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Autore: giambo    16/02/2016    8 recensioni
La prima cosa che le due donne percepirono, entrando nella camera da letto di Satan, fu l'odore. Un odore di chiuso, di medicinale, di morte. Il letto dove riposava il campione dei campioni era circondato da flebo e macchinari complessi, che riempivano l'aria di un lento e sinistro gorgogliare.
...
Improvvisamente, una profonda ed insondabile oscurità avvolse il campione del mondo, rendendogli impossibile scorgere qualsiasi cosa attorno a sé. Un tempo si sarebbe spaventato di quel cambiamento improvviso, ma ormai non aveva più paura di nulla, perché sapeva di stare vivendo gli ultimi istanti della sua vita.
E lo stava facendo con lui.
“Ciao, Satan.”
...
Perché anche per i più grandi eroi, arriva alla fine il momento di salutare i propri cari.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Majin Bu, Mr. Satan, Pan, Ub, Videl
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore:

 

Dunque, diciamo che questa storia l'avevo in mente da anni, ed avevo anche cominciato a scriverla circa un paio di anni fa. Tuttavia, per un motivo o per un altro, non sono mai riuscito a completarla. Fino a qualche settimana fa, quando mi sono deciso e l'ho voluta finire.

Il motivo per cui l'ho scritta è uno principalmente: adoro il personaggio di Mr. Satan. Tutti lo definiscono un buffone, codardo per giunta, che si appropria dei meriti altrui. Eppure, io penso che sia anche molto coraggioso. Nessuno l'aveva costretto a salire sul ring contro Cell, eppure lo fece. Anche contro Majin Bu avrebbe potuto nascondersi, ma decise di combattere, nel limite delle sue possibilità. Non dico che sia un cuor di leone, ma a me ha sempre fatto tenerezza quest'omaccione, sempre burbero, ma capace di commuoversi come un bambino quando sente Majin Bu definirlo un amico. La loro amicizia poi, secondo me, è una delle più belle di tutto il manga. Ed il pensiero di come sia nata riesce sempre a commuovermi. Così come lo scontro tra Majin Bu e Kid Buu, con il primo disposto addirittura a fronteggiare la sua metà malvagia, pur di proteggere il l'amico.

Insomma, se non si fosse capito, adoro questi due personaggi, l'amicizia pura e genuina che li lega, e ho pensato che sia andato così il loro addio, il loro ultimo saluto, come quello che avviene sempre tra due amici, prima o poi.

Ed ora non mi resta augurarvi buona lettura (prima che vi annoi troppo!), come sempre, chiunque vorrà lasciare un proprio pensiero sarà ben accetto!

Un saluto!

Giambo

 

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THE LAST FAREWELL

 

 

 

Il sole del pomeriggio scaldava le schiene delle centinaia di persone che, schiacciate tra di loro, attendevano con ansia che dalla magione davanti a loro uscissero delle novità. Il brusio era continuo, con il rimbalzarsi di notizie, o presunte tali, sulle condizioni del grande maestro.

“Dicono che abbia ripreso a camminare.”

“Non dire sciocchezze! Ormai è in fin di vita! È palese che non sopravviverà un altro giorno.”

“Non dirlo neanche per scherzo! Non oso immaginare un mondo senza di lui.”

Periodicamente, circa ogni due ore, alcune guardie presenti all'ingresso della villa erano costrette a resistere alla carica di qualche esaltato, desideroso di sapere di persona le condizioni del campione dei campioni.

“Fateci entrare!”

“La gente ha diritto di sapere!”

“Non potete tenercelo nascosto! È il campione del popolo!”

Ma le guardie, impassibili, respingevano con perfetta efficienza ogni tentativo di ingresso, mantenendo l'abitazione completamente isolata dal resto del mondo.

Proprio come aveva ordinato la figlia del campione.

 

 

Videl sospirò pesantemente, passandosi una mano sul volto tirato, a causa della mancanza di sonno. Le ultime settimane erano state infernali, e non era sicura di riuscire a resistere ancora in quelle condizioni.

Si diresse nella gigantesca cucina della villa, alla ricerca di qualcosa di forte, che potesse tirarla su. Non desiderava altro che potere ritornare alla sua frenetica e monotona vita da ricercatrice, affianco al marito. Ma l'istinto le diceva che non sarebbe stato così facile.

Fece un nuovo sospiro, mentre si versava un abbondante bicchiere di rum. La verità era che faceva fatica a provare dolore, e la cosa la spaventava terribilmente. Gli onerosi impegni che era stata costretta ad assumersi, a causa della sua parentela, l'avevano resa un fascio di nervi, rendendole insensibile addirittura la prossima dipartita del padre.

Mi faccio schifo da sola. Pensò, mentre buttava giù in un colpo solo il liquore. Suo padre l'aveva allevata con tutto l'affetto possibile, da solo, senza mai pensare per un solo istante di risposarsi, dopo la dipartita della moglie. Tutto quello che voleva, in senso di famiglia, l'aveva trovato in lei: nella sua dolce e amata figlia.

Strinse il bicchiere con forza, mentre ripensava a tutti i sacrifici del padre, a tutti i momenti di dolcezza trascorsi con lui. Dietro quel sorriso da spaccone, e l'espressione burbera, si era sempre nascosto un uomo buono, con il cuore tenero come quello di un bambino. Capace di commuoversi davanti al primo disegno di sua figlia, esattamente come quando l'accompagnò all'altare, ormai donna.

Le prime lacrime presero ad uscire dai suoi occhi stanchi, mentre una sensazione dolorosa si faceva strada dentro di lei, premendo contro lo sterno. Aveva amato suo padre. Forse non sempre approvava il suo atteggiamento ai limiti dell'arroganza, ma aveva sempre saputo che, dietro quella maschera, c'era la purezza di un bambino, misto ad un amore immenso per lei.

Papà...

Pensò a tutte le volte che il loro pianeta era stato minacciato. A tutti i pericoli corsi dagli esseri umani. Rifletté su come suo padre, pur conscio dei suoi limiti, non si era mai tirato indietro. Aveva avuto paura, desiderato fuggire, aveva sempre sperato che qualcosa lo aiutasse a salvarsi. Eppure, nonostante tutto, lui era sempre rimasto là, a combattere con le sue forze, perché voleva regalarle un futuro.

Hai sempre voluto lottare per la gente, non è vero? Sei sempre stato incapace di accettare le ingiustizie. Oh, papà...mi dispiace non averti mai detto quanto ero orgogliosa di te, di vedere come nascondevi le tue paure dietro ad un sorriso arrogante solo per non spaventarmi.

Solo in quegli istanti comprese fino in fondo la gravità della situazione. Quell'enorme, immenso vuoto che stava per aprirsi dentro la sua vita. Una voragine che nessuno, neppure il marito e sua figlia, avrebbero potuto colmare.

Le lacrime presero a scorrere libere, mentre si portava una mano alla bocca, nel tentativo di respingere il dolore, di combatterlo. Ci sarebbe stato il momento delle lacrime, ma non era quello. Ora era il momento della veglia, dei saluti, di assaporare gli ultimi istanti di vita che il fato le donava assieme al padre.

Vorrei tanto che tu restassi al mio fianco per ancora molto tempo...ma so che non sarà così.

Si calmò lentamente, ingollando una nuova sorsata di liquore. Si era sempre definita una donna forte, volitiva, decisa. E voleva esserlo fino in fondo, accettando il fato ed accogliendo il dolore con sobrietà.

Ma era dannatamente difficile.

“Mamma...”

La donna si girò di scatto, fissando sorpresa la figura della figlia, ormai adulta.

“Pan!” il suo tono tradiva lo stupore di vederla lì. “Cosa ci fai qui?”

Pan sorrise, ma era un sorriso triste, che di gioioso aveva ben poco. Ormai era diventata una splendida giovane, nel pieno della sua bellezza. I capelli erano neri come l'ala di un corvo, così come gli occhi, così simili a quelli dei saiyan: profondi, ricchi di sfaccettature, uno specchio oscuro che solo ogni tanto portava a galla il marasma dei suoi sentimenti.

“Avevo sentito che il nonno è peggiorato.” rispose. “Desideravo essere qui quando...quando lui...” le parole gli morirono in gola, mentre le prime lacrime presero a scendere, le labbra sempre tirate in quella smorfia priva di gioia.

Videl si asciugò le lacrime con un gesto deciso: non voleva mostrarsi debole davanti a lei, non davanti alla figlia. Le si avvicinò, prendendole una mano, un sorriso materno sul volto.

“Sciocca.” sussurrò, dandole una carezza. “Non devi dare retta a quello che dice la gente. Il nonno è vivo, stai tranquilla.”

“Ma per quanto lo sarà?” replicò la nipote di Goku. “Quanto ancora potrà essere con noi?”

Videl non disse nulla, anche perché forse non c'era niente da dire. La verità era davanti ai loro occhi, con la violenza di un pugno, ed ignorarla sarebbe stato stupido, oltre che inutile.

Pan comprese. Non disse nulla, sarebbe stato inutile del resto, ma le lacrime non si fermarono. Suo nonno era sempre stato una presenza fissa della sua vita. Aveva ancora nitido nella mente i ricordi d'infanzia assieme. Se si concentrava, poteva ancora sentire la risata possente di lui, il calore dei suoi abbracci, il pizzicore dei baffi quando la baciava.

La smorfia scomparve, lasciando spazio ad un'espressione di dolore indicibile. Non era mai stata capace di nascondere le emozioni, aveva preso molto dal padre in questo, ed ora non voleva neppure provarci. Non le sembrava giusto. Suo nonno era stato una delle persone più buone e coraggiose che avesse mai conosciuto: le sembrava il minimo mostrare il suo dolore al mondo, fare capire a tutti la persona straordinaria che era stato.

“Voglio...voglio vederlo.”

Videl fissò la figlia in volto. Ci vide molte cose di suo padre, forse troppe: la bontà, l'incapacità di accettare le ingiustizie, la volontà di non abbandonare i propri cari. In lei poteva vedere il meglio del padre e del marito, facendo fatica a trovarci qualcosa di lei, a parte forse la voglia di non arrendersi mai davanti a nulla.

“Non credo che sia una buona cosa.” rispose infine.

“Perché?”

La donna digrignò i denti, mentre tentava di rimandare l'orribile compito che le si parava davanti. Avrebbe desiderato con tutta sé stessa non dover essere lei a dirglielo, ma il fato aveva deciso diversamente.

Papà...dammi un po' del tuo coraggio, ti prego!

“Perché...” deglutì un groppo compatto di saliva, mentre vedeva affiorare nelle iridi scure della figlia un sentimento che conosceva molto bene: la disperazione.

“Ha le ore contate.” sussurrò infine. Guardò Pan con gli occhi umidi, cercando di non mostrarsi debole, non davanti a lei: la figlia non avrebbe retto anche il suo dolore.

Quest'ultima strinse i pugni, mentre mordeva le labbra nel disperato tentativo di non scoppiare in lacrime, trattenendo il vorticoso tumulto di dolore che si agitava in lei.

“Non voglio che tu abbia come ultimo ricordo di lui...quello che è diventato.” spiegò Videl, cercando di abbracciare la figlia. Pan però rimase rigida, chiusa, imprigionata nella sua battaglia contro il dolore.

“Non mi interessa.”

La donna la guardò, sorpresa di quella risposta.

“Lui...lui...” la giovane saiyan strinse i pugni con più forza, mentre la labbra tremavano per lo sforzo di non cadere preda delle proprio emozioni. “Lui c'è stato sempre per me. Ogni volta che avevo bisogno di aiuto, è sempre stato pronto a darmelo. Forse non sempre ci è riuscito...ma...ma io non posso! Non posso e non voglio lasciarlo solo adesso!” nel finire la frase, la ragazza aveva alzato il tono della voce, mettendoci dentro tutta la propria determinazione.

Videl non disse nulla, fissando gli occhi scuri della ragazza davanti a lei, pensando a quanto assomigliasse a Goku. Ne aveva la stessa determinazione, la stessa forza di volontà.

Sciolse le spalle, sospirando, mentre rifletteva su quanto doveva averla amata suo padre. Forse troppo, e non sapeva se sarebbe stato un bene, quando si sarebbero detti addio.

“D'accordo.” rispose infine, prendendo a fare strada alla figlia.

E nonostante tutto, Pan riuscì a sorridere. Un sorriso dettato dalla riconoscenza.

Grazie, mamma.

 

 

La prima cosa che le due donne percepirono, entrando nella camera da letto di Satan, fu l'odore. Un odore di chiuso, di medicinale, di morte. Il letto dove riposava il campione dei campioni era circondato da flebo e macchinari complessi, che riempivano l'aria di un lento e sinistro gorgogliare.

Prima di avvicinarsi al letto, Videl fece per bloccare la figlia, ma quest'ultima si limitò a divincolarsi, guardando la madre con un'espressione decisa. Quest'ultima capì: non avrebbe rinunciato a quell'ultimo saluto per niente al mondo, neanche se ciò avrebbe comportato vedere i suoi più oscuri incubi.

Si fece avanti, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani, pronta a tutto.

Nonno...

Satan era sdraiato sull'enorme letto, gli occhi chiusi, il respiro flebile e tremulo. Dell'uomo possente e robusto che era stato non rimaneva che il ricordo. I capelli, un tempo neri come la pece, erano bianchi, i baffi e le basette avevano assunto una tonalità grigiastra. Il volto, un tempo sempre contorto in una risata spaccona e possente, era magro, incartapecorito, con la pelle flaccida, fragile, fratturata in una miriade di piccole rughe. Il fisico, un tempo forte e muscoloso, era solo il ricordo di tutto ciò: magro, fin troppo, con le ossa delle braccia che spiccavano nitide sotto la pelle.

Pan rimase immobile. Gli occhi neri fissi su quel volto così innaturalmente serio, così diverso da come se lo ricordava. I pugni tremarono, mentre serrava le labbra fino a sbiancarle, il volto una maschera impassibile, ma che faceva filtrare un dolore immenso, inconsolabile.

“Nonno...” sussurrò, mentre le prime lacrime presero a scendere dalle guance. “Nonno...cosa ti è successo? Sei così...così...”

Ricordi. Troppi ricordi presero a sommergergli la mente. La sua coscienza venne risucchiata in quel vortice, che trasportava con se immagini troppo dolci per essere sopportabili in quegli istanti.

 

Giocava sul ginocchio di suo nonno, immaginando che fosse qualche cavalcatura magica. Percepiva le mani calde e robuste di lui tenerla, regalandole un senso di protezione. Sentì il suo corpo contrarsi, mentre la sua risata forte e sicura si diffondeva nell'aria.

Chiuse gli occhi, abbandonandosi al petto di lui. Sapeva che, fino a quando fosse stata con suo nonno, nessun mostro poteva minacciarla.

 

I denti vennero fuori, le labbra tirate. Tremiti incontrollabili presero a scuoterla, mentre il volto veniva inondato da lacrime colme di disperazione.

 

Pan...” la voce di Satan era colma di gioia. Lacrime presero ad uscire dai fieri occhi del campione, mentre teneva in mano sua nipote, nata da poche ore. “E'...” la voce gli mancò, scossa da singhiozzi di pura gioia. “E'...vero? Non sto sognando?”

Gohan, anche lui il volto ricoperto di lacrime, si limitò ad annuire, mettendo un braccio attorno alle spalle del suocero.

E' tutto vero, Mr. Satan.” sussurrò il primogenito di Goku, la voce che tremava dalla commozione. “La nostra piccola Pan.”

E fu allora che accadde una cosa straordinaria, inattesa. Satan scoppiò in un pianto ricolmo di gioia, i baffi che tremavano, incapace di reggere tutto ciò che si sentiva dentro in quegli istanti.

E Videl non poté fare a meno di sorridere, intenerita da quel padre grande e grosso, ma con il cuore puro come quello di un bambino.

 

“Nonno!” Pan cadde in ginocchio, scoppiando in lacrime, incapace di reggere quel peso, quell'orribile consapevolezza. Suo nonno era sempre stato lì, al suo fianco. Non poteva finire in quel modo, non in quel letto, non in quelle condizioni.

Perché...i singhiozzi presero a scuoterla con violenza. Non è giusto! Non è giusto!

“P-Pan...”

La saiyan aprì di scatto gli occhi, alzando lo sguardo, vedendo il sorriso, che tanto amava, risplendere sul volto di lui.

“P-perché piangi, piccola?” chiese l'uomo, la voce ormai solo un flebile ricordo del rombo possente che era stata.

Un sorriso tremulo si dipinse sulle labbra della mora. Si asciugò le lacrime con un gesto nervoso della mano, andando a sedersi al capezzale di lui.

“Non è niente.” sussurrò. Lui era vivo, era affianco a lei, come sempre era accaduto fin da quando aveva memoria di sé. “Va tutto bene, fino a quando starai con me.”

Satan sorrise. Alzò a fatica una mano, sfiorando il volto dell'amata nipote. Ci vide, con un groppo alla gola, tanto, troppo, della moglie defunta e di Videl.

Quanto sei bella...piccola mia.

“Non devi essere triste.” sussurrò, la voce roca. “Un giorno...torneremo a stare insieme...proprio come quando eri bambina.”

“No! Non dirle nemmeno per scherzo queste cose!” replicò lei, il sorriso trasformatosi in un'espressione colma d'angoscia. “Tu vivrai nonno! Io e la mamma abbiamo bisogno di te! Io ho bisogno di te!”

Il sorriso di Satan divenne sghembo, come se dietro ad esso ci fosse nascosto un dolore inimmaginabile.

Tu e Videl...siete abbastanza grandi. Non vi serve...un bugiardo, come me. Che ha passato la vita...ad ingannare la gente.

I suoi occhi si spostarono dalla nipote agli occhi di lei. Ci vide ciò che non avrebbe mai voluto leggerci dentro: dolore, tristezza, disperazione.

Perché...Videl? Non...ti servo. Non ti sono mai...servito.

“P-Pan...” esalò. “Lasciami solo...un minuto con tua madre.”

La ragazza esitò, non volendo abbandonarlo neppure per un istante, ma alla fine, vedendo il sorriso di lui, accettò, uscendo, il volto ancora scosso dal dolore.

Nella stanza cadde un silenzio pesante, rotto solamente dal lento gorgogliare delle flebo. Satan guardava la figlia con un sorriso triste, mentre Videl tremava dallo sforzo di non cedere al tumulto di emozioni che si dibattevano dentro il suo petto.

“Ho saputo...che hai avuto...molto da fare in questi giorni.” esordì il campione dei campioni. “Mi dispiace averti arrecato...così tanti fastidi...ancora una volta.”

La donna sembrò scossa dalle sue ultime parole, ma riuscì a trovare la forza di stirare le labbra in una smorfia simile ad un sorriso.

“E' sempre stato così, no? Essere la figlia dell'uomo più forte dell'Universo comporta questi inconvenienti.”

Il sorriso sul volto del vecchio guerriero sparì di colpo, lasciando lo spazio ad un'espressione seria, quasi simile ad una smorfia. Spostò le proprie iridi sul soffitto, mentre Videl si avvicinava al letto.

“Sai...in questi giorni...” proseguì lui. “Ho pensato molto. Mi piacerebbe...che la gente sapesse...la verità.”

La figlia si bloccò, sgranando gli occhi azzurri.

“Quale verità?”

“Che ho mentito per anni, prendendomi meriti che non erano miei. Sono solo stato un buffone, incapace di dare veramente una speranza a questo pianeta. Perfino Bu...il mio caro amico...siamo diventati amici, per causa di una mia menzogna.” gli occhi di lui si inumidirono. “Ti chiedo scusa...sono stato un padre orribile. Avresti meritato molto di più da m...”

“Smettila!” urlò la donna, il volto rigato dalle lacrime. “Smettila di dire certe cose!”

Satan rimase a fissare la figlia, scossa, che si copriva la bocca con una mano.

“Videl...”

“Perché non vuoi capire? Perché non hai mai voluto ammettere tutto ciò che hai fatto per noi? Guarda che lo so benissimo perché affrontasti Cell e Majin Bu. L'hai fatto per me, per tua figlia. Perché avevi paura, ma al solo pensiero che mi accadesse qualcosa ne provavi molta di più. Quanti uomini hanno fatto altrettanto? Quanti altri hanno avuto la forza, il coraggio, la volontà, di andare contro il proprio destino, i propri limiti, per un figlio? Io sono orgogliosa di te papà, non dimenticarlo mai, mai!” un sorriso si fece strada sul volto inondato di lacrime di lei. “Non avrei potuto desiderare un genitore migliore.”

Gli occhi del campione dei campioni si inumidirono, mentre alzava, a fatica, una mano, sfiorando una guancia di lei. Videl l'afferrò, portandosela al volto, desiderando che quel contatto non terminasse mai.

“N-non ho paura.” mormorò il campione, scoppiando in una debole risata. “Non è strano? Ho sempre avuto paura di molte cose, ed ora, invece, aspetto quasi con ansia...che avvenga...ciò che deve accadere.”

Videl gli diede un bacio sulla fronte, accarezzandogli i bianchi capelli.

“Qualunque cosa accada, qualsiasi cosa succeda, io e Pan non ti abbandoneremo.” sussurrò. “Mai.”

Le labbra del campione tornarono a distendersi.

“Grazie...”

 

 

Percepì un rumore di piedi. Si girò, trovandosi davanti colui che non si sarebbe mai aspettato.

Spalancò gli occhi, rimanendo magnetizzata da quelli così scuri e profondi di lui, con quella sfumatura viola che li rendeva quasi alieni.

“T-tu?” sussurrò Pan. “P-perché? Cosa...” le parole gli morirono in gola, mentre un pensiero la colpì con la violenza di un pugno.

È così ovvio...

Un sorriso si fece strada sul volto del nuovo arrivato. Lentamente, quasi avesse paura di ferirla, l'accarezzò, sfiorando con le dita l'ovale del viso di lei.

“Ciao, Pan.” la sua voce, profonda e calda, le scivolò con un brivido lungo la curva morbida della schiena. “Sei molto...bella.”

Un sorriso sincero, nonostante tutto, le uscì dalle labbra. Quella semplice frase, detta con il cuore, ebbe la forza di scaldarle l'animo, e gliene fu riconoscente.

“Lui dov'è?”

La saiyan, smettendo di sorridere, rimembrò perché lui era lì. Quale motivo lo portava in quel luogo, ed ebbe la forza, nonostante tutto, di accettare.

Perché sapeva cosa sarebbe successo. E non ebbe la forza di negarlo, non più.

“T-ti prego...” riusci a sussurrare. “Non voglio che soffra.”

Ub sorrise, superandola. Prima di aprire la porta, il guerriero si girò, perdendosi nei profondi abissi dei suoi occhi.

“Non lo farà.”

 

 

Il respiro di Satan divenne, per alcuni secondi, più frenetico, irregolare, non appena riuscì a distinguere la figura che aveva di fronte. Le sue labbra si mossero, ma nessun suono uscì da esse, mentre i ricordi di quasi vent'anni di amicizia lo sommergevano.

Mr. Bu...

La sua stanca mente divenne confusa. Perché lui era lì? Cosa significava? Possibile che Bu, il suo più caro amico, fosse ancora vivo? Che la sua entità volesse vederlo ancora?

Possibile che possa...rivederlo...un'ultima volta?

“Ub...” sussurrò Videl, fissandolo sconvolta. “Cosa...Perché sei qui?”

Il guerriero rimase impassibile, fissando lentamente prima il viso stanco e moribondo di Satan, per poi spostarsi su quello scavato dal dolore di lei.

E' questo che vuoi da me, Bu? Che arrechi ulteriore dolore a queste persone?

La sua mente fu invasa da centinaia di ricordi della sua metà. Decine e decine di immagini, suoni, sensazioni e parole lo frastornarono. In ognuna di esse, vedeva Bu e Satan insieme. Felici, sorridenti, allegri, desiderosi di voler rimanere assieme per sempre.

Ma questo non era potuto accadere.

Fece un profondo sospiro, radunando tutto il suo coraggio. Non sarebbe stato facile, ora ne aveva la conferma, ma lo doveva a Bu, e non si sarebbe mai tirato indietro.

“Avrei molto piacere...a rimanere solo con Satan per qualche minuto.” esordì, la voce calda e sicura.

La donna non rispose subito, esitando. Sapeva cosa significava quel ragazzo per il padre, ma sentiva dentro di lei una strana sensazione: come se quello che stava per profilarsi fosse un addio.

“Va tutto bene...” sussurrò Satan, sorridendo alla figlia. “Va tutto bene...”

Lei gli diede un soffice bacio sulla fronte, accarezzandolo.

“Ciao...papà.”

Gli strinse la mano con forza, chiudendo gli occhi, desiderando che quegli istanti non terminassero mai. Che potesse rimanere lì, in eterno, affianco al padre, con la sua presenza che le scaldava il cuore.

Ma alla fine, quel momento intimo tra padre e figlia terminò. La sua mano abbandonò quella di lui, riluttante, come se fosse motivo di indicibile sofferenza.

Poi, lentamente, uscì dalla stanza, andando a raggiungere la figlia. Lasciando i due uomini da soli. Solo una volta fuori, Videl scoppiò in lacrime, abbracciando la figlia. Non le importava nulla di come appariva in quegli istanti alla figlia, voleva solo sfogare il proprio dolore, il dolore di chi aveva appena detto addio al proprio genitore.

Perché sapeva che non avrebbe più rivisto suo padre vivo.

Papà...grazie...per tutto.

 

 

Afferrando una sedia, Ub la trascinò vicino al letto del moribondo, sedendosi con pesantezza. Successivamente, pianto i propri occhi in quelli di lui, rimanendo in silenzio.

“C-cosa...sei...venuto...a fare qui?” domandò l'anziano, sentendo un dolore al petto che si espandeva velocemente. Comprese cos'era, ma non se ne preoccupò. Niente era importante ormai, tranne una cosa: poter rivedere un'ultima volta il suo amico.

“Credo che tu lo sappia.” rispose il guerriero di colore. “Non posso negare, che la scelta di essere qua non dipende da me.”

Il volto del campione si contorse in una smorfia priva di gioia, mentre respirare gli diventava sempre più difficoltoso.

 

Grazie Satan, per tutto. Sei un vero amico.”

 

La voce di lui. Non l'aveva mai dimenticata, mai. Ed avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di udirla di nuovo, per l'ultima volta.

“Sai...a volte, se ritorno indietro con la mente, faccio fatica a credere a ciò che è accaduto.” borbottò, portandosi una mano sopra il petto dolorante. “Che io...e Majin Bu...”

“Lo so.” lo interruppe l'altro. “Non dimenticarti che io e lui siamo una cosa sola ormai. Ciò che ha vissuto lui, lo posso sentire come se avessi fatto io quelle esperienze.”

“Ma lui non è più qui, non è vero?” la smorfia di Satan divenne più marcata. “Avrei tanto voluto...vederlo...un'ultima volta.”

Il volto di Ub si contrasse leggermente, mentre un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra.

“Questo non è detto che non possa accadere.”

Improvvisamente, una profonda ed insondabile oscurità avvolse il campione del mondo, rendendogli impossibile scorgere qualsiasi cosa attorno a sé. Un tempo si sarebbe spaventato di quel cambiamento improvviso, ma ormai non aveva più paura di nulla, perché sapeva di stare vivendo gli ultimi istanti della sua vita.

E lo stava facendo con lui.

“Ciao, Satan.”

Gli occhi dell'uomo si spalancarono, increduli da quello che stava vedendo. Le sue azzurre pupille si inumidirono, mentre davanti era appena comparso il suo amico di una vita.

“Bu...” ansimò, il dolore sempre più forte. “Amico...mio...”

Il sorriso di Majin Bu si allargò. Era rimasto esattamente come se lo ricordava: grasso, vestito con quell'enorme mantella viola, le mani ricoperte da soffici guanti gialli, e quel sorriso semplicemente buono, che esprimeva tutta la sua immensa bontà.

“Bu...” lacrime copiose presero a corrergli sulle guance, e non tentò di fermarle. Lui era lì, affianco a lui, di nuovo. Tutto il resto non contava.

“Anche io sono contento di vederti, Satan.” dichiarò la creatura rosa, avvicinandosi a lui.

“R-re-sterai...con me?” sussurrò, il corpo squassato dal pianto. “Torneremo...in-in-insieme?” ansimò tra le lacrime il campione dei campioni.

Il sorriso di Majin Bu si incrinò. Lentamente, Satan allungò una mano, nel disperato tentativo di toccarlo, di poterlo sentire di nuovo. Un'ultima volta.

Ma Bu era veramente troppo lontano.

“Mi dispiace.” sussurrò il demone rosa. “Ma questo...non sarà possibile.”

“Perché dici così?”

“Io sono diventato un tutt'uno con Ub. E quando il suo ciclo vitale terminerà, io perderò la mia identità, per sempre.”

Il dolore squassò il corpo del salvatore della galassia, incapace di accettare ciò che le sue orecchie avevano appena udito.

“Ma...quindi...questo significa che...” balbettò, tremando per lo sforzo di sfiorare l'amico di una vita.

“Sì, questa è l'ultima volta che ci vedremo.” improvvisamente, un sorriso semplice e sincero ritornò sul volto di Bu. “Ma non devi essere triste. Ovunque io sarò, tu resti mio amico. Noi siamo amici, Satan. E questo non cambierà mai.”

“Bu...” Satan prese a deglutire a vuoto, il respiro sempre più fragile, irregolare. “Noi...resteremo...amici?”

“Proprio così!” esclamò il demone, avvicinando la sua mano paffuta a quella dell'amico. “Non dimenticarlo mai, Satan.”

“Bu...” le loro dita si sfiorarono. L'uomo percepì un grande calore sprigionarsi dalla mano dell'amico. Continuò a guardare il sorriso ingenuo e semplice di Majin Bu, mentre le sue forze svanivano per sempre. Proseguì a fissarlo, con le labbra che, tremando per lo sforzo, si distesero in un sorriso. Un sorriso allegro, sincero, pacifico. Un sorriso così simile a quello che era solito fare da giovane.

Noi resteremo amici.

Non aveva paura, non più. Bu era con lui, e sapeva che, in sua presenza, poteva stare tranquillo.

Ho sonno, Bu.

Dormi Satan, veglierò io...per te.

Perché noi siamo amici.

“Sì...siamo amici.” soffiò Satan. Fu l'ultima cosa che fece. I suoi occhi si illuminarono di una luce bianca, accecante, mentre percepiva la stretta di Bu sempre più calda, soffice, tenera. Si sentiva bene. Non sentiva più dolore, ed era affianco al suo amico più caro.

Era in pace.

Ti voglio bene, amico mio.

Poi, la luce lo sommerse del tutto, e non ci fu più nulla.

 

 

Videl sentì una fitta al cuore.

Dolorosa, terribile, intensa.

Corse.

Corse verso la stanza del padre, un orribile presentimento che le attanagliava il petto.

Aprì di scatto la porta, vedendo ciò che mai avrebbe desiderato fissare.

Suo padre era disteso a letto, gli occhi chiusi, un sorriso felice e rilassato sulle labbra. Aveva le guance bagnate dalle lacrime, mentre in una mano stringeva un soffice guanto giallo. Dell'aria gli scompigliò dolcemente i capelli bianchi, proveniente dalla finestra aperta. Di Ub non c'era traccia.

“Papà...” la donna si avvicinò, tremando, al capezzale del padre. Non gli serviva leggere i macchinari per comprendere che suo padre non stava dormendo. “Papà...”

Cadde in ginocchio, le lacrime che presero a scorrere come un torrente primaverile. Le accolse con un grido disperato, attirando Pan, la quale, non appena constatò cosa era accaduto, corse ad abbracciare la madre, in preda ad una disperazione implacabile.

“Mamma...” le sussurrò all'orecchio, mentre percepiva il corpo di Videl squassarsi per il dolore. “Non ha sofferto, è andato via in pace...”

“Papà! PAPA'!”

“Non ha sofferto, mamma. Ora non soffre più.”

Lentamente, la donna si calmò, stringendo forte al petto la figlia. Ma nessuna delle due riuscì a contenere le lacrime, dando vita ad un pianto silenzioso e senza fine.

 

 

Quella sera, la piazza davanti alla villa di Mr. Satan si riempì di persone. La notizia si era diffusa rapidamente, gettando nello sconforto la gente di tutto il pianeta. La disperazione era dipinta sui volti di qualsiasi persona si potesse scorgere in strada, nessuna che nascondeva le proprie lacrime. Il mondo aveva perso il suo eroe, il suo campione. Improvvisamente, la luce sembrava essere diventata grigia, ovunque.

“Sono tutti qui, per salutare il nonno.” osservò Pan, fissando da una finestra della villa l'immensa folla che si accalcava fuori dai cancelli. Attendeva, anche se la giovane non avrebbe saputo dire cosa. Non c'erano grida, pianti, e neanche urla. Un rispettoso silenzio, quasi surreale, aleggiava sopra la gente, mentre lacrime silenziose solcavano i volti di ognuno dei presenti.

“Non credi che bisognerebbe dire loro di tornare a casa? Cosa aspettano?” domandò la ragazza.

Videl non rispose. Sembrava invecchiata improvvisamente di oltre dieci anni in quelle ultime ore. Piccole rughe si stagliavano nitide sulla sua pelle, mentre fissava con sguardo spento il tavolo sotto di lei.

“Papà voleva dire loro la verità...su ciò che accadde con Cell.” dichiarò infine, la voce inespressiva e fredda. “Diceva...che non voleva passare l'eternità, con la colpa di essere un bugiardo.”

Pan sfiorò il freddo vetro, gli occhi umidi al pensiero di lui. Piangere per ore non era bastato a sfogare la sua disperazione.

“Il nonno era un grande uomo.” sussurrò. “Era coraggioso, buono, gentile...non merita tutte queste cattiverie.”

Le sembrò di vedere una luce, in mezzo alla folla, ma non ci fece caso. Probabilmente, era solo stanca.

“Lui è morto, Pan.” proseguì la donna. “E con lui...è morta...una parte di me.” Videl alzò lo sguardo, fissando la figlia, il volto contorto dal dolore. “Perché? Perché è morto? Perché...” riprese a piangere silenziosamente, portandosi una mano alla bocca per coprire i singhiozzi.

Pan sorrise. Un sorriso triste, eppure allo stesso tempo colmo di una gioia amara. Andò dalla madre, prendendola per mano, e conducendola alla finestra.

“Guarda.” le sussurrò, indicando la folla davanti alla villa.

Gli occhi della donna videro una luce, una piccola, semplice luce. Una lanterna, tenuta in mano da un bambino. Quest'ultimo, seduto sulle spalle del genitore, la alzò verso il cielo scuro, lasciandola libera con un sorriso, convinto che il suo eroe l'avrebbe vista anche da lassù.

“Il nonno ha fatto qualcosa che nessun saiyan riuscirà mai a fare.” mormorò Pan, sorridendo tra le lacrime. “Ha dato una speranza al mondo.”

Sotto gli occhi sbigottiti di Videl, poco alla volta, l'intera piazza di illuminò a giorno. Decine e decine di lanterne presero a bruciare, illuminando con le loro piccole fiammelle il cielo scuro. Si alzarono lentamente verso l'alto, sopra la folla silenziosa, ognuna piena di speranza ed amore, ognuna che racchiudeva una fiammella nata nel cuore delle persone, ed accesa dal campione dei campioni.

Videl non smise di piangere, ma il suo volto si rasserenò lentamente, vedendo il cielo della notte diventare ricolmo di luce. Gli sembrò quasi di potere udire la risata del padre, mentre stringeva la mano della figlia, con l'animo rinvigorito, deciso ad accettare, e superare, anche quell'immensa prova della vita.

“Non dimenticatelo mai.” sussurrò, un pallido sorriso che fece sparire le rughe di prima. “Vi prego...non dimenticatevi mai del vostro eroe.”

 

 

Nel frattempo, su un tetto lì vicino, un uomo, seduto a gambe incrociate, lasciò andare la propria fiammella, in segno di rispetto verso il più grande campione che l'umanità avesse mai conosciuto.

“Vai...” sussurrò Ub, un sorriso triste sulle labbra. “Insegna agli angeli a diventare campioni, eroe.”

Un vento prese a soffiare sopra la città, trasportando le fiammelle ancora più in alto. Un vento che sembrò portare alle loro orecchie la risata forte e tonante di un uomo. Un uomo possente e burbero, ma con il cuore puro come quello di un bambino.

 

 

FINE

  
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