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Autore: Elsira    15/02/2016    8 recensioni
Il medico annuì, con un evidente confusione in volto, allorché lei si alzò a sedere e gli si rivolse con tutta la calma di cui era capace: «Quello, non è un parassita. Un parassita è un organismo che non è in grado di sopravvivere in modo autonomo, ma ha bisogno di un altro organismo cui appoggiarsi per estrarre l'energia necessaria ai propri scopi. Lui invece, può benissimo vivere anche senza infestare la mia mente.»
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Goten
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE!

Caso di Gotenite acuta. Pericolo di contagio.
Si prega di tenersi alla larga e andare a leggere qualsiasi altra cosa.


No... Sono seria. Salvatevi da quest'oscenità finché siete in tempo.



«Allora, com’è andata l’ultima settimana? Miglioramenti?» Chiese atono lo strizzacervelli, seduto comodamente a gambe incrociate nella propria appariscente poltrona di pelle trattata color beige.

Stesa sul lettino dello psicologo, l’autrice disperata si portò con sconforto le mani sul volto, artigliandosi con le unghie la fronte. «Macché! Ogni giorno che passa è sempre peggio! Ormai me lo sogno persino la notte, che viene a consigliarmi scene da scrivere nei miei racconti, che tento inutilmente di far stare seri.»

«Tipo? Me ne parli, probabilmente riusciremo a estorcere questo parassita che la tormenta così tanto.» Esclamò positivo il dottore, dividendo le gambe e sporgendosi verso la sua paziente con un sorriso entusiasta in volto.

Lei abbassò lentamente le mani sul proprio viso, sbattendo velocemente le palpebre nel tentativo di metabolizzare bene la risposta. Si voltò molto lentamente e puntò il proprio sguardo in quello dell’uomo che si trovava di fronte, sussurrando gelida: «Parassita?»

Seguirono eterni secondi di silenzio, all’interno dei quali si sentì solo la carpa koi saltare fuori dall’acqua, per poi continuare gioiosa i propri giri concentrici nel laghetto del perfetto giardino alla giapponese che circondava l’edificio antico, ristrutturato e adibito a clinica psichiatrica solo negli ultimi anni.

«Parassita?» Ripeté gelida la paziente, come per essere certa di aver capito bene. Il medico annuì, con un evidente confusione in volto, allorché lei si alzò a sedere e gli si rivolse con tutta la calma di cui era capace: «Quello, non è un parassita. Un parassita è un organismo che non è in grado di sopravvivere in modo autonomo, ma ha bisogno di un altro organismo cui appoggiarsi per estrarre l'energia necessaria ai propri scopi. Lui invece, può benissimo vivere anche senza infestare la mia mente. Son Goten non è un parassita, è un virus, una malattia, una tossina, un veleno, un… Un…» S’interruppe un attimo, per poi riprendere agitando le mani scocciata, in preda a un esaurimento nervoso: «Non esiste una parola per definirlo!»

«Guardi, le assicuro che il suo Son Goten non è l’originale, ma solo una caratterizzazione che la sua mente si è talmente abituata a immaginarsi di lui, che ormai non riesce più a tornare alla precedente. E, posso assicurarle personalmente, che la precedente non è così male. Sbaglio o mi aveva parlato di una cotta per lui, che ha avuto da bambina?»

«E con ciò?» Chiese sconsolata la paziente.

«Lei da bambina si sarebbe mai potuta prendere una cotta per un cretino di tale calibro?» A quella richiesta, la malata alzò le spalle con fare arreso e commentò: «Beh, l’avevo presa per Goku praticamente dalla prima volta che l’ho visto, quando da bimbetto smutandava Bulma… E ci rimaneva anche male… Quindi…»

«A ogni modo…» Continuò il dottore, cercando di far finta di non aver sentito l’ultima confessione. «Mi racconti del sogno della notte scorsa.»

La paziente sbuffò, poi disse: «Non c’è granché da raccontare… Sono andata a dormire, ho sognato Goten che mi provava a convincere di scrivere qualche cretinata, mi sono svegliata. Fine.»

L’uomo si massaggiò le tempie con indice e medio, strizzando gli occhi e commentando: «Okay… Lei è pessima a raccontare le storie, sa?»

«E lei è pessimo ad ascoltarle!» Ribatté cocciuta l’altra, incapace di fare di meglio.

«Senta… Lei si rende conto che questa sua… Malattia, non dipende da Son Goten, ma da come lei si ostina a immaginarselo leggendo racconti su di lui, vero?» Fu la risposta del medico.

La paziente sbatté le palpebre con aria assorta in volto, prima di voltarsi e dirgli: «Posso essere franca, dottore?»

L’uomo fece cenno di sì con il capo, così che la giovane si voltasse completamente verso di lui, posando i piedi sul parquet rovere, in perfetto accostamento cromatico con i chiaroscuri del legno che prendeva forma nella mobilia dell’arredamento, dalle librerie, alle poltrone, alla scrivania.

Lei chinò in avanti la schiena, poggiando i gomiti sulle cosce e intrecciando le dita delle mani tra loro. Fece un respiro profondo, poi disse semplicemente, puntando i propri occhi nei suoi: «Che erba si è fumato prima di entrare qui dentro?»

La domanda scosse evidentemente il medico, che si ritrasse e si appoggiò allo schienale della poltrona imbottita, chiedendo poi incredulo: «C-Come, scusi?»

La paziente inclinò il capo e rispose con un tono talmente semplice da poter disarmare chiunque: «Ma sì, guardi che a me può dirlo. Mica me la prendo, anzi! Magari potrebbe consigliarmi il suo spacciatore. Sempre meglio che prendere quella della Sig.ra Brief… Tanto peggio di così dubito possa andare.»

«Ma lei si rende conto di ciò che sta dicendo?» Chiese lui, passandosi una mano tra i capelli con fare sconsolato.

«Certo.» Rispose prontamente l’altra, dandosi una pacca sulla coscia, incrociando le gambe e aggiungendo subito dopo: «Le sto chiedendo di darmi il numero del suo spacciatore di fiducia!»

Il medico, incredulo a ciò che le sue orecchie stessero udendo, si sistemò meglio sulla poltrona, per poi muoversi ancora dopo un istante e sporsi verso la giovane, assumendo la medesima posa che l’autrice aveva tenuto fino a pochi istanti prima: «Signorina, lei non sta bene… Lei ha bisogno di aiuto… Un grosso aiuto… Un aiuto che io non sono in grado di darle.»

«Ma va’...» Rispose con un sopracciglio alzato lei, dondolando un poco la testa. Dopodiché aggiunse, con fare ovvio: «Altrimenti perché sarei ancora qui dopo tutte queste settimane?»

L’uomo si passò una mano sulla faccia, sconsolato, dopodiché prese una decisione e si alzò dalla poltrona, facendo cenno con la mano alla paziente di seguirlo: «Venga, l’accompagno in un posto dove sono certo si troverà più a suo agio…»

Lei lo guardò con occhi da bambina, indossando il proprio cappotto mentre chiedeva speranzosa: «Da Launch? A farmi con lei e Jiaozi? Almeno avrò la pelle morbida come il culetto di un bambino, esattamente come la sua, nonostante l’età che ha.»

«Sì… Certo… La porto proprio da Launch e Jiazoi...» Disse con un sospiro rassegnato l’uomo, mentre metteva in tasca chiavi e portafoglio.

«Sa una cosa, dottore?» Chiese la giovane, attendendolo a pochi passi dall’uscita.

«Mi dica.» Rispose lui senza guardarla, mentre sistemava le ultime carte sulla sua scrivania e prendeva il proprio giacchetto posato sulla poltrona dov’era stato seduto fino a poco prima.

«Quando mi lascerà, mi dispiacerà davvero. Perché lei, dopotutto, mi fa divertire un sacco. E poi le voglio da sempre un mondo di bene!» Gli disse la paziente con un sorriso sincero, guardandolo in quei due pozzi neri che alla fine, dopo tutto quel tempo passato assieme, aveva imparato ad apprezzare. Lui sorrise con fare da fratello maggiore e più intimo confidente, dopodiché le cinse le spalle con un braccio e, dirigendosi verso l’accecante luce oltre la porta del suo studio, le disse con un sorriso sornione: «Sono molto contento di questo. Ma ora è il momento di svegliarsi e concedermi un posto su EFP scrivendo una one-shot su questa nostra seduta, d’accordo Elsira?»

«D’accordo, Goten.»

   
 
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