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Autore: TataTatosa    15/02/2016    1 recensioni
Salve a tutti/e, prima Fic del fandom, se non fosse stato per la mia adorata ringostarrismybeatle non avrei mai pubblicato. Sono emozionata, ma conscia del fatto che esordisco con un argomento non proprio piacevole, difatti questa Shot è incentrata su Mark David Chapman e sul suo efferato crimine.
Dal testo :
"Si avvicinò alla cassa con l'aria di chi in realtà stava rubando quella copia, rivolse un mezzo sorriso di circostanza alla commessa che lo guardava stranito e pagò quello che sapeva per certo essere l'ultimo lavoro discografico del mito che l'aveva accompagnato per tutta la sua adolescenza ed età adulta, conducendolo per mano verso quel vicolo cieco contro cui stavano andando a sbattere rovinosamente entrambi. Il tintinnio del campanello all'entrata lo distrasse appena da portare la sua attenzione sul calendario che aveva la donna alle sue spalle : 8 dicembre 1980."
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Non sono nessuno

 

Mark David Chapman lo vedeva bene nel riflesso sbiadito davanti a sé. Lo leggeva nei lineamenti del suo volto pingue, nelle affossature cianotiche che gli dissotterravano gli occhi spenti. Si portò le mani tremanti sulla faccia, sondando le guance da parte a parte, come se volesse scrutare qualche minimo particolare che lo rendesse interessante, diverso. E invece.. solo l'immagine di un uomo spregevole dai capelli unti , appiattiti alle tempie, che aveva passato la notte precedente a confondersi le idee, ad imbrattarsi la mente di assurde teorie; ad addestrarsi a diventare qualcuno.

 

 

 

Non sono nessuno

 

 

Appuntò sul naso tondo ed eccessivamente sporgente i suoi occhiali squadrati dai vetri fumé : in parte gli nascondevano i lampi d'odio che mandavano i suoi occhi e, in parte, ne fu felice. Fu felice di non dover constatare quanto in realtà non fosse cresciuto e che dentro di se gridava ancora la voce di un infante disturbato; ancorato alle avventure de “il giovane Holden” , il suo personalissimo manifesto contro l'opportunismo e l'ipocrisia, che al tempo, portava un solo nome : John Lennon.

Un brivido di eccitazione gli divise la schiena salendo su per la nuca, proprio dove si annidavano i suoi nervi impazziti e impazienti, impazienti come le sue mani che da diversi giorni, ormai, sudavano odio; tracimavano vendetta. Impugnavano rancore alla stessa stregua di una pistola, quella che avrebbe usato, quella che sarebbe stato lo strumento sacro, la manna dal cielo, l'ordigno per purificare la terra dal male che aveva esteso i suoi tentacoli sul mondo conquistandolo tutto.

Mentre lui...

 

 

Non sono nessuno

 

 

Portò tutto il suo ingente peso sul letto sgangherato di quel motel, il materasso si incavò completamente e le molle in ferro cigolarono, più che per la sua mole di grasso, per i propri pensieri raggruppati a mo di fardello; era la sua malattia che stava alimentandosi come un fuoco molesto, ardendo feroce contro le pareti del suo petto, erodendolo, consumandolo, restituendogli, forse, attraverso la cenere, la benedizione che aveva chiesto. Guardingo, gettò le iridi sul libro dei libri : era posato sul letto, accanto a sé, in modo quasi profetico. Leccò avidamente il dito indice e con lo stesso fece scorrere le pagine flebili della Bibbia anelando i quattro vangeli , anzi il Vangelo. Quello secondo John Lennon. Scrisse quel secondo nome di getto, in brutta grafia, ma sufficientemente leggibile ai suoi occhi e al suo cuore che adesso prese a pulsare erraticamente , pompando sangue sporco al cervello marcio, mentre un angolo delle sue sottili labbra si piegò verso l'alto disegnando un ghigno malefico e compiaciuto. Serrò le palpebre così come chiuse di scatto la Bibbia, innervosito e impermalito, il disgusto prese a sciogliersi nel suo stomaco inondandolo completamente e l'ombra della disperazione si fece più scura sulla sua testa, toccandogli morbosamente le spalle come una madre apprensiva.

 

Non sono nessuno

 

 

Era approdato a New York City solo da qualche giorno, non aveva la minima intenzione di trattenersi oltre. Aveva una missione sociale da compiere e in quanto tale, il tempo doveva essere sufficientemente limitato. Non era in vacanza, non era per divertirsi, era lì per restituire al mondo ultraterreno uno dei suoi frutti migliori, ma che progressivamente aveva preso ad annerirsi dal vizio, dall'incoerenza.

Era lì per fare un favore a Dio, uccidendone un..altro.

La presunzione di quell'assunto gli fece aggrottare le sopracciglia e accapponar la pelle quasi quanto la certezza che aveva nel fermarlo, prima che diventasse la forza oscura avvolgente, potente più del diavolo. Si alzò di tutta fretta, infilò le braccia nel giubbotto e seguito dalla follia cieca aprì la porta della stanza, deciso a non dover più aspettare. Un'ultima occhiata furtiva alle mura anonime di quella camera e sbatté prepotentemente dietro di lui quell'ammasso immondo in cui aveva pascolato nelle ultime ore.

 

 

Non sono nessuno

 

 

Camminava a passo svelto , Mark, per le vie di New York City. Nella routine scontata da cui proveniva nulla gli pareva esser così bello, così vivido. La magnificenza dell'artificio umano si palesava sotto ai suoi occhi : strutture moderne che si ergevano maestose tra la folla variopinta di culture e tradizioni solleticavano il cielo sempre limpido che ricopriva la costa . Buttò lo sguardo su un negozio di dischi , il suo rinomato paradiso terrestre, e fu avvinto ad entrare. Da sopra quei banconi che sprizzavano colori e suoni , tutto sembrava parlargli in segreto, sussurrandogli codici cifrati, parole monche che urlavano solo vendetta, null'altro. John Lennon era dovunque, e da qualunque parte vi si posasse lo sguardo. Aveva colonizzato l'America con la sua personalità da leader indiscusso e sicuro di sé, con la sua faccia furba e insulsa, quella che chiamava colpi sul naso pur di esternare ciò che gli pareva. Di nuovo, un'onda travolgente di odio misto a terrore lo investì e quando adocchiò Double Fantasy, quasi ipnotizzato , si decise a comprarlo. Era tutto parte di un piano ben orchestrato contro l'uomo che compariva sul retro della copertina, l'uomo che cantava d'amore , di pace e che stava liberando la forza di cento diavoli dentro di sé. Si avvicinò alla cassa con l'aria di chi in realtà stava rubando quella copia, rivolse un mezzo sorriso di circostanza alla commessa che lo guardava stranito e pagò  quello che sapeva per certo essere l'ultimo lavoro discografico del mito che l'aveva accompagnato per tutta la sua adolescenza ed età adulta, conducendolo per mano verso quel vicolo cieco contro cui stavano andando a sbattere rovinosamente entrambi. Il tintinnio del campanello all'entrata lo distrasse appena da portare la sua attenzione sul calendario che aveva la donna alle sue spalle : 8 dicembre 1980.

 

Non volle il resto. Volle solo “concludere”

 

 

Non sono nessuno

 

 

Il vialone che conduceva al Dakota, in Central Park, gli parve cosparso di chiodi per quanto era elettrizzato dal raggiungere l'ingresso principale della residenza lussuosa dove soggiornava l'uomo che tanto decantava uguaglianza di diritti; dove giaceva abbarbicato tra cuscini di seta colui che cantava “imagine no possessions” fumando dell'erba buona e profumata, eppure nella sua mente l'unico odore che riusciva ad arrivargli alle narici era quello del disprezzo. Col cuore che gli cavalcava sulle costole e la rabbia che gli allungava i passi cercò di farsi spazio tra la ressa : un via vai vivace di fans attendeva la venuta del beniamino nella speranza di acciuffarlo per qualche foto da appendere gelosamente in stanza o autografi da esibire ai migliori amici e farli morire di invidia. Erano tutti entusiasti, erano tutti stretti in un unico coro “John Lennon” un nome, una profezia, un peccato da cancellare, un debito da estinguere.

Le mani gli prudettero.

 

Non sono nessuno

 

La calca di gente cominciò a diradarsi all'arrivo di una limousine bianca, sontuosa; l'ennesimo schiaffo alla miseria che si sentiva impiantato in pieno viso. Urla spezzate, grida di gioia commista ad esaltazione, voci appassionate lo invocavano ed uscì lui, finalmente, dopo tanta attesa. Fiero, inorgoglito di sentire il suono del suo nome arricchire le bocche di tutte quelle persone, estasiato guardava il risultato del suo impegno verso l'umanità e scrutava tutti con riconoscenza da dietro i suoi immancabili occhiali rotondi. Chapman sussultò, due volte. Dopo una nota di esitazione, ebbe il coraggio di farsi più avanti per vedere dal vivo di che pasta era fatta il suo cruccio , il suo imminente errore. Sgomitando, ma sempre attento a passare inosservato, si piazzò proprio nel raggio d'azione di Lennon : lo stupore lo colse d'improvviso, sentimenti contrastanti si risvegliarono tutti assieme, non poté farci nulla, era davvero pura magia osservare quell'uomo che mostrava gentilezza e affabilità verso chi gli si accostava più sotto tendendo una penna e un cuore colmo di speranza e felicità per averlo visto. Non fu sicuro se ebbe avvertito la contentezza sbocciargli dentro come agli altri, tuttavia qualcosa si smosse a cavallo delle sue putride membra quando lui , John Winston Lennon, gli rivolse un sorriso. L'uomo più importante della terra si era accorto della sua inutile esistenza , aveva fatto incontrare i loro occhi, aveva speso un nanosecondo della sua attenzione su di lui, su Mark David Chapman. Imbambolato fino al midollo gli porse, con la timidezza che gli spezzava a metà le ossa, la sua adorata-odiata copia dell'album guadagnandosi un autografo pimpante, con tanto di data e un altro sorriso di gratitudine al seguito che si confuse sotto al flash improvviso e scostumato proveniente dalla macchina fotografica di Paul Goresh. Per alcuni istanti ne rimase abbagliato e per lo stesso lasso di tempo rimuginò sulle sue elucubrazioni, finché il suo sogno travestito da incubo si allontanò per andar via. Era ancora avvizzito, ancora perso a realizzare cosa fosse successo , se fosse vero, se fosse giusto.

 

 

Non sono ancora nessuno

 

 

La sua pelle lattiginosa lacrimava sudore e shock attraverso i tessuti di cotone che lo rivestivano in modo distratto, la pelle si raggrinziva e distendeva seguendo l'andamento altalenante del suo stato d'animo; cercava disperatamente di darsi aria con un movimento febbrile delle mani, appiattendosele più e più volte contro il viso ora paonazzo ora cadaverico. Se da un lato la rivoltella gli vibrava contro il petto impaziente di svolgere il suo lavoro, dall'altro la sua coscienza iniziò a parlargli teneramente, accarezzando con dovizia corde della sua anima ancora arrugginite, come quel sorriso rivoltogli poco prima. La dicotomia interiore avvenne senza avvertimenti, senza convenevoli; la concisione infame tra l'azione e l'idea accadde prim'ancora che egli potesse sentire il suo buon senso squarciarsi. Parlava da solo, dialogava col mostro che stava piano piano inghiottendo tutta la sua parte buona e sotto gli sguardi inorriditi dei passanti si contorceva in se stesso, come un serpente a sonagli intrappolato nella sua stessa rete. Constatò di aver un male inspiegabile alle braccia, tutto il corpo prese a battere tremendamente e iniziò perfino a perdere sensibilità al polso stretto dall'orologio che segnava le 20:52

 

Tra l'amore e l'odio, intanto il cielo s'attristava.

 

 

Non sono nessuno

 

 

Aveva atteso tanto, due ore per l'esattezza, 120 minuti di ansia pura, adrenalina, angoscia. Momenti di pura pazzia che si confondevano a ricordi felici di canzonette lenitive perfino per un'anima nera come la sua e per quella di tanti altri ragazzi che vivevano imitando il leader dei Beatles atteggiandosi come lui, credendosi di essere lui : il sogno irraggiungibile delle ragazze e il modello esemplare dei ragazzi. Un'espressione di sussiego imperversò per tutto il suo viso quando realizzò che lui sarebbe stato il solo a mandare in rovina una generazione intera, la pistola che gli solleticava la tasca gli dette ragione. Sorrise divertito.

 

Frattanto la sfarzosa auto si era di nuovo appostata fuori al Dakota, riaccompagnava in residenza l'uomo che per l'ultima volta avrebbe visto la notte.

 

Dal lato del marciapiede, la rabbia, il dolore e l'inadeguatezza mista a paura di un fallimento, l'ennesimo, si scazzottavano tra loro : una gara ignobile tra sentimenti che lottavano per aggiudicarsi il grilletto della calibro 9. Poi, la confidenza arbitraria di chiamarlo per nome, per la prima volta. L'unica.

 

Uno.

 

Due.

 

Tre.

 

Quattro.

 

Al rimbombo del quinto sparo, Mark si arrestò sogghignante, era stato quello decisivo e si placò nell'ombra della soddisfazione.

 

“Ho appena ucciso John Lennon” pronunciò a voce alta.

 

 

 

Sono qualcuno

 

 

Ore 22:52,

il mondo cessò di esistere e, per un attimo, di immaginare.

 

 

 

  
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