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Autore: Draugluin    09/02/2016    1 recensioni
La giornata comincio con una fitta tempesta di sabbia, mi svegliai per tutta la sabbia che mi arrivava in viso.
Fortunatamente avevo l'occorrente per proteggermi, almeno in parte.
Mi misi in piedi e sistemai il fazzoletto di seta fino al naso, raccolsi il mio cappello e lo misi in testa.
SwanQueen AU
Genere: Azione, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1





Era il tempo di avventurosi pionieri alla conquista di nuove terre, era il periodo dove si respirava aria di libertà, dove sentivi il vento che ti faceva svolazzare i capelli mentre galoppavi senza un meta ben precisa.

Ma c'era un ma. Essendo che i pionieri si facevano le leggi da soli, dopo essersi insediati su una terra e averci costruito, molte persone non volevano adattarsi.

Questi territori non erano solo simbolo della libertà ma anche del pericolo.

Comunque i paesaggi erano da mozzare il fiato, incontaminati dall'uomo.

Mantenevano la loro natura maestosa e selvaggia. Come l'ho sempre chiamato io.

Molti lo chiamavo il Far West, ma per me era ed è ancora il Selvaggio West.

A quel epoca avevo si e no 25 anni e viaggiai per anni conoscendo nuovi territori, conoscendo persone diverse con storie diverse, molte di queste mi avevano affascinato.

Viaggiai perché non avevo una casa dove stare, viaggiavo in cerca di un posto dove stare.

Il sole mi faceva compagnia il di, il suo calore mi accarezzava delicatamente il viso, e la notte me la faceva la luna, quella misteriosa e affascinante.

Ho sempre amato lo splendore del sole, mi dava sicurezza, ma la luna era tutta un altra storia.

Era una cosa che incuriosiva molti, aveva quel suo lato nascosto che tutti avrebbero voluto osservare da vicino. Era irraggiungibile, come ora, ed è per questo che è ammirata da tutti.

Tutti la vogliono ma nessuno può averla. Siamo fatti cosi, vogliamo le cose che non potremmo mai avere, ma nel cercare di ottenerle ci mettiamo tutto noi stessi.

Questo è sempre stato un lato dell'animo umano che ho sempre ammirato.

Ed in quegli anni si è potuto vedere fin dove siamo disposti ad arrivare per avere ciò che si vuole.

Tutte quelle persone che si spingevano oltre i propri limiti per trovare un casa, li ho sempre invidiati.

Io ero nata in una famiglia che si era stabilita da qualche tempo in un delle tante città che si erano andate a creare.

Amavo cosi tanto la mia famiglia, era il mio punto di riferimento a tutto. Mio padre, David, era un bel uomo, alto, con dei capelli color miele che adoravo scombinarglieli quando ero più piccola.

Mi ricordo quegli occhi cosi dolci ed espressivi che ti infondevano sicurezza, quegli occhi color del mare che adoravo.

Mia madre, era più bassa di lui. Si chiamava Mary Margaret, ed aveva dei capelli neri, un nero molto scuro, un visino che ti faceva ridere solo a guardarlo e degli occhi cosi profondi.

Passai molti anni felici con loro, dopotutto erano tutto quello che avevo.

Vivevamo in una città di nome Abilene, che si trova tutt'ora in Kansas. Il nome della città significava “Città della Prateria”, infatti era molto adatta per i pascoli e per il lavoro dei Cowboys con le mandrie, era molto attrezzata e ci passava anche la ferrovia.

Mio padre fu un discreto Cowboy, amava fare il suo lavoro ma sapeva anche che il pericolo era sempre in agguato.

Fu ucciso, insieme a mia madre, mentre portava le mandrie al pascolo da un attacco di fuorilegge. Io in quel momento ero a fare una passeggiata e non ho potuto fare niente.

Avevo solo diciotto anni quando successe. Mi dissero che quei fuorilegge avevano un conto in sospeso con il nostro sceriffo e che si erano accaniti verso gli animali, per, ovviamente, fargli perdere del bestiame.

Non amai mai il nostro sceriffo, non faceva quasi niente per mantenere la calma, era un sfaticato in poche parole. Diedi tutta colpa a lui di aver perso i miei genitori.

Dopo l'accaduto, presi il mio fidato destriero, mi portai con me lo stretto necessario e scappai da quella città che mi aveva portato dolore ma anche gioia.

Qualche anno dopo la mia fuga, decisi di prendere in mano la mia vita.

Pensai a lungo in cosa sarei potuta essere utile, ma in questi tempi essere una donna e fare qualcosa di grande è visto male.

Le donne devono rimanere a casa e basta.

Ma io avevo uno spirito libero e intrepido, volevo fare delle cose che una donna non avrebbe mai fatto.

Cercai per parecchio tempo finché, in un villaggio, mi parlarono dei cacciatori di taglie.

Erano persone a cui veniva affidato il compito di catturare i fuorilegge, dei ricercati che erano sfuggiti alla giustizia senza aver espiato i loro crimini.

Era un compito difficile, lo sapevo. Di solito i fuorilegge si nascondevano in territori vasti e non abitati.

Sapevo che si doveva essere veramente folli per far questo lavoro, ma io ero abbastanza perversa da quel punto di vista.

Decisi cosi di recarmi nella città più vicina per acquistare vestiti più adatti, con i soldi che mi avevano lasciato i miei genitori e con quello che avevo racimolato.

Mi comprai, ovviamente, un capello Stetson, di colore marrone e dei gambali di pelle, anch'essi marroni.

Sopra i pantaloni portavo una camicia bianca, dove si appoggiava il mio fazzoletto di seta, che mi aiutava a coprire il viso e a proteggermi dalla polvere.

Sopra la camicia, mi misi un gilet di un marrone chiaro. Sopra tutto una lunga giacca marrone di pelle che mi avrebbe protetto dal freddo della notte.

Infine legai i miei capelli biondi in una coda.

In quella città comprai anche una pistola, mi sarebbe di sicuro servita in futuro.

Cosi, munita di tutto quello che poteva servirmi, preparai il mio mustang per il viaggio e mi incamminai con lui lontano dalla città.

Era ormai sera quando mi accampai con l'approvazione del mio destriero, Bleddyn.

Lo avevo visto crescere, c'ero sempre stata per lui e lui per me. Aveva un manto bellissimo.

Un marroncino chiaro, tendente all'arancione, la criniera prevalentemente nera con qualche sfumatura marrone.

Bleddyn era tutto ciò che mi rimaneva della mia vita passata.

Con uno sguardo al cielo stellato, mi addormentai mentre il fuoco, che avevo acceso in precedenza, si cominciava a spegnere.

Mi ricordo ancora il risveglio burrascoso del giorno dopo, come poterlo dimenticare?

La giornata comincio con una fitta tempesta di sabbia, mi svegliai per tutta la sabbia che mi arrivava in viso.

Fortunatamente avevo l'occorrente per proteggermi, almeno in parte.

Mi misi in piedi e sistemai il fazzoletto di seta fino al naso, raccolsi il mio cappello e lo misi in testa.

Mi ricordo di essermi guardata e aver pensato a quanto ero piena di sabbia e polvere, ridendo di me stessa.

Alzai lo sguardo per scrutare l'orizzonte, inutilmente perché non riuscì a vedere niente, cosi decisi di incamminarmi, facendo ben attenzione a coprire anche il mio cavallo.

Dopo ore di viaggio cominciai a sentire voci in lontananza e neanche subito dopo vidi arrivare una freccia che mi si conficcò sul braccio sinistro.

Il dolore era tanto, come se mi stessero accoltellando più e più volte, come se una mandria di bufali mi travolgesse.

Non seppi trattenere delle grida e mi accasciai sulle ginocchia. L'ultima cosa che ricordo prima di svenire erano quattro braccia che mi trascinavano via.

Appena ripresi conoscenza cercai di aprire gli occhi, con scarsi risultati.

Quando ci riusci mi ritrovai sdraiata su una specie di coperta, probabilmente ricavata da pelli di animali.

Capì di stare in una capanna a cupola, sul soffitto notai un apertura e vidi il limpido cielo azzurro.

Mi guardai intorno e vicino a me scorsi un piccolo fuoco che dedussi si era spento da poco, dato il fumo che si alzava.

Vidi anche molti strani prodotti che non seppi riconoscere, c'erano anche molte coperte di pelle sparse in tutta la capanna.

Cercai di alzarmi ma mi doleva il braccio e avevo il corpo indolenzito. Comunque ci misi tutta me stessa per riuscire a mettermi seduta quando senti qualcuno entrare in quella che presumevo fosse l'entrata, fatta anch'essa con una coperta.

Alzai lo sguardo verso lo sconosciuto che mi guardava come se cercasse di leggermi nella mente.

Aveva un copricapo tipico, dei capelli molti scuri legati in un codino, un portamento fiero, doveva essere una persona importante.

«Sidá, atsiigha' óola» lo guardai interrogativo. Ovviamente non parlava la mia lingua ed io di certo non parlavo la sua. Capì comunque che si trattava di una persona di una tribù dei Pellirosse, il suo accento mi ricordava qualcosa di famigliare, mio padre parlava spesso di queste tribù.

Vidi, dietro di lui, un altra persona entrare, era poco più alto ed i capelli più chiari.

«Ha detto “Stai seduta, capelli d'oro”» mi disse con molta tranquillità.

Non riuscivo a capire, come faceva a sapere che lingua parlassi e dove l'aveva imparata.

Come se leggesse i miei pensieri mi disse che aveva trascorso molto tempo con la mia gente, per fare da tramite.

Si sedette accanto, disse qualcosa nella sua lingua al ragazzo ancora in piedi e lui si congedò.

Avevo mille domande in testa, prima fra tutte, perché mi trovavo li?

«So che sei spaventata, noi ti abbiamo curato» mi rivolse un sorriso rassicurante ma io non ero affatto rassicurata.

«Certo ma mi avete anche lanciato una freccia addosso» gli risposi sarcastica.

Lui in tutta risposta si alzò mentre rideva, io lo guardavo con aria di disprezzo.

Non avevo fatto niente di male, eppure mi ritrovavo lì con un braccio dolorante.

«Mi chiamo Fratello del Vento, ma puoi chiamarmi Liam» mi continuava a parlare, così decisi di ascoltarlo, magari sarei riuscita ad andarmene.

«Il ragazzo che hai visto prima era mio fratello Piccolo Lupo, puoi chiamarlo Killian»

Lo guardai incuriosita, erano davvero strani ma al tempo stesso interessanti. Decisi di dargli una seconda possibilità.

«Anche lui sa parlare tua lingua»

«Bene, io sono Capelli D'Oro a quanto pare» mi scappò una risata che contagiò il mio nuovo conoscente.

«Ma puoi chiamarmi Emma» gli tesi una mano, lui non capì quindi ci rinunciai ritirandola.

Fece un segno del capo e usci dalla capanna. Vidi rientrare subito dopo quello che doveva essere suo fratello.

«Killian, giusto?» mi annui. Bene era un inizio.

Nelle ore successive Killian si mise seduto vicino a me e, persa la timidezza iniziale, comincio a parlare della sua tribù e di se stesso.

Scoprì che si trattava della tribù dei Navajo, ne avevo sentito parlare.

Mi disse che ci trovavamo nel territorio del New Mexico, dove loro si erano stanziati, oltre ad altri territori.

I Navajo è un popolo che si dedicava prevalentemente all'agricoltura ed all'allevamento.

Mi disse anche perché mi trovavo lì.

Mi avevano attaccato pensando fossi una fuorilegge, anche loro li conoscevano bene.

Ultimamente, mi raccontava, si sentiva parlare di una banda che si facevano chiamare I Ragazzi Sperduti comandati da un certo Peter.

Gli dissi che non l'avevo mai sentita ma che avrei potuto aiutare.

Nei giorni a venire, mentre recuperavo forze conobbi molto bene il moro, appresi che il nome Navajo significava campo coltivato. Mi insegnò una parola che usavano spesso nella loro tribù, Diné, Il popolo.

Giorno dopo giorno volevo imparare sempre di più da questa strana gente che mi aveva accolta come fossi loro sorella.

Diventai molto amica di Killian, mi faceva fare spesso il giro del villaggio, ed io cominciai ad affezionarmi a lui.

Quando dovetti ripartire gli promisi che sarei tornata, mi salutò ed io lasciai quel piccolo villaggio allontanandomi con il mio cavallo.

Non mi scordai mai quel giorno che cominciò con una tempesta e finì con l'inizio di un amicizia.


Angolo autore: E quindi questo è il primo capitolo di questo mio esperimento. 
Anyway non so che scrivere quindi spero vi sia piaciuto il capitolo.
Alla prossima.

   
 
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