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Autore: Asgard458    16/02/2016    0 recensioni
“Diciamo che… posso darti qualcosa che vuoi, qualsiasi cosa, a costo che trovi dove questa cosa sia. Scom-metto ti interesserebbe. Solo pochi hanno questo privilegio, solo ai ‘migliori’ mi presento proponendo questa impresa. Impresa ben ricompensata. Chi sono? Sono colui che può renderti la vita migliore. Sta a te trovare l’oggetto del desiderio, nascosto in una radura, in una foresta ben conosciuta. Trovalo, e potrai avere ciò che desideri. Però attento, ho detto che solo i ‘migliori’ hanno questo privilegio; quindi, tu potresti essere l’ultimo a cui ho proposto questo… faresti meglio a sbrigarti…”. Così disse l’uomo incappucciato.
Genere: Generale, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Diciamo che… posso darti qualcosa che vuoi, qualsiasi cosa, a costo che trovi dove questa cosa sia. Scommetto ti interesserebbe. Solo pochi hanno questo privilegio, solo ai ‘migliori’ mi presento proponendo questa impresa. Impresa ben ricompensata. Chi sono? Sono colui che può renderti la vita migliore. Sta a te trovare l’oggetto del desiderio, nascosto in una radura, in una foresta ben conosciuta. Trovalo, e potrai avere ciò che desideri. Però attento, ho detto che solo i ‘migliori’ hanno questo privilegio; quindi, tu potresti essere l’ultimo a cui ho proposto questo… faresti meglio a sbrigarti…”. Così disse l’uomo incappucciato.
Ed il padrone accettò la proposta.
“Mio Dio… sono esausto” disse il padrone, sedendosi su un tronco. Dalla sua grande pancia mossa dal diaframma si poteva vedere quanto il respiro fosse affannato. La sua fronte sudata veniva sventolata da una foglia di palma trovata là per terra.
“Che diavolo! Questi insetti non mi danno tregua! Philibert, scacciali via!”. Con passo lento e stanco, mi diressi verso il padrone ed iniziai a scacciare gli insetti agitando le braccia; il padrone, non soddisfatto, tirò la catena alla quale ero attaccato e mi fece baciare il terreno fangoso.
“Diamine Philibert! Così ne fai venire di più! Lavora decentemente, animale!”
“Certo, padrone” dissi fermamente. Presi a schiacciare ogni moscerino nelle vicinanze del padrone, finché, a lavoro compiuto, non batté lentamente le mani, come per fare un applauso ironico.
“Bravo Philibert, bravo; hai imparato dal migliore!”. Ad ogni battito di mani, la catena si agitava, provocandomi dolori al collo; mi chiuse in questo collare e non mi ci slegò più. Nonostante il dolore, stetti in piedi, dritto, in attesa del prossimo ordine del padrone.
“Ci vorrebbe un po’ d’acqua; Philibert, prendine un po’, e se lo trovi anche del caviale. Ci sarà un lago da qualche parte”. Il padrone allungò la catena e mi lasciò libero di esplorare i dintorni: ettari di enormi alberi ci circondavano insieme a liane e funghi; il sole riusciva a malapena a superare le vaste e folte chiome degli alberi, regalando un bagliore verdastro a tutto l’ambiente. L’umidità era così alta che l’unica fonte di sostentamento che avevo erano le gocce del mio sudore. Il padrone si era portato una bottiglietta d’acqua che finì nei primi trenta minuti di viaggio – senza lasciarmi nulla, ovviamente. Aveva anche pensato di portarsi dietro lo chef personale, ma sospettò che “avrebbe potuto rubargli l’oggetto del desiderio”, e lui non voleva correre questo rischio. Il padrone è sempre stato cauto: se non c’era un guadagno, non si muoveva. Il padrone era capo del primo monopolio al mondo, possedeva le industrie più temibili e fruttifere del mercato. Negli anni aveva accumulato ricchezze, e anche peso; era l’uomo più grande della terra in tutti i sensi.
“Philibert! Torna qui, svelto!”. Le urla del maial- del padrone risuonarono per tutta la foresta, e spaventarono uccelli e insetti circostanti. Corsi indietro seguendo lo strascico della catena fino alla sua fonte. Lo trovai seduto sempre sullo stesso tronco, sempre con la stessa foglia di palma in mano. Proferì:
“Gli insetti sono tornati Philibert, evidentemente non hai fatto un buon lavoro poco fa”. Tirò nuovamente la catena e aggiunse: “Lavora, scarto!”. Mentre scacciavo di nuovo quei poveri moscerini, il padrone sospirava: “Mannaggia.. devo fare sempre tutto io in questo viaggio… che vitaccia”. Le industrie del padrone raggiungevano un guadagno pari al 10% del PIL della Germania.
“Devo prendere i miei antidepressivi, sono le dodici giusto? Ma sono a stomaco vuoto. Philibert! Smettila con questi stupidi insetti e cerca qualcosa da mangiare!”. Lasciò cadere la catena a terra e mi lasciò libero di andare a cercare del cibo. Con non poca fatica, mi arrampicai su vari alberi per prendere dei frutti. Il peso della catena continuava a portarmi giù, ed il collare continuava a soffocarmi. Presi i frutti, scesi in basso, ma per disattenzione caddi a terra, proprio sulla catena. Sentii le vertebre incrinarsi e sbriciolarsi.
“Philibert! Ma cosa stai facendo?!”. Non ebbi neanche il tempo di sentire dolore. Dovetti schizzare in piedi e correre col cibo dal padrone.
“Era ora Philibert! Cosa hai preso?”. Mostrai la frutta al padrone, dandogli vasta scelta; il padrone prese un frutto e, con un’espressione di disgusto, iniziò a sbucciarlo sopra la sua enorme pancia.
“Che brutto odore che emana.. sei sicuro non sia marcio? Secondo me è marcio, proprio come te Philibert, che non riesci neanche a prendere del buon cibo. In questo posto ci saranno dei cinghiali, delle mucche, dei cervi. Mi accontenterei anche di un pollo! Ma questa frutta è proprio disumana. Da veri e propri cavernicoli. Sono tornato indietro nel tempo”. Mettendo in bocca il frutto e masticandolo, le sue guance già paffute si fecero ancor più grandi. Con un gesto lurido, sputò il boccone e gettò l’intero frutto a terra.
“Cos’è questo schifo!? Philibert! – disse agitando la catena – ma cosa vuoi farmi? Vuoi ammazzarmi?! E bravo, bella mossa! Ma con me non funziona! Dammi un altro frutto, rifiuto della natura!”. Provò tutti i frutti, e l’esito fu uguale per tutti. Vani, vani sforzi. Mentre ero lì in piedi a guardare quell’orrido spettacolo, la schiena mi pugnalava e lo stomaco vomitava. Dinnanzi all’ultimo boccone – e all’ennesimo spreco – il padrone si alzò dal trono di legno.
“Oh, che male alle gambe, è tutto il giorno che cammino, quasi non ce la faccio più”. Con passo pesante, passò sopra i cadaveri dei frutti, rendendoli immangiabili. Un colpo di frusta della catena mi segnalò la dipartita. Goffamente, ricominciò a camminare.
“Sai Philibert, forse non ti ho mai raccontato questo aneddoto, ma da piccolo andavo pazzo per i giochi da tavolo, soprattutto il Monopoly! Ero talmente bravo che mi dicevano che sarei cresciuto imprenditore, e così fu! Sono fatto per essere un imprenditore. Ed è anche per questa ragione che tendo a vestirmi così; mi fa sentire più… professionale”. Immancabilmente, ogni volta che poteva, il porc- il padrone raccontava questa falsa storiella che usa per abbindolare i clienti. Ed il vestiario aiutava a mantenere il realismo –  paradossalmente: un frac realizzato dal miglior stilista, una tuba sulla testa, un folto baffo bianco affiancato da un monocolo e, in ultimo, un favoloso bastone in mogano. Nonché un papillon rosso quanto il sangue che faceva sputare ai suoi impiegati. Il capitalismo aveva fatto un figlio.
“Ma tu cosa ne vuoi sapere, non capisci neanche cosa vuol dire ‘essere imprenditore’, sei solo bravo a fare lo schiavo; anzi, senza il mio aiuto e la mia guida, neanche quello sapresti fare. Come hai fatto a vivere senza di me per tutto questo tempo, Philibert?”. Io sono qui, incatenato a questo mostr- a colui che chiamo padrone solo perché è stato lui la causa dei miei mali in primis. Lo sai anche tu cosa hai fatto. Sei stato tu la causa del fallimento della mia piccola attività. Sei stato tu ad aver demolito il quartiere dove vivevo. Sei stato tu a chiudermi in catene quando non avevo nulla, quando cercavo di mantenere la mia famiglia. Sei stato tu, con i tuoi fumi industriali, ad uccidere mia moglie e mia figl-
“Guarda Philibert! Ce l’ho fatta! Ho trovato il luogo destinato! L’uomo incappucciato aveva ragione!”.
Aumentando il passo e tirandomi per la catena, si mosse verso un’enorme radura. Sembrava contento.
“L’oggetto del desiderio sarà mio! Non voglio altro! Lo voglio, sarà mio! Nessun altro potrà averlo, sarà solo mio! Così potrò avere tutto quello che voglio!”.
Paradosso. Ironia.
   
 
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