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Autore: LadyRealgar    12/02/2016    2 recensioni
La storia si ripete: un uomo e una donna, i cui destini sono intrecciati da fili indissolubili, in ogni tempo e in ogni luogo in cui la vita li presenta, finiranno per trovarsi e per scegliersi, perché al mondo non esiste una forza abbastanza potente da impedire a due metà di uno stesso disegno di ricongiungersi.
Clintasha; AU in cui i due personaggi sono presentati in varie epoche storiche, con situazioni e background differenti, ma in sostanza sono sempre i personaggi che conosciamo. Rating potenzialmente variabile a seconda del capitolo.
Ps. Non ho idea di dove questa cosa mi porterà, ma spero possa essere comunque gradita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Victumulae, Novembre, 58 a.C.


La neve scendeva lenta sopra la città, bagnando le strade e rendendo i ciottoli scivolosi e traditori ed era per questo motivo che il tribunus militum Cleius Francus Bardus, della IX legione, era smontato dal suo fedele cavallo e lo stava guidando con attenzione, valutando cautamente il percorso per evitare che il povero animale scivolasse e si rompesse una gamba.

"Sarebbe un vero peccato, dopo che abbiamo lottato assieme contro Ariovisto" pensò l'uomo, lasciando una carezza sul pelo bruno dell'animale, che con il muso lo aveva urtato ad una spalla, chiedendo cibo.

-Fatti forza, amico mio- gli disse l'ufficiale con un sorriso -Alla prima locanda che incontriamo, chiederò che ti venga portato del bel fieno fragante.

La sera aveva avvolto il paese e, con esso, le Alpi che lo circondavano, già spruzzate di bianco per le prime nevicate invernali; sebbene Cleius avesse fatto carriera in Germania, dove il clima era ben più rigido e inospitale, i morsi del freddo erano per lui più violenti rispetto ai suoi commilitoni, che erano soliti sbeffeggiarlo, quando erano sufficientemente brilli, per i numerosi strati di vesti che era solito indossare sotto l'armatura; per poi pentirsene il giorno dopo quando li faceva marciare per ore e ore per fargli smaltire la sbornia.

Mentre camminava per le strade illuminate dalla calda luce delle torce che filtrava attraverso le finestre delle modeste abitazioni, Cleius riconobbe le roche risate di un paio dei suoi legionari provenire dall'interno di un bordello, facilmente riconoscibile dal puzzo di sudore, alcool e vomito, mescolato a essenze da due soldi che i proprietari lasciavano bruciare all'ingresso per coprire i forti odori dei loro clienti.

Anche il fallo eretto di metallo agganciato sulla porta d'ingresso dell'edificio era un segno inequivocabile dell'attività che veniva condotta all'interno.

Ad un tratto la porta si aprì, mostrando, nel forte raggio di luce, proprio uno dei suoi soldati, che, in compagnia di una donna con una pacchiana parrucca color carota, ondeggiava incerto sui piedi, visibilmente ubriaco marcio; ben deciso a non venire coinvolto in quella pietosa scena, Cleius allungò il passo e strinse il cappuccio foderato di pelliccia di coniglio attorno al volto: la mattina dopo quell'uomo avrebbe avuto, con il post sbornia, la punizione che si meritava per quel comportamento frivolo e, nel frattempo, il tribunus militum non voleva sprecare la sua serata libera a fare un'inutile lavata di capo a uno dei suoi soldati.

Strinse il cappuccio con la mano finché non ebbe svoltato l'angolo e le risate e i gridolini non vennero portate via dal vento, poi, finalmente, poté tornare a respirare, sebbene l'aria fredda gli entrasse nelle narici tagliente come una lama; il nitrito infastidito della bestia diede voce ai suoi pensieri: faceva davvero troppo freddo per stare fuori, era meglio trovare un locale con un bel fuoco acceso e, magari, della cervogia e un piatto di carne.

Finalmente, dopo una ventina di minuti di cammino, la luce di una locanda lo avvolse, invitandolo ad entrare e Cleius, intirizzito e con le mani che avevano assunto una lieve sfumatura blu per il gelo, accettò con piacere l'invito, incamminandosi verso la porta di legno rinforzato con sparre di ferro.

L'edificio era uno dei pochi, all'interno del vecchio insediamento, realizzato con malta e pietre a vista, differentemente dagli altri, come il bordello di poco prima, che erano stati costruiti con il legno ricavato dalle foreste di sempreverdi circostanti; la locanda era ampia e dall'esterno si contavano due piani superiori, con diverse finestrelle, di cui un paio illuminate dall'interno, rivelando la trama di assi di legno dei soffitti. Il tutto suggeriva che la locanda fosse uno dei vecchi edifici dei tempi d'oro di Victumulae, in cui le miniere aurifere erano ancora attive, cosa che fece sperare all'ufficiale che fosse un luogo pulito e ben frequentato.

Legò il suo cavallo a uno degli anelli di metallo conficcati nei filari di pietre, slacciò la borsa con il denaro dalla sella e spinse la pesante porta, affacciandosi all'interno del locale: come aveva supposto, l'ambiente era relativamente ricercato (di sicuro lo era rispetto agli altri edifici dell'insediamento) e suggeriva pulizia e ordine, aspetti essenziali per un militare tutto d'un pezzo dello stampo di Cleius.

Il pian terreno della locanda era distribuita su un'unica grande sala, al centro della quale erano stati disposti sette lunghi tavoli di legno di pino, molti dei quali erano occupati da altri ufficiali della IX legione, la sua, e della VII e un paio anche dell'VIII, che banchettavano allegramente con carne di cinghiale arrosto, pernice in fricassea e grossi boccali pieni di uno spumoso liquido ambrato.

"Se non altro sembra che la cervogia non manchi" pensò l'uomo, il cui stomaco, stuzzicato dagli invitanti profumini che aleggiavano nella sala, iniziò a protestare per la penuria di approvigionamenti.

-Ave, centurione- lo salutò una signora di mezz'età dagli scompigliati capelli bianchi e il viso rubicondo -Desideri mangiare?

-Buonasera, signora- rispose educatamente l'ufficiale, inclinando la testa per sottolineare il saluto -Sì, vorrei rifocillarmi. Qui fuori c'è il mio cavallo, potete prendervene cura, per cortesia?

-Certamente!- rispose quella, schioccando vistosamente le dita grassocce e facendo segno a un giovane garzone di avvicinarsi -Va' a prendere il cavallo del soldato e trattalo come il destriero di Cesare, hai capito idiota?- sbraitò la donna al ragazzo che, con le orecchie basse, uscì al freddo per eseguire gli ordini.

-Abbiamo le stalle più belle di tutta Victumulae- gongolò la locandiera, mostrando diverse buchi nel suo sorriso giallo -Ma prego, soldato, siediti al caldo e riposati. C'è un bel posto proprio davanti al camino!

Arpionatolo per il braccio, la donna, dimostrando un'inaspettata forza fisica, lo trascinò in mezzo alla ressa dei tavoli, dove un gruppetto di uomini un po' alticci avevano iniziato a cantare, e lo mise a sedere in uno spazio vuoto di uno dei tavoli proprio davanti alla fiamma , che allegra scoppiettava nel camino annerito di fuliggine.

-Cosa ti porto, centurione?- domandò poi con un sorriso ancora più largo e con una dolcezza nella voce simile a quella di una madre che parla al proprio figliolo.

-Cervogia- rispose subito il soldato, che poi, di fronte allo sguardo di rimprovero della locandiera, aggiunse -E un piatto di carne e lenticchie, per favore.

-Arrivano tra poco!- esclamò allegra quella, per poi sgusciare agilmente tra i tavoli e gli avventori e svanire dietro una porticina nel punto più distante della sala, dove, come desunse Cleius, si trovavano le cucine.

Mentre aspettava, ne approfittò per guardarsi attorno e studiare la scena: le lunghe e confuse ombre dei clienti della taverna danzavano come spiriti evanescenti sulle pareti rocciose della sala, saltando da un paio di corna di cervo appese come trofeo a una testa essiccata di cinghiale, che fissava la scena attraverso i suoi vuoti occhi di vetro; ai tavoli, gli ufficiali delle varie legioni parlavano (o meglio, urlavano) e bevevano in allegria, ben felici di trascorrere l'inverno in quella regione della Gallia Cisalpina, lontani, almeno per il momento, dal fango e dal sangue dei campi di battaglia.

Alle orecchie di Cleius quelle voce, rese roche e profonde dal freddo e dai fumi dell'alcool, risuonavano come un ronzio indistinto: non gli interessavano, esattamente come a loro non interessava lui.

Il bastardo di una schiava, arruolato in giovane età per ricevere una paga e sopravvivere, promosso dieci anni dopo con onore nelle Germanie, non era degno di sedere e chiacchierare con gli altri ufficiali della legione, quelli che erano entrati nell'esercito per fame di onore e non per semplice fame, quelli che avevano alle spalle famiglie rispettabili, il cui nome era stato abbastanza da agevolarli nella loro carriera militare.

Quelli a cui la propria vita era abbastanza cara da non volerla rischiare per salvare il loro comandante dall'attacco di un barbaro grosso come una montagna, ma a Cleius non faceva differenza vivere ottant'anni o morire a ventisei, così si era lanciato nella battaglia. Ed era stato promosso.

Se prima aveva letto nei loro occhi e nei loro modi null'altro che il disgusto dovuto a tutti coloro che erano di grado inferiore, adesso Cleius vedeva qualcosa di più, qualcosa che aveva il colore dell'invidia e dell'odio e gli piaceva: finalmente, dopo anni di soprusi e di sputi sui piedi da parte di coloro che vestivano e mangiavano meglio di lui, finalmente stava avendo la sua rivincita. E ne era fiero.

Dopo pochi minuti arrivò lo stesso garzone a cui era stato affidato il cavallo portando un vassoio di legno con la sua ordinazione, che dispose con cura sul tavolo di fronte a lui.

-Come sta Cornelia?- gli chiese Cleius, riferendosi alla sua cavalla e trattenendo il ragazzo per la manica della tunica, ma ricevendo in risposta solo uno sguardo vuoto e spento.

-Il tribunus Francus vuole fare il miracolo e far parlare il muto!- esclamò, tra le risate gutturali dei presenti, un centurione dalla faccia rossa come un pomodoro.

Cleius lasciò andare la veste del garzone e diresse i suoi glaciali occhi azzurri verso l'uomo che lo aveva schernito e, senza perdere la propria compostezza, ribatté: -Nonostante ciò, il ragazzo è un converstatore più acuto e interessante di te, Artemone.

A quella risposta seguirono delle risate ancora più forti e il centurione, sconfitto, non poté far altro che borbottare qualche parola incomprensibile nel suo bicchiere di vino rosso e continuare la cena in silenzio.

Sì, decisamente a Cleius piaceva quella nuova situazione: solo pochi mesi prima avrebbe pagato quella battuta con delle vergate assestate sulla schiena, ora invece poteva godersi il gusto dolce e caldo della rivincita.

Ora che, finalmente, l'attenzione degli avventori era rivolta nuovamente alla cena, il tribuno poté attaccare la propria carne e riscaldare le membra infreddolite con calma e nella pace della solitudine; proprio mentre stava per chiedere un secondo boccale di birra, il garzone si era seduto su un secchio a fianco del camino e aveva cominciato a strimpellare una vecchia lira scheggiata e con le corde consunte, ma da cui, grazie all'inaspettata abilità dell'insospettabile musicista, uscì una melodia orecchiabile e ritmata.

All'improvviso alle note delle corde si aggiunsero dei tintinii di campanelli e nella sala scese improvvisamente il silenzio, rotto solo dalla musica; sembrava che tutta l'attenzione dei presenti fosse focalizzata su un unico punto della sala e, incuriosito, Cleius si voltò in quella direzione per capire cosa mai fosse riuscito a far tacere quella banda di beoti.

Quando la vide, la risposta gli fu subito chiara: dalle scale che portavano ai piani superiori, vestita solo di una leggerissima tunica, che, ondeggiando ai movimenti della danza, valorizzava la sue forme armoniche e generose, una donna bellissima si muoveva con grazia, facendo risuonare dei piccoli campanelli attaccati alle caviglie.

La sua pelle era chiara come il latte e i lunghi capelli, raccolti in una voluminosa treccia che scendeva lungo la schiena, avevano il colore del sole al tramonto e come l'astro brillavano alla luce della fiamma.

Con una piroetta la ballerina terminò la discesa e, alzate le braccia al cielo, eleganti come colli di cigno, iniziò ad ancheggiare a ritmo della musica, mentre i suoi piedi eseguivano una complessa coreografia che in molti in quella sala si persero, troppo impegnati ad osservare le grazie della fanciulla muoversi sotto la veste.

Cleius, però, rimase rapito per qualche istante dalla frenetica danza di quei piccoli piedi scalzi, che calcavano le pietre del pavimento con una grazia pari a quella delle silfidi, ma fu solo quando finalmente alzò lo sguardo che si accorse di quei grandi occhi blu che lo fissavano intensamente e di quella bocca carnosa inclinata in un mezzo sorriso.

Il soldato sentì per un istante la schiena irrigidirsi, ma non volle concedere alla donna la soddisfazione di fargli abbassare gli occhi e fu così che i due si fissarono senza sosta per tutta la durata della danza, anche quando la ballerina, eseguito un balzo degno di un'acrobata, si mise a danzare su uno dei tavoli, suscitando le ovazioni e i fischi di apprezzamento degli uomini attorno a lei.

Ma per i due, i cui occhi erano rimasti legati in un intreccio di sguardi, le orecchie non percepivano altro suono se non quello dei propri pensieri e, anche se non lo sapevano, essi erano molto simili tra loro.

Quando la musica fu terminata, la fanciulla si professò in una serie di profondi inchini, mentre gli avventori applaudevano con vigore e le lanciavano monete, divertendosi ad osservarla mentre le afferrava al volo con eleganti acrobazie.

Con un ultimo inchino, la ragazza si congedò e Cleius, il cui stomaco aveva improvvisamente deciso di non accettare altro cibo dentro di sé, decise di uscire per assicurarsi che la sua cavalla fosse stata posta al caldo e fornita della giusta quantità di biada e acqua; non si concesse di ammettere che, all'improvviso, aveva cominciato a sentire un forte caldo al viso e al petto, cosa mai accaduta prima ad un freddoloso del suo stampo.

Quando uscì dalla locanda la neve aveva smesso di cadere e tra la fitta coltre di nubi si erano aperti degli squarci, mostrando frammenti di cielo carichi di stelle; si strinse nel mantello e si diresse a grandi passi verso la stalla, un piccolo edificio di legno con il tetto di paglia, evidentemente costruito in un secondo momento rispetto allo stabile adiacente.

Allungò il braccio e fece ruotare la porta sui suoi cardini, mentre un nitrito familiare lo accoglieva festoso: riconosciuto il padrone, Cornelia aveva iniziato ad agitarsi, desiderosa di ricevere delle carezze dal suo affezionato compagno di avventure.

Sinceramente intenerito dal comportamento della sua cavalla, Cleius prese l'attrezzatura per la cura dei destrieri da un secchio appeso al muro e, lasciata una caezza sul collo muscoloso dell'animale, passò la recinzione e iniziò a spazzolare con cura il pelo.

Una volta terminato, passò alla coda e alla criniera con una spazzola più dura e si prese il suo tempo per districare con calma i nodi e rimuove le foglie e i ramoscelli rimasti impigliati tra i lunghi e spessi peli neri; di seguito, una volta che si fu assicurato che il manto fosse pulito e che gli occhi e le narici non goggiolassero, le coprì la schiena con una coperta e andò a prendere del fieno da un angolo in cui era stato ammassato.

Mentre ne sollevava una grande quantità con un forcone di legno, vide con la coda dell'occhio del movimento appena fuori dalla stalla e udì delle voci; riconoscendo tra esse una voce femminile, non poté impedirsi di osservare quello che stava capitando attraverso le fessure create dall'affiancamento delle assi.

Nella penombra della strada riconobbe la figura sottile della ballerina, che si era cambiata d'abito e che adesso indossava degli spessi indumenti di lana grezza, e, assieme a lei, vi era anche quell'orso di Artemone, il quale, ripresosi dalla batosta con galloni di alcolici, era tornato all'attacco tormentando la ballerina.

-Coraggio, tesoro- la incitava l'uomo, i cui movimenti traballanti e incerti lo facevano sembrare davvero un orso -Perché non mi fai vedere quelle belle mosse che hai fatto prima? Magari potrei insegnartene io qualcuna. Che ne dici?

-Stia lontano da me, signore- rispose gelida la ragazza, allontandosi di un passo dall'uomo -Non sono una delle danne del bordello, da me stasera avrete la danza nella locanda e nulla più.

-Non fare la difficile, piccola!- insistette quello, allungandosi di scatto e afferrandola per un polso; Cleius si lanciò verso la porta, pronto ad uscire imbracciando il forcone, ma la reazione della ragazza lo congelò lì dov'era: con uno scatto felino, la donna aveva arpionato l'avventore per il braccio, aveva fatto leva sulla sua spalla e l'aveva rovesciato a terra come un sacco di patate. Il tutto nel tempo di un battito di ciglia.

Senza nemmeno curarsi se l'uomo fosse vivo o morto, la donna si avviò a lunghi passi verso la stalla, trovandovi Cleius con ancora in mano il forcone una volta che ebbe aperto la porta; per un istante i due rimasero bloccati ad osservarsi, occhi negli occhi come pochi minuti prima nella locanda, ma questa volta non c'era nessuno tra loro e la cosa per un istante li irrigidì.

-Vi conviene riporre il forcone se non avete intenzione di usarlo- disse finalmente la ragazza, spostando i grandi occhi blu dall'uomo al forcone -Potreste cavare un occhio a qualcuno.

-Sono in grado di maneggiare delle armi- ribatté l'uomo, obbedendo però al consiglio della fanciulla e posando l'oggetto a ridosso della parete -Cosa ci fai qui? Non fa troppo freddo per gironzolare per le stalle?- domandò poi, ricomponendosi e assumendo la sua solita aria da duro.

-Io qui ci dormo- rispose quella senza fare una piega e prendendo in contropiede il tribuno, che rimase a bocca aperta, capace soltanto di dire -Ah...

-La cosa vi sconvolge a tal punto?- domandò la ragazza divertita, lasciandosi cadere nel cumulo di fieno.

-Credevo che alloggiassi nella locanda- rispose Cleius, ponendosi davanti a lei e squadrandola dalla testa ai piedi, mentre quella giocava distrattamente con i ramoscelli di paglia.

-In realtà non ci ho mai dormito- disse quella -La padrona non mi ha mai permesso di occupare una delle stanze dei clienti, ma preferisco così: almeno non sono costretta a sentirla russare. Certe volte sento i suoi grugniti persino da qui.

-Sei una sua schiava?- domandò diretto Cleius.

-Diciamo che sto qui solo perché al momento non ho ancora trovato una sistemazione migliore. La padrona è gentile, mi ha accolta quando mia madre è morta di febbri e non mi ha mai costretta a giacere con i clienti della locanda. Tutto sommato, non è tanto male.

-In effetti mi sembra che tu sia cresciuta perfettamente sana...- considerò il soldato, pentendosi un attimo dopo aver pronunciato quelle parole, che avevano causato uno sguardo penetrante e bellissimo negli occhi della fanciulla -Voglio dire- cercò di rimediare -Non sono in molti quelli che possono vantarsi di aver atterrato il tribuno Artemone.

-L'orso ubriaco?- rise la ragazza, la cui voce risuonò limpida e cristallina nelle pareti della stalla -Non è stato nulla di eccezionale: se non l'avessi fatto cadere io, l'avrebbe fatto da solo prima o poi.

-Non ho mai visto una donna fare una cosa del genere- insistette Cleius, felice di aver fatto ridere la sua interlocutrice -Chi te lo ha insegnato?

-L'orso non è stato il primo uomo con cui ho avuto qualche "problemino". L'esperienza fa acquisire l'arte.

La curva di un sorriso illuminò il volto di Cleius che, dopo aver chiesto con lo sguardo il permesso di sedersi accanto a lei, domandò con una gentilezza che da lungo tempo era rimasta celata in lui: -Qual è il tuo nome?

-È buon uso che ci si presenti prima di chiedere il nome a qualcuno- rispose di rimando la ragazza con un sorriso malizioso.

-Io sono Cleius Francus Bardus, tribunus militum della IX legione, tu chi sei, fanciulla?

-Mi chiamo Naevia- sorrise la ballerina -Piacere di conoscerti Cleius.

-Piacere mio- ricambiò on sincerità il tribuno, sdraiandosi sulla paglia con le braccia intrecciate dietro la testa -Ahhh- sospirò accomodandosi su quel soffice giaciglio -Se avessi avuto un paio di gambe come le tue, probabilmente sarebbe stato tutto molto più facile.

-Oh sì- esclamò con una punta di ironia la donna -Avresti potuto sgambettare per i tuoi legionari! Scommetto che avrebbero gradito molto!

-Molto divertente, Naevia- replicò quello, facendole una boccaccia, alla quale la ragaza rispose prontamente mostrandogli la lingua -Per tua informazione da giovane ho ricevuto moltissime dichiarazioni d'amore.

-Stiamo parlando di quanto? Cinquant'anni fa?- rise di gusto Naevia, sdraiandosi di lato accanto all'uomo per ascoltarlo meglio.

-Sei una ragazza irriverente, Naevia- ribatté l'altro, faticando a trattenere un sorriso divertito -Molti non apprezzerebbero un simile comportamento da una fanciulla.

Quella fece roteare gli occhi al cielo e, dopo aver emesso uno sbuffo, rispose: -A me non interessano "molti". Di uomini ce ne sono a legioni là fuori e per tenerli a bada molto spesso basta colpirli sotto la cintola col potere delle parole. Non si aspettano di più da una ragazza che balla sui tavoli mentre loro mangiano e a me di loro non interessa altro che le monete che mi danno alla fine dell'esibizione.

-Direi, a questo punto, che decisamente non sei il genere di ragazza che sogna di diventare la matrona di una bella casa della capitale- ridacchiò Cleius.

-E non poter mai mettere il naso fuori casa senza essere considerata una di facili costumi?- chiese quella -No grazie. Non ci tengo a rinchiudermi in una gabbia dorata. Preferisco il fango della strada sotto ai miei piedi e il cielo aperto sopra la mia testa. Tu invece- proseguì, guardandolo negli occhi -Non mi sembri un soldato come tanti: ho visto come hai sistemato quell'orso. Altri se la sarebbero presa con Flavius, il ragazzo muto, tu invece hai messo a tacere quel bruto, infischiandone dell'opinione di tutti. Non è cosa comune.

-Non vedo perché avrei dovuto prendermela con il ragazzo: lui stava solo facendo il suo lavoro.

Naevia sorrise e per un secondo si perse ad osserevare il volto dell'uomo al suo fianco: nonostante qualche rughetta sulla fronte dovuta a un'espressione perennemente corrucciata, i muscoli facciali di Cleius era distesi e rilassati e la bocca arcuata in un sorriso appena percettibile; il profilo del naso era irregolare, Naevia ritenne che se lo fosse rotto più volte, e la linea della mascella era forte e squadrata. Il tutto completava un quadro armonioso ed affascinante, che la fanciulla non poté impedirsi di ammirare.

-Quando finirò il servizio- disse ad un tratto Cleius, facendola sobbalzare impercettibilmente dalla sospresa -Mi piacerebbe comprarmi un piccolo appezzamento di terreno vicino al mare, dove le acque sono calde e il sole splende tutto l'anno, e vivere lì, coltivando vite e ulivi per ricavarci vino e olio da vendere.

-Io non ho mai visto il mare- confessò la donna, nella cui voce traspariva il desiderio di ammirare quella distesa d'acqua perdersi all'orizzonte.

-Potresti venire a trovarmi, di tanto in tanto- ribatté l'uomo -Ti farei assaggiare il mio vino e ti porterei a cercare conchiglie sulla spiaggia.

-Me e la compagnia di danzatori che avrò fondato nel frattempo- rise di cuore Naevia, la cui risata scemò quando vide negli occhi dell'uomo uno sguardo strano e, all'improvviso, il cuore cominciò a batterle forte dietro allo sterno, facendole fischiare le orecchie.

-Spero che quando verrai a trovarmi- disse pacatamente l'uomo -Vorrai concedermi di trascorrere del tempo in solitudine con te: non potrei sentire la tua risata nel caos delle danze.

-E cosa succederebbe se, invece, te lo negassi?- chiese quasi sottovoce Naevia, avvicinandosi all'uomo, che rispose: -Attenderei la volta dopo, quella dopo ancora e ancora nella speranza che un giorno tu possa cambiare idea.

Come mossi da forza che li spingeva ad azzerare la distanza tra loro, Cleius e Naevia si ritrovarono l'una nelle braccia dell'altro, ad assaporare le loro bocche sconosciute, ma che così bene si incastravano tra loro, come metà di una cosa sola. Ai baci che si concessero accompagnarono le carezze per imparare a conoscersi meglio, a scoprire le cicatrici e le forme dei loro corpi con la calma di chi vuole imprimere nella memoria ogni singolo dettaglio.

Proseguirono senza parlare finché il sonno li vinse e, abbracciati, scivolarono nel mondo dei sogni, dove il mare ruggiva, la sabbia era tiepida sotto ai loro piedi e le loro mani intrecciate affinché né il vento né il tempo potesse mai separarli.



Angolo dell'autrice: salve a tutti e benvenuti alla fine della prima one shot della raccolta Sceglierei sempre te. Spero che vi sia piaciuta e che vi abbia intrattenuto piacevolmente per qualche minuto.

Come avrete compreso, Cleius e Naevia sono proprio i nostri Clint e Natasha in un contesto romano del I sec. a.C.; ho cercato di adattare i loro nomi e le loro personalità al contesto in cui li ho inseriti, cercando il più possibile di evitare strafalcioni storici. Se, nonostante i miei sforzi, fossi comunque inciampata da qualche parte, vi chiedo di non esitare a correggermi, così da poter rimediare.

Credo sia doveroso anticipare che non ho idea della frequenza di aggiornamento che potrò impiegare in questa raccolta, visto che, tra gli impegni universitari e la stesura della mia long fic principale, il tempo da dedicarvi non sarà molto.

Ad ogni modo, spero che l'idea e il suo sviluppo allo stato attuale vi sia stata gradita e che vorrete esprimere un'opinione a riguardo per farmi sapere cosa ne pensate e se avete suggerimenti per migliorarmi.

Mando a tutti un grosso bacio!

Lady Realgar



   
 
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