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Autore: Chiccagraph    15/02/2016    3 recensioni
[...] «Questo si chiama complesso di Dio. I chirurghi credono di essere sicuri, certi, ma non… » Addison si fermò, chiudendo i suoi occhi e prendendo un lungo respiro. «Perché sto ancora parlando con te?»
Lui non esitò a colmare lo spazio tra loro, facendo un passo in avanti nella sua direzione. «Perché mi trovi affascinante».
Addison alzò gli occhi al cielo stizzita, anche se non poteva negare che avesse maledettamente ragione. «Affascinante?» [...]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Derek Sheperd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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NdA:
Appena ho trovato questa storia me ne sono innamorata a tal punto che ho deciso di tradurla.
Ho cercato di essere il più fedele possibile al testo originale, ma molto spesso gli inglesi usano modi di dire e frasi che difficilmente si possono tradurre alla lettera, per questo ho apportato qualche modifica qua e là, solo per rendere la lettura in italiano più scorrevole.
È stato strano scrivere questa storia, solitamente leggo e basta, non mi era mai capitato di tradurre un brano e metterlo per iscritto. Probabilmente l’ultima volta che l’ho fatto ero al liceo e non voglio neanche pensare a quanto tempo sia passato! XD
Credo che la scrittrice si sia calata benissimo nei personaggi e li abbia rappresentati alla perfezione.
 
L’autrice è thisisironic e la storia in lingua originale la potete trovare sul sito: https://www.fanfiction.net/s/3159093/1/You-Like-Me
 
Personalmente amo questi due polentoni e leggere una storia in cui non sono i due dottori che ben conosciamo, m’intrigava parecchio. Il Pre-Grey's ha il suo fascino nascosto!
Spero che piacerà anche a voi come è piaciuta a me fin da subito.
Un bacione e buona lettura.
 



 
 


 

La prima volta che si parlarono fu durante un nevoso martedì mattina, appena fuori dagli spogliatoi.
I grafici che le erano stati assegnati di rifare, dopo una negligenza dello specializzando del turno precedente, le caddero dalle mani, esattamente dieci piedi da dove li aveva presi. Imprecando sotto voce, cercò di non far cadere gli occhiali mentre s’inchinava per raccoglierli.
 
Una voce morbida, fuori dal suo campo visivo, la colse di sorpresa: «Ecco, lascia che ti aiuti con quelli».
 
Lei alzò lo sguardo mentre un bellissimo ragazzo s’inginocchiava al suo fianco, facendo quasi scontrare le loro teste. Scusandosi, si alzò in piedi tenendo in mano una parte dei documenti che aveva raccolto da terra e lui fece lo stesso, tenendo tra le mani la parte restante. Ci vollero pochi secondi per capire dove fossero finite tutte le sue cartelle e allungando le braccia riprese i grafici mancanti, nonostante lui cercò di tenerne una parte, per alleggerire il suo carico.
 
«Va tutto bene, in questo momento mi piacerebbe che Webber potesse vedere che sono in grado di gestire il carico di lavoro» spiegò Addison. «Giuro, ha gli occhi anche dietro la testa».
 
«Tutti gli strutturati lo fanno» rispose sorridendo. «È il loro lavoro, giusto?»
 
Alla vista del suo sorriso, Addison, quasi lasciò cadere nuovamente i file. «G-Giusto».
 
«Mi piacciono i tuoi occhiali» allungò il braccio e con la mano li toccò, senza pensarci, come se fossero amici intimi e lui avesse il diritto di invadere il suo spazio. 
 
Non che a Addison importasse, visto che era troppo impegnata a soffocarsi con la sua stessa lingua per preoccuparsene. «I-Io… bene, grazie».
 
Uno sguardo curioso attraversò il suo volto; i suoi occhi non abbandonarono mai quelli della donna.
 
«I-Io mi dispiace, io balbetto. Ma lo faccio solo un po’ e solo quando sono nervosa» le sue guance s’incendiarono di una tonalità di rosso che era seconda solamente a quella dei suoi capelli. «Non che-che io sia nervosa ora».
 
«No, certo che non lo sei» incrociò le braccia al petto inclinando contemporaneamente la testa di lato, un ghigno impertinente affiorò sul suo volto mentre masticava la gomma. «Stai balbettando, ma non perché sei nervosa».
 
Addison annuì, «Esatto».
 
«Anche se hai appena detto che balbetti solo quando sei nervosa» imitò il suo cenno del capo, mentre un sorriso si allargava nuovamente sul suo viso.
 
L’unica cosa che poteva superare l’essere nervosa, per Addison, era essere presa in giro; quando vide quello sguardo sul volto dell'uomo, si rese conto che era esattamente quello che stava succedendo. Il fatto di essere stata un'imbranata al liceo e successivamente all’università, le aveva insegnato abbastanza da sapere che non poteva rimanere a guardare e di conseguenza permettere alle persone di approfittarsi di lei.
Cosa, che in questo momento, sembrava stesse facendo questo ragazzo.
 
Scuotendo la testa iniziò ad allontanarsi. Sentì i suoi passi, e, consapevole che la stesse seguendo, gli gettò uno sguardo irritato da sopra la spalla. «Sei arrogante».
 
Sembrava sorpreso piuttosto che offeso, come se nessuno lo avesse mai chiamato così prima d’ora. «Lo sono?»
 
«Sì, arrogante».
 
«Beh, a essere onesti, dovrei prenderla in considerazione come cosa… io sono un chirurgo» la raggiunse abbastanza rapidamente, nonostante il vantaggio che le sue lunghe gambe le avessero dato. Si fermò al suo fianco con le braccia incrociate dietro la schiena, con ancora quel gran sorriso dipinto sul volto. «Voglio dire, qualsiasi persona nel momento in cui entra in una stanza, con l’idea di avere il potere di decidere chi far vivere e chi morire, deve essere un po’ arrogante.»
 
«Questo si chiama complesso di Dio. I chirurghi credono di essere sicuri, certi, ma non…» Addison si fermò, chiudendo i suoi occhi e prendendo un lungo respiro. «Perché sto ancora parlando con te?»
 
Lui non esitò a colmare lo spazio tra loro, facendo un passo in avanti nella sua direzione. «Perché mi trovi affascinante».
 
Addison alzò gli occhi al cielo stizzita, anche se non poteva negare che avesse maledettamente ragione. «Affascinante?»
 
«No?» fece scorrere le mani attraverso i suoi capelli corti e indisciplinati. «Che ne dici di vigoroso?»
 
Addison sbuffò nuovamente.
 
«Seducente?»
 
Riprese a camminare senza degnarlo di uno sguardo, ma purtroppo raggiunse l’ascensore troppo tardi e le porte si chiusero prima che potesse fermarle. «Sei così…»
 
«Attraente?» inclinò la testa all’indietro portandosi una mano sul mento, come se stesse riflettendo su qualcosa. «Sì, penso che mi piaccia che…»
 
«Tu non sei un chirurgo».
 
Sebbene questa frase lo avesse leggermente offeso, cercò di non far trapelare i suoi sentimenti all’esterno. «Non sono un chirurgo?»
 
«No, non lo sei. Sei uno specializzando».
 
Annuì e sporgendosi verso di lei la colpì, giocosamente, con la spalla. «Come te».
 
«In questo momento sei presuntuoso e arrogante come se fossi un chirurgo di successo, quando in realtà, sei solo uno stagista che è destinato ad avere un nodo alla gola la prossima volta che penserà anche solo di tenere in mano un bisturi. Quindi, l’intera situazione non fa altro che sottolineare quanto tu sia arrogante…»
 
«Non dimenticare presuntuoso» le suggerì facendole l’occhiolino. «Oh, e anche attraente. Io sono molto attraente. Forse uno di noi due dovrebbe prenderne nota da qualche parte».
 
«Tu...» Addison si morse la lingua e prima di riprendere a parlare si guardò alle spalle per essere sicura che non ci fossero residenti nei paraggi; ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, urlare qualsiasi cosa o infliggere un qualche danno all’uomo, lui la interruppe.
 
«Penso che mi piaci anche così» disse, e mentre parlava alzò lo sguardo verso l’alto per vedere a quale piano si trovasse l’ascensore; come se stesse avendo una naturale conversazione con un amico di lunga data e fosse completamente a suo agio.
 
Addison ci mise un secondo per elaborare e capire cosa avesse appena detto. «Co-come che cosa?»
 
«Non che io trovi affascinante la balbuzie» aggiunse ripensando alle sue parole, «ma mi piaci anche così, anche di più».
 
Addison serrò la mascella, irritata. «Ti rendi conto che tra meno di due secondi ti darò uno schiaffo, vero?»
 
Lui annuì. «Certamente».
 
«Quindi mi permetterai di farlo?» Addison si passò una mano sulla fronte, cercando di capire come funzionasse il cervello di quest’uomo. «Ti piace il fatto che stia per colpirti?»
 
«Questo suona come se io fossi un masochista, cosa che ovviamente non sono. Solo un maniaco del lavoro.» Lui incrociò le braccia al petto e si girò nuovamente verso di lei. Fece un passo indietro appoggiandosi con le spalle contro il muro, e nel vederlo così, Addison, non poté davvero cancellare le fantasie malsane che avevano iniziato ad affollarle la mente. «È questo che ti piace di me?»
 
«Mi dispiace, ma io non ho mai detto che mi piaccia qualcosa di te».
 
«Ammettilo, ti piaccio.» sorrise, inclinando la testa da un lato. «Sono presuntuoso, arrogante, attraente e un maniaco del lavoro. Ti piaccio!»
 
Addison inclinò la testa verso di lui. «Almeno sei disposto ad ammettere che sei arrogante».
 
«Ti piace avere ragione, vero? È per questo motivo che sei ancora ferma su questa cosa dell’essere arrogante?»
 
«Sono ancora ferma sulla cosa dell’essere arrogante, perché tu sei ancora arrogante»
 
Alzò le spalle mentre la guardava innocentemente, indicando le porte chiuse dell’ascensore con la coda dell’occhio. «Io sto solo aspettando un ascensore. Qualcuno può davvero aspettare un ascensore in modo arrogante?»
 
«Tu puoi»
 
Rise di vero gusto e Addison cercò di non lasciarsi contagiare dalla sua splendida risata, fallendo miseramente. Quanto più quest’uomo fosse un bastardo arrogante, tanto più aveva una risata adorabile. «Mi piaci ancora di più quando sei così, forse dovrei aspettare arrogantemente un ascensore più spesso». 
 
«Questo potrebbe richiedere parecchio del tuo tempo».
 
Stava ancora sorridendo ma l’intensità della sua voce colse Addison di sorpresa. «Ne varrebbe la pena».
 
«Tu ci…» Addison si maledisse nel momento esatto in cui pronunciò quelle parole. Non solo glielo stava chiedendo, ma stava letteralmente morendo dalla voglia di saperlo: «ci stai provando con me?»
 
I suoi occhi si strinsero giocosamente come le labbra si arricciarono verso l’alto. «Vorresti che ci provassi con te?»
 
«Dio, tu sei… ogni volta che penso qualcosa, tu dici una cosa che mi fa pensare l’esatto contrario».
 
«Mi hai appena chiamato Dio? Se non vuoi che io sia arrogante forse dovresti chiamarmi con il mio secondo nome. A proposito, sono Derek».
 
«Lo so, voglio dire…» Addison fece un lungo sospiro, premendo nuovamente il pulsante di chiamata maledicendo la lentezza dell’ascensore. Le porte si aprirono in quel momento e svelta si infilò nell’abitacolo premendo il tasto del piano verso il quale era diretta. Derek la seguì con ancora stampato in faccia quel dannato sorriso. Addison non aveva ancora deciso se le piacesse, oppure no, quello che stava succedendo. «Ho letto il tuo nome sul cartellino».
 
«Perciò tu puoi leggere…» annuì a sé stesso mentre le porte si chiudevano davanti a loro, lasciandoli completamente soli in ascensore, con ben cinque piani da percorrere. «Sai leggere e scrivere, sei bella e passionale... se avessi un'ideale di ragazza, direi che saresti proprio tu».
 
Addison cercò di non pensare a quello che quest’uomo magnifico le aveva appena detto, e sbuffò l’aria fuori dal naso come a sottolineare che la stesse infastidendo con le sue frasi.
Il numero due s’illuminò sopra la porta.
Mancavano solo tre piani. Poteva trattenersi per altri tre piani. 
Si voltò a osservarlo.
 
«Mi stai fissando».
 
Le sue guance si tinsero di rosso, per poi virare al magenta in una mangiata di secondi. «Io... I-Io no, non lo stavo facendo».
 
«Va tutto bene, ti stavo fissando anch’io».
 
«No, non lo stavi facendo».
 
«Sì, invece».
 
«Ti avrei visto».
 
«Perché mi stavi fissando?»
 
«Sì, e...» Addison si fermò immediatamente conscia di quello che aveva appena detto e poi ringhiò, frustata.
 
Passarono pochi secondi prima che Derek ruppe il silenzio, un sorriso insidioso sul suo volto, e parlò in un sussurro sommesso. «Mi hai ringhiato?»
 
«Io…»
 
«Non scusarti» si leccò le labbra, «mi piace questa cosa».
 
Chiuse gli occhi non avendo il coraggio di guardarlo, fece un lungo respiro e poi puntò lo sguardo davanti a sé, fisso sulle porte di metallo. «Non avevo intenzione di chiedere scusa».
 
Addison vide con la coda dell’occhio il suo sorriso farsi più grande. «Bene».
 
Passarono pochi secondi, ma alla fine, non poté fare a meno dal trattenersi dal chiedergli: «Davvero ti è piaciuto che ho ringhiato?»
 
Derek rise, «Se ti piaccio perché sono arrogante, attraente, e uno specializzando maniaco del lavoro allora tu mi piaci per il tuo ringhio».
 
«Lo sai che sei ripetitivo?»
 
Lui annuì, «So che mi ripeto spesso».
 
«Non è come se io trovi questa cosa accattivante».
 
«Certo che lo fai» si voltò verso di lei, piegò le braccia, e fermò le mani sulle ossa del bacino. «Perché se tu non mi avessi trovato così accattivante, allora mi avresti colpito, come hai detto che avresti voluto fare poco tempo fa».
 
Addison sussultò dentro di sé, sapendo che avesse maledettamente ragione. «Forse... forse ti sto solo offrendo il mio tempo».
 
«Sei un chirurgo» sussurrò sottovoce. Poteva sentire il suo respiro caldo fin da lì, e questo le mandò un brivido che le percorse tutta la schiena. «Non è nel tuo sangue offrire il tuo tempo».
 
«Nel corso di questi dieci minuti hai invaso il mio spazio personale, mi hai preso in giro, hai agito in maniera arrogante, mi hai permesso di chiamarti arrogante, mi hai seguito nell’ascensore, hai flirtato con me e ora mi hai appena chiamato chirurgo». Sospirò e puntò lo sguardo in basso, fissando le sue scarpe. Trascinò i piedi sul pavimento, continuando a ignorarlo, come se fosse una specie di scolaretta al parco giochi. Si stava comportando come una ragazzina, altro che chirurgo.
Il suo sentirsi completamente sicura e certa quando teneva in mano un bisturi era inversamente proporzionale al suo sentirsi spaventata e fuori di testa quando flirtava con un ragazzo. «Avrai mai intenzione di chiedermi di uscire o questo sarà solo come essere sulle giostre, e noi stiamo solamente continuando a salire e scend-»
 
«Per prima cosa» la fermò, la sua voce era dolce, il sorriso appena accennato sulle labbra. Era deciso e calmo, non mostrava più quel sorriso sardonico sul volto. Era serio. Era serio per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare. «Mi piacerebbe sapere una cosa».
 
«Che cosa?»
 
«Quando ti chiederò di uscire, e stai pur certa che lo farò…» fece un passo avanti, avvicinandosi. «Vuoi che mi riferisca a te come un dottore? O posso chiamarti Addison?»
 
Un sorriso spontaneo comparve sulle sue labbra, sollevò la sua testa in modo che i suoi occhi potessero incontrare quelli dell’uomo. «Addison».
 
«Che ne dici di Addie?»
 
Dovette ammettere a sé stessa che quest’uomo era davvero incredibile. «Addison va bene».
 
Il suo sorriso non si spense e fece un altro passo, fissandola intensamente negli occhi. «Addison?»
 
Al suono della sua voce pregò intensamente che la sua espressione non tradisse la sua facciata e rivelasse lo stato di ansia e panico in cui si trovava. Al tempo stesso, sperava che questo fosse reale e non una sorta di malefico ed elaborato scherzo. Facendosi coraggio rispose semplicemente: «Sì?»
 
«Volevo chiederti di uscire dalla prima volta che ti ho visto, lo sai?» un altro passo, «Avevi i capelli tirati su, in una disordinata coda di cavallo, i tuoi occhiali erano storti e tenevi in mano almeno una dozzina di carte; non avevo mai visto prima d’ora qualcuno così bello».
 
Addison inghiottì la saliva, la voce intrappolata in gola. «Davvero?»
 
«Davvero» fece il suo ultimo passo, il bordo delle scarpe toccava le sue. I loro volti erano a meno di dieci centimetri l’uno dall’altro, e Addison pregò di ricordarsi come respirare. «Anche se tu non fossi la donna più bella del mondo, mi faresti impazzire comunque, in ogni modo. Perché io sono un bastardo arrogante e solitamente non penso che esistano un sacco di persone più intelligenti di me, ma tu… io credo che tu potresti esserlo».
 
Non poté fare a meno di rispondergli: «Anch’io lo penso».
 
Sorrise e si sporse verso di lei, il suo respiro caldo si appoggiò sulla sua guancia. Lei rabbrividì prima che potesse provare a controllarsi. «Il tuo turno finisce alle sette. Ti piace il cibo italiano? Perché se ti piace, io conosco un posto fantastico, proprio qui dietro l’angolo».
 
Addison conosceva la città abbastanza bene; visualizzò mentalmente le strade farfugliando alcune parole prima di riuscire a parlare. «Dietro l’angolo?»
 
«Venti isolati dietro l’angolo» Derek alzò le spalle, per niente scoraggiato. «Passeggiare fa bene, è sano. Sono un dottore, so questo genere di cose.»
 
«Mi piace l’italiano» Addison sputò fuori tutte le parole il più velocemente possibile. 
 
L’ascensore si fermò con un ding e poi le porte si aprirono. Derek annuì facendole un piccolo cenno con il capo «Buono a sapersi».
 
La lasciò uscire per prima dall’ascensore e una volta fuori Addison si fermò, girandosi per guardarlo. «Continuo a pensare che sei arrogante»
 
«È un tuo diritto» sorrise e con la punta delle dita sfiorò la pelle della sua guancia, solo per un istante.
 
Rimase a guardarlo, imbambolata, sentendo ancora le sue dita sulla pelle, nonostante si fosse già allontanato. Derek non fece più di cinque passi prima di tornare indietro, chiamandola. «Avevo ragione, lo sai… Io ti piaccio!» 
 
 
 
   
 
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