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Autore: Rico da Fe    14/02/2016    1 recensioni
Così parlò, così parlò
Il lord di Castamere
Le piogge or lo piangono
E nessuno lì ad udir
Le piogge or lo piangono
E non un'anima ad udir...
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Le Piogge di Castamere

 

Derrick aprì gli occhi.

Tra le pietre che ostruivano i grandi finestroni della sala filtrava debolmente il pallido chiarore dell’aurora.

In lontananza, i colpi ritmici e ovattati di un coltello si alternavano al solito sgocciolio con il quale convivevano da anni.

“…Non lo ascoltò un’anima e quel lord da solo restò…”

La voce di Ysa risuonava nelle volte oscure dell’antico salone da ballo immerso nella penombra via via sempre più chiara.

Derrick rimase disteso sul suo pagliericcio di foglie umide, immobile.

Ysa ricominciò a cantare.

E chi sei tu, disse il signor, che a te mi fai inchinar…”

“Non dovresti cantare” la interruppe una voce grave e fonda come quelle caverne. “Se ci sentissero? Ci condanneresti tutti!”

“Se ci sentissero, penserebbero ai fantasmi e fuggirebbero a gambe levate, come hanno sempre fatto” ribatté la ragazza, interrompendo il lavoro con il coltello. “Chi vuoi che ci senta, Jamis? Nessuno passa mai di qui… E poi, è più facile sentire le tue litanie monotone che la mia canzone!”

“Io prego per le nostre anime, non canto la canzone del nemico per ricordarmi uno sciocco proposito di vend… Ugh!”

Uno sciacquio, e poi un rumore, come di corpi che cozzavano tra loro.

Derrick si rizzò di scatto dal pagliericcio, scandagliando il vasto ambiente alla sua destra con gli occhi ormai abituati alla penombra.

Nel mezzo della sala allagata, davanti all’enorme camino nel quale poche braci ardenti scoppiettavano in un braciere sbeccato e arrugginito, la ragazza bassa con i capelli corti che rispondeva al nome di Ysa stava a cavalcioni di un colossale ragazzone dai ricci neri scomposti e gli premeva la lama del coltello sulla gola.

“Non dirlo mai” sibilò Ysa, gelida come le acque in cui erano immersi. “Noi avremo la nostra vendetta, e fino a quel momento io canterò le Piogge di Castamere finché il fiato che ho in corpo mi permetterà di farlo. Se non sei d’accordo” premette di più il coltello sul collo del ragazzo, che trattenne il respiro. “Jamis Hill, bastardo di Castamere, puoi anche andartene. E lasciare qui il tuo sangue.”

“Ysa”

Derrick parlò piano, con voce ferma.

La ragazza si voltò di scatto, gli occhi sgranati intuibili nella semioscurità che li avvolgeva.

Si alzò e si scostò da Jamis, permettendogli di alzarsi.

“Sei sveglio…” disse, chinando nervosamente il viso e tornando alla cassapanca dove i conigli che stava scuoiando la attendevano.

Derrick si tirò in piedi e accennò a quei conigli.

“Nostro fratello è tornato?” chiese, fingendo di ignorare ciò cui aveva appena assistito.

Ysa fece spallucce.

“Sì, ha portato i conigli e poi è andato a cercare altra legna per il fuoco…”

“Legna… Che ho trovato!”

La voce squillante del minore dei fratelli Reyne li investì dal corridoio in fondo alla sala.

Dal buio emerse una figura alta e imponente, con una corta zazzera scarmigliata sulla zucca e una grossa fascina di legna tra le braccia.

Con poche falcate e i consueti schizzi sollevati dagli stivali sui pavimenti allagati di Castamere li raggiunse e scaricò la fascina sul braciere. Spegnendolo.

“Ops…”

“Sei un idiota!” sbottò Ysa, scattando in piedi e lasciando cadere i conigli nell’acqua.

Tyas aggrottò le sopracciglia.

“Modestamente ho avuto una buona maestra… L’acqua dei pavimenti è sudicia, e adesso lo sono anche i conigli.”

Ysa alzò il coltello.

“Io ti…”

“Ragazzi!” li bloccò Derrick, frapponendosi tra i due. “Non è un dramma… Il fuoco si riaccende, e i conigli basta cucinarli per togliere lo sporco! Ysa metti giù il coltello, e Tyas fa più attenzione!”

Jamis nel frattempo trasse di tasca le pietre focaie e si mise ad armeggiare con il braciere e la legna.

“Fa più attenzione?” si scaldò Tyas. “Chi si è alzato questa mattina per andare a caccia e procurare la legna mentre tu dormivi beato, eh?”

“Chi si alzerà domani al posto tuo per cacciare e procurare legna, eh?” lo rimbeccò Derrick. “Chi lo ha fatto ieri, eh? Abbiamo sempre fatto una volta per ciascuno, fin da quando era vivo nostro padre!”

“Lui è il legittimo lord di Castamere!” rincarò Ysa, prendendo le parti di Derrick. “Nonché tuo fratello maggiore, come io sono la maggiore di tutti e tre! Mostra rispetto Tyas, e soprattutto svegliati!”

“Io… Per i sette inferi, vi detesto quando fate così!” ruggì il ragazzo voltando loro le spalle e allontanandosi di qualche passo. Sferrò un calcio rabbioso all’acqua del pavimento.

Ysa sbuffò, e Derrick sospirò scuotendo la testa.

“Per favore potresti… Non sollevare schizzi?” mormorò Jamis al fratellastro. “é difficile accendere il fuoco se la legna si bagna…”

“Possa bruciarti le palle, il tuo fottuto fuoco!” ringhiò Tyas di rimando, e sferrò un altra pedata alle acque torbide in cui affondavano i loro stivali.

Tutti tacquero.

Derrick scosse piano la testa.

Così non andava. Troppi litigi.

I fratelli Reyne e il loro fratellastro bastardo Jamis erano nati e cresciuti in quei cunicoli allagati insieme al padre Evan e alla madre Miryana.

Assieme avevano giocato, riso, scherzato, per quanto l’ambiente lugubre e insalubre lo permettesse. Assieme il padre li conduceva a caccia fuori, all’aria aperta, attraverso l’unico passaggio che il nonno Reynard, sopravvissuto al massacro di Castamere quaranta anni prima, era riuscito a scavare per uscire fuori e procacciarsi da vivere nella foresta.

Assieme avevano imparato a cacciare, assieme avevano appreso la scherma, avevano pianto assieme, si erano fatti forza a vicenda, si erano curati le ferite tra loro e assieme avevano giurato vendetta contro Tywin Lannister e la sua famiglia.

Assieme avevano sepolto prima il padre Evan, ucciso da un orso poi abbattuto dalle frecce di tutti e tre i maschi, e qualche anno dopo la madre Miryane, morta di febbre appena tre anni prima.

E sì, assieme avevano anche litigato. Succedeva tra fratelli.

Ma ultimamente le litigate si erano fatte più aspre e frequenti.

I fratelli Reyne, gli ultimi di quella sciagurata stirpe, avevano paura.

Paura di morire là sotto, di imputridire in quelle acque stagnanti come gli scheletri dei loro avi che spuntavano tra le rocce di quelle sale oscure e silenziose, paura di non avere mai la loro vendetta, di non riuscire mai neanche ad avvicinare i Lannister per poter piantare i loro coltelli in quelle carni certamente grasse e ben pasciute.

Paura che il leone rosso dei Reyne morisse con loro, dimenticato da tutti, sbeffeggiato nelle taverne con quella canzonetta che avevano appreso da piccoli e che non abbandonava mai le loro menti.

Ysa la cantava mentre preparava da mangiare, Derrick la mugugnava mentre pescava nel fiume, Tyas la fischiettava mentre faceva ritorno con le fascine di legna in spalla.

Sì, i fratelli Reyne avevano paura, paura di non farcela, paura che la tomba che Castamere era diventata per i loro antenati inghiottisse anche i loro corpi senza che alcuna vendetta si fosse consumata. 

“Ysa” mormorò piano Derrick. “Canta le Piogge di Castamere.”

Tyas rise, una risata tanto sguaiata quanto amara.

“Chiudi quella boccaccia storta che ti ritrovi e ascolta!” ruggì il giovane lord di Castamere, fissando il minore con gli occhi incendiati dal bagliore del fuoco finalmente acceso nel braciere.

Tyas tacque e si sedette di malagrazia su un’altra cassapanca lì vicino, opposta a quella di Ysa. La ragazza riprese a scuoiare i conigli, questa volta piano, come a voler svolgere un rituale.

Jamis mise via le pietre focaie e sedette accanto al braciere.

Derrick si accomodò sul grosso pietrone precipitato dal soffitto nei crolli di quarant’anni prima, che ora usavano come desco.

E chi sei tu, disse il signor, che a te mi fai inchinar…” cominciò Ysa, la voce che si spandeva riecheggiando sulle alte volte del salone simili a un costato scoperto.

Un gatto di un altro color, null’altro a quanto so…

Il canto si insinuava nelle gallerie tetre, negli altri saloni ingombri di acqua e macerie, tra le pietre che ostruivano finestre e arcate costringendo la luce ad entrare a lame sottili in quei tristi meandri dimenticati dagli dei e dagli uomini.

Sia il pelo rosso o scarlatto, artigli ha chi è un leon…

Teschi e ossa vuote e scarnite emergevano qua e là tra le pietre o dalle acque, ascoltando il canto della loro fine.

E artigli ho quanto te, signor, e lunghi e aguzzi son…

Di tanto in tanto, il leone rosso di casa Reyne affiorava dal buio; da uno scudo spezzato, da uno stendardo liso e consunto, da un affresco, da una vetrata…

Così parlò, così parlò, il lord di Castamere…

I ragazzi tacevano. Il coltello di Ysa affondava nella pelle del coniglio strappandola via.

Le piogge or lo piangono e nessuno è lì ad udir…

Lo sguardo di Derrick era perso nel fuoco. Piegò un angolo della bocca in un sorriso amaro. 

Le piogge or lo piangono e non un’anima ad udir.

Le ultime note si spensero con la voce di Ysa.

Silenzio.

Si udiva solo il crepitio del fuoco nel braciere e il solito sgocciolio lontano.

E le anime che da circa vent’anni ascoltavano quello sgocciolio erano ben quattro.

“Eravamo” cominciò Derrick, rompendo il silenzio. “una delle famiglie più ricche dei Sette Regni. Le Terre dell’Ovest ci temevano, tutte, e persino i lord di Castel Granito chinavano il capo dinanzi a noi.”

Gli occhi degli altri tre fratelli erano fissi sull’alto e magro lord di Castamere, sul cui viso pallido e scarno le fiamme del braciere gettavano ombre sinistre.

“La nostra prozia, lady Ellyn, era la donna più bella e accorta dell’Ovest. Il nostro prozio Roger era il combattente più valido del reame. Nostro nonno Reynard era l’uomo più affascinante e astuto mai esistito. Vissero tutti qui, in queste sale un tempo magnifiche, tra marmi, broccati, oro e gemme…”

Ysa lasciò cadere lo sguardo sull’abito che indossava. Era appartenuto a una sua parente, ed era ormai consumato e rovinato, ma ancora si intuiva l’oro dei ricami damascati sul velluto viola ormai sbiadito.

“… E tutti qui perirono. No, non lady Ellyn… Lei morì nel crollo di Tarbeck Hall. Ma Roger… Lui fu trafitto da una freccia tra le scapole mentre incalzato dai Lannister si rifugiava qui con le sue truppe, e morì poco dopo aver varcato le porte di Castamere. Reynard prese il comando delle difese del castello. Fece crollare tutti gli accessi, così da impedire a quegli uomini di entrare… Ma i Lannister, oh, non si fanno certo fermare dalle pietre…”

Tacque, sempre continuando a fissare le fiamme che pigramente divoravano i rami e le frasche tanto simili in quel momento ai pilastri e alle travi di Tarbeck Hall.

“Uccisero i Tarbeck, nostri cugini e alleati, con il fuoco. Contro di loro funzionò, il loro castello era costruito in legno e pietra. Ma la sola pietra non brucia… E a Tywin Lannister ciò non piaceva. Così stabilì che se il fuoco non poteva ucciderci, ci avrebbe pensato l’acqua.”

Lo sgocciolio lontano sottolineava ogni parola di Derrick con la sua implacabile insistenza.

“In meno di un giorno” proseguì il lord di Castamere. “i suoi uomini riuscirono a deviare il corso di un torrente. Le sale più profonde e sotterranee si allagarono del tutto, quelle più in alto solo in parte… La corrente causò altri crolli, che seppellirono molti dei nostri parenti e dei nostri uomini. Quando l’ultimo crollo sigillò l’ultima via di fuga rimasta, pochi erano sopravvissuti, tra cui nostro nonno. Erano in trappola, non potevano più uscire. Castamere era ormai una tomba, un’enorme tomba di pietra e acqua.”

Il viso di Tyas sembrava non riuscire a stare fermo. Piccoli spasmi agitavano ora un sopracciglio, ora le labbra, ora gli occhi.

Jamis pregava in silenzio, a fior di labbra, gli occhi persi nel vuoto.

Ysa ascoltava immobile e statuaria, i conigli ancora mezzi scuoiati accanto.

“Nostro nonno Reynard ebbe pietà di quelle persone… Uno ad uno li uccise, passandoli a fil di spada, perché non morissero divorati dai morsi della fame. Non ebbe però pietà di sé stesso, né di sua moglie. A nostro padre raccontò che quando le fu accanto e brandì la sua spada… Essa gli scivolò dalle mani sudate. Lui cadde in ginocchio implorando nostra nonna di perdonarlo e lei lo abbracciò. Entrambi piansero, certi che sarebbero morti là sotto, resi talmente folli dalla fame da divorarsi tra loro…”

Tyas strinse i denti talmente forte da temere di spezzarne le radici.

Jamis serrò gli occhi.

Ysa prese a strisciarsi nervosamente le palme delle mani sulle cosce.

Derrick proseguì il racconto.

“Poi, ad un certo punto, il primo raggio dell’aurora filtrò da un apertura e illuminò la lama della spada. Se la spada non fosse rimasta là dove era caduta, Reynard non avrebbe mai visto quel raggio, non ne avrebbe trovato la fonte, e non sarebbe riuscito a scavare la galleria est, l’unica che grazie a un pilastro rimasto intatto nel crollo era possibile liberare dai detriti. Nostro nonno si scorticò le dita e le unghie per liberare quell’accesso, quello che oggi usiamo per uscire a cacciare…”

Ysa sfregava con forza le mani sulle cosce, tanto che a breve la stoffa dell’abito avrebbe preso fuoco.

Jamis smise di pregare e aprì gli occhi.

“Sono stati gli dei” disse “gli hanno mostrato la via d’uscita per permettergli di vivere e continuare la dinastia… Perché ebbe pietà di sua moglie… E perché chiese perdono…”

“Già, ma a sua moglie, non agli dei…” corresse Tyas con le labbra torte in un mezzo ghigno. “Chissà che bestemmioni avrà appioppato a quei sette… Nah, per come la vedo io io fu un caso, oppure l’astuzia del nonno… Altro che dei!”

“Silenzio!” lo zittì Ysa, smettendo di sfregarsi il vestito già malandato di suo. “Derrick non ha ancora finito!”

“Finito cosa? L’abbiamo già sentita questa storia! Centinaia di volte!” ribatté spazientito il minore dei fratelli Reyne.

“E secondo te perché l’avrei raccontata ancora?” intervenne con calma Derrick. “Ysa ha ragione, non ho finito. Ho dell’altro da aggiungere.”

Tyas tacque, ritornando a mordersi ossessivamente il labbro.

Lo sgocciolio tornò a regnare sovrano nella sala grande di Castamere.

“Non so se siano stati gli dei, il caso o l’intelligenza del nonno a scavare quella via d’uscita… So solo che grazie ad essa il nonno poté sopravvivere, la nonna diede alla luce Evan e Miryana ed essi dopo vent’anni diedero alla luce noi, ed Evan tornò da Ashemark con Jamis tra le braccia. E adesso noi siamo qui.”

Guardò in faccia i suoi fratelli uno per uno.

Nei loro occhi, nei loro tratti, specie dei suoi fratelli legittimi, si leggeva l’orgoglio dei Reyne di Castamere. Sconfitti, umiliati, calpestati, abbandonati, lasciati a marcire sotto terra, ma ancora vivi, e ancora caparbi ed alteri come un tempo.

“Noi, i Reyne di Castamere, siamo ancora qui. Siamo in quattro, siamo giovani e siamo addestrati. E soprattutto” sorrise, gli occhi illuminati dalla sinistra luce rossastra del braciere. “per il mondo intero siamo morti.”

Piano, Derrick si alzò e porse la mano ad Ysa.

“Lady Ysa della casa Reyne…”

Ysa si levò in piedi, eretta, come la lady che il suo sangue le imponeva di essere.

Il giovane lord di Castamere si rivolse poi al fratello minore.

“Lord Tyas della casa Reyne…”

Anche Tyas si erse in tutta la sua non indifferente stazza, la mano sull’elsa della daga che portava alla cintura.

“E septon Jamis Hill…”

Infine, anche il bastardo di casa Reyne si alzò, per la prima volta in tutta la sua torreggiante mole che superava di tutta la testa i due maschi legittimi di lord Evan.

Derrick li guardò tutti e tre. Due paia di occhi castani e gli occhi verdi di Tyas si fissarono nei suoi.

“Io, Derrick della casa Reyne, lord di Castamere, reclamo il titolo di Re dell’Ovest. Dissotterriamo il nostro oro da queste macerie. Dissotterriamo spade, corazze e scudi. E’ ora che i Lannister paghino i loro debiti.”

  
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