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Autore: paige_    14/02/2016    2 recensioni
Elizabeth e Jake erano semplici sconosciuti. Tutto è iniziato da uno sbaglio. Ma può nascere qualcosa fra due persone che non si sono mai incontrate? Si può conoscere una persona attraverso uno schermo?
Non sono per niente brava nello scrivere le introduzioni, quindi se volete farvi un'idea di questa storia, leggete anche solo le prime righe e poi giudicate voi se vi interessa o meno.
Dopo un lungo periodo di inattività provo a riscrivere qualcosa, fatemi sapere come vi sembra.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                          CAPITOLO 1
 
 
-Erano le tre del pomeriggio di un giovedì quando mi ha scritto per la prima volta…
 
“Ciao, sono Jake, il ragazzo dell’altra sera… Beh, mi hai detto di chiamarti se mi andava quindi… che ne dici di un sushi stasera?”
 
-Ricordo che quel pomeriggio stavo studiando per l’esame di storia. Inizialmente avevo pensato di lasciar stare e non rispondere, tanto avevo da studiare.
Non so perché decisi di rispondere. So solo che se non lo avessi fatto oggi non sarei stata qui.
 
“Mi dispiace, penso tu abbia sbagliato numero…”
“Non sei Sophie?”
“Nope.”
“Ah… scusami per il disturbo.”
“Figurati!”
 
-A quel punto credevo finisse lì. Aveva capito che non ero la persona che stava cercando e si era scusato per il disturbo.
Ma 10 minuti dopo circa mi arrivò un altro messaggio.
 
“Eppure il numero è questo. E’ impossibile abbia sbagliato, è stata lei stessa a scriverlo sul mio telefono.”
“Io non so proprio cosa dirti…”
“Magari mi ha dato il tuo numero perché lei non ha un cellulare.”
“Potrebbe essere certo…”
“Fantastico! Allora le darai il mio messaggio?”
“C’è solo un problema.”
“E quale?”
“Io non conosco nessuno che si chiama Sophie.”
“Ma come è possibile?”
“In effetti c’era una ragazzina che faceva nuoto con me quando avevo 7 anni… e anche il cane di mia cugina si chiamava Sophie. Ma siccome non vedo la prima da oltre dieci anni e la seconda è venuta a mancare l’anno scorso (riposa in pace piccola Soph), non credo proprio di poterti aiutare.”
“Eppure il numero è questo…”
“Mi dispiace amico, credo ti abbia dato un numero sbagliato…”
 
-Quella strana conversazione finì lì e io tornai a studiare per il mio esame e andai a dormire. Ma il ‘’toc toc toc’’ che ho come suoneria dei messaggi mi svegliò quella stessa notte, verso le due. Era di nuovo lui.
 
“Secondo te perché lo ha fatto?”
“Perché ti ha dato un numero sbagliato?”
“Sì”
“Non lo so, ma magari non è così, magari ha solo digitato male e ora ti sta pensando mentre guarda la luna dalla finestra.”
“Dici?”
“No, scusa.”
“Ah, mi incoraggi molto.”
“Sono solo realista.”
“Sei pessimista, non realista.”
 
-Quella sua affermazione mi irritò non  poco. Era uno sconosciuto, erano le due di notte, mi aveva svegliato e mi dava della pessimista.
Non gli risposi e mi rimisi a dormire.
La mattina dopo stavo facendo colazione con caffelatte e biscotti, come ogni mattina, quando sento di nuovo “toc toc toc”. E indovinate un po’? Era ancora lui.
 
“Ei scusami, non volevo offenderti ieri sera.”
“Prima di tutto non era sera, erano le due di notte, e seconda cosa non mi sono offesa.”
“Come non detto allora.                                                                                                                                                    Comunque piacere, Jake.”
“Questo lo hai già detto a Sophie.”
“Giusto, e tu invece sei?”
“Perché vuoi sapere come mi chiamo?”
“Wow, è proprio difficile parlare con te…”
“Hai ragione, mi dispiace.                                                                                                                                                  Sono Elizabeth.”
“Piacere Lizzie.”
“Non voglio continuare a fare l’antipatica, ma per favore non chiamarmi Lizzie.”
“Ho incontrato spesso persone a cui dava fastidio essere chiamate con il proprio nome per intero, sei la prima a cui dà fastidio essere chiamate con un soprannome.”
“So che è strano, ma Lizzie mi fa sentire una bambina. Tutti mi chiamavano così quando ero piccola.”
“E adesso quanti anni hai?”
“23.                                                                                                                                                                                  E tu?”
“26.”
-Non sapevo perché, ma mi piaceva parlare con quel ragazzo. Era gentile, era simpatico. E poi in quel periodo ero stressata ,ero ansiosa per l’esame e mi sentivo sola. La mia coinquilina era partita per una decina di giorni, non avevo lezioni perché c’era la prima sessione d’esami e non avevo la minima voglia di tornare a casa. Prima di tutto perché ero piena di cose da studiare e mi concentravo meglio da sola e poi perché ero andata a casa due settimane per le vacane di Natale e ne ero uscita pazza, fra mia madre che criticava la mia scelta dell’università e i miei fratelli che urlavano in continuazione. Mi chiedeva che cosa facevo, mi raccontava storie sulla sua vita e sulle cose che facevano i suoi amici. Li definiva la sua famiglia. Un giorno gli ho chiesto perché lo facesse, dopo tre giorni dal primo messaggio.
 
“Non c’è un motivo, sono grandi e li adoro.”
 
-So che sembra strano, sembrava strano anche a me allora, ma sentivo che non mi stava dicendo la verità. E’ vero, erano solo tre giorni che lo conoscevo e in realtà non lo conoscevo nemmeno. Ancora oggi non so spiegarmelo bene.

 
  
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