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Autore: Raein    22/03/2009    0 recensioni
La mia prima original, dopo un lungo periodo passato a non scrivere, non volevo mettere niente del racconto e ho lasciato che questa nota fosse un semplicissimo prologue. Godetevela.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Hai mai visto le balene, Erika? »
mentre si volta, sente le gocce di pioggia scenderle sul viso e gli prendo la mano, la stringe forte.
« Non le ho mai viste, Sid » risponde con pazienza, anche se è troppo freddo, se le gocce stanno cadendo in una cortina più fitta, se sente il gelo fin dentro le ossa. Solleva gli occhi al cielo, Sid le scruta il viso come se non l’avesse mai “guardata” per davvero. « Perché me lo domandi? »
« Vorrei mostrarti qualcosa che nessuno ti ha mai mostrato, un giorno. »

Bones are sinking like stones all that we fall for.
Homes places we've grown all of us are done for.

Coldplay – Beautiful World.


Siamo in classe insieme dal primo liceo, io ed Erika. Ci siamo conosciuti un pomeriggio dopo la mensa, mentre cercavamo l’orario delle lezioni nuove con scarsi risultati: tabelle così fitte da non riuscire nemmeno a renderci conto quali fossero le nostre lezioni, alternavamo lo sguardo al nome dei corsi ai fogli che ci avevano dato al corso di orientamento. Erika mi sembrava la classica ragazza che farà parte delle cheerleader e prenderà buoni voti a scuola perché la sua vita privata non è poi un granché. Eppure, mentre io pensavo a definire un profilo per la sua vita, lei aveva trovato già come dislocarsi nei corridoi e come dirmi qualcosa.

« Fai Musica al pomeriggio? » « Sì, chitarra classica »
« Allora siamo già parecchio in ritardo »

Dacché ci conosciamo siamo sempre in ritardo. Cinque anni, di ritardo. Quest’anno stiamo arrancando pian piano fino alla consegna del diploma e drasticamente vedo i nostri giorni insieme accorciarsi quando penso che andremo in accademie specialistiche diverse; lei non è mai stata un granché con il pianoforte, ma a me non rimane altro che il conservatorio e spero che il suo progetto di diventare una personalità importante negli scambi culturali, funzioni. Questa sua drammatica passione per le lingue, mi ha trascinato a Valencia, in gita “scolastica” insieme alla classe di Spagnolo che frequenta. Mi sono un perfetto idiota a vedere le sue compagne di corso chiacchierare in due lingue diverse e commentare il “freespace” del giovane autista che ci sta conducendo verso l’Oceangrafic de Valencia.

« Sid » mi prende la mano, stringendola forte come tutte le volte che sente il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, sta dormendo. La sua testa accoccolata contro la mia spalla, i capelli biondi che le spiovono sul viso. “Profumi d’inverno” vorrei dirle. « Checcè? » mugola qualcosa di incomprensibile e allenta la presa sulla mano, torna a dormire. E noi divoriamo chilometri di autostrada, sperduti, così lontani da casa.

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Il suono placido delle ruote sull’asfalto, la sensazione del bus in movimento mi culla e concilia il sonno in cui ho fatto finta di cadere quando siamo partiti dall’albergo. Ero troppo stanca per rimanere a chiacchierare con i ragazzi dello scambio culturale, avevo voglia di silenzio. Di stare con Sid. Sento che durante tutta questa prima settimana ci siamo allontanati perché ho avuto poco pensiero per lui. La sera, quando torniamo dai locali, è a girare note sulla chitarra e ha sempre un sorriso nonostante lo abbia lasciato solo per andare in giro. Gli occhi grigio pioggia e la zazzera castana arruffata, mi fanno sentire a casa. Non ho nostalgia come pensavo ne avrei avuta. Dietro gli occhi socchiusi, mi arrivano le inflessioni di luci ed ombre e il vociare distratto delle compagne che ogni tanto cercano di “svegliarmi” senza cavare un ragno dal buco.

Spazzolo secondo per secondo, attimo per attimo, il momento in cui Sid si volterà per guardarmi dormire facendo il suo sorriso da papà appagato e non visto. E gli dirò “non sto dormendo” facendogli prendere un colpo al cuore per poi vederlo sorridere, rassegnato ai miei trucchi. Oggi però ha gli occhi incollati al finestrino e respira piano, come se dormisse. Mi tormenta l’idea che qualcosa di sbagliato gli passi per la testa, gli stringo la mano, si volta e posso tornare a far finta di dormire, sentendo il cuore battermi palpabilmente più forte.

Forse è stato un bene che nessuno di noi ha mai avuto il coraggio di dire “quelle cose” che stravolgono i rapporti. È un pensiero costante, a cui mi aggrappo ogni volta che chiude la porta della mia camera e mi da le spalle per andarsene a letto o per continuare a suonare. Non dorme mai, se siamo insieme, se non dormo. Sento la sua chitarra smettere di girare note solo quando è talmente silenzio che mi rendo conto di stare più dormendo che sveglia. Ci diciamo cose, nel silenzio, che a volte mi hanno fatto paura.

« Erika » so che non è la prima volta che mi chiamano, ma questa volta è lui a volermi. Aspetto che mi richiami ancora una volta, poi mi giro, promesso. « Erika » mi tocca la spalla, stringe un po’ forte il braccio sotto il maglione e mi giro, fingendo di essermi svegliata da un momento. Non so perché, non ho il coraggio di fargli capire che ho volutamente vivermi due lunghe ore di silenzio insieme a lui.

« Siamo arrivati all’Oceangrafic, svegliati »

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Quando ne incontro lo sguardo liquido, quasi fremo. Per tutto il viaggio non ho fatto altro che pensare a quella promessa che le feci quel giorno, alla fermata del Bus. Non so perché abbia preferito dormire, non so nemmeno se lo ricordi o meno. Se era stanca mi sta bene, anche se ha dimenticato, mi sta bene. La lascio svegliare del tutto mentre recupero i giubbini e gli zaini e l’aiuto ad alzarsi. Lasciare il bus, in qualche modo, è come lasciare una vaga speranza di non so cosa. Non so se nei corridoio dell’acquario, riuscirò a sentirne il profumo [ l’idea di perdere il suo profumo tra la gente, mi spaventa. ]

All’ingresso scopriamo che non c’è itinerario. Siamo liberi di aggirarci per i corridoio senza problemi e guardare le vasche che più ci interessano ed è quasi con stupore che mi rendo conto che siamo i soli a non formare nessun gruppetto in particolare. Ci incamminiamo per i corridoi, chiacchieriamo del viaggio e facciamo lunghissimi minuti di silenzio. Ogni tanto, incrociamo coppie di innamorati che comprano pupazzi della Mascotte dell’acquario, si tengono per mano. Quando le sagome nere sui vetri delle vasche la spaventano, anche noi, ci teniamo per mano.

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Siamo alle vasche dei grandi Cetacei. L’atmosfera di questo posto, umida e intrigante, mi ricorda il ventre caldo di una madre, mi riporta alla mente un ricordo sfocato fatto di pioggia di cui non riesco a riprendere i dettagli. Sid ogni tanto gioca con le luci, mi fa vedere il momento in cui temerari addetti alle vasche danno da mangiare agli squali. Vederli dietro ad un vetro mi fa salire il terrore che possano riuscire a venirmi addosso. Non sono come le gabbie dello zoo. Qui tutto lo tocchi con mano.

Una bimba con in mano la mascotte di peluche si avvicina alla vasca di un’orca che vaga semi addormentata, giocherellando con i visi dei curiosi, fingendo di interessarsi prima di scappare via. Trattiene il respiro e fa una piroetta, come se fosse in acqua, l’orca scappa e si mette a ridere prima di essere presa in braccio dal padre.

Qui dentro c’è un senso di pace enorme. Mi stringo vicino a Sid, mentre passiamo per un corridoio più largo, non molto gremito. “Balene.”

Non ho il tempo di finire di leggere la parola che la stonata campanella di quello che è palesemente un anti-incendio ci risveglia entrambe. Una sigaretta accesa, forse, perché nessuno sembra allarmato più di tanto. O almeno. non lo è fin quando i getti a muro non cominciano a piovere sottili e gelide gocce trasparenti da cui tutti cercano di fuggire disperatamente, per non bagnarsi prima dello spettacolo dei delfini. E mentre noi due rimaniamo fermi, nel caos ridondante, la corrente va via.


Oh all that I know is nothing to run from
Cause yeah everybody here got's somebody to lean on


Si stringono la mano vicendevolmente, come spaventati eppure tranquillizzati dal silenzio che, dopo quell fuggi fuggi generale, finisce con il calargli intorno in un bisogno pesante di vivere se stesso. La schiena di lei, accarezza quella di lui e i passi si fanno ridondanti e lontani finché il buio tenue smorzato da luci lontane della superficie delle vasche, li induce a voltarsi l’una di fronte all’altra. Erika ha il viso rigato come Sid, i capelli biondi le si sono divisi in ciocche che le accarezzano le guance e lui glie le raccoglie con tenerezza dietro l’orecchio, sorridendole. Se per un momento hanno avuto paura, adesso possono sentire i propri cuori battere all’unisono. Lei sospira, lui solleva lo sguardo alla vasca a cui danno il profilo, distrattamente.
Continua a piovere.

« Erika » sussurra, come se non parlasse « non avere paura » le labbra umide si stringono in un sorriso rassicurante. « Non ho paura » gli occhi di lei si abbassano, il cuore le si ferma per un momento e riparte, un moto tutto diverso. Si è ricordata.

« Sidney » lo richiama piano, sollevando gli occhi nei suoi, bisbigliando invece che parlare « è destino che tu non debba mostrarmi le balene » lo dice quasi con tristezza. Lui però le avvicina il volto al suo, carezzandogli la guancia con la propria, le mani le si posano sulle spalle e la spinge a voltarsi, con delicatezza.

Un’ombra nera, solitaria, è proiettata come la sagoma di un teatrino cinese contro il vetro. Un richiamo elegante come una canzone d’amore avvolge loro e il silenzio.

Lei si volta, lo sfiora, lo bacia.

Tutti e due si mostrano cose che non hanno mai visto. Scambiandosele in un canto lontano.
  
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