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Autore: crownforaking    11/02/2016    2 recensioni
[Raccolta di AU; FrUk o Fem!Fr/Uk + eventualmente altra gente].
7) Archaeologist & Ancient Deity: in cui Arthur è un archeologo alla scoperta di un tempio misterioso.
Ad un primo sguardo il tempio appare perfettamente conservato: dall’altare in marmo bianco agli oggetti ornamentali d’oro, tempestati di pietre preziose. Dagli incredibili motivi geometrici nel marmo del pavimento ai fini dettagli delle sculture. Ed è proprio ad una di queste statue che Arthur si avvicina, come prima cosa, attratto da qualcosa di inesplicabile.
I lineamenti della donna scolpita nella pietra sono i più belli che Arthur abbia mai visto. La morbida curva delle labbra, il sorriso allo stesso tempo regale ed enigmatico; e più di ogni altra cosa, Arthur è sicuro che lo sguardo della donna sembri seguire ogni suo movimento.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era una roba che avevo scritto mille anni fa e che ho deciso finalmente di risistemare e di concludere - perché la versione precedente mi faceva ampiamente cagare il cazzo e, soprattutto, non aveva una cazzo di conclusione *ride*. E niente, così <3






La prima volta è soltanto un guizzo nell’oceano, un luccichio diverso dal solito nelle onde del mare aperto: Arthur non ci presta particolare attenzione – in quel momento è troppo impegnato a prendersi cura dei due folli che hanno osato pensare di ammutinarsi sulla sua nave per badare a qualcosa di così piccolo.

Lancia di nuovo un’occhiata distratta al mare soltanto per qualche secondo, fermandosi per chiedere distrattamente a se stesso se abbia mai visto delle alghe gialle affiorare sulla superficie del mare: quando torna a guardarle, ponendosi di nuovo la domanda, le alghe sono già sparite.

Non tenta nemmeno di darsi una spiegazione logica ad un tale fenomeno: in fondo che importa a lui se sono sparite tra le onde o se le ha soltanto immaginate? Meglio tornare, questo pensa con un sospiro frustrato e per niente convinto, ad occuparsi di affari seri e di cose importanti.

A poca distanza dalla nave il luccichio tra le onde torna a farsi vedere, scomparendo e risollevandosi al di sopra della superficie del mare soltanto per qualche secondo.

  

La seconda volta che il luccichio tra le onde si manifesta Arthur è più propenso a prestare attenzione a quello strano fenomeno, forse per colpa della noia che il mare senza vento lo obbliga a subire.

La notte è calata su di loro ormai da ore e lo strano luccichio si nota ancora di più: per questo Arthur barcolla fino alla prua della nave, tenendo stretta per il collo la bottiglia di rhum ormai quasi vuota e tentando di aguzzare la vista per individuare il punto esatto tra le onde. Il che si rivela un’impresa più complessa di quanto non si sarebbe aspettato – specialmente quando finisce quasi per cadere in acqua a causa di un rollio improvviso della nave.

È aggrappandosi al parapetto e sporgendosi nel vuoto che Arthur finalmente riesce a vedere qualcosa in più di uno strano luccichio: le alghe gialle sono comparse di nuovo – o almeno il pirata crede che siano gialle, visto il buio che lo circonda – insieme alle sagome di piccoli oggetti che non riesce ad individuare.

Tra le alghe gli sembra di vedere una stella marina e forse delle conchiglie: perfino nella scarsa lucidità dell’alcool la sua mente riesce a chiedersi come facciano delle conchiglie a galleggiare e che cosa ci facciano sopra a delle alghe. Inutile dire che la sua domanda, posta in solitudine e nel buio, rimane senza risposta.

L’espressione stranita e confusa che ha dipinta sul viso deve essere particolarmente ridicola e forse è per questo che una risata cristallina fa subito eco ai suoi pensieri. Arthur si guarda intorno con circospezione ma sul ponte della nave c’è solo lui e quella bottiglia di rhum ormai vuota: tanto basta per spiegare come possa essersi immaginato una risata.

Ma il mistero di quello che ha visto – che vede! – in acqua continua ad attanagliargli la mente fino a quando non realizza che l’unico modo per capire cosa ci sia a pochi metri da lui è riuscire a vedere bene.

Quando torna con una lanterna che possa essergli di aiuto le alghe e il luccichio sono già scomparsi e Arthur passa le due ore successive a scrutare con attenzione il mare attorno a sé prima di rinunciare a portare a termine quell’impresa senza senso e tornare nella propria cabina.

  

La terza volta, nel bel mezzo di una tempesta che sta mettendo a repentaglio la sua nave e tutta la sua ciurma, mentre Arthur è impegnato a combattere contro le onde e i venti e tutte le forze della natura nello stesso istante, nell’acqua si intravede una figura umana.

In un primo momento il capitano della nave è certo che si tratti di uno dei suoi uomini: le onde sono così forti da riuscire a sballottare la nave e i venti fischiano troppo perché lui possa aver sentito il grido di aiuto di qualcuno. Deve essere per forza qualcuno dei suoi marinai: per questo urla agli uomini più vicini di cercare di individuare la posizione del marinaio caduto in acqua e, se possibile, di tirarlo di nuovo a bordo.

Gli uomini corrono immediatamente al parapetto nella nave, scrutando il punto indicato dal capitano con tutta l’attenzione che la tempesta può concedere: in mare però non sembra esserci nessuno e ad Arthur pare indubbio che per l’uomo non ci sia più speranza.

Passano interi minuti prima che Arthur tolga lo sguardo dal timone e dalla prua della nave e intraveda di nuovo la stessa figura di poco fa in mare: questa volta, però, la figura è accompagnata da un luccichio – lo stesso luccichio! – chiaramente visibile nonostante l’intensità delle onde.

Il luccichio, le alghe di quello strano colore e adesso una persona? Con un battito di palpebre la situazione cambia, un’onda sommerge la figura e per qualche secondo Arthur teme di averla persa per sempre.

Il luccichio ricompare poco più in là, insieme a quella che sembra proprio essere una pinna – una pinna: c’è sempre la possibilità che non si tratti di un pescecane, nonostante sembri molto probabile, nonostante Arthur sia molto portato al pessimismo.

Le onde aumentano di forza e di intensità ogni singolo istante che passa e governare la nave senza prestare la sua completa attenzione comincia a diventare impossibile: nonostante questo Arthur non vuole smettere di tenere gli occhi fissi sul luccichio e la sagoma scura che intravede al di sotto della superficie dell’acqua.

Un’onda più forte delle altre lo costringe a distogliere lo sguardo e nel momento esatto in cui lo fa si rende conto di sapere perfettamente che la visione che lo tormenta da giorni sparirà e non si mostrerà più.

La scelta in quel momento però è tra la sopravvivenza della propria nave e l’insensata possibilità che quella visione sia anche soltanto vagamente reale: la decisione da prendere è piuttosto semplice.

 

La quarta volta che tutti quegli strani fenomeni tornano – tutti insieme: il luccichio, le alghe, la strana sagoma al di sotto della superficie dell’acqua – non c’è nessuna tempesta che possa scusare la presenza di una figura umana nell’acqua. Tutto il suo equipaggio è a bordo della nave e Arthur comincia a pensare che tutte queste cose non possano essere semplicemente coincidenze – sempre che le coincidenze esistano, poi.

Nessuno dei suoi uomini sembra però aver notato la figura umana che è appena scomparsa sott’acqua e che Arthur cerca spasmodicamente in lontananza, fin dove riesce a vedere – nemmeno un segno di vita e nessun uomo potrebbe rimanere così tanto sott’acqua senza respirare e Dio se il non capire lo manda in bestia!

L’illuminazione lo coglie all’improvviso: è possibile che chiunque o qualunque cosa sia quella abbia nuotato sott’acqua? Per questo corre lungo tutta la nave, sotto lo sguardo stranito dei suoi uomini, cercando inutilmente di individuare anche il più piccolo segno della presenza di quella creatura.

È deciso a credere che quella sia una creatura e non una visione della sua mente: non ci sono le condizioni necessarie perché possa esserselo sognato di nuovo e nulla potrà convincerlo del contrario.

Il mare aperto li circonda da tutti i lati e per la prima volta in tutta la sua vita di pirata Arthur sente nel profondo un moto di odio per quella distesa immobile e soffocante: se quella creatura non vuole farsi trovare è inutile insistere, non riuscirà mai a farlo.

Il guizzo di una coda attrae la sua attenzione ma è solo di sfuggita che riesce a vedere un riflesso violaceo e il solito luccichio che ormai riconoscerebbe ovunque: il tempo di girarsi in quella direzione e il nulla piatto della superficie dell’oceano è di nuovo pronto ad accoglierlo.

Ma di nuovo, soltanto qualche secondo più tardi, un leggero schizzo d’acqua attira la sua attenzione – e la coda, è certo che quella sia una coda! –: ma quando si precipita il più vicino possibile al punto dove la coda e il luccichio sono comparsi l’acqua è già di nuovo calma.

La frustrazione profonda che lo assale gli dà la sensazione che la creatura stia tentando in ogni modo di prenderlo in giro e per quanto tenti di pensare che non sia così il fastidio non svanisce per tutto il resto della giornata.

 

La creatura non ricompare più per un lunghissimo, snervante periodo di tempo: la quinta volta, quando finalmente si rifà vedere, Arthur ha già cominciato ad archiviare il ricordo delle altre volte come qualcosa di stupido e insensato.

Sono sbarcati da pochi giorni a Cartagena de Indias per fare rifornimenti e per lasciare agli uomini un po’ di meritato svago e riposo – che ovviamente trovano tra le puttane e l’alcool: come spesso succede Arthur non è in vena di distrarsi in quel modo e preferisce rimanere a bordo della nave, in completa solitudine.

È immerso nelle solite riflessioni di carattere pratico – quale rotta seguire quando ripartiranno, cosa fare per risolvere il malumore crescente dei suoi uomini, come capire a che cosa sia dovuto quel malumore – quando alle sue spalle risuona una risata limpida e cristallina che Arthur è certo di aver già sentito.

Il suo corpo freme per la voglia di voltarsi e correre dal lato opposto della nave per riuscire a finalmente a vedere di nuovo la creatura: nonostante questo Arthur rimane immobile, deciso a non accontentare i capricci – perché è certo che siano capricci – di chiunque ci sia in acqua.

La risata si ripete dopo qualche secondo e il suo corpo trema di nuovo per il desiderio: Arthur è costretto a stringere la presa sul parapetto della nave, quasi piantando le unghie nel legno per non cedere e rimanere immobile. Passano secondi, interi minuti e il pirata si convince che la creatura sia sparita di nuovo.

All’improvviso invece la risata si fa risentire per la terza volta, forse un po’ più vicina, decisamente diversa da com’era prima: Arthur è certo di aver notato in quel suono almeno un po’ della stessa frustrazione che anche lui prova dalla prima comparsa del luccichio. E questo naturalmente non può che fargli piacere.

«Voglio sperare che questo ti abbia insegnato a smettere di infastidirmi!» esclama, senza nemmeno sapere se la creatura possa capirlo o se sia senziente.

La risata fa eco di nuovo alle sue parole, cristallina e divertita senza più nessuna traccia di frustrazione e ad Arthur basta meno di un secondo per sentirsi di nuovo incredibilmente stupido: è caduto nella trappola della creatura per l’ennesima volta, ovviamente. Avrebbe dovuto pensarci.

Rimane ancora immobile in attesa, sperando che la creatura torni a farsi sentire – e contemporaneamente pregando che se ne vada e che la smetta di cercare di farlo uscire di senno –: pochi secondi più tardi il guizzo della coda violacea alla sua destra attrae la sua attenzione.

Quando si volta fa appena in tempo a individuare un sorriso splendente e malizioso prima che uno schizzo d’acqua lo investa in pieno, bagnandolo da capo a piedi e lasciandolo a bocca aperta.

La creatura, ovviamente, è già sparita di nuovo.

 

La sesta volta è quando le onde lo sommergono e lo trascinano verso il fondo dell’oceano, impedendogli perfino di provare a resistere contro la forza della marea: ogni tentativo di slegarsi polsi e caviglie è stato inutile e ormai Arthur è conscio di stare andando incontro alla sua morte.

La ciurma della sua nave si è ammutinata senza nemmeno un motivo valido, forse è questo che riesce a farlo infuriare così tanto perfino mentre sta per morire, annegato in alto mare. Almeno avessero avuto un buon motivo, ripete una voce nella sua mente, almeno gli avessero dato un buon motivo!

E invece no: è costretto a morire fuori dalla sua nave senza nemmeno sapere perché e non c’è niente al mondo che potrebbe mandarlo in bestia più di questo.

La catena che gli tiene legati i piedi lo trascina sempre più a fondo, sempre più senza possibilità di scampo e tutto quello che Arthur può fare è chiudere gli occhi e lasciare che anche le ultime bolle di ossigeno sfuggano dalle sue labbra e si perdano nell’oceano.

Se fosse rimasto cosciente ancora per qualche secondo avrebbe visto per la sesta volta il luccichio delle scaglie e la coda di quello strano viola fendere l’acqua davanti a sé, avrebbe avvertito le mani della creatura liberargli caviglie e polsi, avrebbe sentito qualcosa trascinarlo sempre più in alto, fino alla superficie, fuori dall’acqua.

Quando finalmente Arthur riprende i sensi si rende conto quasi immediatamente di trovarsi su di una superficie dura che di certo non può essere l’acqua nella quale stava annegando poco fa: gli basta allungare le mani attorno a sé per rendersi conto che si tratta di uno scoglio – e che, cosa più importante, le sue mani non sono più legate.

Nell’esatto momento in cui riesce a tirarsi a sedere il suo corpo è costretto a piegarsi in due per colpa di una serie di violenti colpi di tosse grazie ai quali espelle tutta l’acqua ingoiata poco prima.

«Allora sei vivo!» esclama una voce maschile accanto a sé e Arthur si volta di scatto, pronto a difendere la propria vita – insperatamente recuperata – con qualsiasi mezzo possibile.

La visione che si trova davanti agli occhi lo costringe a chiedersi se sia davvero ancora vivo o se quella sia una visione data dalla carenza di ossigeno nei suoi polmoni: davanti a lui c’è la creatura che negli ultimi mesi è stata il soggetto dei suoi sogni e dei suoi pensieri, giorno dopo giorno.

È tutto lì, proprio come aveva già visto tante volte: il luccichio – il luccichio dato dalle scaglie di quel viola brillante –, le alghe – che solo ora capisce essere capelli biondi, decorati con conchiglie e stelle marine – e per finire la coda che risulta essere la parte inferiore di-- un uomo?

«Credevo di non essere arrivato in tempo» Arthur riesce a riconoscere perfino quella voce: è la stessa delle risate, la stessa intonazione e lo stesso suono limpido e cristallino. Non c’è alcun dubbio sul fatto che quella sia la sua creatura.

Vorrebbe riuscire a chiedergli qualcosa – che cosa sia, come abbia fatto a salvarlo, perché l’abbia salvato – ma tutto quello che riesce a fare è dischiudere le labbra e boccheggiare, esattamente come potrebbe fare un pesce. La creatura lo fissa con curiosità, sporgendosi appena verso di lui e dando modo ad Arthur di osservarlo ancora meglio; due occhi azzurri e limpidi lo osservano di rimando, impedendogli di pensare a qualsiasi altra cosa che non riguardi lui.

«Come..» riesce infine a bisbigliare, senza ancora riuscire a distogliere lo sguardo dagli occhi dell’altro.

«Come cosa?» ribatte immediatamente la creatura, sorridendo in un modo estremamente bello e fastidioso; «come mi chiamo?»

Non era questo che Arthur avrebbe voluto chiedere ma la creatura si è avvicinata ancora di più a lui ed è ormai quasi premuta contro il suo petto e tutto quello che il pirata riesce a fare è annuire placidamente.

«Francis» è la semplice risposta dell’altro, seguita da una breve risata divertita e al rumore delle onde che si infrangono sullo scoglio: quando Arthur riesce a riscuotersi da quella sorta di torpore nel quale era caduto Francis lo osserva divertito a poca distanza dal lui, immerso fino al naso nell’acqua.

Ad Arthur serve soltanto un secondo prima di gettarsi di nuovo in mare e di nuotare fino a lui: dopo esserselo lasciato sfuggire così tante volte non ha la minima intenzione di lasciarlo scappare via di nuovo.

 

La settima volta Arthur vive su un’isola deserta — si può definire deserta anche se ormai è lì da qualche mese? Si può definire deserta se è li da qualche mese e ha avuto modo di costruirsi una capanna in riva al mare un po’ rudimentale ma adatta alla sua sopravvivenza.

La vita del pirata a volte gli manca, non può negarlo: i pericoli del mare, i mille nuovi luoghi da esplorare, l’enorme quantità di oro e gioielli e ricchezze che aveva accumulato e che ora non ha più sono tutte cose che gli mancano moltissimo. Gli mancano, sarebbe meglio specificare, nei momenti in cui l’isola è del tutto deserta e Francis è da qualche parte a nuotare sott’acqua.

Francis ritorna sempre, però, ogni singolo giorno quando Arthur meno se lo aspetta. Pian piano il pirata scopre che se rimane troppo tempo fuori dall’acqua, Francis comincia a sentirsi così tanto male da arrivare a perdere i sensi; pian piano scopre che Francis non può rimanere sott’acqua senza respirare per più di mezz’ora, pian piano scopre che Francis è molto più divertente che fastidioso — almeno quando non tenta di svegliarlo nel bel mezzo della notte lanciandogli alghe umide dritte in faccia.

Pian piano scopre che la vita del pirata gli manca, sì, ma che vivere su un’isola deserta aspettando l’arrivo di Francis — e nuotare insieme a lui e fare l’amore con lui e parlargli di tutte le cose che ha fatto e farsi raccontare tutte le cose che ha visto — è molto meglio di quanto potesse sperare.

   
 
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