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Autore: Lou Asakura    22/03/2009    7 recensioni
Lo zio gli sorrise. «Lo sai, Al? Sei molto più maturo di quant’ero io alla tua età. Pensavo solo ad ideare scherzi di ogni tipo insieme a Fre...».
Si bloccò, e gli occhi caddero inevitabilmente sulla foto spiegazzata.
In un angolo, un George più giovane di vent’anni e con un orecchio in più salutava sorridendo, il braccio passato attorno alla spalla di un ragazzo identico a lui, entrambi allegri, entrambi ignari del futuro che incombeva su di loro.
Come Remus e Tonks, come Malocchio Moody, come Bill.
Tutti sorridevano e salutavano, ed Albus pensò, con improvvisa gioia, che avrebbero continuato a sorridere e salutare per sempre, ed avrebbero vissuto in quella foto spiegazzata senza che nessuno li dimenticasse mai.
[Post Doni della Morte]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, George Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Blurred photography

Blurred photography

 

Albus si divincolò a fatica dal groviglio di gente che infestava il salotto di casa propria e sgusciò al piano di sopra, deciso a nascondersi nella propria stanza per un po’.

Almeno, si disse, finché Fred e James non avranno smesso di sperimentare su di me i loro trucchetti. S’infilò sotto il piumone colorato e tirò fuori la testa, tendendo l’orecchio per percepire in anticipo gli strepitii del fratello e del cugino e – in caso di bisogno – preparare una difesa in anticipo.

Invece, tutto ciò che udì furono gli schiamazzi confusi dello zio Ron –doveva essere di nuovo ubriaco. Non cambiava mai, lo zio-, soppiantati presti dalle urla, ancora più rumorose, della zia Hermione, ed il suono di qualcosa che gli parve proprio una bottiglia di vetro frantumata sul capo di qualcuno, probabilmente lo stesso zio Ron.

Chiuse gli occhi e si rannicchiò di più nel suo piccolo giaciglio, deciso a non uscirne almeno finché la furia della zia Hermione non si fosse placata. Quando questo accadde (parecchi minuti dopo, a dire la verità), tirò fuori la piccola testa di arruffati capelli neri, e fu di nuovo capace di udire le voci provenienti dal piano di sotto.

Riconobbe distintamente tra tutte le altre la voce calma e pacata di suo padre, e l’immaginò seduto al tavolo a discutere con lo zio Bill o con Teddy, o magari con quel tale Ralf, il neo-marito di Luna. Albus non era ancora riuscito ad inquadrarlo bene, ma pensava –come tutti gli altri bambini, d’altronde- che fosse divertente.

Quasi quanto lo zio George.

Non appena l’ebbe pensato, udì gli schiamazzi di Fred e Roxanne –certamente reduci dall’ennesima marachella- coperti dalla voce squillante (e piuttosto arrabbiata) della zia Angelina, che –Albus lo sapeva- riusciva ad essere tanto spietata sul campo da Quidditch che con i figli.

Tese ancora l’orecchio, aspettandosi di sentire la voce dello zio George che tentava di difendere i due (per poi venir malamente picchiato dalla moglie), ma questo non accadde.

Albus era certo che l’unica cosa capace di tenere suo zio George in silenzio e fuori dai  guai per più di cinque minuti dovesse essere un guaio ancora maggiore per il resto della popolazione terrestre.

Con un sospiro, sgusciò fuori dal giaciglio sicuro che era il piumone ed uscì piano dalla camera, guardandosi intorno alla ricerca di James. Lo scorse qualche metro più in basso, a metà della scalinata che conduceva al piano di sotto, il braccio poggiato sul corrimano e le dita nei capelli nel tentativo evidente di pavoneggiarsi, intento a –ad Albus quasi cadde la mascella per lo stupore- corteggiare Rose Weasley.

, poteva rivelarsi un colpo di fortuna. Li superò entrambi senza che il fratello battesse ciglio e s’inoltrò nuovamente nella confusione che regnava di sotto, perlustrando con lo sguardo il salotto alla ricerca dello zio George.

Passò accanto a suo padre, lo sentì chiedere a Bill «Sai perché Percy non è venuto?».

«Lavoro», rispose quello, «lo sai che lavora alle dirette dipendenze di Kings... ehm, del Ministro, no? E poi, pare che oggi la piccola Lucy non si sentisse troppo bene...».

Albus si allontanò prima di poter udire il resto della frase.

Vide Victoiredecisamente la più bella tra tutte le sue cugine- chiacchierare amorevolmente con Teddy Lupin, spostandosi di tanto in tanto i capelli dorati dal viso in un tentativo che ad Albus parve assai simile ai cosiddetti “metodi di seduzione” di James.

Poco più in la, Louis, Hugo e Lily erano impegnato in un animata discussione su quale sarebbe stata la loro casa ad HogwartsAlbus sentì una spiacevole fitta al petto quando realizzò che di li a qualche settimana avrebbe intrapreso il suo primo anno in quella scuola-.

Fred e Roxanne stavano seduti in un angolo, imbronciati e sorvegliati a vista dalla madre, ovviamente decisa a non perderli di vista un attimo.

Dominique era insieme a Fleur, che le aggiustò i capelli con un colpo di bacchetta. Ora sei tonto jolie, ma bonbon»).

Albus si fece spazio tra la moltitudine di parenti; vide sua madre e zia Hermione chiacchierare con Luna, la quale si accarezzava il ventre rigonfio con aria sognante («Due gemelli, oh, Luna, non posso crederci!»), mentre Ralf intratteneva una conversazione unilaterale con Ron, il quale era, ovviamente, ancora sbronzo.

Poi, all’ennesima perlustrazione del salotto di casa propria, finalmente Albus scovò zio George. Stava seduto a braccia aperte sul divano in fondo alla stanza, stranamente il silenzio e stranamente tranquillo, fissando gli altri con occhi che parevano non vederli davvero.

Il piccolo Potter gli si sedette accanto con noncuranza.

«Ehm... zio George?».

L’altro sobbalzò e si voltò verso il bambino, sorpreso. «Al, non ti avevo sentito arrivare! Da quando sei qui?».

«Qualche secondo, zio».

«Ah... ecco. , fantastica la festa, eh? Se solo tuo padre mi permettesse di animarla un po’...».

Albus lo guardò, senza lasciarsi ingannare da quel brusco cambio di argomento. «zio George, come mai sei giù di morale?».

Il Weasley si bloccò di colpo e fissò il bambino, con la bocca aperta. «A te non sfugge proprio niente, eh, peste?».

Albus fece segno di “no” col capo, e George sospirò, rassegnato. Infilò la mano nella tasca dei jeans e ne estrasse una foto spiegazzata, che contemplò per qualche attimo prima di porgerla al bambino.

«Ecco, guarda. Questa è una foto del vecchio gruppo... l’ho trovata stamattina in soffitta».

Albus spalancò gli occhi verdi (gli occhi di sua nonna, come tutti solevano ripetergli) e fissò stupito ed emozionato la moltitudine di figurine sorridenti che salutavano lo spettatore, ancora ignari di quel futuro che ad Albus era tristemente noto.

«Uh, guarda, guarda», indicò George, «questo qui era tuo padre da giovane, era identico a te, pazzesco, e qui...». Indicò una ragazzina allegra ai margini della foto. «c’è tua madre. Identica alla piccola Lily, l’avresti certamente riconosciuta. Vediamo... Ron ed Hermione (oh cavoli, quante lentiggini che aveva Ron...)... mia madre e mio padre, com’erano giovani allora...». Si fermò e fissò Albus, lo sguardo più serio di come il nipote l’avesse mai visto. «Il resto non è piacevole, Al. Meglio finirla qui».

Ma il bambino non era d’accordo. «No, zio George!», implorò, sgranando gli occhioni verdi, «ti prego! Sono grande ormai, l’anno prossimo frequenterò Hogwarts, e poi sono certo che quando avevi la mia età anche tu volevi...». Si bloccò, alla vista della nuvola scura che per un attimo aveva attraversato gli occhi dello zio. «Ehm... s-scusa».

George tirò un profondo sospiro e poi fece un grande sorriso, seppur più spento del solito. «Fa niente, Al. Mi hai convinto. Se proprio ci tieni...»

«Si!».

George sospirò ancora e piazzò la foto spiegazzata davanti al naso di Albus. «Sirius Black», disse, indicando un uomo sorridente dai folti capelli neri che salutava felice. «Il padrino di Harry. Era come un padre, per lui. Morì quand’ero al settimo anno, ancora non abbiamo ben capito come. Albus Silente», e indicò la figura al centro del gruppo, un vecchietto simpatico dalla lunga barba bianca. «è colui di chi porti il nome. Era un grande... lo ammiravamo tutti. Morì assassinato da Piton, ma tutta la storia te la racconto un altro giorno. Malocchio Moody... che uomo, Malocchio». Indicò un uomo tarchiato che fissava gli altri roteando all’impazzata l’occhio metallico che portava al posto del suo. «Un anatema che uccide lo colpì in pieno mentre cercavamo di portare in salvo tuo padre».

La voce di George si era fatta più bassa, quasi malinconica. «Lui è Bill», disse, indicandolo, e Albus sgranò gli occhi. Il Bill della foto non aveva il volto orrendamente deturpato: era un ragazzo sorridente, dai lunghi capelli legati in una coda e pesanti orecchini di corno pendenti dai lobi.

Guardò George, in attesa di spiegazioni. «E’... è stato Fenrir Greyback», spiegò lo zio, con voce grave. «Era un Mangiamorte. L’ha calpestato durante la prima battaglia di Hogwarts, tuo padre era al sesto anno».

Albus fissò per un attimo Bill, il volto cicatrizzato teso in un sorriso mentre chiacchierava con suo padre, e subito dopo spostò lo sguardo sul Bill della foto: mai avrebbe detto che si trattasse della stessa persona.

Allora, cominciò a capire cosa intendesse lo zio con “il resto non è piacevole”, ma non si pentì di essere andato fino in fondo. Aveva dieci anni e sentiva di avere tutto il diritto di conoscere la verità, sapere cos’era accaduto prima della sua nascita, quanti erano morti tentando di ottenere la pace di cui adesso lui usufruiva, gratuitamente, come fosse una cosa scontata...

«Continua», disse allo zio. Quello sospirò ancora e riprese la foto. «Remus Lupin e Ninfadora Tonks», disse, a bassa voce, indicando un uomo sorridente dai capelli ingrigiti, che pareva più vecchio della sua età, accanto ad una ragazza allegra dai capelli corti e rosa. «Sono i...»

«... i genitori di Teddy», concluse Albus per lui, fissandoli in volto come se si aspettasse che gli rispondessero.

«Si», fece George, «se ne sono andati quando lui aveva meno di un mese di vita. Ammazzati dai Mangiamorte».

Per qualche secondo, Albus fu incapace di parlare. Guardò Teddy, adulto e sorridente, che chiacchierava con Victoire ignaro di tutto, e provò ad immaginare quanto dovesse aver sofferto. Si chiese se ricordasse i volti dei suoi genitori. Se ricordasse di aver avuto dei genitori.

«E’ stato fortunato, sai», disse George, «che tuo padre abbia deciso di prendersi cura di lui. Non è mai stato solo. Sa che i suoi genitori sono morti per un motivo nobile, ed è fiero di loro. E’ fiero di chiamarsi Teddy Remus Lupin».

Albus guardò gli altri.

Non ci aveva mai pensato. Non aveva mai pensato a quanto ognuno di loro dovesse aver sofferto per arrivare a dov’erano adesso, a quante perdite avesse dovuto sopportare.

Li guardò uno per uno, adulti, sorridenti, padri e madri, eppure in quell’istante non gli sembrarono altro che i ragazzi che erano stati, cresciuti troppo in fretta e segnati da troppo dolore.

Lo zio George l’osservava, paziente. «Sapevo che non avrei dovuto dirtelo», mormorò.

Albus sobbalzò. «No! Hai fatto benissimo, zio George. Ora sento di essere davvero pronto a cominciare Hogwarts. Ora che so quanti... quanti sono morti per assicurarci ciò che abbiamo».

Lo zio gli sorrise. «Lo sai, Al? Sei molto più maturo di quant’ero io alla tua età. Pensavo solo ad ideare scherzi di ogni tipo insieme a Fre...».

Si bloccò, e gli occhi caddero inevitabilmente sulla foto spiegazzata.

In un angolo, un George più giovane di vent’anni e con un orecchio in più salutava sorridendo, il braccio passato attorno alla spalla di un ragazzo identico a lui, entrambi allegri, entrambi ignari del futuro che incombeva su di loro.

Come Remus e Tonks, come Malocchio Moody, come Bill. 

Tutti sorridevano e salutavano, ed Albus pensò, con improvvisa gioia, che avrebbero continuato a sorridere e salutare per sempre, ed avrebbero vissuto in quella foto spiegazzata senza che nessuno li dimenticasse mai.

«Che hai li, George?», fece d’improvviso la voce di suo padre, Harry. Vide lo zio infilare rapidamente la foto nella tasca dei pantaloni.

«Ehm... niente...»

Ma Albus non aveva intenzione di mentire. Lui sapeva, e voleva che suo padre lo sapesse.

«E’ una foto», disse orgoglioso, e George gli scoccò uno sguardo disperato. «una foto di quando eri giovane, papà. Ci sono tutti».

Il viso di Harry si fece per un attimo pensieroso e poi si aprì, a sorpresa, in un grande sorriso. «Ti va di guardarla insieme agli altri, Al?».

Gli occhi verdi di Albus si illuminarono. «Si!». Prese la foto dalle mani di George e saltellò verso gli altri, ai quali Harry aveva annunciato “Guardate un po’ cos’abbiamo qui!”.

E la storia si ripete. Un’altra volta.

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice:

La mia prima fanfic su Harry Potter! Che emozione >___<. Era da tanto che meditavo di scriverne una, ma non ne avevo mai trovata l’occasione. Occasione presentatami stamattina, un po’ per distrarmi da una certa delusione, un po’ per mettere su carta (o su documento word, se preferite XD) l’insieme di emozioni che mi assalgono quando penso al finale dei Doni della Morte, al piccolo Teddy orfano, a George senza Fred...

Vediamo, ho ipotizzato che George fosse lo zio preferito di Al (ed un po’ di tutti, immagino XD), e che Luna e Ralf si fossero sposati da poco (ci viene detto dalla Rowling che Luna ha preso marito molto dopo degli altri).

Il motivo della festa... , potrebbe essere la doppia gravidanza di Luna, oppure una semplice rimpatriata XD.

E poi, ho ovviamente preso spunto da una delle mie scene preferite dell’Ordine della Fenice, cioè quella in cui Malocchio mostra ad Harry la foto del “vecchio gruppo”.

Immaginarla con Albus è stato facile.

Uhn, ora vi lascio, sperando di tornare presto a scrivere in questo fandom, nonostante io sia fin troppo occupata in quello di Bleach XD.

Bye <333.

 

Edit: Grazie a Bex Vampire per avermi segnalato quelle due terribili sviste. Ho provveduto immediatamente a correggere <3.

   
 
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