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Autore: SaraGranger    12/02/2016    1 recensioni
Capisci di aver toccato il fondo quando inizi a bramare le attenzioni del tuo Dolore...
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nata da uno sfogo personale in una serata particolarmente pensosa. 
Buona lettura, un commento fa sempre piacere, grazie per essere arrivati qui. 


La porta del Motel si socchiude piano lasciando entrare un filo di aria gelida insieme alle mie agogniate paure.
Le illuminazioni natalizie disseminate per la città inondano il suo viso ad intermittenza di blu, rosso, bianco. Uno spirito, un demone, un angelo.
Non ho mai capito come dovrei definirla, so solo che è sovrannaturale, qualcosa di cui non riuscirò mai a liberarmi perché arpionata lì, dove il sangue viene pompato, e provare ad estrarla farebbe più male che lasciarla dove si trova, ormai fusa con me stessa, una cancrena senza possibilità di guarigione.
Bella.
Quello l’ho sempre saputo, è meravigliosa senza dover far nulla. Ho perso il conto delle volte in cui mi ero addormentata fissandola, domandandomi come potesse risultare così pura dopo tutto quello che avevamo condiviso fino a poche ore prima, testimoni i segni violacei ed inebrianti come vino sparsi sul corpo.
Ma l’apparenza inganna, me lo ripeto in continuazione, ed in continuazione lo dimentico, stregata e troppo assorta nel farmi fottere il cervello dalle sue poche parole, dalle sue morbide labbra, dalle sue spietate mani.
Mi dico “una volta, una volta sola, l’ultima e poi basta”, e so di star mentendo a me stessa.
Sono una masochista indecentemente felice del proprio ruolo.
Buio.
La porta si chiude e il mondo rimane fuori, il Natale è una parola come altre, le voci dei passanti sono il sottofondo di ingordi topolini senza scrupoli e l’unica cosa reale sono i suoi passi che, sinuosi come le spire di un serpente, si muovono senza fretta.
Fretta.
Lei non ne ha mai avuta. Ha sempre saputo che mi avrebbe ritrovata qui, ancora una volta, che non me ne sarei mai andata finché non fosse stata lei stessa a cacciarmi, troppo assuefatta dall’effimera sensazione di casa e sicurezza per aver il coraggio di ribellarmi.
“Uccellino” mi ha sempre chiamata, perché mi accontento delle briciole, sono felice delle briciole, forse perché sono l’unica cosa che ho sempre conosciuto. Non so cosa significhi aver donato altro e di quei blandi sentori di presenza mi nutro e sopravvivo.
< Hai tagliato i capelli. > non è un complimento, non una domanda, è semplice constatazione senza sott’intesi, senza nessun valore se non quello di mettere in moto le corde in gola.
Mando giù il groppo di aspettative che mi tengo dentro da tutto il giorno e annuisco vedendo fare all’altra lo stesso identico gesto.
Silenzio.
Le sue mani affondano nei fili freschi di parrucchiere odorandoli continuando a non emettere suono, ma capisco che è il suo segno d’apprezzamento.
Non ha mai parlato molto lei, ha sempre avuto la straordinaria capacità di esprimere tutto senza bisogno di usare quello strumento di discordie e divisione, ed io mi sono persa in quei silenzi come fossero le più melodiose poesie, come solo un sordo potrebbe fare davanti un quadro di inaspettata bellezza.
Le mie palpebre si chiudono di scatto mentre una mano, dalle unghie curate e senza smalto, accende la lampada sul comodino.
Luce e Ombra. Una delle tante contraddizioni che la contraddistinguono.
E’ una creatura che vive nell’ombra ma ama la luce, ama osservare i suoi stessi gesti, le sue vittime, analizza tutto ed immagazzina. Non ho mai capito a che scopo, per chi o per cosa.
Semplicemente l’ho accettato, in realtà non mi è mai importato poi molto. Se le serve questo per continuare a vederla spuntare come il sole tra le nuvole, allora me lo sarei fatto andare bene.
Il suo collo è fasciato dalla solita collanina con il pendente di un simbolo tribale che non ho capito cosa rappresenti, non ho mai avuto abbastanza coraggio per chiederglielo. È semplicemente parte di lei come le braccia e le gambe, non si domanda a qualcuno perché ha gli occhi o il naso, così non ho mai chiesto perché porta quella collana sempre con sé.
Per quel che ne so può essere un semplice ornamento, un moto di vanità o, invece, il simbolo di una profonda unione con qualcuno. Forse non lo scoprirò mai.
Una fitta potente, come una freccia scagliata direttamente al cuore, mi attraversa nel momento stesso in cui vedo tre strisce rosse, ancora fresche, proprio accanto al ciondolo. Mi ricordano che lei non è mia, che non lo è mai stata, che non lo sarà mai.
Che io sono solo sua, ma lei è di chiunque voglia.
È una delle tante cose a cui mi sono dovuta abituare, a cui mi sono voluta abituare.
Le sue falangi si spostano più in basso, si infilano sotto la maglietta senza troppe cerimonie fino ad arrivare al mio sterno, proprio lì dove l’eco della fitta ancora si fa sentire e morde la carne.
Piacere e dolore. Altra contraddizione.
Lei è tutto, non si può decidere di avere solo una parte, non te l’avrebbe mai permesso, piuttosto avrebbe ucciso e strappato a morsi quella parte di te che non l’accetta nella totalità.
Il quadrante al muro segna le tre notturne di un Venerdì qualsiasi uguale e diverso da mille altri.
Ma non pare importarci il fatto che sia tardi, che ad un orario del genere la brava gente, le brave ragazze, dovrebbero dormire nel proprio letto facendosi abbracciare solo da Morfeo.
Non ci importa essere brave ragazze, non ci importa proprio un bel nulla se non di ritrovarci esattamente dove siamo, nelle braccia che abbia accanto, attorno, ovunque. Almeno per qualche ora.
La lampada sfrigola nell’abbassamento di tensione dovuta a chissà cosa e sembra quasi ammiccare alle lancette che imperterrite vanno avanti e scorrono le ore, unici testimoni e guardoni di un’unione sbagliata, contorta, dolorosa…perfetta.
< Se-Serenity... > l’ironia che si diverte continuamente anche in quel nome, ennesimo contrasto della figura che mi sta togliendo il senno prendendolo con sé a piene mani. Perché lei non ha nulla della serenità dietro alla quale s’identifica, non ne dona e non ne possiede.
Eppure se mi chiedessero di rinominarla non saprei trovare un nome più corretto, in cuor mio non avrei il coraggio di provare ad intaccare nemmeno in minima parte quell’insieme così scoordinato nelle singole parti ma perfettamente omogeneo e armonioso nell’insieme.
E forse non è soltanto l’occhio dell’uomo che riesce a farsi ingannare così facilmente, trovando che l’insieme è molto più della somma delle parti.
Nell’istante in cui capisco di essere ceduta ai normali ritmi della vita umana, le palpebre si aprono stanche domandandosi quando si siano chiuse. Il Sole si fa pieno protagonista nella stanza mettendo in risalto il pulviscolo lento e scoordinato che, coraggioso, fa capolino tra gli spiragli della tenda logora. La mano piccola e appena sveglia si muove cercando quello che sa non troverà.
Le lenzuola sembrano innaturalmente fredde dal suo lato del letto dopo il calore che so appartenere all’altra.
Fuoco e ghiaccio.
Dopo tutto quel tempo non riesco davvero a stupirmi di un tale risveglio. Fa semplicemente parte di quella strana e insensata routine alla quale mi ostino a prendere parte. Eppure, come ogni volta, la sensazione di amaro e incompleto non scivola via da me se non dopo molti minuti di una doverosa doccia calda. Riesco a ripercorre i passi che ha compiuto Lei prima di sparire per chissà dove, per chissà chi. La carta dello snack del minibar abbandonata sul tavolo, un bicchiere mezzo vuoto d’acqua sul comodino, l’asciugami ancora umida e stropicciata –impregnata del suo odore- nel bagno.
Tutto sa di lei e la rende un’esistenza così pressante da amplificarne la mancanza.
Presenza e assenza.
Erano queste le sue caratteristiche principali e, forse indecentemente, migliori.
Quando l’ennesimo sospiro si infrange sulle mie labbra spaccate dai quei morsi che sanno di una punizione ingiustificata, mi dico che si, basta, non sarebbe mai più accaduto.
Chiudo gli occhi e la porta dietro di me scricchiola forte incastrando la serratura e reggendo il peso delle mie spalle abbandonate addosso ad essa.
Nella tasca le dita si stringono attorno ad un foglietto di carta, gemello di mille altri, decorato con una calligrafia tonda e semplice che annuncia un’ora ed un giorno.
Uno dei mille altri certo e no, neanche sta volta l’ultimo della serie.
< A presto... >
 
  
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