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Autore: Elisir86    10/02/2016    2 recensioni
“Gilbert éramos amigos...” sussurrò sentendo il braccio congelare, “Appunto per questo che sono qui. Voglio darti il mio regalo...” l'albino si avvicinò ancor di più “...Un regalo speciale...” e l'alito freddo investì il viso dello spagnolo.
[FrUk - Spamano]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

 

Di uomini alfa e di padri inflessibili

 

 

Francis non era un un uomo che amava particolarmente dormire, la mattina la dedicava praticamente alla preparazione della sua figura, iniziando con alcuni esercizi per mantenere quella forma fisica -che sapeva essere meravigliosa- per finire a cospargere sulla sua pelle creme profumate che la rendevano ancor più diafana di quello che effettivamente era.

Tutto quello gli prendeva ben tre ore e venti minuti della sua giornata e a forza di fare le medesime cose per anni i suoi occhi si aprivano -in una sorta di sveglia biologica- alle sette del mattino ogni giorno.

C'erano delle volte però che lui non scendeva dal letto e rimaneva sotto le coperte a gustarsi ancora un po di calore accanto al corpo del suo amante.

Era raro che qualcuno rimanesse nel suo letto dopo aver fatto sesso e lui rimaneva a fissare il viso di chi era stato tanto sfrontato.

Quella mattina, Francis, era sdraiato su un fianco e guardava l'uomo con la pelle scura da almeno venti minuti. Lo conosceva da almeno cinque anni quel cubano fumatore di sigari, l'odore appestava i suoi vestiti firmati e di conseguenza -in quel momento- anche la stanza.

Carlos Machado non era proprio un tipo con cui trattare su certe questioni, aveva una pessima reputazione ma veniva accettato per via del suo ceto sociale -ah i soldi fanno diventare dei delinquenti delle brave persone!-. A Francis non importava che lavoro facesse o se era veramente un spacciatore, bastava che lo portasse in estasi e che non si innamorasse di lui.

In cinque anni si erano visti si e no otto settimane sparse qui e là nelle quali il letto era stato l'unico luogo dei loro incontri. Quando lo aveva visto tra il pubblico la sera prima non aveva potuto resistere, insomma era una scopata assicurata e che gli avrebbe fatto dimenticare quel dannato filo rosso!

“Hai intenzione di farmi un ritratto?” la voce profonda di Carlos lo destò dai suoi pensieri, un occhio scuro lo fissava freddo “O devo dedurre che ti piace tanto il mio corpo nudo”. Sul volto di Francis si dipinse una smorfia “Quanto resterai?” si portò una mano tra i lunghi capelli mentre la risata divertita dell'altro riempiva la stanza “Non dirmi che ti dispiace non avermi con te!”

Carlos aprì anche l'occhio destro puntandolo sul fondo schiena del francese che si era alzato, il pensiero che era affondato dentro di lui solo poche ore prima lo fece eccitare nuovamente.

“Che sciocchezze, solo che ho molto da fare in questi giorni e non posso dedicarti altro tempo!” Francis aprì la finestra notando solo in quel momento che aveva ancora legato al mignolo quel irritante filo rosso, “Non ti devi preoccupare, domani a quest'ora sarò...” fu interrotto dal suono del campanello.

Carlos sbuffò mettendosi a sedere, “Non dirmi che è la tua segretaria...” indossò rapidamente i boxer attillati “Lei ha le chiavi!” lo liquidò il biondo mentre si metteva una vestaglia da camera e si dirigeva in salotto.

 

Alfred F. Jones era un tornado in tutti i sensi, parlava in continuazione, gesticolava e camminava velocemente -come se stare fermo fosse un'opzione da non prendere nemmeno in considerazione-.

Francis aveva solo socchiuso la porta dell'appartamento che l'americano si era fiondato all'interno urlando -con quel tono adatto a uno stadio e non a una conversazione- “È fatta!” e sventolando alcune riviste o almeno quello che ne rimaneva.

“I critici europei sono stati tutti colpiti dalla tua nuova collezione!” lanciò uno sguardo divertito e un sorriso smagliante al proprio capo “Si domandano quando avranno la possibilità di poter vedere tutti i capi e sei stato invitato in Italia da diversi stilisti e anche la Francia ti reclama...”

Francis gli prese una rivista eccitato “Non ci credo!” esclamò appena finito il primo paragrafo, “Qui dice che sono l'astro nascente della moda!”

Alfred annuì con forza “Non solo in quella rivista, ma anche in tutte queste e non hai ancora letto le critiche sui blog!” era talmente entusiasta che non si curò minimamente di abbassare la voce.

Francis si lasciò sedere sul divano accavallando le gambe, la vestaglia scivolò lasciando scoperta la coscia sinistra, l'americano seguì la linea morbida del muscolo desiderandolo di nuovo caldo e sudato circondare il suo bacino.

“Scusa, ma come mai non ti ho trovato intento a farti la ceretta?”

 

Alfred era andato spesso a letto con Francis in quei tre anni e mezzo in cui era diventato un suo dipendente, sapeva che per il francese non era altro che divertimento ma questo non valeva per lui.

No, Alfred era un ragazzo che si affezionava alle persone e finché non vedeva effettivamente un altro amante nell'appartamento del suo capo poteva pensare -o convincersi- che anche l'altro provava per lui una sorta d'affetto.

Per questo quando vide Carlos uscire dalla camera da letto di Francis con addosso solo dei boxer aderenti che non nascondevano una mezza erezione, improvvisamente smise di esultare.

“Sei più chiassoso di un gruppo di ragazzine davanti al loro idol!” la voce del cubano lo riscosse e subito sul suo viso si dipinse un splendido sorriso “Ci conosciamo?”

Ovviamente Alfred sapeva benissimo chi era quell'uomo, il suo volto e il suo nome venivano sempre a galla nelle cronache nere in cui c'erano traffici illegali di droga e prostituzione.

Non avrebbe mai immaginato di trovarlo nell'appartamento -e soprattutto nel letto- di Francis.

“Certo che no, i ragazzini come te me li mangio a colazione!” Carlos si accese un sigaro facendo corrugare la fronte di Francis “Spegni quella schifezza!”

Il cubano rise entrando in bagno, Alfred si mosse di scatto “Ma dico sei forse impazzito?!!” sussurrò con voce strozzata “Ti porti in casa un narcotrafficante-pappone-assassino-fumatore-cubano in casa!?!”

Francis si portò una mano tra i capelli “Sei il solito esagerato...” sbuffò tornando a leggere le riviste “Mi sto solo divertendo...”

 

@

 

Antonio stava da dieci minuti buoni davanti al proprio armadio domandosi se quel filo rosso fosse veramente solo un'allucinazione, aveva indossato una camicia rossa e stranamente quel coso non era rimasto incastrato tra il tessuto e il suo braccio.

Penzolava beatamente dal suo mignolo come se non fosse stato toccato da nulla. Non era normale!

Lanciò uno sguardo veloce alla sveglia digitale che aveva sul comodino indicava le nove e un quarto, corrugò la fronte cercando di ignorare la vocina nella sua testa che gli ricordava che quello era un altro ritardo. Ma Antonio era dell'idea che andare a rinchiudersi in un soffocante ufficio -lui che amava tanto gli spazi aperti- di mattina presto era come toglierli il sole.

E lui adorava il sole.

Prese la giacca elegante bianca che Francis gli aveva regalato due o tre anni prima e che lui non aveva mai osato mettere, indossare qualcosa simile a un completo da matrimonio per andare al lavoro lo faceva sentire un gran idiota.

Si guardò allo specchio lisciando di tanto in tanto la stoffa, si domandò se potesse piacere ad Emma vestito in quel modo o se doveva mettersi una fastidiosa cravatta. Aprì il cassetto contenente più di trenta cravatte di colori e disegni differenti, ne prese una bianca con disegnati tanti piccoli pomodorini che gli aveva regalato suo cugino -inutile dire che anche quella era rimasta per anni rinchiusa nell'armadio-.

L'appoggiò al collo per osservarsi di nuovo allo specchio, -Dios- era un pugno nell'occhio, la lanciò sul letto sfatto con irritazione.

L'orologio indicava i venticinque, Antonio si diede un'ultima occhiata, sistemò i capelli con le mani e decise che si, poteva uscire e fare il suo lavoro anche per quella giornata.

 

Antonio arrivò nell'edificio dell'azienda con un sorriso solare, salutò calorosamente Emma che stava al telefono con suo fratello maggiore -“Se quel Antonio dirgli di mettersi il suo sorriso del cazzo su per il culo!”- che lo odiava dal loro primo incontro in prima elementare. Diede un'occhiata alla porta socchiusa dell'ufficio del cugino, dall'interno si sentiva il battere delle dita sul portatile e il fruscio di varie carte, decise che lo avrebbe salutato più avanti ed entrò nella sua di prigione. Suo padre era lì ad attenderlo con gli occhi socchiusi e un'aria a dir poco furiosa.

“Sono le dieci.” aveva usato un tono carico di rimprovero, come se davvero si trovasse davanti a un bambino capriccioso, “Non tollerò mai più un ritardo del genere da parte tua, sei il vicepresidente e come tale devi dare l'esempio ai tuoi dipendenti.” le sue mani strette dietro la schiena “Da domani devi essere in ufficio alle sette.”

Antonio aveva annuito trattenendosi nel rispondergli che nessuno in quel dannato edificio era puntuale, “Mentre eri a dormire ho dato un occhiata al tuo computer. Non mi è piaciuto affatto ciò che ci ho trovato, non tollero che i miei sottoposti usino il loro tempo per questioni private, men che meno te.”

Il giovane inclinò il capo “Non guardo filmini porno se è per questo.” l'uomo gonfiò il petto “A no? Ci sono conversazioni veramente interessanti riguardo ad atti sessuali riguardanti te o a quel tuo amico francese!”

Ci fu un attimo di silenzio dove Antonio assimilò quell'affermazione, “Come ti sei permesso di entrare nella mia chatt privata?” sbottò stringendo i pugni e irrigidendo la mascella “È il computer della mia società, tu piuttosto come ti permetti di usarlo per scrivere certe porcherie!” Gustavo colpì con un pugno la scrivania “Non m'interessa con chi scopi, ne tanto meno che posizioni usi e quante volte lo fai, ma qui si lavora!”

Antonio tremò di rabbia, così sembrava che fosse un pervertito, “Io mi faccio un culo così per quest'azienda!” ringhiò avanzando nella stanza “Non abbastanza!” la voce dell'uomo sembrò un abbaio di un cane furioso.

Quella affermazione bastò per far congelare Antonio, gli sembrò di ricevere un pugno talmente forte da bloccargli il battito cardiaco.

Non abbastanza?” mormorò come se faticasse a parlare “Dopo tutti questi anni in cui ho dato tutto me stesso per ogni cosa. Sono perfino partito dal gradino più basso per capire come gestire e migliorare la nostra produzione...” respirò profondamente puntando gli occhi in quelli del padre “...Ho studiato e fatto ricerche di mercato per poter ampliare i nostri standard, ho passato ore in questo stramaledetto ufficio a rimediare errori di quegli idioti che tu chiami collaboratori e tutto ciò non è abbastanza?!?”

Gustavo non abbassò lo sguardo, non corrugò la fronte e non si pentì della sua affermazione.

“Attualmente non saresti in grado di gestire un chiosco di pattatine fritte.” la voce calma “Quindi tutto quello che hai detto non è sufficiente per quest'azienda.”

Ad Antonio si seccò il palato, aveva dato anima e corpo in quei cinque anni e tutto ciò che aveva ricavato era un incapace.

Suo padre sospirò pesantemente spostandosi dalla scrivania, “Elimina quella chatt e inizia a comportanti in maniera matura.”

 

@

 

Vediamoci a pranzo

 

Francis guardò con un sospiro il messaggio che il suo migliore amico gli aveva inviato. Quando non scriveva qualche parola in spagnolo voleva dire che era di cattivo umore e lui di certo non aveva voglia di sorbirsi anche le sue di sfuriate.

“Sei un schifoso tacchino farcito di merda!” Carlos aveva alzato la voce facendo azzittire i due biondi, non erano passate nemmeno due ore che già Alfred aveva iniziato a torturare la pazienza -che era durata anche più del previsto- del cubano.

“Io sarei cosa?!” la voce dell'americano aveva ruggito nel spazioso salotto del francese che a dirla tutta non sapeva esattamente cosa fare.

 

Dove?

 

La testa gli scoppiava tra tutti quelle urla, perché due personalità come Carlos e Alfred avevano la capacità di mettere -oltre che nelle mani- nella voce tutta la loro potenza e facevano vibrare i loro petti e le finestre.

Il fatto che lui stesse seduto a guardare il cellulare mentre loro come due galli da guerra seguitavano a beccarsi non voleva dire che non fosse preoccupato.

Dopo l'ennesimo insulto su Cuba e i loro pessimi sigari -perfino Francis era d'accordo su l'ultima cosa- Carlos si scagliò contro l'americano.

Le loro mani, grandi e forti, colpivano il corpo dell'altro con precisione e dalle loro labbra uscivano parole che di certo avrebbe preferito non ascoltare.

 

Kiku.

 

Francis sbiancò quando rischiarono di far cadere un antico vaso francese. “Ragazzi...” iniziò cercando di essere meno isterico di quello che in realtà era, lanciò uno sguardo al vaso che ancora dondolava lievemente “...Che ne dite se continuiamo questa discussione un'altra volta?”

Alfred alzò un sopracciglio, una mano stretta sul collo del cubano e l'altra che era scattata a colpirne il petto -“Così ti buco quei cazzo di polmoni marci che hai e faccio un piacere al mondo!” -

Carlos che a sua volta stava stritolando con la mano sinistra una spalla dell'americano e con la destra intenta a colpirne il ventre - “Ora ti faccio vomitare perfino la merda e vediamo chi è un perdente!”- gli lanciò uno sguardo scettico.

Da canto suo Francis si sentì sollevato nel notare che gli ultimi pugni erano andati a segno con meno forza. Sorrise indicando la porta della camera da letto “Ora scusatemi ma io devo prepararmi...” li guardò maliziosamente prima di sparire nella stanza.

 

Va bene, ci vediamo lì a mezzogiorno.

 

“Vattene a casa ragazzino, certe cose le fanno solo gli uomini!” mentre si spogliava sentì la voce sicura di Carlos e scosse la testa esasperato nel sentire la risposta di Alfred “Sei talmente vecchio che probabilmente per fartelo diventare duro devi iniettarti direttamente il viagra nelle palle!”

Sperò che un fulmine li colpisse entrambi, nel momento esatto in cui sentì qualcosa di pesante cadere nel soggiorno.

Qualche entità doveva avercela con lui, prima quel filo rosso -di cui si era scordato preso dall'euforia- e ora di maschi alfa che gli stavano distruggendo i soprammobili.

“Dio che ho fatto di male?” dalla stanza accanto si sentivano solo imprecazioni, insulti e tonfi.

 

@

 

Kiku quel giorno aveva indossato uno yukata di un tenue azzurro arricchito con una fascia sul bacino dello stesso identico colore solo finemente ricamata -dalla mano esperta di sua sorella Sakura- con numerose rondini.

Accoglieva come al solito i vari clienti, inchinandosi e accompagnandoli ai rispettivi tavoli, stirando un sorriso di circostanza che era sicuro gli avrebbe causato una paralisi facciale.

Molte ragazze lo riempivano di domande sul suo abbigliamento: “Il tessuto è satin o seta pura?” “I ricami sono fatti a mano?” “Le fasce sono sempre dello stesso colore del kimono?” “Non è un kimono? Cos'è allora?”

Lui rispondeva calmo, anche se era quasi impossibile sopportare le mani che afferravano i lembi lunghi delle maniche per poter saggiarne la consistenza. Dietro al balcone del piano bar sua cugina Mei ridacchiava divertita stretta nel suo di cheongsam rosa acceso.

Quando nel locale entrò Antonio, Kiku si ritrovò a sospirare alla vista di quello sguardo furioso, non lo aveva mai visto in quello stato in quei tre mesi, anzi era sempre stato allegro.

S'inchinò come al solito e lo scortò a un tavolo diverso dal solito, il legno laccato di rosso con dipinti dei draghi dorati “Vuole ordinare?” Antonio si lasciò cadere sui cuscini neri, rossi e gialli “Una birra.”

 

Francis trovò Antonio con la fronte schiacciata sul tavolino e due birre finite davanti, si morse l'interno guancia quello non gli piaceva per niente.

“Ohi!” lo salutò sedendosi davanti a lui, “Dimmelo, sono patetico...” fu il borbottio dell'iberico che rimaneva fermo con il naso schiacciato e la bocca premuta sul legno.

Francis ridacchiò appena “Si lo sei...” fece scorrere le unghie sui cuscini, ricamati da draghi stilizzati, il filo rosso seguiva i suoi movimenti.

“Non sono in grado di vendere patatine fritte...” il tono lamentoso lo costrinse ad alzare lo sguardo “...Morirei di fame nel giro di pochissime settimane...”

Il biondo alzò un fino sopracciglio non capendo cosa centrassero delle patate -che nel suo corpo non sarebbero mai entrate- con le vendite dell'azienda dell'amico.

Antonio decise finalmente di alzare il capo e guardare Francis in viso, “Il mio lavoro non è abbastanza.” si morse le labbra “Non abbastanza, capisci?”

 

@

 

Arthur Kirkland era arrivato da meno di un'ora a Los Angeles e già aveva una gran voglia di tornarsene a Londra. Aveva avvisato sua madre del suo arrivo e l'aveva supplicata di non dirlo a nessuno. Invece lì, davanti a lui, c'era suo fratello Darren che lo guardava sorridente.

L'ultima volta che si erano parlati era stato più di sei anni prima e non erano state belle parole.

Darren aveva alzato un braccio in segno di saluto, mentre vedeva il biondo avvicinarsi con la giacca elegante -di sicuro carissima- di un verde bottiglia piegata sul braccio e il manico del trolley stretto nella sua mano destra.

Arthur lo superò ignorandolo completamente, non voleva aver a che fare ne con lui ne con gli altri fratelli maggiori se non solo per lavoro.

“Sei ancora arrabbiato?” Darren lo seguiva tenendo le mani in tasca, il biondo fece una smorfia prima di fermarsi davanti a un taxi “Sono venuto in macchina...” continuò il rosso affiancandolo e indicando con il mento una maserati color bordò.

Arthur lanciò uno sguardo furioso all'auto e con forza aprì la portiera del taxi, mise la valigia e la giacca sul sedile accanto per sedersi “Arty sono passati anni...” la fine della frase fu coperto dallo sbattere della porta.

L'autista alzò lo sguardo dal giornale in quel momento,la pelle scura e i capelli arruffati, “Dove la porto?” la voce rocca per il troppo fumo -dall'accento orribile- e gli occhi scuri lo fissavano dallo specchietto.

Darren rimase a guardare il taxi partire in direzione della casa dei loro genitori.

 

 

 

 

Appunti:

 

Sakura: Nyotalia di Kiku

Mei: Taiwan

Carlos: Cuba

 

 

Angolino dell'autrice

 

Chiedo umilmente perdono per il ritardo! (prometto che aggiornerò anche l'altra fanfic il più velocemente possibile)

Che dire di questo capitolo? Forse ho fatto un crack paring con Cuba e Francis, ma mi piaceva l'idea XD

Come trovo che Carlos e Alfred abbiano due forti personalità che porto entrambi a un odio a prima vista XD

 

Ringrazio tutti coloro che seguono questa fanfic!

 

Al prossimo capitolo

Elisir

  
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