--------------Bella
POV----------------
“Ahiù” dissi.
Ero confusa. Dove mi trovavo? Provai ad aprire gli
occhi, li richiusi, troppa luce, ora bruciavano.
“Bella” sentii una voce familiare chiamarmi con voce
rotta dal pianto e allo stesso tempo esaltata.
“Charl-papà” dissi, aprendo finalmente gli occhi
lentamente.
“Lo sapevo che ti saresti svegliata” disse con le
lacrime agli occhi.
“Che cosa è successo? Dove sono?” chiesi sorpresa.
“Non ti ricordi? Siamo all’ospedale di Forks, hai
avuto un brutto incidente” disse con una voce amareggiata.
“Quanto tempo…da quanto tempo sono qui?” sospirai.
“sei stata in coma per ventitré giorni” disse e poi
continuò “ma adesso sei sveglia, insomma ti sei svegliata è stupendo, andrà
tutto bene cara”.
“ma cosa mi è successo?” dissi, non ricordavo proprio
niente, era situazione sgradevole, avevo un gran mal di testa.
“Ma come non ti ricordi?” chiese lui stupito, “qual è
il tuo ultimo ricordo?” chiese impaurito.
“Mi ricordo…mi ricordo che sono venuta a vivere da te
a Forks e…e e questo è tutto…” dissi confusa mentre provavo a ricordare qualche
dettaglio in più.
“Oh, cara stai tranquilla, ricomincerai, ricominceremo
da capo” disse abbracciandomi, facendo lo slalom tra i fili della flebo.
“Ma come ho fatto a conciarmi così?” chiesi ancora
annebbiata guardandomi.
“Bella, ventitre giorni fa ti sei persa nel bosco, non
riuscivamo a trovarti, non so come, ti sei procurata una brutta ferita alla
testa e hai perso molto sangue” disse piangendo, “poi grazie a Dio, Sam Umley
ti ha trovata prima che fosse troppo tardi”.
Bene, io che mi perdo in un bosco e mi procuro una
ferita da morire quasi dissanguata era una cosa plausibile. Ma molte cose non
tornavano. Che ci facevo da sola nel bosco?
A quel punto Charlie chiamò un infermiera, e due
signore in carne saltellarono subito nella mia stanza “bentornata cara” disse
quella con i capelli ricci e gli occhiali spessi, “grazie” risposti, “sarà il
caso chiamare il dott. Cullinger per farti visitare” continuò l’altra con i
capelli biondi tinti, “ma adesso sto bene” reclamai. Non amavo molto gli
ospedali, anche se, a causa della mia goffaggine ero stata parecchie volte
costretta ad andarci.
Dopo qualche minuto arrivò il dott. Cullinger. Un nome
che mi era quasi familiare. Ma più mi sforzavo di ricordare e più incontravo
nella mia testa domande senza risposta. Ero troppo esausta per provarci adesso,
mi arresi.
“Bene, Isabella direi che i tuoi valori sono tutti
nella norma” sentenziò il dottore leggendo la mia cartella, poi continuò “devi solo
fare qualche settimana di riabilitazione per riacquistare appieno le tue
capacità motorie”.
Ma quali cavolo di capacità motorie?
Io non ero in grado di reggermi in piedi già prima che
rimanessi bloccata a letto. E adesso va glielo a spiegare a Mr Sappientone. Mi
avrebbero tenuta in ospedale per la riabilitazione per anni e anni prima di
accorgersi che ero così di natura.
I miei pensieri furono interrotti da Charlie “non ti
preoccupare cara ho preso qualche mese di ferie che avevo in arrestato, potrò
accompagnarti a scuola e in ospedale il pomeriggio per la riabilitazione” disse
con un sorriso.
scuola? Riabilitazione? ma forse ero morta ed ero
finita all’inferno per caso?
--------------Edward
POV----------------
Ero immobile come una statua.
Da giorni non mi nutrivo.
Ventitre lunghi giorni, ero partito da
ventitré giorni, l’avevo lasciata da ventitre giorni.
Sentivo i pensieri della mia famiglia,
delusione, tristezza, preoccupazione.
Vivevo in una sorta di stato di
catalessi.
La vita senza di lei non era vita.
Chissà che faceva?
Che pensava?
Se piangeva.
Il suo viso era sempre presente nei miei
pensieri, il suo viso di quando mi sorrideva, di quando la timidezza si
impadroniva di lei e le sue guance si colorivano di quel rosa così delizioso,
del suo profumo.
Ma era giusto così, doveva vivere la sua
vita, doveva avere dei figli, sposarsi, invecchiare, morire e avere uno scopo
nella vita.
Allora perché mi sentivo così, sapevo
che sarebbe stato meglio per lei, perché non riuscivo a vederla così, perché
ero così egoista ?
Carlisle e Esme erano preoccupati per
me, pensavano che finalmente dopo tutto questo tempo avessi trovato l’amore,
avessi trovato una ragione per la mia esistenza, la felicità.
E adesso cosa mi rimaneva?
Sedevo su una spiaggia isolata in
California, pioveva, scrissi il suo nome sulla sabbia e poi lo cancellai.
Poteva un corpo di pietra, una statua,
un corpo freddo e morto sentire tutto quel dolore?
Sì.
Emmett e Alice erano quelli più
arrabbiati. Alice era triste per aver perso la sua migliore amica, vicino a lei
Alice si sentiva così normale, così umana.
Emmett decise dare voce ai suoi
pensieri, a quei pensieri che per giorni avevo sentito echeggiare nella mia
mente, “Ed, sei uno stupido, perché l’hai fatto? Perché l’hai lasciata così?
Come pensi che lei possa fare come se non fossi mai esistito? Come se non
fossimo mai esistiti? Lei ti ama, voleva perdere la sua mortalità, dannarsi pur
di stare con te. Non capisci che l’hai distrutta in mille pezzi? Quel cuore che
batteva nel suo petto è distrutto.
Non risposi, sapevo che aveva ragione.
“e adesso cos’hai risolto? Povero
stupido. Entrambi avete perso la vostra felicità” disse arrabbiato, tremava.
Quella stessa sera decisi di andare via,
non potevo più sopportare anche il loro dolore, lo sentivo nei loro pensieri e
nei loro volti e sapevo che quel dolore era a causa mia.