Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: gasoline    13/02/2016    2 recensioni
« Heichou... »
« Cosa c'è? »
« Mi dispiace ».
Eren Jaeger è un ragazzo di diciotto anni che, dopo la morte della madre, vive in una situazione familiare difficile: il padre è totalmente assente nei confronti del figlio, mentre la sorella adottiva maggiore, Mikasa, si comporta quasi come una sostituta della defunta, rendendo la convivenza, per il giovane, quasi un' oppressione. Tutto sembra andare storto quando, come partito da un faro sul bordo di una scogliera, un fascio di luce argentea di nome Levi, uomo dal passato tenebroso e duro, investigatore in incognito, assoldato dal liceo in cui studia Eren per bloccare un associazione mafiosa conosciuta come "I Giganti" che vuole impadronirsi della scuola,non sconvolge completamente la sua vita.
Credi nella reincarnazione?
[Dal primo capitolo:
Se chiudeva gli occhi verdi, immagini orribili passavano come un film ad alta velocità sotto le sue palpebre, costringendolo ad abbandonare l'idea di provare ad addormentarsi.
Soprattutto nelle ultime notti aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel suo letto, fissando il buio delle cortine tirate, ascoltando il proprio flebile respiro, per poi abbandonarsi spossato a scarne ore di ristoro che vedevano troppo presto l’alba. E quella che sembrava una maledizione, continuò anche quella notte, lasciandolo silenzioso nell'oscurità.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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<< Heichou… >>
<< Cosa c’è? >> 
<< Mi dispiace >>.



WE MEET AGAIN, 2000 YEARS LATER
Cliffs Edge


 

  1. METROPOLITANA.


Ormai ci aveva fatto l'abitudine: una malatissima e fottuta abitudine.
Morfeo pareva volerlo punire ulteriormente privandolo, implacabile, del suo dolce abbraccio fin da quando sua madre era morta.
Il giovane aveva pensato che, una volta passati tanti anni, tutto si sarebbe risolto ed i suoi problemi d'insonnia cancellati...ma non fu mai così.
Se chiudeva gli occhi verdi, immagini orribili passavano come un film ad alta velocità sotto le sue palpebre, costringendolo ad abbandonare l'idea di provare ad addormentarsi.
Soprattutto nelle ultime notti aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel suo letto, fissando il buio delle cortine tirate, ascoltando il proprio flebile respiro, per poi abbandonarsi spossato a scarne ore di ristoro che vedevano troppo presto l’alba. E quella che sembrava una maledizione, continuò anche quella notte, lasciandolo silenzioso nell'oscurità: Eren Jaeger, in tutti i suoi diciotto anni di vita, non era mai riuscito a capire il perché di quel supplizio notturno. Premeva il viso sul cuscino, con la mente annebbiata, desiderando di non dover mai più muovere un muscolo.
Ed arrivò, invece, il momento di alzarsi, segnato dal fastidiosissimo richiamo della sveglia che aveva impostato sul cellulare.
Merda, dovrei cambiare suoneria pensò, infastidito dalla musichetta di Super Mario sparata a tutto volume dal suo smartphone. 
Con una manco cercò l’aggeggio e spense quella tortura, lasciando poi crollare il telefonino sul comodino accanto al letto.
Il tepore delle coperte di Spiderman in cui si era rannicchiato gli rendeva quasi difficile alzarsi, ma Eren sapeva che fare tardi a scuola ancora una volta gli sarebbe costato molto caro, soprattutto perché alla prima ora, quel giorno, aveva la Professoressa Hanji Zoe, forse una delle donne più strane che il giovane avesse mai visto.
Insegnava scienze della terra, biologia e chimica. 
Dietro quegli occhiali portati spesso tra i folti capelli castano scuro, si nascondeva uno sguardo a tratti folle che ad Eren ricordava molto quello degli scienziati pazzi nei vecchi film in bianco e nero che qualche volta, quando era più piccolo, aveva visto con suo padre e sua sorella maggiore adottiva Mikasa. 
Eppure, nonostante il suo rapporto non troppo amichevole con le materie insegnate dalla professoressa, il ragazzo percepiva un certo feeling e spesso si rivolgeva a lei quando aveva un problema, anche perché la donna occupava il ruolo di psicologa della scuola. 
Socchiuse gli occhi, quando venne bruscamente riportato alla realtà da dei forti colpi battuti contro la porta della sua camera: << Eren, sei sveglio? Muoviti o farai tardi e non ti azzardare a saltare la colazione! >> gridò dal corridoio Mikasa, continuando a sbattere il pugno contro il legno. Il giovane mugugnò un “va bene” e decise, finalmente, di alzarsi dal letto. Sbadigliò, passandosi una mano tra i capelli castani perennemente spettinati, poggiando i piedi per terra, trascinandosi verso la finestra vicina; tirò su le tendine, rivelando un cielo grigio e freddo, dominante su Berlino. Una pioggia sottile cadeva sui tetti della case, rimbalzando sui marciapiedi, cadendo nelle pozzanghere; piccole goccioline scivolavano lente sul vetro appannato.
Sospirò, voltandosi verso la porta del bagno che aveva in camera. Afferrò la maniglia e con uno scatto veloce, premette l’interruttore della luce, illuminando la stanza.
Si calò i pantaloni e fece ciò che la natura comandava di prima mattina, per poi darsi una lavata al viso ed una sistemata alla chioma ribelle. Indossò la divisa e, ancora intontito, prese il suo zaino e scese le scale diretto verso la cucina per fare colazione, ma soprattutto per evitare il linciaggio da parte di sua sorella, che ci teneva particolarmente alla sua salute mentale e fisica. 
Mikasa studiava medicina all’università, decisa a seguire le orme di suo padre adottivo e fino a quel momento non c’era stato un esame che non avesse passato con il massimo dei voti. La ragazza, fin da piccola, ricordò Eren scendendo le scale, aveva sempre dimostrato grandi abilità in praticamente ogni cosa che faceva, comprese le arti marziali a cui si era dedicata durante gli anni di liceo e che tante volte erano servite al ragazzo quando si ritrovava in pasticci che sfociavano sempre con la violenza.
Sospirò, saltando giù dall’ultimo gradino, dirigendosi verso la cucina. L’odore del caffè impregnava la stanza, mentre il rumore delle uova strapazzate in padella, che sfrigolavano allegramente, gli fece subito venire l’acquolina in bocca. Eren di solito si svegliava tardi e non mangiava mai con Mikasa e suo padre, con tanto disappunto da parte della prima, e ingoiava velocemente una brioche confezionata comprata nel distributore automatico della scuola. Alcune volte, invece, saltava il primo pasto della giornata per evitare di stare a tavola con il Dottor. Grisha Jaeger, il suo adorato papà, il quale non rappresentava di certo una compagnia allegra e piacevole. I due non avevano mai avuto un rapporto molto affettuoso o stretto e quel poco dialogo da padre a figlio tra i due era stato pericolosamente crepato dal lutto che aveva subito la famiglia intera. L’uomo si era come rinchiuso ancora di più in se stesso e con il ragazzo sembrava non voler intraprendere nessun tipo di relazione, forse perché il più giovane assomigliava fin troppo alla moglie defunta e sentirlo parlare, ogni volta, era come una pugnalata dritta al petto.
<< Buongiorno >> disse, prendendo posto di fronte al genitore intento a leggere un paio di carte importanti. Non si meravigliò quando non ottenne nessuna risposta dal padre, che gli rivolse solamente una breve occhiata vuota attraverso gli occhiali, per poi riprendere a fissare il foglio, muovendo nervosamente la gamba destra.
Mikasa gli portò la colazione, composta da uova, toast ed una tazza di caffè caldo ed Eren cominciò a mangiare, in silenzio. La sorella prese posto accanto a lui, stringendo tra le dita una tisana che solo lei era in grado di mandare giù.
I capelli corvini, tagliati recentemente, le ricadevano morbidi sulla fronte: << Allora >> disse, spezzando quella quiete tesa che Eren stava tentando di mandare giù assieme al toast: << La scuola è ricominciata da un mese, ma ho saputo che ci saranno tante novità interessanti: sono calate le iscrizioni o sbaglio? Immagino che si stiano inventando qualche corso speciale, hai intenzione di partecipare a qualcuno di questi? >> gli chiese, avvicinando la tazza con il manico a forma di elefante alle labbra. Suo padre si strofinò gli occhi con una mano, corrugando le sopracciglia chiare e rade, poi si ravviò all'indietro i capelli neri che gli sfioravano quasi le spalle.
Aveva un'aria stanca.
Eren giocherellò con le uova che aveva nel piatto, punzecchiandole con la forchetta: << Penso che sceglierò arte o magari mi iscriverò come volontario per l’organizzazione di festival ed altro >> bofonchiò, alzando poi lo sguardo verso l’orologio appeso al muro. Non era tardi, ma sicuramente con la pioggia ed il traffico mattutino, arrivare alla metropolitana gli sarebbe costato un bel quarto d’ora, se non venti minuti. << Oh, sembra magnifico. Ed Armin cosa ha scelto? >> domandò ancora Mikasa, tentando per l’ennesima volta di portare in vita una possibile discussione che, però, non sarebbe mai nata.
<< Non lo so >> tagliò corto, spingendo da parte il piatto, alzandosi. Eren vide chiaramente negli occhi blu della sorella un bagliore di rimprovero nei suoi confronti. Lui rispose con un’alzata di spalle ed afferrò la cartella.
Indossò le scarpe ed il cappotto e, prima di uscire, infilò le cuffiette collegate all’Ipod nelle orecchie.
<< Io esco >> salutò semplicemente.
La riproduzione casuale cominciò con il ritmo di “Numb” dei Linkin Park, proprio mentre Eren si chiudeva la porta di casa alle spalle ed apriva l’ombrello, riparandosi dalla pioggia che ancora non voleva saperne di fermarsi. Il rumore delle gocce d’acqua che rimbalzavano contro la tela rossa del suo parapioggia erano appena percettibili sotto il volume della canzone che il moro aveva alzato fino al limite del sopportabile.
I suoi occhi guardavano la strada che portava alla metropolitana, abituati a vedere sempre le stesse case, sempre gli stessi negozi e quasi sempre le stesse persone. Eren non era l’unico che percorreva quella strada per raggiungere la sua scuola, ma, sfortunatamente, non conosceva quelle persone che indossavano la sua stessa divisa. Non era difficile affatto per lui fare amicizia, ma spesso tendeva a stare solamente con il suo ristretto gruppo di amicizie. Si conoscevano ormai da una vita e navigavano quasi tutti sulla stessa linea di pensiero: certo, non andava proprio d’accordo con tutti, ma si fidava ciecamente di loro.
I suoi amici abitavano tutti nella stessa zona dell’edificio scolastico e forse proprio per quello non avevano mai avuto nessun problema con i ritardi, o almeno ad Eren piaceva giustificare così la propria tendenza ad entrare in classe un filino dopo il suono della campanella.
La voce di Chester Bennington, il cantante del gruppo, rendeva la sua camminata più piacevole e quando la canzone finì, Eren fu tentato di rimetterla daccapo, ma “Monster” degli Skillet prese possesso del suo cervello e Numb fu presto messa da parte. La musica, per lui, era sempre stata una passione, nonostante non sapesse cantare o suonare uno strumento. In camera aveva un’intera pila di cd, alcuni dei quali era riuscito anche a farsi autografare, e li custodiva gelosamente nella sua libreria che, al posto di contenere i libri di scuola che erano abbandonati in un angolo della scrivania, era piena di fumetti, dvd e videogiochi, una sua altra grande passione. Si poteva dire che quello fosse l’unica cosa in ordine nella sua stanza.
Eren non aspirava a diventare un dottore o un avvocato, una volta finita la scuola: era consapevole di essere all’ultimo anno, e quindi di dover darsi una mossa a scegliere cosa fare, ma preferiva dare tempo al tempo. Certo, lui aveva sempre quella mezza idea di diventare militare, ma quel suo pensiero veniva completamente rifiutato dal padre che, se proprio doveva parlargli, era per fargli intraprendere una strada diversa da quella che lui aveva intenzione di costruire per se stesso. 
Il giovane dovette ascoltare ancora un’altra canzone, prima di arrivare finalmente in metropolitana. Chiuse l’ombrello e tolse una cuffietta da un orecchio, avvicinandosi alla donna alla biglietteria.
Una volta comprati i biglietti sia per l’andata, sia per il ritorno, scese le scale che portavano ai binari frettolosamente, notando l’orario pericolosamente vicino all’arrivo del treno. Quel suo correre a rotta di collo venne accompagnato dagli Snow Patrol e la loro “What if the storm ends?”: per qualche motivo, Eren adorava quel pezzo.
Con un balzo evitò gli ultimi tre scalini, atterrando direttamente sul pavimento, causando un piccolo infarto ad una donna dall’aspetto appuntito che stava andando nella direzione opposta. Per sua fortuna, il treno non era ancora arrivato, così il giovane si piegò sulle ginocchia, affannando, tentando di regolarizzare il respiro.
Era davvero fuori forma, nonostante fosse molto magro: avrebbe dovuto iscriversi in palestra e mangiare più sano…se solo ne avesse avuto voglia! Si passò una mano tra i capelli, mentre con gli occhi percorreva i volti delle persone che, come lui, aspettavano stretti nei loro completi da lavoro l’arrivo del treno. 
E fu allora che, dopo tanto tempo, qualcosa in Eren si risvegliò.

What if the storm ends?
And I don't see you 
As you are now 
Ever again

Durò il tutto una manciata di secondi, il tempo che bastava per permettere ad una scossa di nostalgia di attraversargli il corpo. Una scarica grigia, profonda e disarmante, scavata nel volto di un uomo che, con una fretta appena accennata, stava scendendo le scale poco prima percorse da lui stesso. Schiuse le labbra, rimanendo letteralmente senza fiato, mentre dentro di lui il cuore sembrava aver perso alcuni battiti.

The perfect halo 
Of gold hair and lightning
Sets you off against
The planets last dance 
Just for a minute 
The silver-forked sky 
Lifts you up like a star
That I will follow

Lo percepiva nettamente spingere contro le costole, mentre il suo sguardo smeraldo ancora incrociava quello perla dello sconosciuto che, tenendo in mano una valigetta e nell’altra un cellulare premuto contro l’orecchio, sembrava dello stesso avviso. Si era fermato a metà strada, la fronte aggrottata ed i capelli neri dal taglio a ‘sfumatura militare’ un po’ arruffati dall’umidità della pioggia.
Probabilmente si sentiva quasi disturbato dagli occhi del ragazzo, pieni di quello che sembrava –e che percepiva sotto la pelle- qualcosa di maledettamente familiare e così…

But now it's found us 
Like I have found you
I don't wanna run 
Just overwhelm me

Il treno sembrò tagliare in due quei pensieri, sfrecciando dietro di lui, fermandosi poi lentamente. Fu quasi un risveglio brusco, peggiore di quelli di Mikasa la mattina e nel profondo del suo petto, sentì un dolore che mai aveva provato. Qualcosa di antico, radicato nella sua anima.
La folla che si lanciò fuori dal vagone del treno, mista a quella che invece doveva salire, lo costrinse a darsi una mossa e ad infilarsi, seppur con molta fatica tra le miriadi di persone che come lui dovevano viaggiare. L’uomo aveva quindi preso a correre, facendogli segno di bloccare la porta per permettergli di entrare ed Eren stava anche per infilare un piede tra le porte scorrevoli, ma fu troppo tardi: quelle si chiusero con uno scatto violento proprio a pochi passi dal viso di Eren e dello sconosciuto che picchiava una mano contro il vetro, con rabbia.
<< Non ci stiamo, aspetti il prossimo! >> urlò un signore barbuto alle sue spalle.
Il treno fischiò e partì, lasciando quei due pozzi d’argento lontano dal ragazzo.

   
 
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