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Autore: Andy Black    09/02/2016    4 recensioni
Cassandra è una donna, dalla bellezza angelicata, bendata, costretta a suonare un pianoforte Steinway in una sala che non vedrà mai. Qui, cinque anziani sono soliti raggrupparsi per decidere il destino del proprio universo, che hanno ormai mandato in rovina. Ma non basta.
Cercano l'aiuto di Xavier Solomon, un brillante scenziato in grado di superare ogni limite etico, pagandolo profumatamente. Sarà lui ad orchestrare, dall'alto della sua genialità, la fine di ogni cosa.
Prima che i suoi occhi si posino su Cassandra.
Questa è la reale linea di partenza di Pokémon Courage, la mia serie. Seguiranno altre due shot appartenenti alla fase "ouverture" dell'intero ciclo di storie. Insomma, questo è il prologo dei prologhi.
Buona lettura a tutti.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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1. La Sala di Cassandra

.Universo Z.
 


Ci vuole coraggio.
Ci vuole coraggio per prendere tutto ciò che si ha e lanciarlo al vento, vederlo sparpagliarsi lungo i pendii scoscesi e i dirupi della vita che abbiamo vissuto.
Che abbiamo sprecato.
Montagne che talvolta ci sono sembrate insormontabili sono state scalate, scavalcate, e anche lì si è avuto il coraggio di non demordere.
Di non perdere contro le nostre paure.

Ci vuole coraggio per cambiare tutto. Ci vuole forza di volontà e soprattutto idee ben chiare. Non si va avanti facendo prove, tastando il pavimento per vedere se cedevole. Se vuoi svoltare devi sapere già prima di muovere i primi passi che il pavimento non cederà. E se sai che cederà cambierai strada ed arriverai lo stesso al tuo obiettivo.

E se il tuo obiettivo è vedere tutto ciò che hai intorno col tuo nome sopra, con la tua faccia stampata... Se il tuo obiettivo è sapere che tutti conoscano la tua voce, allora devi avere ancor più coraggio, perché ti esporrai.
E chi s’espone si fa ammazzare.
Sempre.

 
*

Dolci note di pianoforte venivano diffuse dalle mani abili e sapienti d’una donna. Bendata come la fortuna, forse per scaramanzia, sedeva su di uno sgabello davanti ad un vecchio Steinway, con indosso soltanto una lunga veste di seta perlacea.
Le si poggiava addosso come una seconda pelle, delicata, mostrando la bellezza delle sue curve acerbe. Muoveva le mani, anche senza vedere, senza leggere lo spartito, e riempiva quella sala angusta e piena di uomini incappucciati con pura musica.
Distendeva, quella donna, rilassava; giovane, bella, non avrebbe mai visto quanto biondi e fluenti fossero i suoi capelli, lunghi e raccolti in eleganti boccoli alle sue spalle, ed ancor più giù, alle natiche.
Anche oltre, fino a toccare il pavimento.
La pelle diafana risplendeva nell’oscurità, pareva ricoperta di diamanti finissimi.
E le labbra, belle e gonfie di parole non dette, non si schiudevano mai, o quasi. Muoveva solo le braccia, talvolta le spalle quando doveva prendere le note più alte.
O quelle più basse, certo.
L’Azoth apprezzava la sua musica; d’altronde da quand’era nata, le era stato semplicemente inculcato come muovere le mani sui tasti di docile avorio e di durissimo ebano lavorato, ed erano ventitre anni che suonava una melodia infinita, cibandosi solo di note, solo di quel suono infinito, ininterrotto, perfetto.
I cinque Vegli, così come si facevano chiamare, cercavano di far meno rumore possibile, abbeverandosi del suo lavoro.
Mr. Zed in particolare, l’uomo che sedeva al vertice della lunga tavola dorata, soleva passare molto tempo lì con Cassandra, in modo da sentire le sue emozioni.
Sì, perché spesso, quand’era triste, la sua musica era melensa e malinconica. Di rado, invece, la bellissima fanciulla si lasciava andare ad assoli più gioiosi e festanti, riempiendo quella sala di luce e colore che prendevano forma, vivide note atte a rimpolpare il braciere dei sentimenti.
Il nuovo anno era lontano tre mesi, non mancava molto ma non c’era tanta euforia; pochi sembravano gioiosi e festanti.
Mr. Zed era rimasto immobile nella Sala del Piano, accanto a Cassandra, per quasi una settimana, prima che Mr. Heich, uno dei suoi fratelli, lo avvisasse che il Dottore aveva portato il programma. Xavier Solomon era stato invitato nella Magione Azoth proprio quel giorno, e Mr. Heich e Mr. Epsilon avevano predisposto la migliore accoglienza possibile.
“Fatelo entrare” tuonò Zed, con la sua voce baritonale. Le porte della Sala del Piano si spalancarono e la luce penetrò prepotente; una sagoma nera rimaneva immobile. Poi una leggera risata s’espanse delicata nella sala.
“Buongiorno a tutti, Vegli. Vi fate chiamare così, no?” fece l’ombra nera che lentamente s’avvicinava al tavolo. Era un uomo, abbastanza alto. Era audace. Le luci soffuse della stanza schiarirono il suo volto, mostrando una pelle chiara e delle iridi celesti come il cielo. I capelli sulla testa erano scarmigliati, biondi e corti.
Indossava pantaloni neri ed una giacca di pelle, stesso colore, ben chiusa con cinghie di ferro.
“Dottor Solomon. Lei ha pronto tutto, giusto?” domandò Zed, totalmente immobile, nascosto dal cappuccio nero, come il tristo mietitore.
Come anche i suoi fratelli, del resto.
“Sì, è tutto pronto. I vari cristalli sono dislocati nei tre universi di riferimento”.
“Si spieghi meglio”. La voce di Zed rimbalzò sulle note lievi suonate da Cassandra.
Xavier Solomon rise, accomodandosi al tavolo senza esserne invitato. “Beh, chiariamo che Arceus sarà fuori gioco solamente se indebolito dall’energia dell’Arcan, e per sbloccarlo c’è bisogno dei quattro cristalli. Essi rappresentano energia, caos, tempo e spazio. Senza di essi Arceus rimane l’essere più potente del creato, nonché suo autore”.
“Ancora per poco” tuonò Zed. “L’Azoth è ovunque”.
Xavier sorrise, rapito per qualche secondo poi dall’incantevole grazia della fata sinuosa che muoveva le dita sui tasti del pianoforte.
Le note così dolci gli piacevano. Riprese a parlare.
“Bene. La macchina Metauniversale sarà pronta a breve. Dopodiché recluterò gli uomini giusti”.
Le note continuavano a rincorrersi quando, dopo una ventina di secondi di pausa, Zed aprì nuovamente la bocca.
“Moriranno molte persone. Perché fai questo?”.
Xavier rise. “Perché posso. E posso anche fermarvi, sia ben chiaro. Quando... quando qualcuno ha ben chiaro lo schema... il progetto divino... non ha più senso nulla se non l’essenza stessa dell’universo. E molti umani sono fuori dal progetto”.
“L’Azoth la farà diventare un uomo incredibilmente ricco”.
Ancora gli occhi di Xavier si bloccarono sulla lattea pelle delle braccia della donna: non una neo, non un’imperfezione nel suo essere, nei suoi movimenti. E ne era profondamente attratto.
Poi continuò.
“Non m’interessano i soldi. Lo faccio per mera curiosità. Moriranno persone? La risposta è sì” rise ancora Xavier. “Ma non c’è alcun motivo per lasciare questa feccia inutile nel mondo”.
“Cosa ha pensato di fare, allora?”.
“Prima li decimiamo, poi li utilizziamo come armi. S’ammazzeranno tra di loro. Una volta recuperati i cristalli saremo in grado di uccidere Arceus. Senza l’Arcan non potremmo fare altro che catturarlo, e questo non ci garantisce che ci obbedisca. Tramite l’Arcan governerete questo e gli altri universi...”.
“Bene. Quando sarà pronta la macchina?”.
“Quasi finita. Mancano le ultime verifiche ma posso affermare che tra... diciamo una settimana... possa già essere in funzione”.
Zed annuì e lo vide sorridere. “La vedo felice...”.
Xavier fece cenno di no, alzandosi ed infilando le mani in tasca. “Una donna così graziosa, bendata, costretta a suonare un pianoforte meraviglioso che non potrà nemmeno vedere... Che cosa strana”.
“Cassandra è nata per rallegrare i nostri giorni e connetterci con le sensazioni più recondite del nostro spirito”.
“Cassandra? È un nome meraviglioso”.
Zed parve annuire, nascosto dal suo cappuccio. “È molto preziosa per noi”.
Il Dottore sorrise ed annuì, ripetendosi qualcosa di divertente in testa, quindi si voltò, avviandosi verso la porta. Aveva studiato meglio l’Azoth e quei personaggi così particolari, nascosti da cappucci e nomi falsi. Forse aveva esagerato dicendo che avrebbe potuto fermarli, ma non mentiva: era troppo superiore a chiunque.
L’unica persona che avrebbe potuto fermarlo era solo lui stesso.
Ma non avrebbe cambiato idea facilmente.
 
   
 
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