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Autore: Cloe Gallagher    17/02/2016    0 recensioni
Blaine era stato testimone e vittima di una relazione durata un anno, ma di un amore destinato a non finire. Perché era stato carnefice di una passione più grande di quello che Kurt potesse sopportare, di un gioco che entrambi si erano illusi di poter gestire, quando invece il cuore di Kurt non era abituato a nulla di simile e tirarsi indietro era sembrata l'unica soluzione. Forse non tutti sono fatti per amare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Zero Negativo  

 
I’m still learning to love 
Just starting to crawl. 
And I swallow my pride. 
You’re the one that I love 
And I’m saying goodbye 
Say something, I’m giving up on you.


  
“Raccontami la tua storia, Kurt” fu la richiesta di Blaine tra le mille luci colorate che lo colpivano sul volto conferendogli una giovinezza nuova, con i suoi capelli ricci spettinati e le guance arrossate da musica e aspettativa. Rimestava il drink con quella bizzarra cannuccia blu elettrico, in attesa di una risposta degna della sua curiosità nei confronti di quegli occhi azzurri riconosciuti tra la folla. 
Allora Kurt abbassò lo sguardo e sorrise “Non c’è molto da raccontare, in realtà”, la voce umile che sembrava già svelare un animo dolce nascosto sotto quell’insieme di esperienze e amori e New York e delusioni che i suoi occhi custodivano con premura. E se da un lato Blaine inclinava la testa e lo osservava incuriosito, Kurt arrossiva lusingato e consapevole, perché nei suoi ventisei anni aveva ormai accumulato un bagaglio di sguardi e carezze che avevano contribuito a renderlo l’uomo che era diventato. 
“Bugiardo” lo ammonì Blaine da dietro il bicchiere senza nascondere il ghigno divertito nato sul suo volto “Mi permetterai di scoprire cosa nascondi?” 
Un altro sorso e poi uno sguardo, un mezzo sorriso e infine un sussurro a fior di labbra “Buonanotte Blaine”  



La prima volta che Kurt Hummel notò Blaine Anderson era un grigio pomeriggio di primavera. Nel pianerottolo del 5b di un palazzo di Brooklyn, la signora Madison aveva firmato dei documenti e un ragazzo dai capelli ricci stringeva in mano vittorioso un mazzo di chiavi dall’aria vissuta, testimoni di chissà quante altre storie d’amore e di sogni che sembravano esser raccontate ogni volta che quella serratura scattava tra le mani di un nuovo proprietario. Blaine le aveva fatte proprie aggiungendo una piccola nota musicale argentata che pendeva e brillava sotto la luce artificiale del condominio, sorridendo nel sentirle finalmente una parte di sé. Ed è proprio mentre giacevano incastrate nella serratura che furono spettatrici dell’inizio di qualcosa di nuovo, quando un ragazzo dagli occhi chiari scese di fretta le scale lanciando un’occhiata verso il nuovo arrivato. Blaine non lo notò, Kurt lo dimenticò in poco tempo. 

Ma arrivò il momento in cui si incontrarono. Di sfuggita, sì, senza prestare attenzione, quando uno era in ascensore e l’altro nell’androne del palazzo, nella lavanderia o nel bar dietro l’angolo. Si incontrarono quando Blaine stringeva la mano di Sebastian e Kurt aiutava Rachel con le buste della spesa, quando entrambi fingevano di controllare la posta e si lanciavano uno sguardo, soltanto uno, prima di fuggire via verso le scale. 
Per mesi non avevano mai parlato. 
Eppure per mesi non avevano mai smesso di cercarsi.  


“Tu sei quello del 5b, giusto?” 
Blaine inciampò in un groviglio di fili e cadde ai piedi dell’ascensore. Il ragazzo che aveva parlato lo guardò dall’alto e gli porse una mano per aiutarlo, soffocando un sorriso “Sì, sì sono io” rispose Blaine imbarazzato spolverando i jeans. Kurt annuì, raccolse un piccolo amplificatore e lo sistemò nell’ascensore “Piacere di conoscerti 5b” 
“Piacere mio” fu tutto quello che Blaine riuscì a dire prima di vederlo uscire dal palazzo.  


“Brutta giornata?” 
Kurt era seduto sulla scalinata che portava agli appartamenti, il cappotto aperto e la sciarpa malamente sistemata intorno al collo, la tracolla abbandonata ai suoi piedi e l’ombrello gocciolante al suo fianco. Alzò lo sguardo verso la figura appoggiata alle porte ancora chiuse dell’ascensore. 
“Ciao 5b” 
Blaine sorrise e si sedette su qualche scalino più in alto guardandosi intorno “Sembra davvero divertente, starsene seduti qui …” 
“Sono rimasto chiuso fuori, la mia coinquilina ha preso per sbaglio le mie chiavi”  
Blaine annuì e raccolse ombrello e tracolla “Dai vieni, ti offro un caffè”  


Kurt Hummel e Blaine Anderson conducevano le proprie vite autonomamente ad un piano di distanza. Quando Kurt cucinava con un grembiule sporco e il tavolo apparecchiato, Blaine mangiava cibo d’asporto sul divano, la tv accesa o le cuffie nelle orecchie; quando Kurt preparava un' esibizione per l’università, la fronte imperlata dal sudore e il fiato corto, Blaine strimpellava la chitarra vicino alla finestra, con gli occhi chiusi e il fantasma di un sorriso sul volto; quando Kurt salutava Rachel con un bacio sulla guancia, Blaine tirava via la camicia di Sebastian e lo baciava con foga. Nonostante tutto, si incontravano per le scale, si guardavano e si sorridevano, ognuno lanciando un tacito saluto portato via dalla fretta.  
Cosa ci fosse di speciale tra di loro, ancora non riuscivano a capirlo. 
Forse fu perché le cose cambiarono che qualcosa li spinse ad avvicinarsi. Perché Rachel era sempre impegnata e Kurt si sentiva solo, Sebastian era confuso e Blaine era semplicemente stanco. E allora in quel giorno d’autunno si incontrarono e si riconobbero, ballarono e brindarono, si guardarono, anche, e si sorrisero. Si scambiarono un bacio, forse, ubriachi di alcool e spensieratezza, proprio sul pianerottolo del 5b, tra una risata e l’altra. 
“Buonanotte Kurt” un bacio sulla guancia rubato di sfuggita. 
“’Notte Blaine” 
Se solo lo avesse saputo in quel momento, se solo Kurt avesse saputo che la sua debolezza avrebbe causato  solo dolore, forse non avrebbe mai permesso a Blaine di tornare.  


Blaine era una piacevole esperienza: parlare con lui ogni mattina prima di andare a lavoro, accompagnarlo fino alla porta del suo appartamento quando lo incontrava all’entrata, augurargli la buonanotte con un messaggio breve prima di andare a letto. Erano usciti una volta o due, per un caffè o un pranzo veloce, oppure c’era stata quella volta in cui avevano raggiunto Rachel al karaoke e quando avevano fatto quella lunga passeggiata in una mattina di settembre. Volevano rivelarsi indifferenti davanti ad un’attrazione che li spingeva l’uno verso l’altro senza il loro consenso, perché Kurt temeva una storia seria e Blaine voleva restare solo per un po’. Ma si erano incontrati e scontrati e influenzati e cambiati, come due burattini inconsapevoli. 
Tutto cambiò quando iniziarono ad amarsi.  

Amare Kurt si era rivelato fin troppo facile. 
Lasciarsi amare invece era stata una sfida persa in partenza, che però aveva avuto un proprio percorso. Blaine sapeva che ne era valsa la pena, sapeva che loro ne valevano la pena. 
Amare Kurt era stato pieno di alti e bassi, giorni speciali e giorni più scuri, sorrisi, parole, sospiri. 
Amare Kurt era stato notti insonni e notti vissute, ore al telefono e baci sul pianerottolo, cene fuori e pizza sul divano, era stato baci, passione e piacere così come era stato carezze, abbracci e ti amo, ti amo, ti amo. 
Amare Kurt era stato amare per davvero.  


La vita di Kurt prima di Blaine era la vita di un ragazzo pieno di sogni e incapace di amare qualcuno che non fosse la sua famiglia o la sua migliore amica. Era una vita di spettacoli e lezioni alla Nyada, notti tra le braccia di uomini che non lo meritavano e poi musica, emozioni, dolore, il più delle volte, e lacrime quando tutto era difficile da sopportare. La vita dopo Blaine era diversa, malinconica forse, piena di ricordi. 
La vita con Blaine però, quella era davvero vita.

 
Il Carter’s era un piccolo locale di Greenpoint arredato in perfetto stile inglese, famoso solo per la sua vasta gamma di marche sconosciute di birra e per la serata del venerdì sera dedicata agli artisti emergenti. Non era mai stato un pub molto affollato, di quelli in cui bisogna aspettare ore per poter ordinare o bere un semplice drink. Joshua, il proprietario, non si era mai lamentato, alla gente piacciono i bar un po’ sfigati come questo, diceva ogni sera quando buttava via bucce di noccioline e sciacquava i bicchieri, dicono che ci sia qualcosa di magico e accogliente, ma a Joshua interessava solo fare qualche soldo e non dover pulire vomito dal pavimento. Non sapeva affatto quanto avesse ragione. 
“Quando ti deciderai ad uscire con lui?” 
Alle parole di Rachel, Kurt distolse lo sguardo dal piccolo palco del locale per lanciarle un’occhiata “Non ho intenzione di farlo, lo sai” sentenziò tornando a scrutare la folla che si stendeva sotto ai suoi occhi. Rachel lo osservò per un attimo e poi lasciò stare, consapevole di non avere possibilità di scamparla in una conversazione che avevano già fatto innumerevoli volte. Così decise di guardare il palco a sua volta, dove un pianoforte nero e segnato dal tempo era l’unico protagonista dei riflettori, in attesa di essere suonato mentre al suo posto una noiosa canzone rock intratteneva i clienti. Rachel non aveva mai avuto fortuna in amore, sono innamorata del mio lavoro, diceva sempre, con lo sguardo illuminato e un sorriso sulle labbra. Kurt le credeva perché non l’aveva mai vista felice con nessuno quanto lo era davanti ad un pubblico, vestita della sua voce e del suo talento. Finn era stata la sua eccezione, così come perderlo era stata la sua resa. Kurt invece aveva sette anni quando capì che fa male amare qualcosa che la morte può toccare. Avrebbe potuto donare il suo amore a chiunque, ma non aveva mai permesso a nessuno di riceverlo. E se da un lato gli era sembrato difficile, scoprì invece di aver accolto la solitudine con una spontaneità che non si aspettava, lasciandola insinuare nella propria vita lentamente e facendo di lei la sua unica medicina. Aveva imparato da solo cosa significasse non amare e di quello ne aveva fatto la propria religione. 
Poi Blaine spuntò da un angolo del palco e si accomodò al pianoforte, salutando il pubblico con un cenno educato e presentando la canzone che avrebbe cantato.  
At last my love has come along…” 
Fu quello sguardo fugace tra loro ad abbattere il muro che Kurt aveva diligentemente costruito negli anni. 
Blaine gli aveva appena chiesto il permesso e Kurt glielo aveva concesso.  


Blaine era stato testimone e vittima di una relazione durata un anno, ma di un amore destinato a non finire. Perché era stato carnefice di una passione più grande di quello che Kurt potesse sopportare, di un gioco che entrambi si erano illusi di poter gestire, quando invece il cuore di Kurt non era abituato a nulla di simile e tirarsi indietro era sembrata l'unica soluzione. Forse non tutti sono fatti per amare.  


“Dì qualcosa, Kurt! Dì qualcosa perché io mi sto arrendendo” un grido strozzato dalle lacrime, una richiesta di aiuto, un’occasione, un’implorazione “Dì qualcosa” 
Kurt pianse in silenzio quelle parole che non ebbe il coraggio di pronunciare.  



Erano i ricordi belli ad aver trattenuto Kurt in quell'avventura che era Blaine: gli appuntamenti organizzati con aspettativa, i caffè rubati nel tardo pomeriggio, i baci veloci dentro l'ascensore.  


Il suono sordo della macchinetta fotografica fu seguito da un sorriso al chiaro di luna “Sei bellissimo”. Un altro bacio, uno scatto, un sorriso “Ti amo”.  


Erano specialmente i ricordi belli ad aver portato Kurt alla fine di quell'avventura. Perché amare qualcuno, amare Blaine, era impossibile da controllare.  
Aveva imparato che aprire il cuore all'amore porta inevitabilmente ad aprirlo al dolore. 
  
Kurt strinse la mano di Blaine nella sua e la portò al petto. Si guardarono negli occhi nel sentire il battito veloce pulsare contro le loro dita intrecciate. "Resta" fu una promessa che Blaine mantenne per sempre.  


Non era stato un amore nato da una mancanza. Non era stato un capriccio di due ragazzi alle prime armi. Era semplicemente capitato, come se entrambi non avessero potuto fare altrimenti, come se opporsi ad esso sarebbe stato l'errore più grande. Ma Kurt stava vivendo un'esperienza senza avere a disposizione i mezzi necessari, perché stava amando senza aver mai amato.  


“Ricordi quando mi hai portato a Central Park questo inverno?” la voce di Kurt tremava sotto le note di una notte passata a ricordare a suon di carezze e respiri e sospiri e stringimi. Il sole illuminava pigro solo una parte della stanza, lì dove le persiane non proiettavano ombre spezzate su pelle e lenzuola. 
“Avevi detto di amarmi” affermò Blaine in risposta, il tono amaro e nostalgico che si disperdeva nell’aria e lo sguardo che vagava alla ricerca di un ancora per il passato. La coperta attorcigliata tra i due corpi distanti sembrava essere l’unica cosa che continuava a tenerli insieme, quando il volto di Kurt era rivolto verso la finestra senza accennare al movimento, lontano da quella stanza e lontano da Blaine, diretto verso la porzione di cielo visibile dalla finestra. Se ci furono lacrime, Kurt non lo scoprì mai. 
Strinse tra i pugni il lenzuolo e respirò profondamente “Lo intendevo davvero” ammise con sincerità. Solo allora si voltò, osservando il profilo di Blaine che guardava il soffitto soffocando parole difficili da pronunciare. Percorse con un dito la sagoma del suo viso, accarezzando le labbra e il collo, lì dove il battito del cuore si rivelò più veloce e il respiro più pesante “Lo intendevo davvero” ripeté e poi lo baciò. Un bacio quasi a senso unico, un bacio che sapeva di scuse e che sapeva di
addio
Blaine lo sapeva, ma continuò a baciarlo perché tutto ciò che gli rimaneva era il suo sapore sulle labbra. 
   
 
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