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Autore: artemisia reight    15/02/2016    0 recensioni
Questa è la storia di un'atleta. Un'atleta che ha rinunciato a tutto per la corsa e, in un attimo, viene abbandonata da chi più credeva in lei. Questa è la storia di una ragazza che vuole dimostrare al mondo che lei è abbastanza, che vuole dimostrare a chi una volta credeva in lei che può ancora farcela e che ha il coraggio necessario per vincere sopra tutto e tutti. Questa è la storia di Beatrix.
Genere: Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scendo dall’autobus come una furia. Sono in ritardo, continuo a ripetermelo per convincere le mie gambe a muoversi più velocemente. Sorpasso un paio di vecchiette, perdendo quasi l’equilibrio, e svolto finalmente l’ultimo angolo prima della scuola. La vedo, in lontananza ma sempre più vicina. Corro di più, immaginando Marshall, il mio allenatore, guardare l’orologio e perdere la pazienza. All’improvviso alzo gli occhi verso l’enorme edificio sportivo che ho di fronte e resto di sasso. I cancelli sono chiusi. Sbarrati. Nessuno mi sta aspettando. Faccio mente locale, tentando di trovare una spiegazione a quella situazione incredibile. Mi alleno in quel posto da undici anni e non l’ho mai visto chiuso in un giorno che non sia la domenica. So con certezza che oggi è lunedì, visto che sono appena uscita da scuola, e non ho ricevuto nessun avviso di nessun genere. Forse, per la prima volta da undici anni, hanno deciso di fare una disinfestazione … No, non è possibile. Lo saprei. Marshall mi avrebbe avvisato. La mia mente continua a cercare una motivazione, qualsiasi cosa che possa essere lontanamente accettabile. Nulla. decido di fare l’unica cosa sensata che possa fare in questo caso. Chiamo Marshall. Il telefono continua a squillare per un paio di minuti. Nessuna risposta. So che di solito non risponde a quest’ora, ma perché è qui ad allenare. E oggi qui non c’è. I pensieri più oscuri cominciano a farsi strada nella mia testa. Tento di ignorarli. Volto la testa e noto un citofono a cui non avevo mai fatto caso: sono abituata a trovare il cancello aperto e ad entrare senza neanche guardarmi intorno. Premo l’unico pulsante presente in quell’apparecchio, sopra cui vi è la scritta ‘Segreteria’. Premo forse con troppa foga, perché la voce che mi risponde sembra alquanto innervosita. Riconosco Marta, la signora molto gentile con la quale sono solita chiacchierare spesso tra un allenamento e l’altro. “Marta, sono Beatrix. Che diavolo succede? Dovrei avere un allenamento ora. Perché è tutto chiuso?” la preoccupazione trapela dalla mia voce. “Bea, io..” nella sua voce sento qualcosa di strano che non so descrivere, ma che fa accelerare il mio cuore “non hai saputo?”. “Saputo cosa?” comincio ad agitarmi sempre più. “Come è possibile che non ti abbiano detto nulla?..”la sua voce si fa flebile “ti apro. Entra, ti offro un caffè”.

Pochi minuti dopo sono nel piccolo ufficio di Marta. Non appena metto piede dentro i brividi si fanno strada nel mio corpo. Marta si trova al centro di una montagna di scatoloni. Tutti i quadri e le coppe che erano esposte un po’ dappertutto si trovano ora all’interno di scatole di varie misure e l’ufficio sembra incredibilmente senz’anima. Marta mi fa sedere in mezzo a quelle macerie e mi offre una tazza piena di caffè caldo che, nella confusione che la vista della stanza mi ha creato, non so da dove sia uscita. Il silenzio cade improvvisamente e il cuore prende a martellarmi nelle orecchie. “Marta, ti prego” ormai c’è un tono di supplica nella mia voce spaesata “spiegami cosa succede”. Marta fa un sospiro. Si guarda intorno, come a cercare qualcosa che le impedisca di aprire bocca e le permetta di rimandare il momento della verità ad un altro momento. Probabilmente non trova nulla in grado di farlo, perché si convince a parlare. “Se ne sono andati” afferma, ma il mio sguardo rimane confuso “Marshall e la compagnia, intendo. Gli hanno offerto un lavoro ad un paio di isolati da qui, in un’altra palestra. È da un paio di settimane che ci pensano. Non sapevano se accettare  o no, ma alla fine hanno ceduto. Senza di loro che portano avanti tutto, il proprietario dell’impianto ha deciso di chiudere. Non ha voglia di trovarsi altri allenatori. Fortunatamente io ho la possibilità di andare in pensione e, con questa nuova situazione, non perderò tempo”. Il mio cuore salta svariati battiti e non riesco più a formulare un pensiero coerente. Non posso crederci. Non posso credere ad una cosa simile. È assolutamente impossibile. Marshall non avrebbe mai fatto una cosa del genere senza avvisarmi. Sarei stata la prima a cui lo avrebbe detto.”Se è vero quello che dici” riconosco di avere una voce aggressiva, ma non riesco a farne a meno “come mai ci sono solo io qui? Perché non ci sono tutti gli atleti che dovrebbero allenarsi?”. Lo sguardo di Marta si rabbuia ancora di più “si sono portati dietro la squadra, Beatrix. Erano questi gli accordi” potrei scommettere di aver visto i suoi occhi farsi lucidi a questo punto “l’intera squadra li ha seguiti. Hanno deciso che l’unica condizione per cui sarebbero stati disposti a lasciare questo posto sarebbe stata con tutta la squadra al loro fianco, e la palestra ha accettato”. A quel punto non riesco più ad aprire bocca, ma la domanda che il mio cervello si sta silenziosamente ponendo deve risultare alquanto ovvia, perché Marta risponde comunque. “Hai controllato il telefono?” mi chiede, abbassando lo sguardo verso il mio zaino “sei sicura di non aver ricevuto nessuna chiamata da Marshall negli ultimi due giorni? È da un paio di giorni che avvisano tutti. Lo so, è poco preavviso, ma hanno ricevuto la risposta dall’impianto solo venerdì”. Tiro fuori inutilmente il cellulare. “No, Marta” la mia voce si alza in modo incontrollato “non c’è nessuna chiamata da Marshall. Nessuna cazzo di chiamata. Né da lui né da nessun altro. Non ho ricevuto nessuna. Cazzo. Di. Chiamata.” mi alzo in piedi di scatto e sbatto il pugno sul tavolo. “Ora calmati, Bea …” la voce di Marta si spegne mentre le lancio un’occhiata furiosa. Sto per urlarle che non deve neanche provare a dirmi di calmarmi dopo una notizia del genere, ma improvvisamente la calma si impossessa del mio corpo. Chiudo gli occhi, respiro profondamente, e li riapro. “Hai ragione, Marta” affermo con il tono più calmo e pacato che riesco a trovare “devo solo verificare che Marshall ha provato ad informarmi e non ci è riuscito. È di certo andata così. Non c’è altra opzione”. “Hanno già cominciato gli allenamenti. Stessi orari, credo, solo palestra diversa” mi informa Marta “Non è lontano, ti do l’indirizzo”.
  
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