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Autore: Midori Haruka    14/02/2016    0 recensioni
"Bastò un fruscio, un lieve spostamento d’aria e la porta sbatté con un tonfo secco, facendolo piombare totalmente nell’oscurità.
Un ringhio basso e troppo vicino gli fece salire brividi lungo tutta la schiena. Adrenalina, forse. Non aveva bisogno della luce, poteva cacciare ed uccidere quel vampiro anche senza l’ausilio della luna.
Del fiato caldo arrivò ad accarezzargli la pelle del collo, per una frazione di secondo l’umano trattenne il respiro, prima di pugnalare con un colpo secco la creatura, conficcandogli in una gamba la propria freccia. Un paio di mani annasparono nel buio, là dove il vampiro sperava di afferrarlo, ma non strinsero altro che polvere."
[ Note: Scritta per la seconda settimana della cow-t, prompt “Weapon” (Bastille). ]
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Stava accadendo di nuovo, quegli occhi violacei così simili ai propri lo stavano guardando con rassegnazione, quasi con disprezzo. Sotto il peso di quello sguardo persino le larghe spalle di Konstantin si strinsero, rendendo la sua figura più piccola, sottomessa.
« L’hai mancato. »
La voce del padre non subì alcuna inflessione, nessun tono di rabbia, accusa, ma i suoi occhi parlarono per lui e Konstantin non riuscì più a sostenerne lo sguardo.  Il pugno si serrò attorno all’arco decorato, mentre le iridi si spostano ad osservare l’ultimo punto in cui quell’essere snaturato era sparito.
Era sulle tracce di quella creatura da almeno un paio di settimane, una pista fatta unicamente di sangue e violenza, che li aveva condotti in quella fitta foresta posta ai piedi della montagna.
« Non succederà più. »
Rispose con tono greve, prima di muovere qualche passo verso il centro della foresta, setacciando il terreno con una mano, in cerca della freccia scoccata poco prima. Quella belva aveva le ore contate e sarebbe morta per mano sua e del suo arco. L’astio cresceva via via sul suo viso, portandolo a riporre quasi con stizza la freccia ritrovata nella faretra. Una sostanza scura e vischiosa gli macchiò la pelle del palmo: sangue.
« Padre, resto ancora a cercare. »
Il sole stava lentamente scendendo oltre l’orizzonte, affogando tra luci rosse e violacee, perendo all’incombere della notte. Il mondo degli uomini lasciava così, sofferente, l’avanzata al buio, al regno di mostri ed abomini.
« La tua consorte ti sta aspettando a casa, Kostja. »
 Le labbra del primogenito si arricciarono leggermente, sentendo la figura genitoriale a chiamarlo con il vezzeggiativo. La mente vaga per qualche istante al pensiero della moglie a casa, incinta, affidata alle cure delle molteplici balie e servitori della loro casa.
« Katrina aspetterà. »
E nel caso avesse deciso di partorire loro figlio in sua assenza, Konstantin se ne sarebbe fatto una ragione. Ne andava del suo orgoglio di esorcista, del suo obbligo nei confronti del proprio casato familiare.
 
 
 
Aveva sprecato poco più di un’ora all’inseguimento delle sue tracce, poche e dispersive, ma finalmente era riuscito a trovare la tana del mostro. Si trattava di una casa a tre piani, dalle ingenti dimensioni, in mattoni, con un giardino ricolmo unicamente da arbusti incolti che ne rendevano difficile l’accesso.
Nulla che avrebbe distolto l’esorcista dal proprio obiettivo: la caccia era appena iniziata.
Il sole era quasi del tutto svanito oltre l’orizzonte, ma che ci fosse stato o meno non avrebbe fatto molta differenza, la foresta di rovi era talmente fitta da lasciar passare solo qualche flebile raggio: un posto ideale per un vampiro, lontano dal sole.
Arrivò sulla soglia d’ingresso con il volto graffiato ed una muta imprecazione a fil di labbra, la mano stretta attorno all’asta di una freccia, l’altra pronta a brandire l’arco in caso di necessità.
La porta con la vernice nera ed oro scrostata dal tempo dagli intagli nel legno, si aprì cigolando leggermente, portando la luce della luna nell’ampio atrio polveroso, dandogli quasi un aspetto spettrale. Il respiro di Konstantin accelerò leggermente, assieme al battito del suo cuore, poi il giovane uomo mosse il primo passo all’interno di quel luogo. Puzzava irrimediabilmente di chiuso, di vecchio e di morte.
Delle impronte sulla polvere segnavano il recente passaggio di qualcuno lì dentro e l’umano già si sentiva soffocare. Digrignò i denti quasi con frustrazione, assottigliando lo sguardo per scrutare meglio gli angoli rimasti all’ombra. Bastò un fruscio, un lieve spostamento d’aria e la porta sbatté con un tonfo secco, facendolo piombare totalmente nell’oscurità.
Un ringhio basso e troppo vicino gli fece salire brividi lungo tutta la schiena. Adrenalina, forse. Non aveva bisogno della luce, poteva cacciare ed uccidere quel vampiro anche senza l’ausilio della luna.  
Del fiato caldo arrivò ad accarezzargli la pelle del collo, per una frazione di secondo l’umano trattenne il respiro, prima di pugnalare con un colpo secco la creatura, conficcandogli in una gamba la propria freccia. Un paio di mani annasparono nel buio, là dove il vampiro sperava di afferrarlo, ma non strinsero altro che polvere.
Konstantin decise di cogliere l’occasione e con uno scatto si avvicinò nuovamente all’immonda creatura e rapido piantò un’altra freccia nel suo corpo, nel suo petto. Ci vollero pochi secondi, un gemito strozzato, il rumore di un corpo che cadeva e poi si sentì solamente il suo respiro, con il battito del cuore accelerato che gli rimbombava nelle orecchie.
Era finita, ci era riuscito. Poteva tornare a casa da suo padre, tra le braccia della sua consorte e considerare la morte di suo fratello finalmente vendicata.
Ripose le armi, l’arco in legno di nuovo in spalla e quasi con passo stanco si diresse finalmente verso la porta, la aprì e freddi, i raggi lunari ripresero ad illuminare la stanza alle sue spalle. Dal fondo dell’atrio giunse un secco e solitario applaudire, che lo costrinse a voltarsi nuovamente, il corpo irrigidito dalla sorpresa.
« Complimenti. »
Affermò la figura ancora seminascosta dall’oscurità, una vena profondamente sarcastica intrisa nella voce.
Konstantin abbassò rapidamente lo sguardo a verificare la presenza sul pavimento del vampiro che credeva di aver ucciso. Sul pavimento giaceva ancora una figura scomposta, le aste delle frecce piantate nella carne e la bocca socchiusa a mostrare i canini. La pallida luce della luna carezzava gli occhi sbarrati di un volto a cui Konstantin aveva rivolto spesso affetto sincero: Rodion, suo fratello minore.
Bastò un attimo, un battito di ciglia e l’uomo tornò sui propri passi, il dolore a paralizzagli mente e cuore. Le sue ginocchia cedettero nella polvere,  le dita che corsero ad accarezzare quel volto freddo senza vita, i pensieri che iniziarono correre, uno in fila all’altro.
« Rodja.. »
Il vezzeggiativo altrui sfuggì dalle labbra spaccate del cacciatore, mentre rimuoveva le frecce da quel corpo irrigidito. Avrebbe potuto salvarlo, avrebbe potuto riabbracciarlo, avrebbe potuto…
Le dita tremanti andarono a chiudergli le palpebre, gli occhi violacei che gli punsero per il dolore e per la consapevolezza di averlo perso, di nuovo, stavolta definitivamente.
« Non avresti dovuto seguirmi, vedi? »
Una voce profonda, quasi calda arrivò ad accarezzargli la mente, una mano gelida gli scostò una ciocca di capelli neri dal viso, le labbra che andarono a sussurrare, crudeli, vicine al suo orecchio.
« Lui sarebbe ancora vivo. E’ solo colpa tua, piccolo e stupido umano. »
Con rabbia il vampiro gli strappò via l’arco dalla spalla, ma Konstantin scattò prima che egli potesse bloccarlo, la faretra ancora salda, legata sulla schiena. Il petto dell’umano si alzava e si abbassava frenetico, la mano destra già a stringere una delle due frecce rimanenti, in attesa che il nemico si avvicinasse abbastanza da potergliela infilzare nel petto.
« Non dovevi toccarlo. »
Il vampiro rimase fermo, le spalle rivolte verso la luce della luna ed un sorriso sinistro a sogghignare alle sue parole. Sapeva che bastava pochissimo a far scattare il giovane umano dal cuore a pezzi, un gesto brusco o anche solo poche parole.
« Da umano sarebbe morto comunque, lo sai. »
Il suono di un altro ringhio arrivò a sovrastare la naturalezza e tranquillità di quelle parole. Gli occhi blu del vampiro gettarono uno sguardo all’umano, prima che quello gli balzasse addosso. Una semplice frase e Konstantin aveva abbandonato la posizione di difesa, gettandosi contro il nemico d’istinto.
La freccia che aveva in mano si piantò nel fianco del vampiro, troppo in basso per ucciderlo ed alla bestia bastò afferrarlo per una spalla e spingere bruscamente, per inchiodarlo a terra, il suo corpo gelido a schiacciare quello di Konstantin, ancora vivo, nella polvere dell’atrio.
« Tu, la tua famiglia, siete solo un branco di idioti.. »
La voce del vampiro pregustava già la vittoria, assieme al ghigno soddisfatto che si distendeva sul suo viso.
La mano di Konstantin corse alla faretra, in cerca dell’ultimo dardo a disposizione, vanamente. Doveva essere caduta e scivolata via durante la loro colluttazione. L’abominio rise di lui, premendo nuovamente la sua schiena contro il pavimento, con forza. L’umano si sentì schiacciare e per un secondo gli mancò l’aria nei polmoni, ma non voleva arrendersi. Quasi disperatamente le dita di Konstantin corsero a raggiungere l’unica arma che restava a sua disposizione: un coltello da caccia.
La lama chiara riflesse la luce della luna, ma il vampiro fece giusto in tempo a frapporre il proprio braccio tra l’arma ed il petto. Quando Konstantin estrasse la lama, del sangue scuro prese a colare lungo l’avambraccio altrui, sulla pelle marmorea, ma senza perder tempo ad osservarlo, l’umano gli piantò una seconda volta il coltello nelle carni, stavolta in pieno petto.
Gli occhi del vampiro si spalancarono per la sorpresa, più che per il dolore effettivo, mentre con una smorfia andò ad strapparsi via la lama dal corpo, gettandola lontano.
« Stolto, non puoi uccidermi con l’acciaio. Non così. »
La mano gelida del vampiro gli strinse il mento, le dita lo costrinsero ad aprire la bocca, fra cui l’essere pose il braccio ferito, lasciando che lentamente gli colasse il proprio sangue fra le labbra, fino in gola.
Konstantin cercò di lottare, di ribellarsi alla sua presa, di morderlo, ma la forza del vampiro lo sopraffece facilmente, costringendolo ad ingoiare quel sangue. Senza speranza, gli occhi violacei dell’umano si volsero verso la porta, verso il corpo scomposto del fratello, la luce della luna che riflesse una delle lacrime sul suo volto, prima che il cuore di Konstantin battesse per l’ultima volta.
 
 
 
« Hai finito? »
La voce scocciata e perentoria del vampiro suo Sire gli arrivò alle spalle, senza che Konstantin facesse una piega, finendo di sistemare la terra smossa sopra la tomba di suo fratello. Una preghiera, una richiesta di scuse silenziose, solamente sillabata dalle labbra e lo sguardo rivolto verso il nero del suolo.
« Solo adesso. »
Rispose, un tono di voce neutro, sterile, abbandonò la sua bocca, mentre il neo-vampiro lasciò cadere la pala poco lontano dalla tomba.
 « Andiamo a caccia. Ci hai messo cinque giorni a risvegliarti, sono affamato. »
Il sorriso sulle labbra del vampiro più anziano, Morpheus, aveva un qualcosa che gli fece accapponare la pelle, ma Konstantin si vide costretto ad annuire.
La notte era calata solo da un’ora ed  in cielo si stagliava solitaria una falce di luna, emettendo una flebile e scarsa luce. Si incamminarono per una strada conosciuta, silenziosi e veloci, mentre il giovane vampiro quasi sperava di incontrare un povero viandante e per poter tornare indietro il prima possibile. Arrivarono a destinazione in poco tempo e Konstantin si bloccò prima di uscire dalla vegetazione che circondava l’immensa abitazione.
« Non puoi farlo. »
Ringhiò istintivamente, prima di fare un passo indietro. Quella era casa sua, il luogo dove riposavano sua moglie e suo padre, non avrebbe permesso nemmeno al suo Sire di ferirli.
Morpheus a quelle parole rise, sinceramente divertito, andando ad afferrare l’avambraccio dell’altro vampiro, minaccioso.
« Tu non puoi impedirmelo. »
Le dita si strinsero sulla pelle sempre con più forza, fino a quando uno schiocco inquietante non interruppe il silenzio della notte. L’osso del braccio si ruppe e Konstantin arretrò fino ad appoggiarsi con la schiena contro il tronco di un albero, trattenendo dolorante il braccio contro il petto. Ringhiò di nuovo, una smorfia di dolore sul viso, ma Morpheus non si fece alcun problema ad avvicinarsi, affondando una mano tra i suoi capelli e tirandoli in modo che l’altro tornasse a guardarlo.
« Verrai con me e ti nutrirai. »
Il sorriso sulle labbra del sire portarono il vampiro a rabbrividire, mentre inconsciamente si ritrovava ad annuire al suo comando.
Entrare in casa fu dannatamente semplice, al punto che quando Konstantin si presentò alla porta, nonostante l’ora tarda, la servitù fu entusiasta di riceverlo, quasi non facendo minimamente caso alla figura che lo accompagnava. C’era qualcosa sui loro visi, una felicità comune, ed un sospetto passò per la mente del giovane vampiro che divenne realtà quando vide comparire la consorte in fondo al salone, il ventre ormai sgonfio.
« Kostja! »
La voce limpida della donna chiamò il nome dell’amato, la sua gioia facilmente comprensibile. Il padrone di casa avvertì una forte stretta al cuore ed istintivamente le andò incontro, dimenticandosi per un momento della presenza di Morpheus.
Le cinse i fianchi con un braccio, carezzandole leggermente la schiena con una mano, mentre veloce l’indice correva sulle sue labbra, morbide e carnose, ad imporle il silenzio sulla lieta notizia. Katrina aggrottò la fronte, rivolgendogli uno sguardo interrogativo. Le dita scivolarono ad accarezzarne una guancia, un sorriso tristo prese possesso delle labbra del giovane vampiro, rivelandone la sua vera natura.
« Katrina, corri. Vai da mio padre, prendi nostro figlio e fuggite. Vai! »
Mormorò quelle parole a denti stretti, liberandola dalla propria presa, mentre osservava come l’orrore si dipingesse sul suo viso tondo. La donna incespicò giusto per un attimo, prima di prendere rapidamente le scale che l’avrebbero portata al piano di sopra, nelle stanze private.
Alle loro spalle Morpheus colse subito il suo movimento e con un ringhio attaccò il primo umano che gli si parò davanti, spezzandogli l’osso del collo con un solo gesto.
« Uccidila. »
La voce del vampiro non era più contenuta, né modulata, ma carica di rabbia e fece tremare Konstantin, mentre quella parola s’insinuava nella sua testa come un ordine.  Provò ad opporsi, ma non ci fu nulla da fare, il potere del sangue altrui ancora presente nel suo corpo glielo impedì e quando se ne accorse era già in cima alla rampa di scale, gli occhi violacei che famelici rapidi individuarono la preda.
Gli stava dando le spalle, correva verso il fondo del corridoio per raggiungere l’uscita posteriore della casa, attraverso le stanze della servitù ed era preceduta da un uomo spallato che sorreggeva un piccolo fagotto. Uno scatto, qualche secondo e Konstantin raggiunse la donna, l’afferrò per un braccio tirandola a sé. L’uomo, suo padre, li guardò sconcertati, prima di riconoscere ciò che era diventato il suo primogenito.
« Perdonami… »
Konstantin abbassò lo sguardo, non riuscendo a reggere quello del genitore ed affondò i canini nella pelle chiara di colei che aveva giurato di amare. Katrina urlò, s’irrigidì fra le sue braccia e poi lo strinse, capendo in un solo attimo come tutto fosse ormai perduto.
Un sibilo, una freccia partì da una balestra, trafiggendo le spalle di entrambi i genitori ed inchiodandoli contro la parete. Mentre Katrina moriva, Konstantin alzò lo sguardo e vide per l’ultima volta suo padre sparire, tenendo saldo fra le braccia suo figlio.
 
  
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