuto di lì a qualche ora. 
Per una volta – l’unica santa volta – si era lasciato cullare dall’idea che avrebbero sconfitto quel branco di Marines – probabilmente i tonti che ricoprivano i buchi rimasti nelle basi navali del Nuovo Mondo – e abbattuto le loro navi nel giro di poco, così che lui potesse riprendere le sue attività all’interno della sua imbarcazione. Non aveva di certo calcolato che quei Marines avessero un briciolo di sale in zucca e che avrebbero fatto di tutto per separarlo dalla sua ciurma. 
Per quanto Law fosse un individuo cinico e quasi incapace di provare sentimenti, teneva davvero alla sua ciurma e non avrebbe di certo permesso che li catturassero per colpa di una sua – incredibile ma vero – mancanza. Da buon capitano qual era, ordinò tassativamente la ritirata, intanto che i soldati lo inchiodavano sul posto con manette di agalmatolite.
Già, quella fu l’unica volta in cui la mente di Law si annebbiò completamente, cancellando per un attimo la frase che aveva sempre stampato in testa. Persino a Dressrosa era stato particolarmente attento ai movimenti di Doflamingo, nonostante la rabbia gli montasse dentro e avesse solo il desiderio di mettere fine alla sua vita e vendicarsi una volta per tutte – e non poté non notare quanto la situazione gli ricordasse oltremodo la sua lieve prigionia al palazzo di Joker.
In quel momento, in quella cella che puzzava di uova marce e umido, Law si chiese quale sarebbe stato teoricamente il suo destino: sarebbe rimasto in quella base giusto per attendere l’attracco di una nave di un qualche ufficiale, per poi passare da Impel Down al patibolo di Marineford.
Ovviamente, non si dava ancora per spacciato, non quando era già sopravvissuto a colpi di arma da fuoco e all’amputazione di un braccio; era più che sicuro che i suoi compagni sarebbero venuti a riprenderlo, avevano una sua Vivre Card a disposizione e sarebbe bastata quella. Il problema non era questo, ma il tempo che avrebbero impiegato per arrivare. Law si era decisamente seccato di star lì a fissare la guardia mentre si grattava le chiappe, e sperava inoltre di poter uscire da sé dalla base, senza bisogno di inutili salvataggi. Li odiava, erano altresì umilianti. Ancora ricordava quello di Dressrosa, dove aveva quasi rubato l’aria “principesca” dell’erede al trono Rebecca. 
Rabbrividì – se non per il freddo, per via di quell’immagine che desiderava ardentemente cancellare dalla sua mente –, facendo tintinnare le catene delle manette e delle cavigliere, saldamente ancorate alla parete. Provò ad alzare la testa verso la piccola finestrella che stava sopra, intravedendo appena un pezzetto di cielo azzurro e udendo il lievissimo scroscio delle onde. Be’, almeno lì avevano ancora un po’ di umanità…
Fece ricadere il capo penzoloni, sospirando: doveva trovare un modo per svignarsela, e anche in fretta.
Era quasi sul punto di lasciar perdere, non trovando niente che potesse – per lo meno – liberarlo da quella cella maleodorante, rassegnandosi all’idea che avrebbe dovuto aspettare l’arrivo dei suoi compagni e augurandosi che avessero già ideato un piano, quando sentì il rumore di una porta che strideva e dei passi che scendevano piano piano le scale. Nel giro di pochi secondi, comparve un ragazzo, la divisa da Marine lievemente stropicciata, un grembiule più grigio che bianco a cingergli la vita, mentre trasportava malamente un secchio e un vecchio mocio.
Law assottigliò lo sguardo, intanto che il ragazzo si guardava intorno come se fosse completamente fuori posto: il chirurgo aveva una strana sensazione, difficile da decifrare. 
La guardia decise – e siano lodati i cieli! – di lasciar stare la sua chiappa, per piantarsi davanti al giovane, che lo fissò da capo a piedi. Il Marine tossicchiò, come a voler riportare la sua attenzione su qualcosa, ma il suo gesto causò solo un’espressione confusa da parte dell’altro. 
«Sono un tuo superiore… dovresti scattare sull’attenti…» gli fece notare quello, sussurrandolo tra i denti. 
«Ah già!» Il ragazzo fece il saluto come meglio poteva, ciuffi neri che gli uscivano dal cappello e gli finivano dritti negli occhi. 
«Mi manda il comandante, signore! È il mio turno per le pulizie!»
«Oh, sul serio?» chiese il Marine, con una nota di stupore nella voce. «Eppure, ricordo che il comandante avesse detto di non far scendere nessuno, tranne la guardia che dovrebbe darmi il cambio…»
I grandi occhi del ragazzo sgranarono, mentre secchio e mocio si trovano per terra, in ambe due i lati. Prese a sistemarsi la camicia della divisa o a scrollarsi la presunta polvere dal grembiule, in evidente ricerca di qualche giustificazione plausibile.
C’era qualcosa che non andava. 
Quel ragazzo non era come gli altri soldati che Law aveva incontrato sul suo cammino – non che quelli della base in cui si trovava brillassero per intelligenza o altro. No, era diverso. Sembrava quasi che quel ragazzo non fosse un Marine. Era a disagio, poteva percepirlo persino dalla distanza in cui si trovava.
Fu solo quando gli occhi del ragazzo guizzarono verso di lui, che Law capì che cos’era la sensazione strana che gli aveva fatto mandare giù grappoli interi di saliva. Conosceva quel ragazzo. Esisteva un’unica persona al mondo con quegli occhi che brillavano come una pietra di ossidiana. 
Trasalirono entrambi, troppo concentrati sul loro gioco di sguardi, nel sentire con quale delicatezza la guardia si stava stiracchiando e sbadigliava.
«Be’, se è stato il comandante a dirtelo…» brontolò. «Vedi di non impiegarci troppo, ne approfitto per prendermi un po’ di caffè.»
Si girò verso Law, puntandogli un dito contro. «E tu non spaventarlo, siamo intesi?»
Il capitano degli Heart alzò un sopracciglio, chiedendosi come diavolo avevano fatto quei Mariners a imbrogliarlo: le polveri del nuovo medicinale a cui stava lavorando gli avevano fatto perdere il controllo durante lo scontro?
La guardia fece un altro sbadiglio, tentando di alzarsi le brache mezze calate, salendo poi i gradini che lo separavano dal resto della base. E poi Law ebbe la conferma di chi fosse veramente quel ragazzo che era rimasto, fino allora, fermo nella stessa posizione: il suo braccio si allungò letteralmente, come se fosse fatto di gomma, verso i pantaloni della guardia, afferrando le chiavi con un veloce scatto prima che la porta si richiudesse. 
Monkey D. Rufy. 
Doveva ammettere che l’idea di intrufolarsi nella base sotto le vesti di un marinaio non era malaccio – anche se sapeva benissimo che doveva essere uno stratagemma ideato dalla navigatrice –, e Rufy poteva essere benissimo scambiato per uno di loro da quegli imbecilli. Faceva un po’ impressione vederlo in quelle vesti, senza il suo solito cappello sul capo ma con un comunissimo berretto bianco che gli copriva parzialmente il volto con la visiera, però in fondo a Law non dispiaceva poi tanto. 
Fissò l’altro rigirarsi le chiavi tra le mani, alla ricerca di quella giusta, e aprire la cella con un enorme sorrisone. «Torao! Per fortuna ti ho trovato!»
Diamine, quel ragazzo aveva l’accortezza di una mandria di buoi quando si trattava di situazioni delicate! 
Mentre smanettava per liberarlo definitivamente – parlottando di come questa specie di “missione di recupero” gli ricordasse tanto una delle sue disavventure, avvenuta proprio dentro una base militare –, Law non poté fare a meno di paragonare del tutto la situazione attuale a quella avvenuta invece a Dressrosa, con Rufy che andava gridando ai quattro venti che l’avrebbe salvato e correndo come un razzo. E sì, Law credeva di aver raggiunto l’apice dell’umiliazione proprio in quel momento – come diavolo era possibile che stesse succedendo ancora, per la seconda volta?
Era assorto nei suoi pensieri durante il tempo in cui Rufy tentava di aprire le manette senza collassare per terra. I lineamenti tesi che prima scavavano il suo volto, avevano lasciato spazio a un’espressione più serena, quasi sollevata. Per Law, sembrava essere tornato il solito idiota di sempre. Con cui era incazzato nero, ovviamente.
Non appena sentì il tintinnio delle catene che cadevano pesantemente sul pavimento, Law bloccò il collo di Rufy col braccio e lo sbatté al muro di fianco a lui. La stanchezza sembrava essere fluita via sotto forma di scarica elettrica; o forse era solo l’aria circostante a essere carica elettricamente, complicando ulteriormente le cose. L’ultima cosa che voleva era che Rufy venisse a salvarlo – per una seconda volta, porca la miseria! – e che venisse a scoprire che la sua ciurma era stata messa a rischio a causa di una sua negligenza. Lui era Trafalgar Law, aveva sempre tutto sotto controllo; e lo stare lì, con quell’aria fetida che impregnava l’atmosfera, circondato da un branco di scimmie, gli era sembrata una punizione più che sufficiente. La presenza di Rufy aveva solo finito per innervosirlo ancora di più, anche se in una piccola parte di sé era felice di vederlo.
«Che ci fai qui?» soffiò a pochi centimetri dal suo viso, mentre l’altro si dimenava mollando calci.
Il ragazzo di gomma, ancora incredulo dall’attacco del suo alleato, strinse entrambe le mani sul suo braccio, in modo da fargli capire che non riusciva a respirare. Alla fine, Law mollò la presa, permettendogli di prendere fiato. 
«Dico sei impazzito?» protestò.
«Che ci fai qui?» ripeté il chirurgo. «Come facevi a sapere che ero qui?»
«È stato Pinguino a dirmelo!» Law alzò un sopracciglio: probabilmente si riferiva a Peanguin. «Ci ha chiamati, disperato, chiedendo il nostro aiuto per una missione di recupero. Era ovvio che sarei venuto a riprenderti!»
Trafalgar roteò gli occhi. La sua ciurma sembrava aver preso fin troppo in simpatia la ciurma di Cappello di Paglia, tanto che si dispiacquero quando fu il momento di separarsi, sebbene Law gli avesse ripetuto un centinaio di volte che loro erano alleati, semplici alleati. D’altro canto, quest’ultimo non avrebbe ammesso con facilità che tra lui e Rufy fosse nato qualcosa, qualcosa che andava oltre il semplice rispetto, oltre la semplice fiducia, oltre il semplice atto carnale. Di certo, Law non avrebbe mai ammesso di essersi preso una sbandata – figuriamoci, l’amore è solo qualcosa per le quattordicenni, non per un medico rispettabile e impegnato a terrorizzare la gente con le sue vivisezioni come lui!
«Il fatto che siamo alleati anche a distanza, non ti obbliga a prendere parte a una missione di soccorso, anche se c’è in ballo la mia ciurma. E poi ce la saremo cavata benissimo da soli!»
«Mi avrebbero chiamato lo stesso! Sanno benissimo cosa c’è tra me e te…»
Se la ciurma di Cappello di Paglia aveva intuito qualcosa già nell’isola conosciuta per essere patria delle passioni, quando gli Heart videro il loro capitano in compagnia del giovane di gomma, la cosa fu lampante. Era evidente nello sguardo che Law rivolgeva a Rufy e di come quest’ultimo ricambiasse. Si cercavano, si volevano. 
Forse la scintilla era scoccata già ad Amazon Lily, quando Satchi, Peanguin e Bepo avevano notato con che forza il loro capitano stringeva la tesa pagliuzzata di quel cappello. In realtà, la cosa non aveva poi tanta importanza: quello che per loro contava era che, davvero, Monkey D. Rufy aveva riempito il cratere che stava all’altezza del petto del loro capitano, proprio sul cuore, un cratere che loro non erano mai riusciti a chiudere. Era quello giusto, non c’erano dubbi per loro. 
Il moro fece un grugnito, causando le seguenti lamentele da parte di Rufy. «Ho indossato quest’odiosa divisa, ho fatto tutto quello che mi ha detto Nami, ti ho liberato, e questo è il ringraziamento…» borbottò, le guance gonfie e il labbro inferiore che sporgeva. 
Law lo osservò per un paio di secondi, riconfermando quanto aveva pensato prima. Stirò le labbra in un sorriso malizioso. «Ti sta bene…»
«Non dirlo, altrimenti penserò che mio nonno ti abbia fatto il lavaggio del cervello!»
«Dico sul serio, non calza a tutti la divisa da marinaio. A te sì…» 
Law gli lanciò uno sguardo piuttosto eloquente – come a volergli dire che in realtà era molto sexy –, ma Rufy si limitò a sbuffare come un cavallo, con solo le guance lievemente rosate. «Non cominciare! Sono ancora offeso!»
«E dire che dovrei essere io quello nervoso…» costatò Law, per poi concentrarsi più che altro sullo spazio che li circondava. «Potrei usare la Room e trasportarci tutte e due fuori, ma devo ancora recuperare la mia spada… Sai dove si trova, Mugiwara-ya?»
Silenzio. 
«Allora? Non mi rispondi?»
Prestò nuovamente attenzione su Rufy, la visiera del cappello che adesso ricopriva totalmente quegli occhi che, poco prima, avevano cercato i suoi. Quegli occhi che cercavano costantemente i suoi. I lineamenti duri erano tornati, facendo sparire totalmente l’aria fanciullesca che di solito si addiceva a uno come Rufy.
Law deglutì: maledizione a quella sensazione che gli stava lacerando lo stomaco! «Mugiwara-ya…?»
«Torao…» mormorò, prendendo un respiro profondo. «Ti… ti hanno ferito?»
Trafalgar rimase non poco stupito da quella domanda. Non si sarebbe di certo aspettato che il primo pensiero di Rufy sarebbe stato proprio quello: l’aveva visto, del resto, non c’era nulla che fosse fuori posto. Eppure, l’idea che lui gli stesse nascondendo qualcosa, l’idea che possano avergli sparato e che lui non potesse fare niente, come quando c’erano le sbarre di ferro a separarlo dal suo corpo inerme, lo mandavano in paranoia. O forse l’idea di una missione di recupero riportava a galla troppi ricordi brutti, troppi ricordi legati alle sofferenze fisiche e psichiche che aveva dovuto subire, alla speranza di aver salvato il fratello e al dolore immenso di vedere il suo sangue e di sentirlo vischioso sulle mani. E quel sangue diventava quello di Law, quando l’aveva scosso nel tentativo di farlo riprendere – mentre lui stava solo fingendo di esser morto –, evitando invano di tremare.
Rufy era così, fragile e forte allo stesso tempo, capace di rialzarsi dopo una dura lotta contro i suoi demoni, capace di sorridere di nuovo dopo un pianto liberatorio. Rufy non voleva perdere nessun altro, e forse anche per questo era corso in suo soccorso senza pensarci troppo su. Law non poteva biasimarlo per questo; forse avrebbe fatto lo stesso, chi lo sa. 
E anche quella volta, Rufy sarebbe emerso fiero da quel mare denso e scuro che andava a formare i suoi demoni – che in quel momento si smuoveva nel suo stomaco e gli faceva martoriare le mani –, tornando alla solita vita di tutti i giorni. Ce l’avrebbe fatta benissimo da solo, Law oramai lo conosceva bene, ma sapeva che un piccolo aiuto non gli avrebbe fatto male.
Emise un sospiro appena udibile, rendendosi conto che la cosa che stava per fare non era per niente da lui, deciso comunque a portarla avanti. Si mise davanti a lui, serio, poi si tolse la pesante felpa nera che indossava – rigorosamente decorata col suo Jolly Roger in giallo –, rimanendo solo con una maglietta bianca a maniche corte.
Rufy spostò subito lo sguardo sulla cicatrice del braccio destro, segno dell’amputazione a opera di Doflamingo, volendola quasi toccare con i polpastrelli, rimanendo invece immobile. Sbalzò quando Torao prese le sue mani e gliele pose sul suo costato nudo, sotto la maglietta. La sua pelle scura era calda, bollente, come del resto lo era sempre stata quando Rufy la toccava nelle loro serate passate a letto, e gli piaceva avere quella sensazione di torpore sui palmi.
«Noti delle ferite diverse da quelle che conosci?» domandò Law, le braccia sporte all’infuori, come un paziente che deve lasciarsi visitare – e il tutto sembrava un po’ un controsenso, ora che ci pensava.
Il ragazzo rimase un attimo interdetto, stupito, mentre i suoi occhi vagavano impazziti dalla figura che gli stava davanti, alle pareti tutti uguali di quella cella, alla maglietta bianca accecante di Law. Ci mise del tempo prima di cominciare a puntellare sulla parte interessata, prima di passare i polpastrelli su quelle cicatrici che conosceva a memoria, che aveva toccato e toccato un centinaio di volte. Si fermò sui fori dei proiettili, riconoscendoli uno a uno, da quello più grande a quello più profondo. Rufy conosceva bene il corpo di Law, come quest’ultimo conosceva a memoria il suo. Aveva solo bisogno di sapere che no, non c’erano altre ferite da conoscere, da tastare, da scoprire. Per Rufy, erano quelle le uniche ferite che avrebbe dovuto conoscere, le uniche che avevano avuto il “privilegio” di segnare il corpo di Law; non dovevano essercene altre.
«Non… non mi sembra…» esclamò alla fine, titubante e ancora scosso da quanto, effettivamente, gli aveva concesso Torao. Gesti del genere erano una prerogativa del sesso, di solito.   
Le sue mani si erano fermate sul petto di Law che si abbassava e si alzava a un ritmo accelerato, l’espressione del chirurgo che si era fatta grave, quasi di pietra. Quasi capace di studiare i sentimenti del giovane senza bisogno che quest’ultimo parlasse apertamente. Non c’era bisogno di parole, non c’era bisogno che si dicessero cosa stessero provando realmente, o se i loro corpi avevano un peculiarità nuova e che il partner non aveva ancora “esplorato”: sapevano già tutto l’uno dell’altro.
«Torao…» Si mise in punta di piedi, dopo essere stato a fissarlo per indecifrabili minuti, sfiorando le labbra con le sue. 
Erano dei delicati baci a fior di labbra, in cui le loro fronti s’incontravano, in cui Law passava il pollice sulle labbra sottili di Rufy, fino a quando non fu il maggiore che prese a baciarlo con più foga, la sua lingua che incontrava quella dell’altro, i ciuffi neri che sbucavano da capello che adesso s’intrecciavano alle sue dita.
Spinse la schiena del ragazzo contro il muro, e stavolta non a causa di una qualche sorta di rabbia repressa, nel tentativo di sbottonare la divisa per godersi anche lui il corpo gracile quanto possente di Rufy. Quest’ultimo, nel frattempo, non aveva tolto le mani da sotto la maglietta neanche per un secondo, continuando a ridisegnare i fori dei proiettili, e trovando la situazione non tanto diversa dalle altre volte in cui avevano fatto sesso. A parte che lo stavano per fare in una cella, con quasi mezzo esercito di Marines che camminava sopra le loro teste.
Decisamente, Law aveva inalato qualcosa che gli aveva mandato in pappa il cervello – che, ogni tanto, continuava a mandargli qualche segnale del fatto che, no, quello non era il momento per certe cose. Ne erano consapevoli entrambi – esatto, anche Rufy – ma nonostante questo non riuscivano proprio a separarsi. O non ne avevano voglia, il che era più che plausibile.
«Torao…» cominciò Rufy, riprendendo un attimo fiato intanto che l’altro gli lasciava i segni dei suoi denti sul collo. 
Emise un paio di gemiti – e cazzo, era quasi sicuro di avere già un’erezione – le dita di Law che scendevano delicatamente sulla cicatrice che si stagliava sul suo petto, quella gigantesca X. Fare sesso con lui era sempre così, una continua sfida. A Rufy non dispiacevano le sfide, d’altronde, anche se doveva ammettere che ad avere la meglio era quasi sempre l’altro – non che non si fosse preso qualche rivincita, eh!
In queste circostante, Law era particolarmente instabile: tirava fuori tutto quello che, negli anni, aveva accumulato dentro di sé, mettendolo da parte nella convinzione di riuscire a dargli un freno in un secondo momento, quando in realtà esplodeva tutto in un’unica volta. Diventava un’onda gigante, come quella di uno tsunami, e Law non riusciva più a rispondere come avrebbe voluto. Ed era anche per questo che Rufy era quello giusto, perché era l’unico che ci sapeva fare con i “demoni”, sapeva come scacciarli via. 
Law non era una persona cattiva, aveva solo bisogno che qualcuno troncasse quel dolore che, per la verità, veniva fuori solo in quelle occasioni. Come Rufy era sempre, costantemente, aiutato da lui nel momento del bisogno, anche se questo il medico non lo sapeva. 
Sobbalzò nel sentire la mano di Law che carezzava delicatamente lo strato di pelle nascosto dai boxer, per poi posarsi sulla sua virilità. «Puoi dire tutto quello che vuoi…» gli sussurrò a un orecchio, sprezzante. «Ma sei davvero sexy in versione Marine!»
Rufy, d’istinto, si avventò sul collo di Law, affondando il naso nel suo incavo, in quell’odore penetrante che sapeva di menta e che voleva a tutti i costi che gli rimanesse addosso. Le sue labbra erano gelide al contatto con quello strato di pelle caldo, tanto che avvertì Law sussultare, baciandolo e mordicchiandolo, il respiro pesante dell’altro che si mischiava al suo, che gli ronzava nelle orecchie. 
Rufy era quasi sul punto di abbassare le mani a sbottonare i pantaloni di Law, quando ci fu un lento cigolio, segno che la porta era stata aperta.
«Allora, ragazzo, hai finito di pulire?» La voce scocciata del Marine risuonò tra le pareti rocciose, mettendo il piede sul primo gradino.
«Merda!» imprecò Law, cercando di darsi una sistemata veloce e lanciando un’occhiata a Rufy, ancora mezzo imbambolato. «Mugiwara-ya, cosa c’è qui sopra?»
«Cosa…?»
«Che stanza c’è qui sopra?»
«Non lo so… La dispensa?» Ci sperava, ma in realtà non ne era sicuro.
Imprecò, ancora, Law: non avevano altro tempo, potevano solo augurarsi che la supposizione di Rufy si rivelasse fondata. Non era di certo il caso di mettersi a combattere con loro in quelle condizioni.
«Guarda che non mi piace giocare a nascondino…» puntualizzò la guardia, ora notevolmente arrabbiata.
Poco prima che quel viso da rincretinito si affacciasse verso la cella, Law prese Rufy per la collottola ed evocò la Room.
«Shambles!» E fu l’ultima cosa che si udì all’interno di quella cella puzzolente. 



La supposizione di Rufy, a quanto pare, era errata. Non era la dispensa, né un luogo pullulante di guardie. Era solo una stanza che fungeva da archivio, colma di documenti dimenticati persino dal tempo. 
Rufy tossì per via della patina di pulviscolo che riempiva la stanza, mentre Trafalgar era già scattato in piedi. La maglietta bianca risaltava ancora di più alla debole luce della stanza, mentre si dirigeva verso la porta, che – per loro fortuna – non era serrata. Law tolse lo strato di polvere che ricopriva la finestrella della porta, osservando il corridoio deserto che stava al di fuori, come un falco che osserva il territorio prima di scendere in picchiata.
«Non vedo nessuno… per ora» disse, serafico, voltandosi verso un Rufy che smaniava con la zip dei pantaloni. Si vedeva che quei vestiti non gli appartenevano. «Dobbiamo sbrigarci, altrimenti non riusciremo più a svignarcela. Sai dove hanno messo la mia spada?»
«Non ne ho idea, a dirla tutta!» Rufy ridacchiò, finendo di sistemarsi – a modo suo, ovviamente – e piazzando la visiera del cappello all’indietro. Solo in quel momento Law notò che, a circondargli il collo, c’era proprio la sua felpa. Doveva aver avuto la prontezza di recuperarla prima che lui evocasse la Room, o magari quando era troppo concentrato e non poteva accorgersene.
Si portò una mano a tenersi il ponte del naso. «Avrei dovuto immaginare che, arrivati a questo punto, sarebbe spettato a me il compito di trovare un modo per uscire…»
Aprì un occhio e lo puntò sul gommoso, la faccia mezza calata sulla sua felpa. Appariva come un bambino imbacuccato durante una giornata d’inverno. «Mi ridai la felpa?»
«No, è comoda!» Il volto di Rufy si nascose ancora di più, tanto che era possibile vedere solo gli occhi, le guance ancora rosse e calde – e non si sapeva se era per via dell’adrenalina di poco prima o per quello che stava per dire. «Fa anche un buon odore…»
Non era la prima volta che Rufy indossava i vestiti che portava il chirurgo, soprattutto le sue felpe, che lo facevano sembrare un bambino quando prova a indossare i vestiti del padre. Pareva quasi che vi ci si potesse immergere dentro, e Rufy adorava l’idea di poter sentire ancora per un po’ il profumo di menta di Torao su di lui. Le prime volte, Law si scocciava della cosa, ma col tempo ci aveva preso gusto anche lui, riconsiderando l’eventualità che non gli stessero poi così male, per quanto enormi potessero essere in confronto a lui.
Cosa che Rufy sfruttò subito a suo vantaggio, in quel momento, con un sorriso furbo a dipingergli il volto. «E poi, hai detto che sono particolarmente sexy con le tue felpe addosso!»
Trafalgar ricambiò con il medesimo sorriso. «Anche con quella divisa da Marine lo sei…»
«Ancora con questa storia? La vuoi piantare?»
Non era di certo il momento per mettersi a discutere di certe cose – come non era il momento adatto, poco prima, per fare sesso, ma se ne erano allegramente sbattuti di quello che gli diceva il buon senso –, però Trafalgar Law era uno che sapeva sfruttare ogni cosa a suo vantaggio, men che meno quando questa poteva avere delle ripercussioni piacevoli in futuro. Certo, il vantaggio di cui si sta parlando era lievemente perverso, ma era pur sempre un vantaggio: Law era uno stratega, ogni occasione per dominare e vincere doveva essere colta al volto per uno come lui.
«Okay, facciamo un patto…» cominciò, col suo solito sorriso che la diceva lunga sulle sue intenzioni e mettendosi a un passo da Rufy. «Io ti lascio tenere la mia felpa se tu, in cambio, ti tieni la divisa da Marine e la indossi la prossima volta che ti porto a letto.»
«Ma non è giusto! È sleale!» protestò l’altro.
«Non è sleale, Mugiwara-ya» continuò Law, mellifluo. «Si tratta solo di un patto. Puoi sempre non accettare e ridarmi direttamente la felpa…»
Il giovane pirata ci pensò giusto un attimo, assottigliando gli occhi rivolti verso il suo partner, per poi sbuffare e annunciare con voce bambinesca: «Okay, ma solo per questa volta!»
Un mezzo sorriso di vittoria si dipinse sul volto del capitano degli Heart, mentre le sue pupille grigie cercavano – come sempre, del resto – quelle color ebano di Rufy. Erano tornate brillanti, vispe, gli occhi di un bambino troppo cresciuto, e poteva solo star a significare che anche questa volta Rufy era riuscito ad abbattere i suoi demoni, l’arduo nemico con cui aveva a che fare oramai da anni. E lo stesso si poteva dire di Law, che sembrava essere riuscito a controllarsi, a non esplodere in una nuvola fatta di sofferenze e incubi, cosa che gli riusciva solo con Rufy. 
In una frazione di secondo, Law si rese conto di non aver fatto ancora una cosa. Non l’aveva fatto quando era stato liberato da quelle manette, né l’aveva fatto per tutte le restanti cose che aveva fatto per lui, quando quel ragazzino lo faceva ogni giorno. 
Gli scostò i ciuffi di capelli fuori posto, mentre l’espressione imbronciata di Rufy aveva lasciato spazio a un lieve sorriso, per poi baciarlo sulle labbra. Non era un gesto che Law faceva tanto spesso – a dimostrazione di quanto fossero potenti le polveri del medicinale che aveva inalato! –, ma gli sembrava l’unico modo per assecondare quello che avrebbe fatto dopo.
«Grazie» bisbigliò, accostandosi all’orecchio del ragazzo.
A Rufy parve di aver sentito male. «Come?»
«Non lo ripeterò una seconda volta, Rufy…»
Cappello di Paglia sorrise, un sorriso smagliante a illuminargli il viso, slanciandosi verso Law per circondarlo con le sue braccia. Ci mise un po’ l’altro a ricambiare, poi strinse quel corpicino in una presa appena percepibile, notevolmente diversa da quella con cui l’aveva sbattuto al muro. 
Rufy aumentò la forza sulle braccia. «Sono felice che stai bene… Law…»
Il moro fece un mezzo sorriso, abbassando le palpebre e concentrando i suoi sensi sul respiro di Rufy che gli solleticava la pelle. Stettero così giusto un paio di minuti, finché le urla e i passi pesanti di alcuni Marines che correvano per il corridoio non li riportarono a quello che doveva essere – teoricamente – il loro intento.
«Okay, è arrivato il momento di recuperare le mie cose…» sentenziò Law, allontanando Rufy – un po’ di malavoglia, un po’ perché quella cosa comprometteva la sua aria da tenebroso più di quanto già non fosse –, provocando l’ennesimo verso di lamentela da parte del più giovane.
«Torao, posso farti una domanda?» sbottò poi. Law alzò un sopracciglio e Rufy, con sorriso un po’ da colpevole e un po’ da mezzo scemo, disse: «Dobbiamo recuperare per forza il tuo cappello?»
Se fosse stato davvero possibile, la faccia di Law si fece ancora più perplessa. «Non ti piace più?»
«Non è questo…» Rufy amava quel cappello morbido e amava tutte le volte in cui aveva avuto la possibilità di provarlo, benché Law gli avesse intimato di non farlo a più riprese. «E solo che mi piace toccare anche i tuoi capelli soffici, ecco!»
Il capitano degli Heart non rispose a quell’affermazione, sfoggiando il suo solito tono spocchioso e da uomo superiore a queste cose. 
«Se io indosso la divisa, poi tu mi prometti di farmi toccare i tuoi capelli la prossima volta che facciamo sesso?» continuò Rufy, speranzoso come un bambino che sta per comprare un leccalecca gigante.
«Poi ne riparliamo» Law sventolò una mano in aria, dandogli le spalle e aprendo la porta, sparendo con fare felino dalla vista del suo alleato.
Quest’ultimo sbuffò e aggiustò la visiera ancora una volta. «Che antipatico!»
Uscì nel corridoio, trovando già Law acquattato alla parete, quasi come se avesse la capacità di mimetizzarsi, e tentando di imitarlo – anche se sappiamo quanto sia difficile per uno come Rufy stare nascosto. 
E fu allora che le sue dita candide cercarono quelle scure e tatuate dell’altro. Che gli occhi di Law cercarono i suoi prima di svoltare l’angolo.
Come avevano sempre fatto.






Parla l’autrice (dovrei darmi un freno con certa roba…):
Sì, dopo un periodo di mutismo assoluto, torno nel fandom con l’ennesima storia perversa su questi due. Dovete comprendere, è stato un periodo stressantissimo e la mia voglia di scrivere era andata via via scemando; non ho idea di come farò per gli esami finali… *piange sommessamente*
Ammettiamolo, però, non siete felice di rivedermi di nuovo in giro :’)
L’idea mi frullava in testa già da un po’, ma per diverse esigenze (la versione originale faceva vomitare!) sono stata costretta a revisionarla e a lasciarla da parte per un periodo (IL PERIODO DI CHIUSURA DEL QUADRIMESTE! *urla di terrore*)
S’ispira a una doujinshi, e credetemi quando vi dico che mi sono limitata con le scene perverse. Diciamo che era il mio primo tentativo di scrivere una storia “Lemon”, dopo il mio fallimentare tentativo con le altre storie :’D
E diciamolo a gran voce, questi due hanno poche storie con scene del genere nel fandom! uu (?)
Ho inserito anche qualche spruzzatina delle cose successe negli ultimi capitoli e qualche mio headcanon (Rufy con la felpa di Law è il top! <3); inoltre, la disavventura cui si riferisce il nostro scemo di gomma è l’atterraggio non previsto all’interno di una base della Marina, dopo l’avventura su Skypea. Non potevo non inserirla (eh sì, ho inserito anche un po’ d’angst, perdono…)
Sono un po’ contrariata dalla riuscita di questa storia: la caratterizzazione di Trafalgar è andata a farsi una passeggiata e tante altre cose potevano essere scritte meglio, tipo la scena finale. 
Bon, aspetto solo le vostre opinioni, brutte o belle che siano! <3
Se sarò ancora viva, dovrei tornare – per vostra sfortuna – a scrivere qualche cosina :’3
Vi saluto miei prodi! <3
(ma non è il caso di tornare a scrivere qualcosa sui tre fratelli? *il popolo la lega e la rinchiude in uno stanzino*)
_Lady di inchiostro_
  
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