Ciao a tutti!
Ogni tanto tento di scrivere storie (spero)
divertenti, che facciano dimenticare la mia propensione per la tragedia e
l’angst.
Quest’anno ho pensato di festeggiare il giorno
preferito dagli innamorati, con quello che, incredibilmente, potrei definire fluff
e romanticismo!
I personaggi non mi appartengono, ma sono opera
eterna di Sir Arthur Conan Doyle (che ormai si sarà rassegnato alla mia follia)
e di Steven Moffat & Mark Gatiss per quelli della BBC.
Questo racconto non ha scopo di lucro e spero non
ne ricordi altri, ma in questo caso sarebbe involontario.
Buona lettura! J
Buon
San Valentino
La neve scendeva lenta da un cielo incredibilmente
bianco, attutendo i suoni tipici di una città frenetica come Londra.
John si svegliò, emergendo lentamente da un mondo
onirico calmo e pacifico.
Da quando la sua relazione con Sherlock era
diventata ufficiale e di pubblico dominio, gli incubi che avevano infestato i
suoi sogni erano lentamente scomparsi.
Sentiva chiaramente la presenza del consulente
investigativo, nel letto, accanto a lui.
Ne percepiva il peso, che abbassava piacevolmente
il materasso dove, fino a pochi mesi prima, nessuno dormiva.
Ne avvertiva il calore, che scaldava quelle che un
tempo erano state notti fredde, trascorse senza Sherlock, perché era stato
difficile ammettere, prima di tutto a se stesso e poi con gli altri, che amava
quello strano uomo alto e magro, con quei soffici capelli neri e ribelli,
quelle labbra a forma di cuore, che lui adorava toccare, sfiorare, leccare,
succhiare e, perché no, mordicchiare.
Soprattutto, sentiva il tipico e rapido
picchiettare sulla tastiera di un computer.
John sospirò e si chiese se Sherlock avesse
dormito, almeno qualche ora.
Poteva contare sulle dita di una mano, le volte in
cui si era svegliato, trovando Sherlock ancora addormentato.
Comunque, non era certo una novità, dato che
Sherlock non aveva mai dormito molto.
John aprì gli occhi e si trovò davanti la sveglia,
che segnava le 6.22 del 14 febbraio.
14 febbraio.
San Valentino.
Il loro primo San Valentino insieme.
John sorrise.
Aveva il turno del mattino in pronto soccorso, ma
la sera e la notte sarebbe stata solo per loro.
Soprattutto se Greg non avesse sottoposto a
Sherlock un caso interessante.
Forse avrebbe dovuto telefonare a Lestrade e dirgli
di non contattare Sherlock, almeno fino al giorno dopo, in modo che lui potesse
trascorrere il loro primo San Valentino fra le braccia e le gambe del suo
meraviglioso amante, scambiandosi coccole e baci e qualsiasi altra cosa venisse
loro in mente.
“Sto
diventando melenso. – ridacchiò John, fra sé e sé – Se Sherlock sapesse a cosa io stia pensando, inorridirebbe e
fuggirebbe al Polo Sud!”
John si girò ed osservò Sherlock intento a digitare
sul computer.
Naturalmente, il portatile era quello di John, che
aveva rinunciato a munirlo di password, dato che Sherlock la scopriva sempre.
Il consulente investigativo era illuminato dalla
luce proveniente dal monitor del computer, che gli conferiva uno strano aspetto
alieno a causa dell’alone azzurrognolo che circondava il viso dagli zigomi
decisi.
Aveva un’espressione concentratissima e continuava
a digitare freneticamente.
“Buongiorno. – bofonchiò John – Ti hanno proposto
un caso?”
Sherlock chiuse il computer di scatto e lo fece
sparire sotto il letto.
“Aggiornamento del blog.” Rispose veloce.
Sherlock si sdraiò accanto a John e si appropriò
delle labbra e della bocca del dottore, che non trovò nessun motivo per cui
lamentarsi e si dimenticò completamente del portatile.
I corpi dei due uomini si avvicinarono.
Le mani di Sherlock iniziarono a muoversi sul corpo
del dottore, accarezzandolo e sfiorandolo in un modo che John trovava
incredibile.
Sembrava che quelle mani riuscissero a toccare ogni
centimetro del suo corpo contemporaneamente, senza fermarsi in un posto
specifico, ma senza trascurarne alcuno, anche i più remoti.
John si chiedeva spesso come Sherlock riuscisse in
questa meravigliosa impresa, domandandosi se non avesse delle mani ritraibili
nascoste.
Sherlock aveva sperimentato ogni tipo di tocco e di
carezza, studiando e catalogando ogni reazione di John, memorizzando
accuratamente quelli che gli procuravano maggiore piacere, quelli che lo
eccitavano e quelli che lo lasciavano indifferente.
Quando John pensava che Sherlock avesse finito di
sperimentare, scopriva che si sbagliava.
Ed era sempre una scoperta piacevole.
Quella mattina non faceva eccezione.
Quando staccarono le bocche, per mancanza di fiato,
John abbracciò Sherlock con un sorriso sulle labbra:
“Questo sì che è un buon risveglio per San
Valentino. – sussurrò – Potremmo farlo diventare la nostra tradizione
personale.” Propose, lasciando un delicato bacio sulla punta del naso di
Sherlock.
Sherlock corrugò la fronte:
“San Valentino?” ripeté, come se non capisse di
cosa John stesse parlando.
“Si, San Valentino. – sospirò John, rassegnato
all’ignoranza del suo intelligentissimo amore, quando si trattava di nozioni
che non riguardassero le indagini, come la decomposizione di qualsiasi cosa un
tempo fosse stata viva o i sistemi per liberarsi di qualcuno – Il santo protettore
degli innamorati. Oggi è il giorno di coloro che si amano … come noi.”
John aveva un sorriso dolce sulle labbra.
In attesa.
Quando voleva, Sherlock sapeva essere romantico … a
modo suo.
“Ah, si! – ribatté il consulente investigativo,
come se avesse recuperato un’informazione dimenticata in un angolo remoto e
poco usato del proprio mind palace – La festa di ogni cretino che crede di
essere amato ed invece rimane fregato!”
Sherlock fissò John soddisfatto per avere capito di
cosa stesse parlando il dottore.
“Come, scusa?” domandò John, il tono decisamente
più gelido della neve che stava avvolgendo la città.
Sherlock non comprese il repentino cambio d’umore
di John:
“Ma sì. – ripeté, con un mezzo sorriso sulle labbra
– San Valentino, la festa …”
Non finì la frase, perché la musica di Somebody to love invase la stanza.
John uscì dal letto, senza dire una parola, spense
la radio sveglia ed andò in bagno.
Gregory Lestrade aveva tentato disperatamente di
non scoppiare a ridere, ma non c’era riuscito.
Davanti agli occhi di un John Watson piuttosto allibito,
l’ispettore con i capelli sale e pepe aveva le lacrime agli occhi e rideva così
forte che tutti i presenti nella mensa dell’ospedale si voltavano a guardarli.
“Non capisco cosa tu ci trovi di così divertente in
quello che ti ho raccontato!” sbottò John, quasi offeso.
“Oddio, potrei morire dal ridere. – bofonchiò Greg,
cercando di riprendere il controllo – Non sentivo quella frase da … – si concentrò
per ricordare – … dai tempi delle elementari!”
E ricominciò a ridere.
John alzò gli occhi al cielo, esasperato.
“Lo sapevo che non avrei dovuto raccontartelo! –
sbuffò, ma le labbra stavano incurvandosi in un sorriso – E io che pensavo che
tu fossi il mio migliore amico!”
“Oh, ma lo sono. – gli confermò Greg – Prometto di non
raccontare nulla a nessuno … tranne che a Mycroft, naturalmente!”
John inclinò la testa:
“Lui non ci troverà nulla da ridere. – ribatté John,
puntiglioso – Sono pronto a scommettere che il Signor Ghiaccio abbia lo stesso
umorismo di Sherlock e non capirà perché tu trovi la cosa così divertente.”
“Ti assicuro che Mycroft sa essere davvero
divertente, quando vuole. – ghignò Greg – Ha un umorismo molto … inglese. Capirà
perfettamente e riderà di gusto.”
John fulminò l’amico con uno sguardo, pentito di
avergli raccontato quello stupido episodio.
“Su, John! – lo rincuorò l’ispettore – Quando hai
scelto di metterti con Sherlock, sapevi perfettamente cosa tu stessi facendo e chi
lui fosse. Esattamente come per Mycroft e me. I fratelli Holmes sono fatti
così. Anticonvenzionali, intelligenti e con un fondo di follia. E noi li amiamo
proprio per questo.”
John fece un sospiro.
Greg aveva ragione.
“Come trascorrerete San Valentino?” chiese,
cercando di cambiare discorso.
“Cena in un ristorante elegante, prenotato da
Mister Governo Inglese, e notte a casa sua.” Rispose Greg.
Rimasero un attimo in silenzio, mentre John rigirava
gli avanzi nel piatto con la forchetta, come se stesse controllando se vi fosse
rimasto qualcosa di commestibile.
Greg lo fissò e si sentì in colpa per avere riso al
racconto dell’amico.
John era un uomo che amava le tradizioni e le
festività, anche insignificanti.
Per il dottore, San Valentino non era una festa
commerciale, ma un’occasione per sottolineare i propri sentimenti per la
persona più importante della sua vita.
“Sherlock cosa ti ha detto?” domandò, curioso.
“Sherlock non ha detto o fatto nulla. – mugugnò John
– Lui … non ha capito la mia reazione. E ora mi sento pure in colpa verso di
lui! Come tu hai detto, lui è Sherlock Holmes, l’uomo che crede che i
sentimenti siano solo una reazione chimica. Sono io quello che mi faccio dei
castelli in aria, pensando che lui mi sorprenda, comportandosi come un
innamorato. Questa, però, non è la sua vera natura. E io non vorrei mai che
fosse diverso da quello che è, perché, altrimenti, non sarebbe più l’uomo di
cui mi sono innamorato. – fece un altro sospiro – Sono complicato ed
irrazionale, lo so.”
“Sei umano. – sorrise Greg – Devo andare. Ci
sentiamo domani, così mi dici come sia andata stanotte, va bene?”
“Va bene. – ricambiò John – Sempre che tu riesca ad
uscire dal letto di Mycroft.”
“Già. – concordò Greg, malizioso – Sempre che
Mycroft non mi leghi al letto e …”
John alzò la mani e lo interruppe:
“No, ti prego, non continuare! – supplicò – Se mi
metti in testa certe immagini, non riuscirò più a levarmele di mente. Non
voglio immaginare te e Mister Ghiaccio a letto insieme, mentre fate giochini
erotici.”
Greg rise e lasciò la sala mensa.
John rimase seduto ancora qualche secondo, poi
tornò al pronto soccorso.
Aveva ancora qualche ora, prima di tornare a casa
da Sherlock, per trascorrere una tranquilla serata davanti alla tv.
Quando arrivò nel salotto di Baker Street, John
trovò Sherlock, che stava suonando il violino, talmente assorto da non
accorgersi del suo ingresso.
John rimase sulla porta ad ascoltarlo, quasi senza respirare,
per non disturbarlo.
Sherlock terminò il brano e si voltò verso John.
“Andiamo a cena da Angelo.” Era un’affermazione,
non certo una domanda o in invito.
John annuì:
“Ho tempo per una doccia?” chiese, semplicemente.
“Certo. – rispose Sherlock – Abbiamo tempo.”
John si fece una doccia veloce e si cambiò gli
abiti.
Arrivati da Angelo, trovarono il locale affollato
di coppiette ed i tavoli apparecchiati con tovaglie rosse ed una candela accesa
al centro.
Decisamente Angelo non voleva permettere ad
eventuali sbadati di dimenticare che quello fosse il giorno degli innamorati.
“Benvenuti! – li accolse con il solito caloroso
sorriso – Il vostro tavolo è pronto.”
Naturalmente, anche il loro tavolo aveva la
tovaglia rossa e la candela accesa.
C’era anche una rosa rossa solitaria, ancora in
bocciolo, che faceva bella mostra di sé, uscendo da un vaso bianco e lungo.
“Romanticherie
sprecate per noi.” Sospirò John dentro di sé, ma non fece commenti e
sorrise al ristoratore.
Cenarono mentre Sherlock parlava dell’ultimo
esperimento che stava eseguendo sul deterioramento che subivano le dita mozzate
di un cadavere, in base alla temperatura, all’umidità ed al luogo di
conservazione.
John mangiava tranquillamente, malgrado l’argomento
trattato da Sherlock non favorisse certo l’appetito ed aveva notato, con un
certo perverso divertimento, che le coppie sedute ai tavoli più vicini avevano
chiesto velocemente il conto e se ne erano andate, con espressioni schifate sul
volto.
Fortunatamente, Angelo voleva molto bene a Sherlock
e lo conosceva abbastanza da non cacciarlo dal locale.
Avevano ordinato il dolce, quando Sherlock allungò
una mano e depose una scatolina di velluto rosso davanti a John.
Il dottore alzò uno sguardo sorpreso, fissandolo
negli occhi azzurro ghiaccio del consulente.
Sherlock lo stava guardando con quella che sembrava
essere apprensione … quasi paura.
John prese la scatolina in mano e la rigirò, senza
aprirla.
Il cuore gli batteva così forte, che temeva lo
potessero sentire non solo gli altri clienti del locale, ma tutta Londra.
“Non la apri?” chiese Sherlock, impaziente ed
ansioso.
“Mmmm? Cosa?” John cercò si schiarirsi la mente.
Quello che aveva in mano, non poteva essere ciò che
sembrava.
“La scatolina che hai in mano, John!” sbottò
Sherlock, esasperato, come quando il dottore non capiva qualcosa di ovvio.
“Oh, sì, certo. – rise John, nervoso – La apro. La
apro.”
Sollevò il piccolo e morbido coperchio.
All’interno, c’era una piccola vera d’oro che circondava
un diamante.
John rimase senza fiato.
Fissava l’anello e teneva la scatolina in mano come
se fosse pesantissima.
“John Hamish Watson mi vuoi sposare?” chiese
Sherlock.
John alzò gli occhi dall’anello.
Tutto gli sembrava sfocato e lontano.
Sherlock lo fissava, preoccupato e teso, ansioso e
timoroso:
“John, stai bene? – domandò – Ho fatto qualcosa di
sbagliato?”
John scosse la testa e riprese il controllo del
proprio corpo e della propria anima:
“No, no. – sorrise, dolcemente – Hai fatto una cosa
meravigliosa. Solo …”
Deglutì e fissò l’anello.
“Solo …?” ripeté Sherlock, sempre più terrorizzato
da un rifiuto.
“Non ti sembra prematuro? – gli chiese John,
titubante – In fin dei conti, stiamo veramente insieme solo da pochi mesi. Un
matrimonio è un impegno per la vita. Non so siamo pronti a questo passo.”
“Stiamo insieme fisicamente
da pochi mesi, – rispose Sherlock, fissando John negli occhi – ma io sono
innamorato di te dal primo istante in cui ti visto e so che non potrei mai
desiderare di condividere il resto della mia vita con altri. Tu sei tutto ciò
di cui ho bisogno per essere felice. Lo ho capito nello stesso istante in cui
ti conosciuto. E lo sai anche tu. Mi hai accettato per ciò che sono da subito. Malgrado
i miei difetti ed i tuoi rimbrotti, tu non mi vorresti veramente diverso da
come sono. Io non ho bisogno di attendere altre prove o tempo. Io so che insieme
siamo un unico essere. E che saremo felici.”
John lo guardava incredulo:
“Per essere uno che pensa che i sentimenti siano
solo chimica, sai essere molto romantico.” Mormorò.
“È solo per conquistare il tuo cuore e tenerti
legato a me. – sussurrò Sherlock, con voce roca – Per il resto del mondo, io
sarò sempre e solo un sociopatico ad alta funzionalità.”
“Il mio
sociopatico ad alta funzionalità.” Ribatté John, con un sorriso.
Si alzò, andò da Sherlock, si chinò su di lui e lo
baciò.
Dopo qualche secondo, Sherlock interruppe il bacio
e socchiuse gli occhi:
“È un sì?” domandò confuso.
“È un sì.” Confermò John, sedendosi sulle ginocchia
di Sherlock.
“Bene!” esclamò Sherlock e si riappropriò delle
labbra di John.
Il resto del mondo non esisteva.
Le voci, le risate, i sussurri del resto dell’umanità
non li raggiunsero.
C’era
solo Sherlock per John.
E
John per Sherlock.
Angolo dell’autrice
Sperando che questo racconto, senza alcuna pretesa,
vi abbia fatto trascorrere qualche minuto piacevole e che vi abbia strappato
almeno un piccolo sorriso, auguro Buon San Valentino a tutti, innamorati e no.
So che non c’è alcun riferimento temporale, ma chi
legge è libero di inserirlo ovunque voglia.
Ciao! J