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Autore: lucia_canon    09/02/2016    2 recensioni
-“Un nome, una garanzia, tu dici. E dici bene, mia cara. Conosci il secondo nome di Albus Potter?”
“Ha un secondo nome?”
“Severus.”
“Come Piton? Per quella storia che è uscita sul Profeta dopo la Battaglia di Hogwarts?”-
Genere: Commedia, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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“Molte fiate già pianser li figli

Per la colpa del padre.”

Dante, canto VI del Paradiso

 

Malfoy Manor, agosto 2017

“Immagino che vi starete chiedendo il motivo di questo invito qui a Malfoy Manor.”

Lucius Malfoy aveva ragione; suo figlio, sua nuora e suo nipote avevano uno sguardo perplesso e incuriosito. Era raro che Lucius li invitasse nella sua dimora, da quando tre anni prima il Vaiolo di Drago aveva stroncato sua moglie Narcissa. Solitamente era lui a recarsi in visita nella loro casa di Diagon Alley. Un invito da parte sua era una circostanza decisamente insolita, ed era evidente che non era dettato solo dal semplice desiderio di vederli, ma nascondeva un secondo fine.

“Di rado siamo onorati dal piacere di un invito da parte tua, padre mio.”

“Avverto un tono di rimprovero nella tua voce, figlio mio. È vero che non sono solito ospitarvi qui, del resto questa non è una casa qualsiasi. È importante preservare le roccaforti della magia antica, e non contaminarle frequentandole sovente.” Con l’età, Lucius Malfoy era diventato estremamente pedante. Draco, che stringeva il braccio di Astoria, avvertì che sua moglie era infastidita dal discorso. Era difficile biasimarla. Prima che Astoria aprisse la bocca per insinuare che Lucius avrebbe dovuto lasciare Malfoy Manor, per evitare di contaminarla con la sua presenza viscida, Draco intervenne.

“Come desideri, padre. È evidente che c’è una ragione di grande importanza, se ci hai convocati qui. Non indugiare, dunque, e spiegaci il motivo di questo invito.”

“Benissimo, non esiterò un solo istante. Desidero offrire a mio nipote il regalo per il suo undicesimo compleanno.” Draco parve perplesso, si aspettava qualche questione di grande rilevanza, non il regalo per il compleanno di Scorpius, che avevano festeggiato due mesi prima.

Anche Scorpius era sorpreso, non era abituato a tanta considerazione da parte di suo nonno. Era sempre stata nonna Narcissa a coccolarlo e vezzeggiarlo, ma da Lucius aveva sempre avuto poca attenzione.

Un Elfo domestico porse a Lucius un pacchetto rettangolare di piccole dimensioni. Lucius lo prese in mano e, con fare solenne, lo consegnò al nipote. Scorpius lo prese e lo scartò, titubante. All’interno trovò un bracciale in argento decorato con piccole M di smeraldi verdi. Provò a infilarlo al polso, ma era un oggetto troppo pesante per il braccio di un bambino, e gli cadde. Astoria ne rallentò la caduta con un colpo di bacchetta e lo afferrò prima che toccasse terra, sotto lo sguardo colmo di biasimo del suocero.

“Forse ho commesso un errore a pensare che tu fossi già degno di questo dono, Scorpius Malfoy. Ti ricordo che sei l’ultimo discendente di una nobile stirpe Purosangue, e che quando arriverai a Hogwarts dovrai difendere il nostro onore, gravemente macchiato negli anni più recenti.”

Era quello il vero motivo per cui erano lì. Quel discorso era la ragione che aveva spinto Lucius ad aprire le porte del suo maniero, non il regalo per Scorpius. Il bracciale era un mero pretesto per poter rivolgere al nipote quelle parole.

“Dovrai applicarti molto, Scorpius, perché i Malfoy devono avere risultati eccellenti in tutte le discipline. Inoltre, sarà bene che tu frequenti solo nobili Purosangue, e non ti mescoli con la feccia. Stai lontano da tutti i figli dei Weasley, quegli sporchi traditori del loro sangue e la loro progenie infestano la scuola, ma troverai il modo di selezionare le tue compagnie con cura.”

Scorpius era sempre più attonito da quei discorsi, ormai nessuno li faceva più. Nella società del Dopoguerra in cui lui era nato, chi si ostinava a tirare in ballo la Questione del Sangue veniva giudicato un simpatizzante del vecchio regime, e si ritrovava quasi sempre isolato dalla società. Era ciò che era successo a quasi tutti i vecchi Mangiamorte come Lucius, che non se ne curavano e si chiudevano nelle loro dimore, come reietti. La generazione dei giovani, al contrario, era riuscita a svincolarsi dai legami con i Mangiamorte rinnegando ogni giuramento e mostrando devozione al nuovo regime del Ministero della Magia. Era ciò che aveva fatto Draco, più che per un desiderio di riuscita, per proteggere Astoria e Scorpius dalle maldicenze della società. Si era costruito una fama di onesto dipendente del Ministero, e ora la sua famiglia aveva la vita tranquilla a cui lui aveva anelato sin dalla fine della guerra. Non desiderava gli onori e la gloria di cui erano stati investiti Potter e i suoi. La sua famiglia li aveva ricercati per secoli, e i risultati erano stati disdicevoli. Ora lui, un Malfoy cambiato dalle circostanze della vita, rifiutava qualunque forma di notorietà. Tuttavia, aveva il sospetto che qualcosa sarebbe cambiato, una volta che i nati nel 2006 avessero fatto il loro ingresso a Hogwarts. Il suo mondo avrebbe potuto essere scosso di nuovo.

Il discorso di Lucius risultò quanto mai sgradito alle orecchie del figlio, che decise di lasciare rapidamente Malfoy Manor, per tranquillizzare uno Scorpius agitatissimo. Una volta usciti dal territorio di pertinenza del maniero, i Malfoy si Smaterializzarono a Diagon Alley.

Era ora di cena, così Astoria chiamò l’Elfa Poppy, la quale accorse quasi subito con una zuppiera. I tre sedettero a tavola, e consumarono il pasto in un silenzio quasi completo, perché ciascuno era perso nei propri pensieri. Draco e Astoria non amavano parlare tanto per fare conversazione, di solito se aprivano la bocca era per un motivo preciso. Sembravano aver trasmesso questa caratteristica anche al loro Scorpius.

Poiché la giornata era stata piuttosto stancante, dopo cena Scorpius annunciò che sarebbe andato a letto. Mentre lui si allontanava, Draco si accorse che la moglie aveva qualcosa di cui parlargli, probabilmente qualcosa che non voleva che Scorpius sapesse. Decise di aspettare il momento che lei avrebbe ritenuto più opportuno. I due coniugi erano soliti trascorrere le serate nel loro salotto, sul sofà, a conversare o leggere. Quella sera, Draco aveva già preso posto sul divano quando Astoria comparve sulla soglia.

“Qualcosa non va, mia cara?” le domandò.

“Tu credi che andrà tutto bene?” il tono di Astoria tradiva una grande angoscia. Draco non era facile alla commozione, ma le preoccupazioni di sua moglie lo intenerivano, soprattutto perché erano rare. Non era mai stata il genere di donna che cova ansie inutili, quindi il fatto che fosse in apprensione indicava che c’era seriamente qualcosa di cui preoccuparsi.

“Credo che Scorpius saprà agire molto meglio di quanto non abbia fatto io. È estremamente più saggio, rispetto a me alla sua età. Spero che non si lascerà suggestionare dai discorsi di quel vecchio folle di mio padre.”


“Non prendiamoci in giro, Draco, quelli non sono i vaneggiamenti di un vecchio folle, sono gli stessi che hanno condotto tuo padre, e la tua famiglia con lui, a imbarcarsi in una guerra. Io non voglio che Scorpius sia coinvolto, è un ragazzino, solo un bambino. Ha diritto di trascorrere tranquillo i suoi anni a Hogwarts, non permetterò che facciano ricadere su di lui le colpe di chi lo ha preceduto.”

“Astoria, ti prego, non parlarmi come se non me ne importasse nulla. Sai, meglio di chiunque altro, che in tutti questi anni ho lavorato per riabilitare il nome della mia famiglia, che mio padre aveva gettato nel fango. Sai che non è stato facile, potresti enumerare tutte le cattiverie che ho dovuto subire, tutte le porte che mi hanno chiuso in faccia. È inevitabile che qualcuno farà commenti sgradevoli, ma devi fidarti di nostro figlio. È un ragazzino brillante, potrà anche assomigliarmi fisicamente, ma ha ereditato tutta la tua intelligenza, e saprà come comportarsi.” Astoria sprofondò il viso nell’incavo della spalla del marito.

“Ho paura che succeda di nuovo, e che Scorpius sia coinvolto.” Draco rabbrividì. Lui stesso avrebbe preferito morire, piuttosto che assistere di nuovo a una guerra, soprattutto ora conosceva la paternità, e capiva cosa dovevano aver provato i suoi genitori durante la sua adolescenza, ora che la paura che potesse succedere qualcosa a Scorpius non lo abbandonava mai.

“Farò di tutto perché non accada.”

“E quel vecchio pazzo che gli dice di non mischiarsi con i Sanguesporco! Come se non dovessimo ringraziarli, i Sanguesporco, per essere stati clementi con noi.” Draco la strinse a sé, per cercare di calmarla.

“Astoria, stai tranquilla, ti prego. Scorpius non si fida di mio padre, te ne sei accorta?” nel suo tono c’era una grande amarezza per i propri difficili rapporti con il genitore.

“Non si fida, è vero. Probabilmente, se Narcissa fosse ancora viva, la situazione sarebbe diversa, ma è evidente che Scorpius non ama neppure recarsi in visita a Malfoy Manor, perché associa la casa a tuo padre. Il problema è questo, Scorpius è un bambino chiuso e conosce pochi coetanei, non sappiamo come si comporterà a Hogwarts, e ho paura che faccia qualche sciocchezza. Basterebbe un passo falso per essere segnato a vita come razzista e disprezzatore di Mezzosangue, vista la fama che hanno i suoi predecessori. Sai che nel suo stesso anno ci sono Albus Potter e Rose Weasley, con ogni probabilità sarà Smistato in Serpeverde, e scommetterei la bacchetta che il figlio di Potter finirà in Grifondoro: un nome, una garanzia! E tutti penseranno che la storia si ripeta.”

“Un nome, una garanzia, tu dici. E dici bene, mia cara. Conosci il secondo nome di Albus Potter?”

“Ha un secondo nome?”

“Severus.”

“Come Piton? Per quella storia che è uscita sul Profeta dopo la Battaglia di Hogwarts?”

“Esattamente. Senza che Potter lo sapesse, per anni Piton è stato il suo protettore. Non c’è strega o mago, vivo o morto, a cui Harry Potter sia debitore come a Severus Piton. Le persone cambiano, o rivelano la loro vera identità. Il nostro mondo non è più quello che era prima della guerra. Le nostre certezze sono crollate. È iniziata una collaborazione nuova, in una realtà in cui un Potter può portare il nome di Severus Piton. Nulla potrebbe davvero essere come prima, e dobbiamo tenerne conto.”

Finalmente rassicurata, Astoria si abbandonò all’abbraccio del marito, alla meravigliosa sensazione di sicurezza che lui le dava.

 

Astoria, spossata dalle preoccupazioni che l’avevano attanagliata per tutta la giornata, era già andata a letto. Draco, dopo essere rimasto qualche tempo in salotto per occuparsi di alcune faccende burocratiche, decise di passare a controllare Scorpius prima di andare a dormire. Lo trovò sveglio, immerso nella lettura di uno dei libri scolastici che avevano acquistato pochi giorni prima, al Ghirigoro. Sorrise, ricordando l’abitudine di Hermione Granger di leggere tutti i libri ancora prima dell’inizio dell’anno scolastico. Era strano, quel giorno non faceva altro che pensare alla famiglia Weasley. Si chiese se non ci fosse un significato, visto che succedeva poco prima dell’arrivo di Scorpius a Hogwarts.

“Scorpius, è meglio se spegni la luce, è tardi.”

“Lasciami solo finire il capitolo, papà, altrimenti perdo il filo.” La somiglianza con Hermione Granger era sempre più inquietante, ma era sciocco pensare a lei, quando era evidente che Scorpius aveva ereditato dalla madre la curiosità e l’amore per la conoscenza.

“D’accordo, d’accordo. Ma tra dieci minuti voglio la luce spenta.”

“Ho finito. Papà, posso farti una domanda?”

“Certo, Scorpius.” Draco si augurò che non fosse una domanda di Trasfigurazione, perché non ricordava assolutamente nulla della teoria del primo anno.

“Chi sono gli Weasley?” Suo padre pensò che, tutto sommato, la Trasfigurazione del primo anno non sarebbe stata male, come domanda.

“Sono…una famiglia di maghi. Una famiglia molto numerosa, e hanno tutti, o quasi, i capelli rossi.”

“Perché il nonno dice che sono traditori del loro sangue? Cosa significa essere un traditore del proprio sangue?”

“É una vecchia diceria, non è una cosa gradevole da dire su qualcuno. C’è stato un tempo in cui queste cose erano importanti, per alcuni lo erano più che per altri. Prima che tu nascessi, maghi e streghe hanno combattuto e sono morti, per colpa di queste farneticazioni. Molti hanno imparato dai propri errori che non si giudica una persona in base al suo sangue, ma in base alle scelte che fa. Tuo nonno si ostina a non capirlo, e probabilmente non lo capirà mai.” Draco si chinò a baciare il figlio sulla fronte, poi raggiunse la moglie nella camera da letto.

In Grimmauld Place 12, la serata si stava svolgendo in maniera stranamente tranquilla. James, che pochi giorni dopo avrebbe cominciato il suo terzo anno a Hogwarts, si era chiuso in camera per finire i compiti, e i suoi fratelli, Albus in particolar modo, non sentivano la mancanza dei suoi continui scherzi e battute. Il primogenito di Harry e Ginny possedeva una lingua tagliente e una certa inventiva in fatto di scherzi che potessero mettere in difficoltà Lily e Albus, quest’ultimo il suo bersaglio preferito. Ginny ricordava che, sin dalla nascita di Al, James aveva mostrato una forte gelosia nei confronti del fratellino, probabilmente una conseguenza del suo costante bisogno di essere al centro dell’attenzione. E dire che Albus, come suo padre, non ricercava mai le luci della ribalta, e se si trovava ad essere oggetto d’interesse per qualche motivo, era il primo a stupirsene.

Harry era seduto sul divano, e leggeva la Gazzetta del Profeta. Era estremamente concentrato, e nessuno si sarebbe permesso d’interromperlo. Di tanto in tanto sbuffava e faceva leggere uno stralcio di articolo alla moglie. Ginny, nel frattempo, stava facendo ripetere le tabelline a Lily, che pochi giorni dopo avrebbe ricominciato le lezioni con un precettore. Albus si godeva la serata completamente priva di scherzi da parte di James, sfogliando il suo primo libro di Trasfigurazione, ereditato dal fratello, con quel misto di gioia e angoscia che accompagna i nuovi inizi.

All’improvviso si udì suonare alla porta, e Lily andò ad aprire. Harry era piuttosto infastidito, probabilmente lo disturbava l’interruzione della lettura del giornale. Dall’anticamera si udì Lily gridare:

“Teddy!”

 Pochi secondi dopo, Teddy Lupin, con l’inconfondibile ciuffo azzurro, fece il suo ingresso nella sala, la bambina avvinghiata a sé.

Il disappunto di Harry scomparve completamente: era sempre felice di vedere il suo figlioccio. Teddy rappresentava per il padrino il legame tra il passato e la nuova generazione. Era impossibile non pensare a Remus e Nimphadora ogni volta che lo si guardava, e ancora di più quando si conoscevano la sua sensibilità e la sua simpatia, ma era così giovane e brillante che infondeva negli adulti un senso di fiducia nei confronti della sua generazione, i figli della guerra, nati alla fine di un’era, a cavallo tra due epoche del mondo magico.

“Ted Lupin! Sono contento di vederti, come sempre.” Harry andò incontro al ragazzo, sorridente.

“Ho pensato di passare a salutare i ragazzi, visto che per un po’ non li vedremo. -Disse Teddy, rivolgendo un sorriso ad Albus -Ma dov’è James?”

In quel momento, si udì una serie di tonfi dalle scale, e poco dopo James aveva scalzato Lily dal suo posto in braccio a Teddy per scagliarsi contro il ragazzo con irruenza. Lui non parve scomporsi, dando segno di essere abituato a quel genere di attacchi da parte del figlio maggiore di Harry e Ginny.

“James! Sei pronto per il gran ritorno?”

“Ehm…quasi.” Arrossì il tredicenne.

“Diciamo che qualcuno è rimasto di nuovo indietro con i compiti di Trasfigurazione- intervenne Ginny- e ora farebbe bene a tornare a studiare!” James si fece mogio.

Nel frattempo, Harry fece segno a Teddy di seguirlo e gli offrì un calice di Whiskey Incendiario Ogden Stravecchio. Una volta che James fu tornato in camera sua, Lily ne approfittò e si sedette in braccio al giovane. Harry sospirò. I suoi figli non avevano alcun ritegno con quel povero ragazzo, che consideravano alla stregua di un fratello maggiore, e pretendevano da lui continue attenzioni, come quando era un bambino e giocava con loro. Ma Teddy non era più un bambino, aveva diciannove anni ed era al secondo anno del triennio di preparazione per l’accesso alla carriera di Auror. A Harry sarebbe piaciuto pensare di aver avuto un’influenza sulla scelta professionale del figlioccio, ma era chiaro che non ci si sarebbe potuti aspettare altro dal figlio di un professore di Difesa contro le Arti Oscure e un’Auror.

“Lily, non infastidire Teddy, non credo che sia venuto qui per lasciarsi funestare la serata da te. Non sei più una bimba piccola.” Dopo aver pronunciato queste parole, Harry si rese conto dell’errore commesso. L’occhiataccia che ricevette da parte di Ginny glielo confermò.

“Se non sono più una bambina piccola, perché non posso andare a Hogwarts? Dovrò rimanere qui da sola, mentre Albus e James saranno là a divertirsi con i cappelli che parlano e i carri senza cavalli.” Si ribellò Lily, scoppiando a piangere.

“Ne abbiamo già parlato, Lily, quando sarà il momento ci andrai anche tu.”

“E poi, dubito che io mi divertirò, con James che mi prenderà in giro continuamente.” Intervenne Albus, per incoraggiare la sorella. Lily, però, era inconsolabile.

“Non piangere, Lily. Vedrai che io e te ci divertiremo un sacco, senza James tra i piedi. Verrò a trovarti spesso e, quando la mamma ti lascerà, andremo a Diagon Alley a prendere il gelato da Florian Fortebraccio.” Le sorrise Teddy, stringendola a sé. Come spesso succedeva quando stava con Lily, i suoi capelli diventarono rossi. I singhiozzi della bambina diminuirono.

“Sei molto gentile, Teddy, ma non devi sentirti obbligato.”

“Non mi sento obbligato, Harry. A volte penso di avere bisogno di Lily, Albus e James più di quanto loro ne abbiano di me.”  Harry capì a cosa si riferisse il suo figlioccio. Lui, più di tutti, poteva comprendere cosa significasse non avere alcun ricordo dei propri genitori. Certo, perlomeno Teddy era stato cresciuto da una nonna amorevole, Andromeda, e non dai Dursley. Inoltre, non era il Prescelto, sempre nelle mire di un temibile mago oscuro. Tuttavia, padrino e figlioccio condividevano il senso di perdita, mancanza, assenza di chi ha perso i propri punti di riferimento. Negli ultimi diciannove anni, Harry aveva fatto tutto ciò che gli era possibile per sopperire a quell’assenza, memore di ciò che aveva significato per lui Sirius Black. Teddy aveva trovato in lui e Ginny una seconda famiglia, in James, Albus e Lily i fratelli che non avrebbe mai potuto avere.

“È normale che tu senta il bisogno di stare con loro, non c’è nulla di strano in questo.” Disse Ginny a Teddy, con dolcezza. Lui le rivolse un sorriso pieno di affetto.

“In realtà, salutare i ragazzi non è l’unico motivo per cui sono venuto qui, stasera. Ho delle domande che vorrei porvi. Domande su mio padre.” I coniugi Potter si scambiarono un’occhiata, dopodiché invitarono i loro figli a lasciare la stanza. Teddy conosceva molte cose sui suoi genitori, ma c’era un’informazione particolare che Andromeda, Harry e Ginny, di comune accordo, avevano deciso di tenere nascosta finché il ragazzo non fosse stato adulto, finché non fosse stato pronto.

Una volta che Albus e Lily, di mala voglia, furono usciti, Harry e Ginny si sedettero di fronte a Teddy e, con sguardo preoccupato, attesero che parlasse.

Il ragazzo sembrava esitare, come se si stesse domandando se veramente voleva conoscere la risposta alla domanda che stava per porre. Harry, da parte sua, temeva il momento di comunicare al figlioccio l’ultimo segreto, il più terribile. Ginny, che di solito manteneva la calma anche nei momenti peggiori, dava segni di agitazione, graffiando la fodera del divano con le proprie unghie.

“Sin da quando ero poco più che un bambino, dal mio primo anno a Hogwarts, sono venuto a sapere molte cose sulla mia famiglia d’origine, abbastanza da giustificare che la gente s’interessasse a me più di quanto sarebbe stato normale. Tra due genitori morti nella Battaglia di Hogwarts, un nonno assassinato perché Nato Babbano, una nonna Black che è fuggita con lui rinnegando la famiglia e, non ultimo, un padrino come te, Harry, c’era abbastanza di cui parlare anche se io fossi stato un Magonò.” Harry sorrise, sapeva bene quanto Teddy detestasse quelle attenzioni, lui che preferiva sempre e comunque rimanere nell’ombra.

“Aggiungici i tuoi dodici M.A.G.O., l’aspetto mutevole e la spilla da Caposcuola di Tassorosso e c’è di che parlare finché Fleur non perde l’accento francese.” Commentò Ginny.

“Appunto. Sin dallo Smistamento sono stato al centro dell’attenzione, con risultati non sempre brillanti, data la mia tendenza a…ehm…inciampare.” Arrossì il giovane.

“Il tuo padrino era peggio, oltre ad attirare l’attenzione, attirava anche i guai a ogni passo che faceva.” Lo rincuorò Ginny, indicando il marito.

“Ginny, ti prego.”
 “Hai ragione, hai ragione. Coraggio Teddy, vai avanti.”

“In sintesi, sono sempre stato abituato alle persone che esitavano quando venivano a sapere come mi chiamo, ma al Ministero, l’altro giorno, è successo qualcosa di diverso.”

“Ossia?”

“Stavamo facendo un’esercitazione pratica, quando è arrivato un ospite, un famoso insegnante di arti marziali giapponese, accompagnato da un’addetta del Ministero. Abbiamo interrotto l’esercitazione e ognuno si è presentato al nuovo venuto. Quando io ho detto il mio nome, l’addetta del Ministero ha avuto un sussulto, poi ha preso da parte il professor Johnson e hanno confabulato per qualche minuto. Poco dopo, Johnson mi ha chiesto di uscire dall’aula e mi ha mandato a cercare un impiegato di non so più quale ufficio. Io l’ho cercato per un’ora, ma non l’ho trovato, e quando sono tornato a lezione il corso di arti marziali era finito!”

Harry capì quello che era successo. Era fuori di sé, ma cercò di contenersi per fare alcune domande a Teddy prima di sganciare la bomba.

“Puoi descriverci l’addetta del Ministero che ha preso da parte Johnson?”

“Poteva avere la vostra età, aveva i capelli neri e la faccia un po’ come quella di un carlino.” Harry trasalì, e poteva avvertire l’agitazione di Ginny, a fianco a sé.

“Pansy Parkinson” ringhiò tra i denti la donna, in modo che solo Harry potesse sentire. Lui le fece segno di non perdere la calma, dovevano rimanere tranquilli per non sconvolgere Teddy.

“Quel professore giapponese chi era? Si trattava di una personalità importante?”

“Piuttosto importante, si. Figurarsi che è arrivato a Londra con la scorta.”

“Quindi qualcuno che il Ministero non vorrebbe finisse in pericolo?”

“Direi proprio di no.”

Harry sospirò. Era giunto il momento di rivelare la verità. Quella parola gli ricordò una frase pronunciata, molti anni prima, da un mago a cui lui aveva voluto molto bene. “La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo deve essere trattata con enorme cautela.”

“Teddy, c’è una cosa che è giunto il momento che tu venga a sapere.”

Il ragazzo impallidì, ma non disse nulla.

“In questi anni io, Ginny e Andromeda ti abbiamo raccontato molte cose sui tuoi genitori. Alcune cose le hai sempre sapute, altre te le abbiamo dette quando abbiamo pensato che tu fossi in grado di accettarle. Ti porti dietro una storia difficile, ma hai anche molto di cui andare fiero. I tuoi genitori erano maghi di grandissimo valore, non solo per quanto riguarda le arti magiche, ma soprattutto come esseri umani. Ti ho già raccontato dell’amicizia che ha legato mio padre e il tuo, del coraggio e della bontà che distinguevano tua madre. Vorrei che quello che sto per dirti non cambiasse l’immagine che tu hai di loro perché, anche se potrà sembrarti una cosa incredibile, era uno dei motivi per cui volevo bene a tuo padre.”

“Ti prego, Harry, vai al punto.”

“La storia è questa. Quando tuo padre era un bambino, prima che raggiungesse l’età per andare a Hogwarts, avvenne un fatto orribile. Fu morso da un Lupo Mannaro di nome Fenrir Greyback.”

“Un Lupo Mannaro? Mio padre era un Lupo Mannaro?” Teddy era addolorato e sconvolto. Harry riconobbe in quel tono di voce la disperazione di quando aveva visto suo padre nei ricordi di Piton, al quinto anno, e aveva scoperto che era uno spaccone che faceva il bullo coi compagni più deboli. Certo, per Teddy quella sensazione era amplificata.

“Com’è possibile che io abbia vissuto per diciannove anni senza sapere di essere figlio di un reietto? Come avete fatto a farmi trascorrere sette anni a Hogwarts senza che nessuno si sia mai lasciato sfuggire nulla?”

“Tuo padre non era un semplice selvaggio, come quelli che hai visto sul libro di Difesa contro le Arti Oscure. Grazie alla sua volontà e all’aiuto di persone che gli volevano bene, riuscì a prendere i M.A.G.O. e fu il nostro insegnante, come ti abbiamo raccontato. Ha incontrato molte difficoltà, ma è riuscito a superarle, e a dimostrare che il suo problema non cambiava il suo modo di essere.”

“Harry, io ho sempre avuto una cieca fiducia in tutto ciò che mi hai raccontato sulla mia famiglia. Perché mi hai tenuto nascosto questo segreto? Sento che non potrò più credere a nulla di ciò che mi dirai.”

Harry stava per rispondere, ma Ginny lo fermò.

“Hai ragione a essere arrabbiato, ma noi abbiamo agito così per proteggerti. Non sapevamo come avresti potuto reagire a una notizia del genere, e non volevamo che il peso di questa informazione gravasse sulle tue spalle quando non eri abbastanza forte per sopportarlo.”

“Avrei preferito infinitamente saperlo.”

“Forse sì, ma avresti finito per non capire. Nessuno di noi voleva questo. Tenevamo troppo alla memoria di Remus per accettare che suo figlio non sapesse chi lui era realmente.”

“Non saprò mai chi lui fosse realmente, perché è morto da diciannove anni, e io non vedrò che meraviglioso Lupo Mannaro fosse!” Teddy si era alzato e aveva indossato la giacca.

“Teddy, ti prego, non andartene. Non avremmo dovuto tenerti nascosta la verità, ma abbiamo cercato il tuo bene, davvero.” Ginny provò a corrergli incontro, ma lui si scansò e uscì dalla stanza.

“Teddy! Teddy! Torna qui!”

Udirono il pop della Smaterializzazione. Teddy se n’era andato davvero.

Harry si alzò e abbracciò Ginny un attimo prima che la donna prorompesse in singhiozzi.

“Abbiamo sbagliato tutto! Tutto!”

“Non è vero. Abbiamo cercato di proteggerlo. È un ragazzo intelligente, ha bisogno di rimuginarci su. Se non accetterà quello che abbiamo fatto, saprà che in ogni caso qui troverà una famiglia che lo ama.”

Harry strinse a sé la moglie, lasciando che piangesse con il viso affondato nel suo petto. Si augurava con tutto il cuore che quello che aveva appena detto corrispondesse al vero.

 

 

   
 
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