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Autore: Aru_chan98    11/02/2016    2 recensioni
(Dal testo)
L’uomo che ora dava l’illusione di essere sul punto di piangere, avendo gli occhi spenti e dichiarando che aveva vinto quella battaglia. “Non c’è nulla che puoi fare ormai, devi accettare che ormai sono una nazione” furono le sue ultime parole, per poi abbassare la testa e andarsene, inghiottito dalle fila dei suoi soldati. Per un attimo l’uomo vestito di rosso lo guardò andarsene, prima che la sua vista si appannasse e calde lacrime cominciassero a scendergli lungo il viso, visibilmente provato da quella situazione. “Sir, are you all right?” gli chiese uno dei suoi generali e la nazione si rialzò in piedi, con un’espressione delle più amare che avesse mai fatto e gli rispose, cercando un lato positivo per rassicurare i suoi bravi soldati: “Well, at least we won’t talk anymore”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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We don't talk anymore (Non parliamo più) 
We don't talk anymore (Non parliamo più) 
We don't talk anymore (Non parliamo più) 
Like we used to do... (Come eravamo soliti fare)
We don't laugh anymore (Non ridiamo più) 
What was all of it for? (Che cosa ne è stato di tutto questo?) 
Ohh, we don't talk anymore (Oh, non parliamo più)
Like we used to do... (Come eravamo soliti fare...)
 
 
Faceva freddo quella sera e pioveva. A dirotto. Forse anche il cielo sentiva il dolore che correva tra quelle due nazioni che si combattevano sotto di sé, ognuno con un desiderio diverso stampato nel cuore. “Perché? Perché vuoi abbandonarmi? Tell me the reason America!” gridò la nazione in rosso, stringendo le sue mani sulle maniche della divisa, così forte che le nocche gli si erano sbiancate. Tremava di rabbia e anche di paura, ma non distoglieva il suo sguardo dagli occhi celesti del suo avversario, che una volta aveva chiamato in modo diverso. Che un tempo aveva osato chiamare “fratello”. Lo guardava e nella sua mente passavano mille risposte diverse, risposte spiacevoli, ma il ragazzo in blu non gli rispose. Lo fissò e per un attimo l’uomo in rosso ebbe l’impressione di averci visto un guizzo di dolore, ma fu troppo breve per esserne sicuro. Il ragazzo allora si decise a parlare, utilizzando quella lingua che gli era stata insegnata con tanto affetto e con tanta impazienza aveva voluto imparare: “Perché ormai non sono più un bambino. Posso farcela con le mie forze, il mio popolo non ha più bisogno di essere vessato dai vostri capricci. Ormai non sei più la mia famiglia, United Kingdom”. Sentendosi chiamare in quel modo, il giovane soldato inglese si sentì come colpito al cuore da un proiettile: non lo chiamava nemmeno più col suo nome, solo con un titolo formale. Di colpo le gambe non gli ressero più ed egli cadde in terra, tra la preoccupazione dei suoi uomini, che diligentemente non trasgredivano il suo ordine di restare dov’erano, come a ricordarsi improvvisamente quanto il mondo fosse ostile e doloroso. Quanto la vita fosse pesante. Si sentiva uno stupido ad essersene dimenticato: aveva combattuto una guerra dietro l’altra dal momento in cui era nato, eppure aveva abbassato la guardia con quella piccola colonia. Per quel bambino che ormai era diventato un uomo. L’uomo che ora dava l’illusione di essere sul punto di piangere, avendo gli occhi spenti e dichiarando che aveva vinto quella battaglia. “Non c’è nulla che puoi fare ormai, devi accettare che ormai sono una nazione” furono le sue ultime parole, per poi abbassare la testa e andarsene, inghiottito dalle fila dei suoi soldati. Per un attimo l’uomo vestito di rosso lo guardò andarsene, prima che la sua vista si appannasse e calde lacrime cominciassero a scendergli lungo il viso, visibilmente provato da quella situazione. “Sir, are you all right?” gli chiese uno dei suoi generali e la nazione si rialzò in piedi, con un’espressione delle più amare che avesse mai fatto e gli rispose, cercando un lato positivo per rassicurare i suoi bravi soldati: “Well, at least we won’t talk anymore”
 
 
 
I just heard you found the one you've been looking (Ho appena sentito che hai trovato quello che stavi cercando) 
You've been looking for (Che stavi cercando) 
I wish I would have known that wasn't me (Vorrei aver saputo che non ero io) 
'Cause even after all this time I still wonder (Perchè anche dopo tutto questo tempo mi chiedo ancora) 
Why I can't move on (Perchè non posso andare avati) 
Just the way you did so easily (Nel modo in hai fatto tu così facilmente)
 
 
Sfoglio il giornale ancora per qualche minuto, in fondo non ho altro da fare per oggi, è una giornata piuttosto piatta senza le mie fate a giocare con me. Sarebbe un pomeriggio molto più piacevole se non avessi appena ricevuto delle nuove notizie dal mio capo: come nazione è mio dovere avere informazioni simili, ma questa avrei fatto davvero a meno di saperla. Quell’idiota ha intenzione di festeggiare la sua indipendenza in grande stile. Maledetto bastardo… Dopo tutto quello che è successo è tanto contento da festeggiare quel giorno… Bah, avrei voluto sapere che quello a cui aveva sempre mirato era sfruttare le mie terre per diventare un paese forte. Senza accorgermene sto rovinando le pagine del giornale. Allento la presa e mi appoggio allo schienale della mia poltrona: che diavolo sto facendo in fondo? Questa situazione è davvero stupida. Comincio a stufarmi di tutto ciò che sento ogni giorno. Basta, perché non riesco a cancellare ogni cosa? Sento l’orologio battere le cinque e penso proprio che mi abbia in parte salvato: è un po’ presto forse, ma credo che una bella tazza di tea possa aiutarmi a distrarmi da tutta questa spazzatura che ho nella mente. Non so cosa sia, ma mentre mi dirigo in cucina, mi viene da alzare gli occhi verso quell’armadio che tengo in fondo al soggiorno. Quel vecchio armadio dove, in un momento di rabbia, ho cacciato tutte le cose che lo riguardano. Che ci riguardano. Sono i miei piedi a guidarmi verso quella… cosa, però forse non sono del tutto sincero. Non so con quale coraggio, ma apro quelle ante e i ricordi ricominciano a fiorire nella mia mente, ad ogni singolo oggetto. I suoi disegni un po’ sgangherati: esagerava sempre cavolo, ho degli occhi, non solo sopracciglia… guardando ancora ritrovo i miei vecchi abiti da pirata, quelli si che erano tempi e ne ho sempre una nostalgia incredibile. Ma la cosa che mi colpisce è aver tenuto tutte le sue lettere, quelle che ci scambiavamo quando non ero là con lui. Sarebbe anche inutile tirarle fuori, tanto le conosco tutte molto bene e so che tutte finiscono sempre con “England… come back soon. I miss you”. Mi si stringe lo stomaco a vederle: erano seriamente tutte bugie? In fondo, se vuoi festeggiare il fatto che non siamo più nulla, forse vuol dire che tutti questi ricordi per te sono insignificanti. Vorrei solo riuscire ad andare avanti esattamente come hai fatto tu, sarebbe tutto più facile se non ci fosse alcun ricordo. Se niente mi legasse a te.
 
Don't wanna know (Non voglio sapere) 
What kind of dress you're wearing tonight (Che tipo di vestito stai indossando stanotte) 
If he's holding onto you so tight (Se sta stretto a te così forte)  
The way I did before (Nel modo in cui lo facevo io prima) 
I overdosed (Sono andato in overdose) 
Should've known your love was a game (Avrei dovuto sapere che il tuo amore era un gioco) 
Now I can't get you out of my brain (Ora non riesco a farti uscire dal mio cervello)
Ohh, it's such a shame... (Oh, è un peccato...)
 
 
Ormai è sera e il tea è stato inutile oserei dire: non riesco comunque a non pensarci. A non pensare a lui. Tutta colpa di quell’oggetto che pensavo di aver buttato in mare tanti e tanti anni fa. Avrei fatto meglio a farlo, perché senza di esso ora questo ricordo non potrebbe aggrapparsi a nient’altro. Mi sento davvero irritato e sinceramente la lettera del mio capo che se ne sta sul mio tavolo non migliora la situazione: in allegato c’erano dei biglietti aerei. Ho davvero voglia di gettarli nel fuoco e vederli bruciare: non me ne frega niente di quello che vuole fare. Non me ne frega niente di che razza di decorazioni o di che cosa intende fare a questa festa, non m’importa. Sarebbe solo doloroso per me. Sono certo che ormai si sia trovato qualcun altro che occupa il mio posto. Abbasso gli occhi sull’oggetto che ho in mano e, quasi in automatico, mi viene da metterlo in controluce: è una stella di ambra chiara. Me l’ha regalata lui, la sera prima del nostro ultimo giorno insieme. Me lo ricordo ancora:

“England, chiudi gli occhi dai” mi dice America, cogliendomi di sorpresa. Cosa ci fa ancora alzato a quest’ora? “C’mon England, close them” mi chiede di nuovo, con i suoi occhi azzurri splendenti come sempre. Come posso non accontentarlo? Chiudo gli occhi e lo sento prendermi un mano e tirarla verso di sé. Dopo poco gli sento posare qualcosa nella mia mano. Per qualche ragione mi sembra nervoso perché la sua mano è sudaticcia e fredda. Chissà che sta facendo. “Ok, aprili” e ancora una volta eseguo la sua richiesta: nella mia mano c’è un pezzo d’ambra a forma di stella. È bellissima. Mi giro verso di lui e mi chiede se mi piace. “Yes, it’s… it’s really wonderful” gli rispondo con un sorriso, ma sembra abbia ancora qualcosa da dirmi, glielo si legge chiaramente in faccia. “Ehm… c’è anche un’ultima cosa” mi prende la mano e mi fa mettere la stella in controluce alla luna piena che filtra dalla finestra della mia camera da letto, e quel piccolo pezzo d’ambra sembra illuminarsi come una stella vera. È uno spettacolo da favola quasi. “Quando ho visto questo pezzo d’ambra ho pensato subito a te. Vorrei che lo tenessi tu perché in controluce della luna brilla come se fosse una stella vera, così, anche quando il tuo cielo sarà coperto di nubi, potrai sempre avere con te almeno una stella e ricordarti di me. Perché io ti aspetterò sempre” mi dice tutto ciò con degli occhi seri che non gli ho mai visto fare. Ho come l’impressione che le sue parole abbiano un significato più profondo, ma forse è una mia impressione. Una mia speranza credo. Quando esco dai miei pensieri, mi accorgo che forse ho commesso l’errore di starci per un secondo di troppo, perché accade tutto fin troppo in fretta: America mi si avvicina e all’improvviso sento le sue labbra sulle mie. Che diavolo…? Alzo una mano per cercare di respingerlo, ma a metà del movimento non riesco ad andare avanti: è come se tutte le mie forze mi stessero abbandonando. Per ultimo, chiudo gli occhi e tutto quello che sento sono solo le sue labbra e la mano che ha appoggiata sulla mia. Comincio ad aver bisogno d’aria e per fortuna anche lui sembra averne bisogno, perché lo sento allontanarsi. Apro di scatto gli occhi e lo vedo arrossire pesantemente: non sarà che…? No, non può essere, il mio piccolo angelo non potrebbe mai pensare cose simili.”Ameri…” ma non mi lascia finire la frase, anzi, ne approfitta e stavolta, oltre alla sua bocca sento anche un’intrusione: la sua lingua. Comincio a non riuscire a pensare con lucidità, che questo sia un sogno prodotto dalla mia mente malata? Non riesco a capirlo, e il modo quasi naturale in cui sta reagendo il mio corpo non fa che peggiorare le cose, visto che lo lascio entrare e a mia volta mi sento abbastanza audace da assaporare completamente la sua bocca: ha il sapore della cena che ho preparato poche ore fa, ma è abbastanza da farmi girare la testa. Sento davvero caldo e avverto il mio volto andare in fiamme, come le zone della mie braccia che America tocca mentre mi bacia. Lo sento spingermi e in pochi attimi sento il materasso sotto la mia schiena. Non vorrà mica andare fino in fondo? Vincendo in parte lo stordimento apro gli occhi e vedo i suoi magnifici occhi celesti guardarmi: guardano solo me, non sono presi da nient’altro. Quel cielo riflette solo la mia immagine.

Devo aver perso la cognizione di quello che stavo facendo quella notte, perché ricordo il suo corpo nudo sopra il mio, mentre giocava con i miei capezzoli con la sua lingua. Ricordo, anche se non con molta chiarezza, di aver chiamato il suo nome mentre spingeva per farsi spazio dentro di me. Ricordo con chiarezza quanto piacere provai quella notte, spinta dopo spinta, fino a che non lo strinsi a me più forte che potei, non riuscendo a fermarmi dal venire. Me ne sono accorto solo dopo, che il motivo per cui l’ho lasciato fare quelle cose al mio corpo, per cui mi sono unito a lui, era che in quel momento il sangue mi era salito alla testa: mi ci è voluto del tempo per capirne il motivo e mi fa rabbia. “Oh, sembra che la luna abbia finalmente deciso di farsi vedere” dico più a me stesso che alle fate che vogliono ascoltarmi e senza pensarci metto la mia stella in controluce. Sospiro, perché tanto è inutile rivangare il passato: probabilmente si sarà già trovato un altro partner per fare queste cose. Probabilmente le sue parole erano niente più che un falso: “I love you Arthur”. Queste parole… possono seriamente essere bugie?

 
 
That we don't talk anymore(Che non parliamo più) 
We don't talk anymore (Non parliamo più)
We don't talk anymore (Non parliamo più)
Like we used to do (Come eravamo soliti fare) 
We don't laugh anymore (Non ridiamo più) 
What was all of it for? (Cosa ne è stato di tutto questo?) 
Ohh, we don't talk anymore (Oh, come eravamo soliti fare)
Like we used to do (Come eravamo soliti fare)
 
Saranno passati pochi minuti da quando mi sono bloccato a guardare il meraviglioso splendore di questa stella, eppure, l’espressione che sto facendo è davvero amara. Mi fa male il cuore e aver ricordato quella notte sta peggiorando le cose ulteriormente. “Arthur, it’s all ok?” sento chiedermi da una delle mie pixie. Grazie a lei riesco a staccare gli occhi da questo misero pezzo di resina e annuisco, anche se sono certo si capisca che è una bugia. Eppure non riesco a non sentirmi così. Non che me ne lamenti, all’inizio era ancora peggio. Sto ancora tenendo la stella in controluce, devo essere diventato scemo… Abbasso lentamente il braccio e appoggio quella cosa in grembo: ho voglia di scagliarla in terra e romperla. Maledizione, perché il petto non la smette di farmi così male? Ormai sono anni che non parliamo più, nemmeno tramite lettere o telegrammi. Nemmeno uno sguardo, quindi perché mai dovrebbe dispiacermi? “Faccia come vuole quello scemo: è un idiota se pensa che andrò mai ad una delle sue stupide feste” esclamo, ma subito la mia voce si affievolisce. Chi voglio prendere in giro? Posso fare il duro quanto voglio ma la verità è che mi manca fin troppo. Per questo ho relegato ogni tipo di comunicazione strettamente necessaria con lui al mio segretario: sarebbe troppo difficile persino per me restare completamente neutrale in questa situazione, come se non me ne fregasse più nulla. Mi chiedo dove siano finite tutte quelle belle parole che ci scambiavamo in quei giorni di pace. Mi chiedo se ormai sono morti anche nella sua memoria. Però sarebbe un po’ ipocrita chiederselo, visto che per molti anni anch’io ho evitato quei ricordi come se fossero incubi. Eppure, quelle rare volte in cui essi s’intrufolano nei miei sogni, non riesco a non svegliarmi e sentirne la mancanza. Di tutte le risate che ci facevamo e di tutte le volte che quello scemo si perdeva nei boschi mentre giocava con i conigli. Mi si annebbia leggermente la vista di un occhio e velocemente me lo strofino con una manica: preferisco morire che piangere per quel bastardo. Ne ho anche abbastanza, dopo tutto quello che mi ha portato via, non si merita nemmeno le mie lacrime. Di colpo non sento più il lieve peso della mia stella e d’istinto giro subito gli occhi e vedo che le mie pixie l’hanno presa. Posso capire dai loro occhi cosa hanno intenzione di fare e sorprendo persino me stesso quando mi alzo di scatto e afferro al volo l’ambra, prima che quelle dispettose la rompano buttandola in terra. La stringo così forte in mano che sono sicuro che mi abbia lasciato qualche piccolo segno sul palmo. Per un istante ho avuto paura. Mi rialzo da terra e mi siedo sulle mie ginocchia: che diavolo sto facendo? Non l’ho buttata in mare allora, quando avrei voluto farlo di più, e di certo non lascerò che si infranga ora. Quelle parole… sono state le ultime parole dolci che mi ha rivolto, non lascerò che mi vengano portare via così facilmente. Sento le fate che si scusano con me e io cerco di rassicurarle che non sono arrabbiato con loro, che sono certo che lo volevano fare solo per il mio bene. Fortunatamente ci credono e sollevate, decidono di tornare nelle loro casette per la notte. Io le saluto, ma appena se ne vanno il mio volto torna ad essere lo specchio di quello che sento: principalmente una nostalgia davvero grande. Vorrei solo aver saputo in anticipo che sarebbe successo tutto. Il mio orologio batte la mezzanotte. Oh my, non pensavo fosse già così tardi. Ripongo quella stella in uno dei cassetti del mobile che ho vicino al letto e mi preparo per la notte. Un altro giorno ancora senza una sola tua frase…
 
I just hope you're lying next to somebody (Spero solo tu stia sdraiata vicino a qualcuno)
Who knows how to love you like me (Che sappia come amarti come me) 
There must be a good reason that you're gone (Ci dev’essere una buona ragione se te ne sei andato) 
Every now and then I think you (Ogni tanto penso) 
Might want me to come show up at your door (Magari vuoi che mi presenti alla tua porta) 
But I'm just too afraid that I'll be wrong (Ma sono troppo spaventato che possa sbagliarmi)
 

Anche questo giorno è passato a quanto pare. È stato frenetico, lo devo ammettere, ma i preparativi per la mia festa di compleanno di quest’anno devono essere fenomenali. In fondo, è passato un sacco di tempo, è ora di festeggiare tutti questi anni da quando sono diventato indipendente. Indipendenza… già. È quello che volevo, eppure quando ci penso mi sale sempre un groppo alla gola. È tutta colpa di quello scemo: doveva proprio mettersi a piangere e fare quella faccia? Da eccezionale eroe del mondo quale sono non intendo far capire a nessuno quello che provo, non voglio avere il minimo punto debole. E sarebbe anche vero, se quel maledetto non avesse avuto quell’espressione negli occhi. Il cielo notturno è così limpido questa notte, mi sembra quasi una beffa nei confronti delle nubi che attraversano il mio cuore. Quando resto solo non riesco a sentirmi tranquillo, il mio sorriso si spegne sempre: non riesco a non sentirmi preoccupato per lui. Con lo schifo di carattere che si ritrova, probabilmente sarà rimasto solo per tutto questo tempo, parlando con l’aria come fa sempre. Vorrei che trovasse qualcuno che gli stia accanto: almeno potrebbe sfogare la sua rabbia su qualcuno e non passare per matto. Eppure… se ci penso mi viene da desiderare il contrario: nessuno sarebbe in grado di amarlo come sapevo fare io. Ne sono assolutamente certo e spesso mi chiedo se non sto dando di matto, perché quando penso di essere l’unico a sapere come amarlo, mi sento sollevato. C’è una tale confusione nella mia testa! Però se me ne sono andato c’era una buona ragione, per questo non intendo chiedere scusa a nessuno per quello che ho fatto. Almeno ho pienamente raggiunto quello che volevo. Vedo una stella cadente però non ho desideri da esprimere se non uno solo. E cavolo, mi viene da prendere a testate il muro per quanto è patetico. “Tanto lo so che non lo vedrò nemmeno quest’anno” mi dico, con un piccolo sospiro: il mio boss ha insistito per invitarlo alla mia festa di compleanno. Vorrei che lo capisse che non gli voglio più parlare… sarebbe inutile farlo ormai. Mi odierebbe e basta e non mi starebbe ad ascoltare. Però… I have to admit it, mi piacerebbe rivedere quel sorriso che mi rivolgeva quando ero bambino. Credo sia il ricordo che più preferisco della mia infanzia. Maledizione… questa nostalgia prima o poi mi ucciderà. Vorrei poter andare da lui in momenti come questo, e bussare alla sua porta tanto per fotografare la faccia che farebbe nel vedermi. Però, anche quando i meeting si tengono nel suo territorio, io non ci vado mai: ho troppa paura che vedendomi, gli occhi che amo tanto si riempiano di odio e mi urlino che sono un traditore. Questa eventualità è l’unica cosa che mi trattiene, perché la voglia di vederti è tanta, ma la paura che tu possa odiarmi è più forte di tutto. Anche di un eroe come me.
 
Don't wanna know (Non voglio sapere) 
If you're looking into her eyes (Se stai guardando nei suoi occhi) 
If she's holding onto you so tight the way I did before (Se lei sta stretta a te forte come facevo io) 
I overdosed (Sono andato in overdose) 
Should've known your love was a game (Avrei dovuto sapere che il tuo amore era un gioco) 
Now I can't get you out of my brain (Ora non riesco a farti uscire dal mio cervello) 
Oh, it's such a shame (Oh, è un peccato...)
 

“Ahhh, what the hell. Why should I care?” dico e mi butto sul mio letto. Non me ne frega nulla se quell’idiota sta parlando con le sue sedicenti fate o se sta guardando negli occhi di qualcuno che non sono io. Faccia come vuole, eppure perché mi sento così irritato da tutto questo? Chi se ne importa! È tutto quello che riesco a pensare per scacciare tutti questi sentimenti troppo pesanti per me, magari una buona notte di sonno mi aiuterà a far passare tutto o ad alleggerirmi. Mi infilo nelle coperte e chiudo gli occhi, aspettando di entrare in qualche sogno super figo.

“Stasera sono certo di riuscire a dargliela” sussurrò tra me e me, mentre cammino nei corridoi di casa mia per raggiungere la sua stanza. Sono certo che England adorerà il mio regalo! Entro e gli chiedo di chiudere gli occhi. All’inizio non lo fa, ma dopo un po’ d’insistenza mi accontenta: comincio a sentirmi davvero nervoso. È così bello… gli prendo una mano e la tiro verso di me: ricordo ancora quando erano più grandi delle mie. Gentilmente gli poso in mano la mia stella d’ambra e gli dico di riaprire gli occhi. Quando la vede lo vedo stupirsi e mi rivolge un sorriso davvero bello. “Do you like it?” gli chiedo e mi si leva un peso dal cuore quando mi risponde di si. Ora arriva la parte più difficile, ma cavoli, devo essere coraggioso! Gli dico che c’è dell’altro e guido la sua mano in modo da mettere la stella in controluce alla luna. Quando quel pezzo d’ambra comincia a risplendere, vedo anche i suoi occhi cominciare a luccicare e le parole mi scappano di bocca. “Quando ho visto questo pezzo d’ambra ho pensato subito a te. Vorrei che lo tenessi tu perché in controluce della luna brilla come se fosse una stella vera, così, anche quando il tuo cielo sarà coperto di nubi, potrai sempre avere con te almeno una stella e ricordarti di me. Perché io ti aspetterò sempre”. Sono maledettamente serio, anche se il mio cuore ha preso a battere così forte nel mio petto da farmi quasi male. Sembra perso nei suoi pensieri, ma i suoi occhi non la smettono di riflettere la meraviglia di qualche attimo fa. È così bello… A momenti non mi rendo nemmeno conto di cosa sto facendo, ma mi avvicino a lui e, chiudendo gli occhi, lo bacio. Lo sento ribellarsi all’inizio, ma non riesco a staccarmi finchè non sento i miei polmoni bruciare per avere dell’ossigeno. Sono sicuro di essere arrossito come un peperone, ma poco importa, le sue labbra sono troppo invitanti per importarmi d’altro. Perdonami England, ma non riesco più a resistere. Perché mi guardi con quell’incredulità? “Ameri…” non gli faccio nemmeno finire di pronunciare il mio nome che lo bacio di nuovo e questa volta sfrutto l’occasione per poter assaporare la sua bocca, spingendo la mia lingua oltre le sue labbra. Comincio a non riuscire più a pensare e lentamente la ragione sta andando a farsi benedire, soprattutto quando sento la sua lingua toccare la mia e accarezzarla. Ma è quando è lui a sentire il mio sapore che sento di aver raggiunto il mio limite: perdonami England, ma io ti voglio e non credo di riuscire ad essere più paziente di così. Lo spingo gentilmente contro il letto e mi metto sopra di lui, staccandomi per il bisogno d’aria. Apro gli occhi e lo vedo aprire anche i suoi. Quegli occhi così verdi. Quegli smeraldi che riflettono solo i miei e nient’altro. Come vorrei affondarci e non uscirne mai più…

Mi sveglio di soprassalto da quel sogno e ansimo, mentre cerco di rendermi conto di essere tornato nella realtà. Quel maledetto ricordo non sembra volerne sapere di uscire dalla mia testa. È colpa mia, lo so, per aver cercato di rinnegarlo troppe volte, eppure è ancora tutto così chiaro nella mia mente, come se lui fosse ancora nel mio letto. Ricordo ancora così chiaramente la sua voce mentre gemeva di piacere. Ricordo ancora la sensazione della sua pelle contro la mia e di com’era così maledettamente bello essere dentro di lui. Ricordo con quanta forza strinse il cuscino quando lo penetrai e come si aggrappò a me mentre spingevo perché diventasse solo mio. Ricordo ancora con quale tono gridò il mio nome e si strinse a me quando venne e io lo seguii a ruota. Maledizione, devo smetterla di pensarci o finirò per impazzire seriamente. Non ho potuto farci nulla allora: il sangue mi era completamente salito alla testa e avevo cominciato a provare amore per lui da tanto di quel tempo che ormai non riuscivo più a trattenermi. Eppure, avrei dovuto sapere che, nonostante fossimo diventati una cosa sola, per lui non ero altro che il suo fratellino ribelle che non distingueva amore fraterno e romantico. Che stupido sono stato, eppure non riesco proprio a rimpiangere di aver fatto l’amore con lui quella notte. “Alfred… please, stay with me forever” quanto vorrei che quelle parole fossero state vere. 

 
 
That we don't talk anymore (Che non parliamo più)  
We don't talk anymore (Non parliamo più)  
We don't talk anymore (Non parliamo più) 
Like we used to do (Come eravamo soliti fare) 
We don't laugh anymore (Non ridiamo più) 
What was all of it for? (Cosa ne è stato di tutto questo?) 
Oh, we don't talk anymore (Oh, non parliamo più)
Like we used to do (Come eravamo soliti fare)
 
Shit, I can’t sleep anymore! Ho passato almeno mezzora cercando di riaddormentarmi ma niente. Mi metto a sedere e noto che la sveglia segna le quattro e mezza del mattino. A causa di quel sogno ora non riesco più a prendere sonno, che rabbia… Forse un caffè mi tirerà su di morale, meglio se vado in cucina e me ne preparo uno. Sia ringraziato quel santo che ha inventato il caffè, sul serio. In pochi minuti è pronto e mi riempio completamente una tazza: amo troppo il caffè. Cosa potrei fare ora? Prendo un sorso di caffè attento a non scottarmi, cercando di decidere che cosa fare: manca ancora qualche ora al mattino. Potrei guardare un film. Si, mi pare proprio una buona idea, sono un genio! Appoggio la tazza sul tavolino che ho davanti al divano e comincio a rovistare tra i miei dvd in cerca del mio preferito, quello di Captain America. Non riesco a trovarlo cavolo, possibile che lo abbia messo da qualche parte mentre ero sovrappensiero? Tiro fuori ogni dvd che ho, nella speranza di aver messo quel film dietro agli altri per errore, ma all’ennesimo che tiro fuori, un vecchissimo film western che avevo girato insieme a mio fratello, un pezzo di carta cade per terra con un tonfo lieve. Da dove salta fuori? Lo raccolgo da terra: dev’essere vecchio, la carta è un po’ ingiallita. È una lettera. Una sua lettera a quanto pare. Non mi prendo nemmeno il disturbo di leggerla, mi basta guardare la data per capire qual è. Tutte le lettere che mi spediva non ho mai avuto il coraggio di buttarle, forse perché erano l’ultimo filo che mi teneva legato a quei vecchi ricordi felici. Quando ero solo un fratello minore ai suoi occhi. Conosco il testo di tutte quelle lettere, che ora tengo conservate in una scatola nel mio ripostiglio, a memoria, parola per parola, a forza di rileggerle. Lo ammetto, i primi anni senza di lui sono stati complicati per me: da una parte ero orgoglioso che finalmente mi avesse riconosciuto come un individuo e non come un fratellino ma dall’altra, lui mi mancava terribilmente. Cercavo di convincermi che erano i sentimenti dei miei cittadini, ma mentivo solo a me stesso. Vorrei dirgli qualcosa, ma anche solo sorridere è un’impresa davanti a lui. Un sorriso vero dico. Ormai niente è più come prima e noi non parliamo né ridiamo più. Persino ai meeting ci rivolgiamo la parola il meno possibile. Stringo questo pezzo di carta ingiallito, non m’importa se si rovina: che ne è stato dei sentimenti che quella persona metteva in queste parole? Maledizione…
 
 
Don't wanna know (Non vogio sapere) 
What kind of dress you're wearing tonight (Che tipo di vestito stai indossando stanotte) 
If he's giving it to you just right (Se si sta arrendendo a te in questo istante) 
The way I did before (Nel modo che facevo io) 
I overdosed (Sono andato in overdose) 
Should've known your love was a game (Avrei dovuto sapere che il tuo amore era un gioco) 
Now I can't get you out of my brain (Ora non riesco a farti uscire dal mio cervello) 
Oh, it's such a shame (Oh, è un peccato)
 
I giorni passarono, come tanti altri prima di loro. Entrambe le nazioni andavano avanti senza cambiare mai, ognuno sulla propria porzione di mondo, ignorando completamente l’altra, o almeno dando l’impressione che così fosse. Se qualcuno avesse mai chiesto loro come stavano andando le cose con l’altro, si sarebbe sentito rispondere che era una domanda stupida, perché a nessuno di loro interessava cosa l’altro facesse o con chi stesse ormai. Eppure, quando restavano soli, c’erano quelle notti in cui si chiedevano se l’altro fosse in compagnia di qualcuno e gli stesse dando tutto se stesso, come era accaduto quella notte tra di loro. E c’era sempre un senso di amarezza quando aggiungevano a quel pensiero la frase “Come feci io quella volta”. Ormai tutti e due erano ben consapevoli dei sentimenti che provavano reciprocamente, ma nessuno di loro aveva intenzione di rompere quel silenzio che c’era. Un giorno, in particolare, erano stati sbattuti fuori dalla sala del meeting che si stava tenendo a causa di un litigio particolarmente violento tra loro. A momenti nemmeno si guardavano, ognuno con la schiena appoggiata alla parete opposta del corridoio. “Devi smetterla di comportarti come un moccioso, United States”  disse freddamente l’inglese, senza rivolgergli uno sguardo: era stanco di quella situazione. “Se qui c’è un moccioso quello sei sicuramente tu United Kingdom” gli rispose con lo stesso tono l’americano, mentre l’altra nazione aveva già cominciato ad incamminarsi per andarsene. Non ebbe l’occasione di vedere la tristezza che passò in quei meravigliosi occhi verdi, perché Inghilterra non si girò nemmeno per un attimo, uscendo completamente dall’edificio, lasciandosi alle spalle la sua ex colonia. America storse la bocca, frustrato da quella situazione e tirò un calcio al muro. Non ce la faceva più, qualcosa doveva assolutamente cambiare. Entrambi non riuscivano a togliersi dalla mente l’altro, nonostante i modi freddi che mostravano in pubblico, sentendosi torturati da quanto continuava a succedere. Le cose dovevano cambiare, ad ogni costo.
 
That we don't talk anymore (Che non parliamo più)  
We don't talk anymore (Non parliamo più)  
We don't talk anymore (Non parliamo più) 
Like we used to do (Come eravamo soliti fare) 
We don't laugh anymore (Non ridiamo più) 
What was all of it for? (Cosa ne è stato di tutto questo?) 
Oh, we don't talk anymore (Oh, non parliamo più)
Like we used to do (Come eravamo soliti fare)
 
Ormai non manca molto alla mia festa di compleanno, solo pochi giorni. Ma allora perché non riesco ad esserne più felice? Come odio tutto questo. Maledetto inglese, potevi anche risparmiartela la scenata dell’altro giorno e quelle parole fredde. Grazie al cielo il meeting è finito oggi, così domani non saremo più nello stesso paese e io potrò evitare di vederlo. Non sopporto vedere i suoi occhi in quello stato. Guardo fuori dalla finestra e noto che la mia casella della posta contiene qualcosa, così esco e di casa e apro la cassetta: c’è una lettera! Non ha un mittente, c’è scritto solo il mio nome. Prima di aprirla rientro in casa e quando lo faccio mi sorprendo di nuovo dal contenuto di quella lettera. Poche righe è vero, ma questa calligrafia la riconoscerei tra mille: England ha scritto questa lettera! Devo trovarlo assolutamente! Non appoggio nemmeno la lettera che ho in mano, a malapena chiudo la porta a chiave. Mi metto a correre, non voglio sprecare altro tempo.
 

Menomale, anche questo meeting è andato. Non vedo l’ora di dormire un po’: domani tornerò a casa finalmente. Finalmente non dovrò più incontrarlo o sopportare il suo tono di voce. Lo ammetto, odio quando mi chiama in quel modo, ogni volta che lo fa mi sento congelare dentro. Quando raggiungo l’appartamento in cui sto per questo meeting, mi accorgo che c’è una busta di carta incastrata nella buca delle lettere. Che qualcuno mi abbia cercato? La prendo e mi secca un po’ il fatto che non ci sia scritto alcun mittente ma è sicuramente indirizzata a me. La apro subito, mi chiedo cosa mai ci potrebbe essere scritto e sgrano gli occhi nel leggere quelle poche frasi scritte, ma in una calligrafia che conosco fin troppo bene. America mi ha spedito questa lettera! Ma… perché? Non importa! Devo assolutamente incontrarlo. Devo chiedergli cosa significa questo messaggio. Non mi accorgo nemmeno che sto stringendo ancora quel pezzo di carta, non è importante al momento, l’importante è che io lo incontri al più presto.
 
(We don't talk anymore) (Non parliamo più) 
Don't wanna know (Non voglio sapere) 
What kind of dress you're wearing tonight (Che tipo di vestito stai indossando stanotte)  
If he's holding onto you so tight
(Se sta stretto a te forte) 
The way I did before (Nel modo in cui facevo io) 
(We don't talk anymore) (Non parliamo più) 
I overdosed (Sono andato in overdose) 
Should've known your love was a game (Avrei dovuto sapere che il tuo amore era una bugia) 
Now I can't get you out of my brain (Woah) (Ora non riesco a farti uscire dal mio cervello) 
Oh, it's such a shame (Oh, è un peccato)
That we don't talk anymore... (Che non parliamo più...)
 
Le due nazioni si incrociarono a metà strada, mentre si cercavano a vicenda. Appena si videro accelerarono il passo per raggiungersi il prima possibile, ma non appena accadde la prima cosa che fecero fu riprendere fiato per un attimo: avevano entrambi corso a rotta di collo per incontrarsi. “Cosa significa questa?” chiese Inghilterra, ma America si limitò ad abbracciarlo forte e l’inglese lo strinse forte a sua volta. “Non c’è nulla da aggiungere. I missed you. I love you Arthur” gli disse America, commosso da quanto stava accadendo. Inghilterra scoppiò in lacrime invece, dicendogli “I missed you too, idiot! It was so painful… I love you too Alfred”. Rimasero abbracciati stretti, mentre piano piano le loro lacrime smettevano di scendere e i loro cuori si alleggerivano. “Perché ci hai messo così tanto?” chiese l’inglese, con la testa ancora appoggiata al petto dell’altro ragazzo. “Perché avevo paura. Avevo paura che mi vedessi ancora come un fratello o peggio, come un traditore” gli rispose con sincerità America e si sorprese quando Inghilterra si staccò da lui, facendo leva sulle sue braccia. “Non avrei mai fatto l’amore con qualcuno che consideravo un fratello ne tantomeno che odiassi” “Ma allora perché avevi quell’espressione così ferita quella notte?” “Perché non credevo tu mi desiderassi in quel modo. All’inizio pensavo fosse un’illusione perversa della mia mente e lo ammetto, in parte pensavo a te ancora come un fratello, ma dopo… dopo che te ne sei andato… dopo qualche anno sono arrivato alla conclusione che quella notte mi sono unito a te perché avevo già cominciato ad amarti. Solo, ero troppo spaventato per ammetterlo con me stesso” gli rivelò l’inglese, abbassando un po’ lo sguardo. America lo guardò per pochi istanti, posò una mano sulla sua spalla e lo baciò. Lo baciò all’inizio dolcemente, come a riprendere confidenza con qualcosa che non provava da tanto, ma poi, non appena Inghilterra cominciò a ricambiare quel bacio, si fece più audace, arrivando ad oltrepassare il confine delle sue labbra. Inghilterra gli mise le braccia al collo, portandolo più vicino a sé, perdendosi completamente in quel bacio. Perdendosi in quel sapore di cui entrambi sentivano così disperatamente la mancanza. “I won’t leave you again. Non chiederò una seconda volta l’indipendenza e non ti lascerò mai più solo. Te lo prometto, continuerò ad amarti fino a che il mio cuore non cesserà di battere” gli sussurrò America, appoggiando la sua fronte a quella di Inghilterra, prima di baciarlo nuovamente con passione. Nel movimento lasciarono cadere a terra i due fogli che li avevano portati fin lì e su entrambi, chissà per quale assurdo scherzo del fato, c’erano scritte le stesse parole: “We don’t talk anymore. Please, I want you back because I need you. I can’t live without you, because I love you” 







Piccolo Angolo dell'Autrice
Eccomi di nuovo un l'ennesima song fic. Questa volta la canzone in questione è una novit credo, o almeno, per me lo è: si tratta di "We don't talk anymore" di Charlie Puth e Selena Gomez. La fic ha lo stesso nome della canzone perchè per una volta il testo e il racconto sono legate a doppio filo: senza l'atmosfera della canzone il testo non avrebbe sapore. America è completamente OOC lo ammetto, ma sinceramente  ho sempre amato pensare che quando si parla dell'indipendenza lui prenda la cosa seriamente. Riguardo ad England... Il fatto è che ho un'headcanon in cui credo fermamente, ovvero che anche England abbia uno stanzino dei ricordi tipo quello di america :3 lo so, sono cattiva con i miei cuccioli. Per il resto, se vi sembra troppo esplicita per favore, ditemelo (plssss) e cambierò il rating (sono troppo inesperta per valutare bene, quindi prima di segnalarla ditelo a me per favore). Detto questo... alla prossima :3
   
 
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