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Autore: ellie_maers    15/02/2016    4 recensioni
Esistono sul serio, gli Sterminatori di Incanti.
Uomini senza identità che hanno consacrato la propria vita alla spada e alla fede.
Uomini che vivono per uccidere.
Uomini che hanno sfiorato l'abisso, e sono sopravvissuti.
[Partecipa al concorso "The Witcher" indetto da Deidaradanna93]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo Sterminatore di Incanti Lo Sterminatore di Incanti

Esistono sul serio, gli Sterminatori di Incanti.
Uomini senza identità che hanno consacrato la propria vita alla spada e alla fede.
Uomini che vivono per uccidere.
Uomini che hanno sfiorato l'abisso, e sono sopravvissuti.


L'aria odorava di sudore, terra, acido e veleno.
Henning lo percepiva nel palato, nel grumo di sangue nella gola, nel cranio spaccato della creatura che aveva appena massacrato. Nei racconti si sussurrava che fossero streghe, Incanti. Seducevano gli uomini con la loro pelle fulgida, i seni piccoli, lo sguardo filato col fuoco. Non erano altro che apparenze, perché bastava chiudere gli occhi per sentire il loro fetore di decomposizione. Si nutrivano di desideri, di uomini.
Henning rotolò al fianco della carcassa della strega, slacciò le cinghie di cuoio della fodera della spada, riprese fiato sotto il primo bagliore mattutino.
Non aveva molto tempo. Acceso un piccolo fuoco, scaldò la lama della sua daga e se la premé sulle ferite aperte. Non urlò, ormai Henning non aveva più niente per cui urlare.
La sua carne bruciata aveva lo stesso gusto di quella di un pollo, di quelli un po' vecchi, con la scorza spessa che si masticava a fatica. Gli brontolò lo stomaco, e Henning si ripromise che prima o poi si sarebbe concesso una notte di vero cibo e riposo in una taverna.
Ma gli uomini come Henning non rispettavano mai le promesse.
Lo Sterminatore di Incanti recise un lembo della pelle della strega e poi montò a cavallo.

*

Lo chiamavano Cancello degli Inferi: un nome appropriato per quel santuario arroccato nel ventre dell'altura, che delimitava il confine tra ciò che apparteneva agli umani e ciò che invece loro si erano presi.
Era stato costruito con le pietre di una frana, dopo che una notte la montagna aveva seppellito donne, uomini e bambini durante il sonno.
Erano terre povere quelle, sfibrate da fame e malattie. Da quell'altitudine Henning riusciva a distinguere il colore secco del grano, i campi stretti nella cinta muraria del castello che dominava la valle.
Henning legò il proprio cavallo ad un fusto, gli diede una pacca sul muso, si issò la bisaccia sulla spalla.
Il portone del santuario era già socchiuso; a lui bastò percorrere la navata di torce, inginocchiarsi all'altare e chiedere assoluzione.
Alle sue spalle, le ginocchia rattrappite dall'umidità, una donna piangeva con le mani congiunte alla croce.
Si chiamava Murien, suo marito era morto, aveva tre figli, due piccole femmine e un maschio di sedici anni. Il giovanotto si chiamava Vinn, ed era il motivo per cui Henning aveva iniziato quella caccia.
Vinn aveva incontrato la strega sulla strada del villaggio. Lei stava raccogliendo margherite in un cesto, lui l'aveva guardata. Avevano fatto l'amore dietro una quercia.
Una volta tornato a casa, Vinn era crollato a terra con febbre e vomito. La sua pelle era diventata grigia, come se ne avessero appannato il colore.
Il monaco del santuario l'aveva benedetto, poi gli aveva offerto un giaciglio nella casa del Signore sperando nella clemenza divina. Alla fine aveva chiamato Henning.
Lo Sterminatore si fece scortare al capezzale del giovane e ne tastò la fronte bollente, il sudore sulle tempie, le labbra tagliate dalla secchezza.
Il monaco, che stava strizzando un panno in un bacile d'acqua, si fece da parte con un sospiro.
Murien stropicciò le mani dentro la gonna lurida. «Può guarirlo?»
«Posso salvarlo» disse Henning. Lasciò cadere la bisaccia sul pavimento, un rumore di ferraglia cozzò sulla pietra cava. Con un mortaio sminuzzò la pelle della strega che aveva succhiato la vita a Vinn; poi la scosse in un liquido pastoso finché non si disciolse.
«Fateglielo bere» fu l'ordine.
Murien titubò, le tremarono le mani. Solo quando il monaco la esortò a raccogliere il filtro, la donna si sfogò in un pianto di gioia. Aveva salvato il suo unico figlio, gli era debitrice, gli doveva la vita.
Henning non si attardò oltre. Riprese il galoppo senza aspettare l'urlo di una madre che avrebbe visto il proprio figlio tossire schiuma bianca e tossire finché non avrebbe sanguinato i denti, poi i polmoni.
Henning poteva solo salvare l'anima, purificare lo spirito, non guarire un corpo dannato.
Quella notte dormì alla pioggia, contro un tronco bagnato.
   
 
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