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Autore: IvanHpEw    09/02/2016    0 recensioni
Quando tutto questo sarà finito, rimarranno soltanto l'alto e il basso, il potere di una vita scontata e la modestia di una vita infinita, la paura di morire di nuovo e l'incontro con l'eternità, la scelta da parte di un superiore e l'invito di un tentatore. Ma, filosoficamente parlando, c'è una cosa in aggiunta alle precedenti che le accomuna tutte quante: la diversità.
© Copyright - Tutti i diritti riservati a IvanHpEw. Tutti i personaggi presenti in questa storia sono stati inventati dall'autore, cosa non fatta per alcuni luoghi, che sono stati solamente modificati. Si possono trovare parecchi riferimenti al cinema.
Storia pubblicata su Wattpad il 1 Gennaio 2016.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Corri, cazzo, corri!»

La pioggia di questa città ormai divorata dalla più avanzata forma di dispositivo tecnologico cade fitta e pesante sulle strade appena scaldate dalla passata di fresco asfalto, il che non da affatto l'impressione di calore. Anzi, il liquido di questo giorno estivo che casca dal cielo nero come la pece e trapunto di stelle non sembra acqua. Il ragazzo che mi corre alle spalle aveva borbottato un'ipotesi: sostanze sconosciute all'uomo. Ma forse era un po' troppo azzardato. Io glielo dico sempre. Spara cavolate ogni giorno.

«Sto correndo! Non parlare a vanvera!»

Rischiamo varie volte di inciampare, e le nostre Converse ultimo modello rubate non fanno altro che peggiorare la situazione. A volte odio me stessa per tutte le cose che faccio: andare nei luoghi soltanto perché la mia curiosità me lo ordina, non riuscire a portare qualcosa di caldo a Chelsea o ubriacarmi alle feste.

Odio anche il fatto che abbiamo alle calcagna un mostro di tre metri. Sì, semplicemente un mostro. Non l'ho visto bene in volto, ma sono pronta a giurare di avergli visto serpenti viscidi come budini appena tolti dal frigorifero al posto della pelle. Odiosi. E raccapriccianti. Io odio il budino. E i serpenti. Qualunque tipo di serpente. Anche i lombrichi. E non è finita. Dietro di lui si erge un muro larghissimo di fumo nero che si estende in linea retta a perdita d'occhio, ricoprendo qualunque cosa, distese di prato e case, come se una ventina di tornado oscuri si fossero messi d'accordo per un'uscita del sabato sera. E quel fumo sembra vivo, perché segue ogni movimento faccia la creatura.

Poco fa Erwood mi ha detto che anche la pelle del corpo del mostro è coperta di serpenti, perché si era voltato un attimo. Ma io non oso voltarmi, e mai lo farò - in realtà l'ho visto quando abbiamo iniziato a correre - finché non potrò essere sicura di non avere più quell'orrendo marciume di rettili dietro le chiappe. E non è manco silenzioso. Produce versi, o meglio, suoni simili a quelli dell'acqua che viene scossa ferocemente misto al rumore di migliaia pezzetti di carne sbattuti contro altri migliaia pezzetti di carne. E poi puzza. Puzza così tanto che, oltre ad ammorbare un raggio di distanza abbastanza ampio d'aria, sembra che abbia mangiato cinque bevitori mentre facevano i loro bisogni. Oh, forse la mia mente sta viaggiando un po' troppo, perché non mi accorgo che io ed Erwood arriviamo di fronte gli enormi cancelli di uno dei parchi più famosi della città.

«Non ci posso credere!» Urla Erwood sbattendo le mani contro il freddo e bagnato ferro dei cancelli del Greenwich Park. «Sono chiusi!»

Non c'è tempo per queste sciocchezze. E mai ce ne sarà, se quel mostro color vomito scuro ci acchiappa e il fumo nero ci inghiotte. L'ultima cosa che voglio vedere prima di morire è il panorama della città in cui sono nata, e non degli occhi circondati da rettili che bisbigliano. Non lo accetterò mai. Ma tanto sarò morta, no? E poi, chi l'ha detto che morirò? Quel mostro potrebbe anche rapirmi e portarmi in qualche luogo angusto e farmi soffocare o torturarmi e... sì, farmi morire. Tutto punta su quest'ultima, alla fine.

Okay, ci dovrà essere un modo. Dobbiamo oltrepassare i cancelli, percorrere lo stradone principale che divide il parco e scendere la piccola vallata che ci porterà al villaggio di Greenwich. È l'unica via di fuga. A destra e a sinistra ci sono solamente mura di cemento e strade, che potremmo percorrere e finire ai lati del parco, ma il mostro ci prenderebbe in men che non si dica e lo tsunami di fumo lo anticiperebbe perfino. La paura indefinita che ho provato finora si condensa tutta in una paura istantanea per il groviglio di serpenti che corre verso di noi, questo non-so-come-chiamarlo che potrebbe uccidermi tra qualche secondo. E non so di cosa sia fatta l'onda di fumo. Forse di gas tossici. Non lo so. Potrebbe squagliarci in un secondo. Una scarica di adrenalina mi attraversa mentre il mostro si avvicina sempre di più. È a circa cinquanta metri da me ed Erwood, che sta cercando di arrampicarsi, ma invano. Il ferro è troppo scivoloso e le sbarre sono troppo vicine tra loro. Non ci passerebbe nemmeno quello stecchino del mio amico di Dusnatt.

«Qui non si passa!» Sbotta Erwood voltandosi verso di me. Nei suoi occhi vedo il mio riflesso, il riflesso di una ragazzina spaventata ma alquanto ardua. Ho paura, e questo lo so. Ma sono anche eccitata, perché non è cosa da tutti i giorni venire rincorsa da un rettile umano e vedere delle nuvole nere sulla terra che sembrano avere un cervello.

So che sto solo sprecando tempo e, aguzzando con gli occhi color ambra il mostro che ora potrebbe fare un balzo e divorarmi, dico ad Erwood di farmi da scaletta con le sue mani. Forse possiamo farcela.

So che Erwood non è convinto, ma sono pur sempre la sua migliore amica. Un po' impacciato, annuisce e, invece di unire le mani e lasciare che il mio piede spinga su di esso, lui mi issa prendendomi dalle cosce e mi lancia praticamente in aria. Sento le sue mani calde lasciarmi un impronta nei miei jeans strappati. Con le mani riesco ad afferrare le punte dorate del ferro. Mi volto solo un attimo per scorgere il mostro belluino tendere le mani e avvicinarsi ancora di più verso il mio amico. Mi sento sempre al sicuro con Erwood, lui sa sempre trovare il modo per cavarsela, in qualunque situazione, e irradia sicurezza.

La paura mi pervade. Gli urlo a squarciagola di afferrare la mia mano, mentre io mi metto in una posizione troppo scomoda per essere una posizione sopra il cancello, in bilico. Potrebbe essere una tortura cinese. Ma meglio una tortura cinese che un'incontro con quel tizio oscuro, al canto mio.

Quindici metri... dieci metri... cinque metri...

Sento il cuore battere all'impazzata e vedo la mano del mostro afferrare Erwood e sbatterlo a terra. Ormai è finita. Sarebbe difficile non accorgersi di tutto il sangue che inizia a perdere il mio amico da uno squarcio sulla fronte. Non posso accettarlo.

Seppur esistente, scendo giù con un balzo e sferro un debole pugno contro la schiena del mostro.

Non lo avessi mai fatto!

Quelli che possono essere cinque code di serpente si legano intorno al mio braccio, che perde subito sensibilità. L'essere fa un balzo all'indietro, e con lui anche io. Sbatto l'osso sacro contro il cemento bagnato e gemo, agitando le braccia. La mia prima sensazione è che Erwood potrebbe essersela data a gambe, ma poi penso che non lo farebbe mai. Due anni fa, quando io avevo quindici anni, mi salvò beccandosi un proiettile nel polpaccio. Una rapina. In un off licence con un marocchino. Che esperienza.

Vengo lanciata in aria a destra e a sinistra, con il braccio legata all'essere.

E tutto d'un tratto, lo sento chiamarmi. Roteo gli occhi in cerca della sua sagoma. Ci metto un paio di secondi per vederlo arrampicato in cima al cancello. Ce l'ha fatta. Ma mi ha abbandonato. Come ha potuto? Io almeno ho avuto il buonsenso di scendere dalla mia postazione di salvezza e rischiare la pelle per lui. E poi, come ha fatto a salire? Sembra anchilosato.

«Sei un bufalo del cavolo!» Gli urlo mentre il mostro si alza in piedi e si guarda intorno. Non riesco a vedere gli occhi di quest'ultimo - visto che sono dietro di lui appiccicata alla sua schiena - ma posso giurare di vedere un barlume di luce fuoriuscirgli dalla parte superiore del volto. Strano, prima non me ne ero accorta. Riguardo la sua pelle non sbagliavo. È come se fosse un grosso uomo alto tre metri. Ha bei lineamenti. È un tipo aitante, per come si muove. Ma tutta la sua pelle è fatta di serpenti in movimento. Come se... i suoi muscoli fossero fatti di serpenti, e le fibre di squame. E cinque di loro mi stanno facendo fuori il braccio, con le lunghe e stranamente grigie lingue biforcute. Sento sussurrare l'essere una strana lingua che sembra non esistere né in cielo né in terra. O forse sono i serpenti che sibilano. Sembra che sputi e aliti allo stesso momento. Non voglio sapere di cosa sappia il suo alito. Nemmeno se mi offrono una cena con quel che di piccante da Nando's. E nel frattempo, la grande mura di fumo nero si avvicina sempre di più, imponente e minacciosa...

I serpenti, almeno per un momento, sembrano smettere di stringermi il braccio, ma poi riprendono, più forte, e stavolta sono di più. Circa il doppio, se non il triplo.

Solamente ora mi accorgo di quanto il mio naso sia resistente. Dovrebbe essere andato già da un pezzo, visto l'odore di urina e di alcool e di fogna che emana la macchia verde scura proprio di fronte a me.

Mi ritrovo a correre insieme a lui, mentre cerca di afferrare Erwood. Ma il mio amico riesce a rimanere in equilibrio sopra le sbarre dei cancelli e tende una mano. Una mano per me. Devo afferrarla. Se solo potessi liberarmi dalle grinfie di questi cosi e scacciare via il pensiero dell'onda gigantesca di fumo che ora potrebbe essere a venti metri da me.

Se qualche secondo fa provavo una paura indefinita, ora provo una paura disumana, quasi concreta. La sento sbattermi tutto quello che ho dentro la testa contro le tempie. Infatti sento un ticchettio nella mente, come se le nuvole si fossero scontrate nel mio cervello e una pioggia torrenziale avesse cominciato a cadere fitta sul fondo del collo. Forse è il mal di testa, o forse lo shock per quello che sta accadendo. Ma poi capisco che è un'idea quella che mi fa scoppiare la testa. Un'idea a cui avrei dovuto pensare subito. Con la mano libera comincio a colpire con ferocia i serpenti color verde scuro intorno al mio braccio e cerco di graffiarli con le mie unghie mangiucchiate. Io me le mangio sempre, e forse questo mi sta salvando la vita: le forme irregolari delle unghie stanno squarciando le squame dei rettili. Chiudo gli occhi, disgustata da quello che sto facendo. Il mostro sta cercando di acciuffare il mio migliore amico. Una sostanza acida fa capolino nel mio corpo, che mi ustiona la gola e mi sale anche nel naso. Sono costretta a fermarmi per un attimo, mentre il mio corpo si contorce nel disperato tentativo di allontanarmi dal non-so-come-chiamarlo. Poi riprendo, scuotendo la testa e pensando di colpo a mia madre. Lei mi viene in mente parecchie volte, anche quando mi trovo in situazioni abbastanza tragiche.

Dopo quella che potrebbe essere un'eternità, e dopo aver visto due strane linee verticali proprio accanto alle scapole del mostro, riesco a divincolarmi abbastanza da tirare fuori il braccio dalle grinfie possenti dei serpenti che costituiscono la schiena della creatura, poi, con un dolore lancinante all'avambraccio, mi faccio leva con la gamba sulla coscia rettiliana del tizio che sembra aver perso la carta in gioco e salto su, verso la mano di Erwood. Finalmente la abbranco. Lo odio per avermi lasciato sola, ma forse ha fatto bene: se fossimo stati in due il tizio ci avrebbe fatto fuori prima. Lui sa sempre cosa fare, e io mi fido sempre di lui.

Mettermi accanto ad Erwood mi sembra una bazzecola in confronto al cercare di liberarmi dalle code verdastre. Il mio braccio è coperto di piccole squame: sembrano quasi pezzetti di carta colorata. Un brivido mi percorre tutto il corpo, e il rumore che ora produce l'enorme nuvolone più intenso della notte mi riempie le orecchie. Posso descriverlo accuratamente, perché è come se avessi un paio di cuffiette ficcate nei timpani: sussurri trascicati. Non c'è nient'altro d'aggiungere di più dettagliato. Sembra che dentro quel fumo ci siano degli zombie a sputare e borbottare.

Senza aspettare molto, io ed Erwood balziamo giù, tenendoci per mano. Lui ha il viso completamente coperto di sangue, ma non fa trapelare espressioni dolorose, forse solo un po' terrorizzate. I miei piedi toccano il suolo e urlano dal dolore, ma poi è come se facessero da soli. Sembro il passeggero, e non il conducente, di questo corpo. La strada di asfalto principale del Greenwich Park ci si presenta davanti a forma di triangolo allungato. È un bel pezzo, ma è l'unica possibilità che abbiamo per allontanarci il più possibile dal mostro. Se andiamo in mezzo agli alberi, ci ammazziamo da soli.

Mi giro prima di iniziare a correre, e vedo gli occhi a forma di nocciola avvolta dai serpenti guardarmi con un'aria alquanto sovrannaturale con lo sfondo nero dei tornado bisbiglianti. Ma certo, lui è una cosa sovrannaturale. Non so di cosa si tratti, forse è solamente un sogno dovuto alle quattro notti insonne che ho trascorso con Erwood. La creatura ha le mani e piedi dotati di artigli, il volto che è un'accozzaglia di tratti discordanti. La sua bocca è grande quanto la mia testa, ed è nudo. In mezzo alle gambe non ha niente. E questa è una vera contraddizione: mi sarei aspettata un mega serpente, per l'amor del cielo!

Spalanco gli occhi giusto un po' vedendo lui che con un semplice balzo supera i cancelli e continua a rincorrerci, con il muro di oscurità che diventa ancora più grande. Ma c'è qualcosa che raggela quelle che sembravano sensazioni che cercavano di scacciare la mia paura: due enormi ali nerastre gli spuntano di punto in bianco dalla schiena, mentre si lascia schizzi di sangue scurissimo alle spalle. Sento i sussurri del fumo aumentare di colpo.

«Oh, questo non ci lascerà mai in pace!»

Sento il mio amico sbraitare mentre corriamo allungando le gambe come fanno i professionisti alle olimpiadi. Lui è molto bravo a correre, e forse anche io. Sì, forse, perché di solito non riesco mai a percorrere duecento metri senza che mi accasci a terra. Ma questa volta è diverso: sto scappando dalla morte, e sento, oltre a paura, l'adrenalina scoppiarmi in petto.

Cominciamo a correre come prima, ma stavolta più intensamente, più mortalmente. I miei polmoni chiedono pietà, trafitti da migliaia di aghi e compressi nelle costole come spugne.

Arriviamo subito a metà della strada principale del parco costeggiata da alti alberi che sotto il cielo buio sembrano grossi spettri pronti a farci sobbalzare. Sento Erwood urlare: «Non credere mica che ti abbia abbandonato, eh! Era una tattica!»

Le sue scuse sembrano così sincere. Mi ha sempre salvato e difeso da situazioni alquanto grottesche. Ecco perché lo considero come un fratello. Ed è pazzamente pazzoide.

Provo a parlare, ma la bocca mi si è inumidita così tanto che sembra una striscia di carta vetrata. Ci passo sopra della saliva, ma questa sembra polvere. Non bevo da ore, se così ricordo bene.

Sento di nuovo quei rumori orrendi che producono il mostro e il fumo oscuro, e la puzza del mio braccio mi invade le narici. Se cascassi, credo che non mi rialzerei più, tanto sarei impegnata a rigurgitare la misera cena che ho buttato giù qualche ora fa. Le Converse blu ultimo modello che ha rubato Erwood mi stanno facendo pulsare i piedi.

Mi volto un istante. Con le sue possenti ali, il tizio sembra aver raddoppiato la sua velocità, e il panico mi divora. Non sono mai stata così in panico prima d'ora. Al diavolo l'eccitazione, ho solamente paura!

Gli occhi color senape di Erwood roteano in tutte le direzioni, e i suoi capelli biondi raccolti in un codino svolazzano a destra e a sinistra. Il cappuccio della mia unica felpa arancione, invece, mi copre quasi tutta la chioma castana.

E prima che possa veramente accorgermene, gli alberi intorno a noi cominciano a prender fuoco, come dei semplici fiammiferi a cui un bambino da la fiamma, inghiottendo perfino la pioggia. E non prendono fuoco pian piano, uno ad uno, ma tutti in una botta sola. Come cavolo può essere successo? Io ed Erwood nemmeno ci guardiamo negli occhi per dirci che dobbiamo correre ancora più veloce. Un fumo acre riempie l'aria, il che non è proprio la cura migliore per una che sta tentando di ritrovare la capacità di respirare. Una bomba di calore mi esplode sulla pelle. Il mondo si è trasformato in fuoco e fumo, e i rami in fiamme crollano dagli alberi e mi cadono ai piedi in un turbinio di scintille infuocate. La pioggia sembra essere sparita. Il calore è terribile, ma ancora peggio è il fumo, che minaccia di soffocarmi in ogni momento. Mi copro il naso con la parte superiore della felpa e, proprio quando il demone dietro di noi sembra averci raggiunto, esplodo in tutta la mia forza. Sembro quasi volare, non toccare terra. Le mie gambe stanno alla pari con quelle di Erwood, ed entrambi raggiungiamo la fine della strada. C'è una statua alta dieci metri con un uomo piantato in cima, e subito dopo delle panchine e delle sbarre, che fronteggiano una discesa fatta di terra ed erba. Alla nostra sinistra c'è l'edificio del famoso osservatorio di Greenwich, dove passa il meridiano zero, e la vista che mi si piazza davanti agli occhi mi toglie il fiato - come se ce lo avessi-. Succede ogni volta che vengo in questo posto. E c'è un motivo per cui tutti dicono che questa è una delle miglior viewpoint location di Londra. La zona di Canary Wharf, che appartiene alla Macchia del Nord, con i suoi altissimi grattacieli, riflette alla perfezione le stelle stranamente più accese nel cielo. Alla sua sinistra, altri piccoli grattacieli, tutto infinitamente illuminati da spie rosse e gialle, mentre dietro di noi c'è l'inferno: un mostro alato, le fiamme e l'oscurità. Ditemi se non è l'inferno!

Mi sembra di stare in un film dell'ormai defunto Wes Craven.

Le mie mani toccano la sbarra altezza vita e la stringo, facendomi male. Questo posto è desolato. Certo, sono le tre del mattino, chi mai può esserci, oltre alla creatura alata? Il mio istinto mi dice di passare sotto la sbarra e rotolare giù per la discesa insieme ad Erwood, perché il fuoco ormai è divampato anche sull'asfalto. Ma se prima era chiaro che avremmo fatto così, ora non lo è più, perché anche la fine della discesa ha preso fuoco. Sia l'erba, sia gli alberi.

«COSA FACCIAMO?» Urlo ad Erwood. Il suo viso sembra un rubinetto. Gli faccio cenno con la testa giù, verso l'enorme distesa di erba infuocata che inizia alla fine della discesa. Preferisco un po' di fuoco, che tanto fuoco insieme ad un mostro. Potremmo anche scendere sulla stradina di asfalto a venti metri da noi, ma il fuoco degli alberi ai lati è così intenso. Lui annuisce e, mentre scorgiamo insieme la creatura far uscire metà dei suoi serpenti dal corpo, rotoliamo giù, fregandocene del dolore. Cerco di rialzarmi, ma qualcosa mi ha afferrato la gamba, come una catena. La mia schiena batte contro qualche sassolino, e mi chiedo quando potrò rialzarmi e correre di nuovo.

Improvvisamente, sento qualcosa trascinarmi verso il basso, come se tutto d'un tratto si fosse formato un buco nella terra. Finisco di rotolare e piombo giù, e sento Erwood lanciare parolacce e insulti contro... non sto capendo niente. Il mio corpo viene trascinato dall'oscurità. Forse sono oltre cinquanta metri sotto il parco, o forse di più. Non lo so. La confusione e il panico cominciano a farmi piangere. E non so a cosa serva, visto che forse sto per morire. Sento rumori alquanto strani, diversi da quelli che produceva il mostro. Ora sento folate di vento, sassi che sbattono contro chissà cosa, e perfino urla. Io odio le urla, le ho sempre odiate. E poi...

Sbatto bruscamente contro qualcosa di morbido e caldo. Non riesco a vedere niente, ma percepisco la presenza di Erwood: i suoi occhi color senape sembrano brillare perfino nel buio. Ringrazio Dio per aver messo queste cose morbide sotto di noi: sarei morta se ci fossero state, che ne so, pietre.

Sento le mani toccare qualcosa di appiccicoso e molto caldo. L'odore nauseante del posto mi fa rigurgitare il misero pasto di qualche ora fa. Passano i secondi, e continuo a vomitare. Poi, solo conati. Tossisco finché la bocca mi si asciuga totalmente.

«Forse siamo fottuti.»

Cerco di zittire Erwood mentre vedo una fiammella in lontananza. Si muove.

«La vedi anche tu?» Gli sussurro seguendo con gli occhi il movimento del fuoco, che si avvicina sempre di più. E quando sembra che mi stia a circa dieci metri di distanza, questa si allarga, come se qualcuno avesse buttato della benzina in aria. Sento appena il bisbiglio di approvazione da parte del mio amico.

Il posto ora viene illuminato alla perfezione, e io riesco a guardarmi intorno.

Mi trovo in una grande stanza con le pareti bianchissime, come se fossero grandissime lampade al neon, e sotto di me ci sono corpi senza vita ricoperti di sangue, che tengono impossibilmente gli occhi su di me. A circa cinque metri dalla mia postazione, su una piccola sedia di legno con i quattro piedi ficcati nelle bocche di cadaveri, c'è un uomo bellissimo sulla trentina, nudo, pulitissimo e con le braccia appoggiate sulle ginocchia. In una mano ha stretto un bicchiere di vetro di vino rosso, che tiene immobile mentre con i suoi occhi completamente neri mi fissa con la testa piegata da un lato. Appena dietro la sua schiena, due grossi ali grigie fatte solo di quelle che sembrano vene si levano per un paio di metri. Le sue labbra si stiracchiano in un sorriso e si muovono appena quando mi sussurra qualcosa. Ma io non riesco ad afferrare.

E poi diventa tutto bianco.

   
 
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