“Molte
fiate già pianser li figli
Per
la colpa del padre.”
Dante,
canto VI del Paradiso
Malfoy
Manor, agosto 2017
“Immagino
che vi starete chiedendo il motivo di questo invito
qui a Malfoy Manor.”
Lucius
Malfoy aveva ragione; suo figlio, sua nuora e suo
nipote avevano uno sguardo perplesso e incuriosito. Era raro che Lucius
li
invitasse nella sua dimora, da quando tre anni prima il Vaiolo di Drago
aveva
stroncato sua moglie Narcissa. Solitamente era lui a recarsi in visita
nella
loro casa di Diagon Alley. Un invito da parte sua era una circostanza
decisamente insolita, ed era evidente che non era dettato solo dal
semplice
desiderio di vederli, ma nascondeva un secondo fine.
“Di
rado siamo onorati dal piacere di un invito da parte tua,
padre mio.”
“Avverto
un tono di rimprovero nella tua voce, figlio mio. È
vero che non sono solito ospitarvi qui, del resto questa non
è una casa
qualsiasi. È importante preservare le roccaforti della magia
antica, e non
contaminarle frequentandole sovente.” Con
l’età, Lucius Malfoy era diventato
estremamente pedante. Draco, che stringeva il braccio di Astoria,
avvertì che
sua moglie era infastidita dal discorso. Era difficile biasimarla.
Prima che
Astoria aprisse la bocca per insinuare che Lucius avrebbe dovuto
lasciare
Malfoy Manor, per evitare di contaminarla con la sua presenza viscida,
Draco
intervenne.
“Come
desideri, padre. È evidente che c’è una
ragione di
grande importanza, se ci hai convocati qui. Non indugiare, dunque, e
spiegaci
il motivo di questo invito.”
“Benissimo,
non esiterò un solo istante. Desidero offrire a
mio nipote il regalo per il suo undicesimo compleanno.” Draco
parve perplesso,
si aspettava qualche questione di grande rilevanza, non il regalo per
il compleanno
di Scorpius, che avevano festeggiato due mesi prima.
Anche
Scorpius era sorpreso, non era abituato a tanta
considerazione da parte di suo nonno. Era sempre stata nonna Narcissa a
coccolarlo e vezzeggiarlo, ma da Lucius aveva sempre avuto poca
attenzione.
Un
Elfo domestico porse a Lucius un pacchetto rettangolare di
piccole dimensioni. Lucius lo prese in mano e, con fare solenne, lo
consegnò al
nipote. Scorpius lo prese e lo scartò, titubante.
All’interno trovò un
bracciale in argento decorato con piccole M di smeraldi verdi.
Provò a
infilarlo al polso, ma era un oggetto troppo pesante per il braccio di
un
bambino, e gli cadde. Astoria ne rallentò la caduta con un
colpo di bacchetta e
lo afferrò prima che toccasse terra, sotto lo sguardo colmo
di biasimo del
suocero.
“Forse
ho commesso un errore a pensare che tu fossi già degno
di questo dono, Scorpius Malfoy. Ti ricordo che sei l’ultimo
discendente di una
nobile stirpe Purosangue, e che quando arriverai a Hogwarts dovrai
difendere il
nostro onore, gravemente macchiato negli anni più
recenti.”
Era
quello il vero motivo per cui erano lì. Quel discorso era
la ragione che aveva spinto Lucius ad aprire le porte del suo maniero,
non il
regalo per Scorpius. Il bracciale era un mero pretesto per poter
rivolgere al
nipote quelle parole.
“Dovrai
applicarti molto, Scorpius, perché i Malfoy devono
avere risultati eccellenti in tutte le discipline. Inoltre,
sarà bene che tu
frequenti solo nobili Purosangue, e non ti mescoli con la feccia. Stai
lontano
da tutti i figli dei Weasley, quegli sporchi traditori del loro sangue
e la
loro progenie infestano la scuola, ma troverai il modo di selezionare
le tue
compagnie con cura.”
Scorpius
era sempre più attonito da quei discorsi, ormai
nessuno li faceva più. Nella società del
Dopoguerra in cui lui era nato, chi si
ostinava a tirare in ballo la Questione del Sangue veniva giudicato un
simpatizzante del vecchio regime, e si ritrovava quasi sempre isolato
dalla
società. Era ciò che era successo a quasi tutti i
vecchi Mangiamorte come
Lucius, che non se ne curavano e si chiudevano nelle loro dimore, come
reietti.
La generazione dei giovani, al contrario, era riuscita a svincolarsi
dai legami
con i Mangiamorte rinnegando ogni giuramento e mostrando devozione al
nuovo
regime del Ministero della Magia. Era ciò che aveva fatto
Draco, più che per un
desiderio di riuscita, per proteggere Astoria e Scorpius dalle
maldicenze della
società. Si era costruito una fama di onesto dipendente del
Ministero, e ora la
sua famiglia aveva la vita tranquilla a cui lui aveva anelato sin dalla
fine
della guerra. Non desiderava gli onori e la gloria di cui erano stati
investiti
Potter e i suoi. La sua famiglia li aveva ricercati per secoli, e i
risultati
erano stati disdicevoli. Ora lui, un Malfoy cambiato dalle circostanze
della
vita, rifiutava qualunque forma di notorietà. Tuttavia,
aveva il sospetto che
qualcosa sarebbe cambiato, una volta che i nati nel 2006 avessero fatto
il loro
ingresso a Hogwarts. Il suo mondo avrebbe potuto essere scosso di
nuovo.
Il
discorso di Lucius risultò quanto mai sgradito alle
orecchie del figlio, che decise di lasciare rapidamente Malfoy Manor,
per
tranquillizzare uno Scorpius agitatissimo. Una volta usciti dal
territorio di
pertinenza del maniero, i Malfoy si Smaterializzarono a Diagon Alley.
Era
ora di cena, così Astoria chiamò l’Elfa
Poppy, la quale
accorse quasi subito con una zuppiera. I tre sedettero a tavola, e
consumarono
il pasto in un silenzio quasi completo, perché ciascuno era
perso nei propri
pensieri. Draco e Astoria non amavano parlare tanto per fare
conversazione, di
solito se aprivano la bocca era per un motivo preciso. Sembravano aver
trasmesso questa caratteristica anche al loro Scorpius.
Poiché
la giornata era stata piuttosto stancante, dopo cena
Scorpius annunciò che sarebbe andato a letto. Mentre lui si
allontanava, Draco
si accorse che la moglie aveva qualcosa di cui parlargli, probabilmente
qualcosa che non voleva che Scorpius sapesse. Decise di aspettare il
momento
che lei avrebbe ritenuto più opportuno. I due coniugi erano
soliti trascorrere
le serate nel loro salotto, sul sofà, a conversare o
leggere. Quella sera,
Draco aveva già preso posto sul divano quando Astoria
comparve sulla soglia.
“Qualcosa
non va, mia cara?” le domandò.
“Tu
credi che andrà tutto bene?” il tono di Astoria
tradiva
una grande angoscia. Draco non era facile alla commozione, ma le
preoccupazioni
di sua moglie lo intenerivano, soprattutto perché erano
rare. Non era mai stata
il genere di donna che cova ansie inutili, quindi il fatto che fosse in
apprensione indicava che c’era seriamente qualcosa di cui
preoccuparsi.
“Credo
che Scorpius saprà agire molto meglio di quanto non
abbia fatto io. È estremamente più saggio,
rispetto a me alla sua età. Spero
che non si lascerà suggestionare dai discorsi di quel
vecchio folle di mio
padre.”
“Non prendiamoci in giro, Draco, quelli non sono i
vaneggiamenti di un vecchio
folle, sono gli stessi che hanno condotto tuo padre, e la tua famiglia
con lui,
a imbarcarsi in una guerra. Io non voglio che Scorpius sia coinvolto,
è un
ragazzino, solo un bambino. Ha diritto di trascorrere tranquillo i suoi
anni a
Hogwarts, non permetterò che facciano ricadere su di lui le
colpe di chi lo ha
preceduto.”
“Astoria,
ti prego, non parlarmi come se non me ne importasse
nulla. Sai, meglio di chiunque altro, che in tutti questi anni ho
lavorato per
riabilitare il nome della mia famiglia, che mio padre aveva gettato nel
fango.
Sai che non è stato facile, potresti enumerare tutte le
cattiverie che ho
dovuto subire, tutte le porte che mi hanno chiuso in faccia.
È inevitabile che
qualcuno farà commenti sgradevoli, ma devi fidarti di nostro
figlio. È un
ragazzino brillante, potrà anche assomigliarmi fisicamente,
ma ha ereditato
tutta la tua intelligenza, e saprà come
comportarsi.” Astoria sprofondò il viso
nell’incavo della spalla del marito.
“Ho
paura che succeda di nuovo, e che Scorpius sia coinvolto.”
Draco rabbrividì. Lui stesso avrebbe preferito morire,
piuttosto che assistere
di nuovo a una guerra, soprattutto ora conosceva la
paternità, e capiva cosa
dovevano aver provato i suoi genitori durante la sua adolescenza, ora
che la
paura che potesse succedere qualcosa a Scorpius non lo abbandonava mai.
“Farò
di tutto perché non accada.”
“E
quel vecchio pazzo che gli dice di non mischiarsi con i
Sanguesporco! Come se non dovessimo ringraziarli, i Sanguesporco, per
essere
stati clementi con noi.” Draco la strinse a sé,
per cercare di calmarla.
“Astoria,
stai tranquilla, ti prego. Scorpius non si fida di
mio padre, te ne sei accorta?” nel suo tono c’era
una grande amarezza per i
propri difficili rapporti con il genitore.
“Non
si fida, è vero. Probabilmente, se Narcissa fosse ancora
viva, la situazione sarebbe diversa, ma è evidente che
Scorpius non ama neppure
recarsi in visita a Malfoy Manor, perché associa la casa a
tuo padre. Il
problema è questo, Scorpius è un bambino chiuso e
conosce pochi coetanei, non
sappiamo come si comporterà a Hogwarts, e ho paura che
faccia qualche
sciocchezza. Basterebbe un passo falso per essere segnato a vita come
razzista
e disprezzatore di Mezzosangue, vista la fama che hanno i suoi
predecessori.
Sai che nel suo stesso anno ci sono Albus Potter e Rose Weasley, con
ogni
probabilità sarà Smistato in Serpeverde, e
scommetterei la bacchetta che il
figlio di Potter finirà in Grifondoro: un nome, una
garanzia! E tutti
penseranno che la storia si ripeta.”
“Un
nome, una garanzia, tu dici. E dici bene, mia cara.
Conosci il secondo nome di Albus Potter?”
“Ha
un secondo nome?”
“Severus.”
“Come
Piton? Per quella storia che è uscita sul Profeta dopo
la Battaglia di Hogwarts?”
“Esattamente.
Senza che Potter lo sapesse, per anni Piton è
stato il suo protettore. Non c’è strega o mago,
vivo o morto, a cui Harry
Potter sia debitore come a Severus Piton. Le persone cambiano, o
rivelano la
loro vera identità. Il nostro mondo non è
più quello che era prima della
guerra. Le nostre certezze sono crollate. È iniziata una
collaborazione nuova,
in una realtà in cui un Potter può portare il
nome di Severus Piton. Nulla
potrebbe davvero essere come prima, e dobbiamo tenerne conto.”
Finalmente
rassicurata, Astoria si abbandonò all’abbraccio
del
marito, alla meravigliosa sensazione di sicurezza che lui le dava.
Astoria,
spossata dalle preoccupazioni che l’avevano
attanagliata per tutta la giornata, era già andata a letto.
Draco, dopo essere
rimasto qualche tempo in salotto per occuparsi di alcune faccende
burocratiche,
decise di passare a controllare Scorpius prima di andare a dormire. Lo
trovò
sveglio, immerso nella lettura di uno dei libri scolastici che avevano
acquistato pochi giorni prima, al Ghirigoro. Sorrise, ricordando
l’abitudine di
Hermione Granger di leggere tutti i libri ancora prima
dell’inizio dell’anno
scolastico. Era strano, quel giorno non faceva altro che pensare alla
famiglia
Weasley. Si chiese se non ci fosse un significato, visto che succedeva
poco
prima dell’arrivo di Scorpius a Hogwarts.
“Scorpius,
è meglio se
spegni la luce, è tardi.”
“Lasciami
solo finire il
capitolo, papà, altrimenti perdo il filo.” La
somiglianza con Hermione Granger era
sempre più inquietante, ma era sciocco pensare a lei, quando
era evidente che
Scorpius aveva ereditato dalla madre la curiosità e
l’amore per la conoscenza.
“D’accordo,
d’accordo. Ma
tra dieci minuti voglio la luce spenta.”
“Ho
finito. Papà, posso
farti una domanda?”
“Certo,
Scorpius.” Draco
si augurò che non fosse una domanda di Trasfigurazione,
perché non ricordava
assolutamente nulla della teoria del primo anno.
“Chi
sono gli Weasley?”
Suo padre pensò che, tutto sommato, la Trasfigurazione del
primo anno non
sarebbe stata male, come domanda.
“Sono…una
famiglia di
maghi. Una famiglia molto numerosa, e hanno tutti, o quasi, i capelli
rossi.”
“Perché
il nonno dice che
sono traditori del loro sangue? Cosa significa essere un traditore del
proprio
sangue?”
“É
una vecchia diceria,
non è una cosa gradevole da dire su qualcuno.
C’è stato un tempo in cui queste
cose erano importanti, per alcuni lo erano più che per
altri. Prima che tu
nascessi, maghi e streghe hanno combattuto e sono morti, per colpa di
queste
farneticazioni. Molti hanno imparato dai propri errori che non si
giudica una
persona in base al suo sangue, ma in base alle scelte che fa. Tuo nonno
si
ostina a non capirlo, e probabilmente non lo capirà
mai.” Draco si chinò a
baciare il figlio sulla fronte, poi raggiunse la moglie nella camera da
letto.
Ω
In
Grimmauld Place 12, la
serata si stava svolgendo in maniera stranamente tranquilla. James, che
pochi
giorni dopo avrebbe cominciato il suo terzo anno a Hogwarts, si era
chiuso in
camera per finire i compiti, e i suoi fratelli, Albus in particolar
modo, non
sentivano la mancanza dei suoi continui scherzi e battute. Il
primogenito di
Harry e Ginny possedeva una lingua tagliente e una certa inventiva in
fatto di
scherzi che potessero mettere in difficoltà Lily e Albus,
quest’ultimo il suo
bersaglio preferito. Ginny ricordava che, sin dalla nascita di Al,
James aveva
mostrato una forte gelosia nei confronti del fratellino, probabilmente
una
conseguenza del suo costante bisogno di essere al centro
dell’attenzione. E
dire che Albus, come suo padre, non ricercava mai le luci della
ribalta, e se
si trovava ad essere oggetto d’interesse per qualche motivo,
era il primo a
stupirsene.
Harry
era seduto sul
divano, e leggeva la Gazzetta del Profeta. Era estremamente
concentrato, e
nessuno si sarebbe permesso d’interromperlo. Di tanto in
tanto sbuffava e
faceva leggere uno stralcio di articolo alla moglie. Ginny, nel
frattempo,
stava facendo ripetere le tabelline a Lily, che pochi giorni dopo
avrebbe ricominciato
le lezioni con un precettore. Albus si godeva la serata completamente
priva di
scherzi da parte di James, sfogliando il suo primo libro di
Trasfigurazione,
ereditato dal fratello, con quel misto di gioia e angoscia che
accompagna i
nuovi inizi.
All’improvviso
si udì
suonare alla porta, e Lily andò ad aprire. Harry era
piuttosto infastidito,
probabilmente lo disturbava l’interruzione della lettura del
giornale.
Dall’anticamera si udì Lily gridare:
“Teddy!”
Pochi secondi dopo, Teddy
Lupin, con l’inconfondibile
ciuffo azzurro, fece il suo ingresso nella sala, la bambina avvinghiata
a sé.
Il
disappunto di Harry
scomparve completamente: era sempre felice di vedere il suo figlioccio.
Teddy
rappresentava per il padrino il legame tra il passato e la nuova
generazione.
Era impossibile non pensare a Remus e Nimphadora ogni volta che lo si
guardava,
e ancora di più quando si conoscevano la sua
sensibilità e la sua simpatia, ma
era così giovane e brillante che infondeva negli adulti un
senso di fiducia nei
confronti della sua generazione, i figli della guerra, nati alla fine
di
un’era, a cavallo tra due epoche del mondo magico.
“Ted
Lupin! Sono contento
di vederti, come sempre.” Harry andò incontro al
ragazzo, sorridente.
“Ho
pensato di passare a
salutare i ragazzi, visto che per un po’ non li vedremo.
-Disse Teddy,
rivolgendo un sorriso ad Albus -Ma dov’è
James?”
In
quel momento, si udì
una serie di tonfi dalle scale, e poco dopo James aveva scalzato Lily
dal suo
posto in braccio a Teddy per scagliarsi contro il ragazzo con irruenza.
Lui non
parve scomporsi, dando segno di essere abituato a quel genere di
attacchi da
parte del figlio maggiore di Harry e Ginny.
“James!
Sei pronto per il
gran ritorno?”
“Ehm…quasi.”
Arrossì il
tredicenne.
“Diciamo
che qualcuno è
rimasto di nuovo indietro con i compiti di Trasfigurazione- intervenne
Ginny- e
ora farebbe bene a tornare a studiare!” James si fece mogio.
Nel
frattempo, Harry fece
segno a Teddy di seguirlo e gli offrì un calice di Whiskey
Incendiario Ogden
Stravecchio. Una volta che James fu tornato in camera sua, Lily ne
approfittò e
si sedette in braccio al giovane. Harry sospirò. I suoi
figli non avevano alcun
ritegno con quel povero ragazzo, che consideravano alla stregua di un
fratello
maggiore, e pretendevano da lui continue attenzioni, come quando era un
bambino
e giocava con loro. Ma Teddy non era più un bambino, aveva
diciannove anni ed
era al secondo anno del triennio di preparazione per
l’accesso alla carriera di
Auror. A Harry sarebbe piaciuto pensare di aver avuto
un’influenza sulla scelta
professionale del figlioccio, ma era chiaro che non ci si sarebbe
potuti
aspettare altro dal figlio di un professore di Difesa contro le Arti
Oscure e
un’Auror.
“Lily,
non infastidire
Teddy, non credo che sia venuto qui per lasciarsi funestare la serata
da te.
Non sei più una bimba piccola.” Dopo aver
pronunciato queste parole, Harry si
rese conto dell’errore commesso. L’occhiataccia che
ricevette da parte di Ginny
glielo confermò.
“Se
non sono più una
bambina piccola, perché non posso andare a Hogwarts?
Dovrò rimanere qui da
sola, mentre Albus e James saranno là a divertirsi con i
cappelli che parlano e
i carri senza cavalli.” Si ribellò Lily,
scoppiando a piangere.
“Ne
abbiamo già parlato,
Lily, quando sarà il momento ci andrai anche tu.”
“E
poi, dubito che io mi
divertirò, con James che mi prenderà in giro
continuamente.” Intervenne Albus,
per incoraggiare la sorella. Lily, però, era inconsolabile.
“Non
piangere, Lily.
Vedrai che io e te ci divertiremo un sacco, senza James tra i piedi.
Verrò a
trovarti spesso e, quando la mamma ti lascerà, andremo a
Diagon Alley a
prendere il gelato da Florian Fortebraccio.” Le sorrise
Teddy, stringendola a
sé. Come spesso succedeva quando stava con Lily, i suoi
capelli diventarono
rossi. I singhiozzi della bambina diminuirono.
“Sei
molto gentile, Teddy,
ma non devi sentirti obbligato.”
“Non
mi sento obbligato,
Harry. A volte penso di avere bisogno di Lily, Albus e James
più di quanto loro
ne abbiano di me.” Harry
capì a cosa si
riferisse il suo figlioccio. Lui, più di tutti, poteva
comprendere cosa
significasse non avere alcun ricordo dei propri genitori. Certo,
perlomeno
Teddy era stato cresciuto da una nonna amorevole, Andromeda, e non dai
Dursley.
Inoltre, non era il Prescelto, sempre nelle mire di un temibile mago
oscuro.
Tuttavia, padrino e figlioccio condividevano il senso di perdita,
mancanza,
assenza di chi ha perso i propri punti di riferimento. Negli ultimi
diciannove
anni, Harry aveva fatto tutto ciò che gli era possibile per
sopperire a
quell’assenza, memore di ciò che aveva significato
per lui Sirius Black. Teddy
aveva trovato in lui e Ginny una seconda famiglia, in James, Albus e
Lily i
fratelli che non avrebbe mai potuto avere.
“È
normale che tu senta il
bisogno di stare con loro, non c’è nulla di strano
in questo.” Disse Ginny a
Teddy, con dolcezza. Lui le rivolse un sorriso pieno di affetto.
“In
realtà, salutare i
ragazzi non è l’unico motivo per cui sono venuto
qui, stasera. Ho delle domande
che vorrei porvi. Domande su mio padre.” I coniugi Potter si
scambiarono
un’occhiata, dopodiché invitarono i loro figli a
lasciare la stanza. Teddy
conosceva molte cose sui suoi genitori, ma c’era
un’informazione particolare
che Andromeda, Harry e Ginny, di comune accordo, avevano deciso di
tenere
nascosta finché il ragazzo non fosse stato adulto,
finché non fosse stato
pronto.
Una
volta che Albus e
Lily, di mala voglia, furono usciti, Harry e Ginny si sedettero di
fronte a
Teddy e, con sguardo preoccupato, attesero che parlasse.
Il
ragazzo sembrava
esitare, come se si stesse domandando se veramente voleva conoscere la
risposta
alla domanda che stava per porre. Harry, da parte sua, temeva il
momento di
comunicare al figlioccio l’ultimo segreto, il più
terribile. Ginny, che di
solito manteneva la calma anche nei momenti peggiori, dava segni di
agitazione,
graffiando la fodera del divano con le proprie unghie.
“Sin
da quando ero poco
più che un bambino, dal mio primo anno a Hogwarts, sono
venuto a sapere molte
cose sulla mia famiglia d’origine, abbastanza da giustificare
che la gente
s’interessasse a me più di quanto sarebbe stato
normale. Tra due genitori morti
nella Battaglia di Hogwarts, un nonno assassinato perché
Nato Babbano, una
nonna Black che è fuggita con lui rinnegando la famiglia e,
non ultimo, un
padrino come te, Harry, c’era abbastanza di cui parlare anche
se io fossi stato
un Magonò.” Harry sorrise, sapeva bene quanto
Teddy detestasse quelle
attenzioni, lui che preferiva sempre e comunque rimanere
nell’ombra.
“Aggiungici
i tuoi dodici
M.A.G.O., l’aspetto mutevole e la spilla da Caposcuola di
Tassorosso e c’è di
che parlare finché Fleur non perde l’accento
francese.” Commentò Ginny.
“Appunto.
Sin dallo
Smistamento sono stato al centro dell’attenzione, con
risultati non sempre
brillanti, data la mia tendenza
a…ehm…inciampare.” Arrossì
il giovane.
“Il
tuo padrino era
peggio, oltre ad attirare l’attenzione, attirava anche i guai
a ogni passo che
faceva.” Lo rincuorò Ginny, indicando il marito.
“Ginny,
ti prego.”
“Hai
ragione, hai ragione. Coraggio
Teddy, vai avanti.”
“In
sintesi, sono sempre
stato abituato alle persone che esitavano quando venivano a sapere come
mi
chiamo, ma al Ministero, l’altro giorno, è
successo qualcosa di diverso.”
“Ossia?”
“Stavamo
facendo
un’esercitazione pratica, quando è arrivato un
ospite, un famoso insegnante di
arti marziali giapponese, accompagnato da un’addetta del
Ministero. Abbiamo
interrotto l’esercitazione e ognuno si è
presentato al nuovo venuto. Quando io
ho detto il mio nome, l’addetta del Ministero ha avuto un
sussulto, poi ha
preso da parte il professor Johnson e hanno confabulato per qualche
minuto.
Poco dopo, Johnson mi ha chiesto di uscire dall’aula e mi ha
mandato a cercare
un impiegato di non so più quale ufficio. Io l’ho
cercato per un’ora, ma non
l’ho trovato, e quando sono tornato a lezione il corso di
arti marziali era
finito!”
Harry
capì quello che era
successo. Era fuori di sé, ma cercò di contenersi
per fare alcune domande a
Teddy prima di sganciare la bomba.
“Puoi
descriverci
l’addetta del Ministero che ha preso da parte
Johnson?”
“Poteva
avere la vostra
età, aveva i capelli neri e la faccia un po’ come
quella di un carlino.” Harry
trasalì, e poteva avvertire l’agitazione di Ginny,
a fianco a sé.
“Pansy
Parkinson” ringhiò
tra i denti la donna, in modo che solo Harry potesse sentire. Lui le
fece segno
di non perdere la calma, dovevano rimanere tranquilli per non
sconvolgere
Teddy.
“Quel
professore
giapponese chi era? Si trattava di una personalità
importante?”
“Piuttosto
importante, si.
Figurarsi che è arrivato a Londra con la scorta.”
“Quindi
qualcuno che il
Ministero non vorrebbe finisse in pericolo?”
“Direi
proprio di no.”
Harry
sospirò. Era giunto
il momento di rivelare la verità. Quella parola gli
ricordò una frase
pronunciata, molti anni prima, da un mago a cui lui aveva voluto molto
bene.
“La verità è una cosa meravigliosa e
terribile, e per questo deve essere
trattata con enorme cautela.”
“Teddy,
c’è una cosa che è
giunto il momento che tu venga a sapere.”
Il
ragazzo impallidì, ma
non disse nulla.
“In
questi anni io, Ginny
e Andromeda ti abbiamo raccontato molte cose sui tuoi genitori. Alcune
cose le
hai sempre sapute, altre te le abbiamo dette quando abbiamo pensato che
tu
fossi in grado di accettarle. Ti porti dietro una storia difficile, ma
hai
anche molto di cui andare fiero. I tuoi genitori erano maghi di
grandissimo
valore, non solo per quanto riguarda le arti magiche, ma soprattutto
come
esseri umani. Ti ho già raccontato dell’amicizia
che ha legato mio padre e il
tuo, del coraggio e della bontà che distinguevano tua madre.
Vorrei che quello
che sto per dirti non cambiasse l’immagine che tu hai di loro
perché, anche se
potrà sembrarti una cosa incredibile, era uno dei motivi per
cui volevo bene a
tuo padre.”
“Ti
prego, Harry, vai al
punto.”
“La
storia è questa.
Quando tuo padre era un bambino, prima che raggiungesse
l’età per andare a
Hogwarts, avvenne un fatto orribile. Fu morso da un Lupo Mannaro di
nome Fenrir
Greyback.”
“Un
Lupo Mannaro? Mio
padre era un Lupo Mannaro?” Teddy era addolorato e sconvolto.
Harry riconobbe
in quel tono di voce la disperazione di quando aveva visto suo padre
nei
ricordi di Piton, al quinto anno, e aveva scoperto che era uno spaccone
che
faceva il bullo coi compagni più deboli. Certo, per Teddy
quella sensazione era
amplificata.
“Com’è
possibile che io
abbia vissuto per diciannove anni senza sapere di essere figlio di un
reietto?
Come avete fatto a farmi trascorrere sette anni a Hogwarts senza che
nessuno si
sia mai lasciato sfuggire nulla?”
“Tuo
padre non era un
semplice selvaggio, come quelli che hai visto sul libro di Difesa
contro le
Arti Oscure. Grazie alla sua volontà e all’aiuto
di persone che gli volevano
bene, riuscì a prendere i M.A.G.O. e fu il nostro
insegnante, come ti abbiamo
raccontato. Ha incontrato molte difficoltà, ma è
riuscito a superarle, e a
dimostrare che il suo problema non cambiava il suo modo di
essere.”
“Harry,
io ho sempre avuto
una cieca fiducia in tutto ciò che mi hai raccontato sulla
mia famiglia. Perché
mi hai tenuto nascosto questo segreto? Sento che non potrò
più credere a nulla
di ciò che mi dirai.”
Harry
stava per
rispondere, ma Ginny lo fermò.
“Hai
ragione a essere
arrabbiato, ma noi abbiamo agito così per proteggerti. Non
sapevamo come
avresti potuto reagire a una notizia del genere, e non volevamo che il
peso di
questa informazione gravasse sulle tue spalle quando non eri abbastanza
forte
per sopportarlo.”
“Avrei
preferito
infinitamente saperlo.”
“Forse
sì, ma avresti
finito per non capire. Nessuno di noi voleva questo. Tenevamo troppo
alla
memoria di Remus per accettare che suo figlio non sapesse chi lui era
realmente.”
“Non
saprò mai chi lui
fosse realmente, perché è morto da diciannove
anni, e io non vedrò che meraviglioso
Lupo Mannaro fosse!” Teddy si era alzato e aveva indossato la
giacca.
“Teddy,
ti prego, non
andartene. Non avremmo dovuto tenerti nascosta la verità, ma
abbiamo cercato il
tuo bene, davvero.” Ginny provò a corrergli
incontro, ma lui si scansò e uscì
dalla stanza.
“Teddy!
Teddy! Torna qui!”
Udirono
il pop della Smaterializzazione.
Teddy se
n’era andato davvero.
Harry
si alzò e abbracciò
Ginny un attimo prima che la donna prorompesse in singhiozzi.
“Abbiamo
sbagliato tutto!
Tutto!”
“Non
è vero. Abbiamo
cercato di proteggerlo. È un ragazzo intelligente, ha
bisogno di rimuginarci
su. Se non accetterà quello che abbiamo fatto,
saprà che in ogni caso qui
troverà una famiglia che lo ama.”
Harry
strinse a sé la
moglie, lasciando che piangesse con il viso affondato nel suo petto. Si
augurava con tutto il cuore che quello che aveva appena detto
corrispondesse al
vero.