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Autore: Little_CutiePie    17/02/2016    2 recensioni
[...] Watson leggeva e rileggeva quel bigliettino a ripetizione.
La sua mente confusa e annebbiata non riusciva più a mettere a fuoco dove lui si trovasse realmente in quel momento.
[...]
Voltò nuovamente il biglietto che teneva stretto tra le mani e ne lesse il contenuto ancora una volta:
‘Per John
Buon San Valentino
Con Amore
SH’ [...]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Io esco, vado a comprare il caffè. Vuoi venire?”

chiese il dottor Watson, mentre si infilava la giacca, rivolto al corpo steso sul divano in posizione fetale del suo migliore amico che gli dava le spalle.

Un tono lamentoso, tra il frustrato e il disperato, si levò da quei cuscini in risposta

“Ma se l’ho comprato io stamani?!”

John alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente mentre si sistemava per bene il colletto.

“No, Sherlock! Sei uscito per comprarlo, ma non lo hai fatto!
Hai passato quasi 4 ore a piantonare il supermercato nella speranza che qualcuno lo rapinasse o rubasse qualche articolo dagli scaffali solo perché sono giorni che non hai nessun caso da risolvere!
Se Mycroft non fosse passato di qui e non ti avesse chiamato per farti tornare a casa con la scusa di un’emergenza, forse a quest’ora saremmo tutti da Scotland Yard perché avresti finito con il rapinarlo tu stesso quel maledetto supermercato! E tutto solo per movimentarti la giornata!”

“PERCHÈ MI ANNOIO JOHN!
LO SO CHE È SBAGLIATO SPERARE CHE ACCADA QUALCOSA, MA SONO UN SOCIOPATICO IPERATTIVO E LA MIA MENTE SUPERIORE HA BISOGNO DI STARE PERENNEMENTE IN MOVIMENTO!
HO BISOGNO CHE ACCADA QUALCOSA! E HO BISOGNO DI UNA SIGARETTA! COMPRAMI LE SIGARETTE SE ESCI!”

Gridò l’investigatore, gesticolando a più non posso con le mani, prima di mettere il broncio e tornare a raggomitolarsi sul divano.

“È San Valentino, per l’amor del cielo!”

Rispose il dottore alzando le braccia e lasciandole ricadere sonoramente lungo i fianchi.

Nei giorni come questo era davvero esasperante stare dietro all’agitazione del suo collega, anche se in fondo in fondo non gli dispiaceva poi così tanto.

“È la festa dell’amore! Nessuno ucciderà nessuno oggi! Fattene una ragione Sherlock! E non ti comprerò le sigarette nemmeno sotto tortura!”

“San Valentino non è altro che un tizio a cui è stata staccata la testa il 14 febbraio del 273 per aver celebrato il matrimonio tra una donna cristiana e un uomo pagano.
Venne istituita una festa in suo onore solo per sovrastare e gettare nel dimenticatoio la festa pagana della Lupercalia, che anticamente si festeggiava il 15 febbraio e che prevedeva festeggiamenti sfrenati e al limite del pudore.
Si è cercato di nascondere ciò che non si voleva vedere nel modo più semplice possibile: abbindolare la gente con fiori e cioccolatini.
San Valentino è una festa insulsa, conformista e a scopo di lucro.”

Si voltò con il busto per riuscire a vedere il dottore in faccia e fulminarlo con i suoi glaciali occhi azzurri. “Se il così detto amore è davvero così importante, allora perché festeggiarlo solo una volta l’anno?! Questo amore andrebbe celebrato ogni giorno, non credi, John?!
Quindi c’è sicuramente, là fuori, qualcuno a cui non frega niente di San Valentino o qualcuno che si vuole vendicare proprio in questo stramaledetto giorno!
E io lo sto aspettando!
E se non mi compri le sigarette, almeno comprami un centinaio di cerotti alla nicotina!”

Disse quasi tutto d’un fiato riportandosi con uno scatto deciso in posizione fetale.

John alzò nuovamente gli occhi al cielo e si avviò verso la porta d’ingresso.

“Tu non sei un sociopatico iperattivo! Tu sei completamente pazzo!”

Aprì la porta e oltrepassò la soglia.

“Sai cosa c’è?! Fai come ti pare! Io esco a comprare questo stramaledetto caffè prima che inizi il gioco Chi ha ucciso Sherlock Holmes il giorno di San Valentino?!

Concluse tirandosi la porta alle spalle.

Sherlock scattò nuovamente a sedere sul divano guardandosi attorno.

“Qualcuno vuole davvero uccidermi oggi?”

La porta si riaprì all’improvviso e la testa del suo collega fece capolino oltre lo stipite.

“Si! Io! Ti strangolerò con le mie stesse mani prima di sera se non ti dai una calmata!”

Watson chiuse nuovamente la porta e vi rimase appoggiato per qualche secondo ancora, prima di scendere giù per la rampa di scale scuotendo leggermente la testa e aprendo la bocca in un sorriso a trentadue denti: per quanto l’uomo che si era lasciato alle spalle potesse essere irritante e a tratti insopportabile, il sentimento che provava per lui superava ogni immaginazione.
Se l’omicidio non fosse un’azione tanto ignobile quanto illegale, avrebbe ucciso lui stesso qualcuno pur di renderlo felice.

Sherlock congiunse le mani portandole sotto al suo naso, perdendosi in mille pensieri.

Le sue labbra si stirarono di un genuino sorriso, come solo un caso da risolvere o John Watson sapevano fargli fare, mentre ripercorreva mentalmente la conversazione che avevano appena terminato.

Si distese per l'ennesima volta sul fianco destro, gli occhi puntati verso la spalliera del divano, le labbra ancora allungate e una certezza: da quando quell’uomo era entrato nella sua vita, non riusciva più ad immaginare un futuro senza lui al suo fianco.

***


 

Il dottore rientrò nell’appartamento al 221B di Baker Street trascinandosi dietro un sacchetto della spesa.

Aprì la porta d’ingresso e buttò lo sguardo sul divano alla sua destra sorridendo in silenzio.

“Sherlock?! Sono uscito quasi due ore fa e tu non ti sei mosso di un millimetro?!”

“Sbagliato!”

Una voce, ovattata dall’imbottitura di un cuscino sul quale stava sprofondando la faccia, uscì dalle labbra dell’investigatore privato.

“Per prima cosa circa mezz’ora fa mi sono alzato per andare in bagno.
Seconda cosa, meno di un minuto fa, mi sono girato sulla schiena per gridare alla signora Hudson di prepararmi un tè.
Terzo, se davvero non mi fossi mosso di un millimetro, vorrebbe dire che sarei letteralmente morto, cosa che non sono John!”

“Va bene... Come ti pare...”

Rispose il collega con tono arrendevole mentre si toglieva la giacca e la sistemava con cura sopra la sua poltrona rossa.

Dette un ultimo sguardo alla schiena ben scolpita e modellata del suo migliore amico e andò in cucina dove ripose la spesa negli scaffali.

Prima di appallottolare e gettare il sacchetto con cui era arrivato, ne estrasse le ultime due scatole di cartone e tornò in salotto.

“Tieni! Questa è per te!”

Lanciò verso il divano la scatola più grande, che cadde oltre la testa del suo collega, proprio sotto al suo naso.

Sherlock l’afferrò saldamente con le mani e scattò prontamente a sedere.

“Cerotti alla nicotina! Oh John... Te ne avevo chiesti almeno un centinaio! Questa confezione ne contiene solamente 8!”

Disse guadandolo dal basso verso l’alto leggermente contrariato.

“Beh, era l’ultima confezione!”

Rispose il collega scuotendo la testa.

“Vedi di fartela bastare almeno fino a domani!”

Watson lo osservava leggere le indicazioni riportate sulla confezione, come se già non le conoscesse a memoria, mentre i raggi di sole che entravano pigri dalla finestra si posavano su quella massa di morbidi ricci corvini che gli calavano distrattamente sulla fronte.

“Tieni!”

Disse lanciando ora la scatola più piccola che teneva in mano.

Sherlock lasciò cadere i cerotti sul tavolino di fronte a lui ed afferrò quel pacchetto al volo.

Lo osservò attentamente e ne lesse il contenuto.

Sigarette.

Alzò lo sguardo verso John che sorrideva soddisfatto e lo guardava a sua volta.

“Buon San Valentino, Sherlock... Ma solo una mi raccomando! Adesso... Vado a farmi una doccia...”

Sherlock lo osservava voltargli le spalle ed avviarsi verso la camera da letto con quel passo ancora leggermente zoppicante.

La testa rivolta verso il pavimento e quel leggero sorriso sotto i baffi che cercava di nascondere ad ogni costo.

“Anche a te, John...”

Un sussurro, quasi impercettibile, scivolò via dalle sue morbide labbra e non poté trattenersi dal sorridere a sua volta.

***

 

 

Watson leggeva e rileggeva quel bigliettino a ripetizione.

La sua mente confusa e annebbiata non riusciva più a mettere a fuoco dove lui si trovasse realmente in quel momento.

Non riusciva più a comprendere se stesse vivendo in un sogno, se fosse ancora nella vita reale, se aprendo la porta della propria camera fosse stato sbalzato in un universo parallelo o se si trattasse solamente di uno stupido scherzo di cattivo gusto.

Sapeva solo che il suo cuore batteva all’impazzata dentro al suo petto, le mani leggermente sudate iniziavano a tremare e il respiro si faceva pesante.

Se lui stesso non fosse stato un medico e non ne avesse riconosciuto i sintomi, avrebbe sicuramente pensato che stesse per venirgli un infarto.

Voltò nuovamente il biglietto che teneva stretto tra le mani e ne lesse il contenuto ancora una volta:

‘Per John
Buon San Valentino
Con Amore
SH’

Fece un grosso respiro ed afferrò saldamente il pacchettino dalla forma rettangolare che giaceva sul suo cuscino.

Una scatola color avorio con un fiocco di raso marrone e quel leggero aroma di un dopobarba che ormai conosceva fin troppo bene.

Si fece coraggio, inspirando un altro paio di volte a pieni polmoni, prima di voltarsi verso il salotto e tornare sui suoi passi.

In piedi, tra il divano e il tavolinetto da tè, girato di spalle, intento a suonare il suo amato violino, Sherlock non si accorse che il suo migliore amico era appena rientrato in quella stanza.

“Sh...Sherlock?! Cos...cos’è questo?! L’ho trovato sul mio letto!”

Con la voce leggermente tremante dall’imbarazzo alzò la mano che afferrava il pacchetto e la puntò verso di lui.

Il violino si arrestò all’istante con un suono leggermente stridulo e due occhi color ghiaccio si rivolsero nella sua direzione.

“Oh John, non ti avevo sentito. Credevo fossi andato a fare la doccia.”

Si voltò completamente verso di lui e, adagiando il violino sul divano che ormai aveva preso la forma del suo corpo, riprese a parlare con tono pacato e rilassato.

“Non hai letto il biglietto?! Se hai letto il biglietto credo sia piuttosto elementare mio caro John. Ma nel caso avessi ancora qualche dubbio: è un regalo di San Valentino...per te...da parte mia...”

Le palpebre di Watson si sollevarono fin quasi a sfiorargli l’attaccatura dei suoi capelli biondi e la sua bocca si aprì colma di perplessità.

Con il cuore che quasi gli schizzava fuori dal petto, provò a mettere insieme due frasi di senso compiuto.

“Per...perché?! Perché mi hai fatto...fatto un regalo?! E poi...poi tu odi San Valentino, lo hai detto anche questa mattina!”

“Sbagliato!”

“Come prego?”

“Ho detto: sbagliato! Questa era elementare perfino per una mente mediocre come la tua, mio caro John.”

Disse alzando gli occhi al cielo con tono di saccenza, mentre con due grosse falcate scavalcava il tavolino da fumo e azzerava la distanza tra loro due.

“Non ho mai detto che non mi piace San Valentino.
Ho detto che, date le sue origini, la trovo una festa insulsa e conformista, ma non ho mai detto che non ci tenga a festeggiarlo.
Soprattutto se è una cosa che piace a te che sei un inguaribile romantico.
E questo, caro John, è il mio regalo per te che sei la persona di cui mi importa di più al mondo.”

Watson deglutì a fatica mentre si specchiava e annegava nelle iridi azzurre del suo collega.

“Allora... Allora non ti dispiacerà se... Se anch’io ti ho preso un regalo...”

disse con un filo di voce.

Sherlock sgranò gli occhi e inclinò la testa dall’incredulità.

Nonostante le sue eccezionali capacità deduttive, si stupiva di come, ogni volta, non riuscisse a comprendere John fino in fondo e come quest’ultimo trovasse sempre il modo di coglierlo impreparato e di sorprenderlo.

Sempre con la testa leggermente inclinata e con occhi indagatori, guardò il suo amico voltarsi sul posto ed immergere una mano nella tasca della sua giacca, che giaceva distesa sulla spalliera della poltrona, per poi riaffiorare stringendo una piccola scatola quadrata accuratamente avvolta con della carta rossa ed un nastro color oro.

Il dottore si voltò nuovamente verso di lui e, portando il regalo sotto quegli immensi occhi azzurri, sussurrò: “Buon San Valentino, Sherlock...”

La porta d’ingresso del loro appartamento si aprì seguita dalla signora Hudson, che fece capolino con un grosso vassoio in mano.

“Il tè è pronto, Sherlock... Ce n’è anche per John... Oh santo cielo!”

Le palpebre della donna sbattevano a ripetizione per cercare di mettere a fuoco la scena che le si parava davanti e la sua mandibola si spostò velocemente verso il basso dallo stupore, come trascinata dalla forza di gravità.

“Oh Dio! Scusate! Ho...ho interrotto qualcosa?!”

Gli zigomi del dottor Watson diventarono di un rosso incandescente mentre si mordeva l’interno delle guance e tremava di vibrante imbarazzo.

Abbassò gli occhi verso la punta delle proprie scarpe e cercò di nascondere la mano, che ancora reggeva il regalo, dietro la schiena.

Sherlock spostò, con una mossa decisa, il suo sguardo glaciale e felino verso la donna, inchiodandola sulla soglia.

“In effetti sì, signora Hudson! Se potesse andarsene e tornare più tardi gliene sarei veramente grato!”

La donna continuò a sbattere le palpebre qualche volta ancora prima di riuscire a posare il vassoio sul tavolinetto del salotto e tornare da dove era venuta.

“Beh... Allora... Allora io vado...se...se avete bisogno di me sapete dove trovarmi...”

“Sì ok, arrivederci signora Hudson!”

Concluse Sherlock, con tono freddo e autoritario, senza toglierle gli occhi accusatori di dosso fino a chiusura della porta avvenuta.

Con il volto ancora abbassato e carico di vergogna e delusione, nella testa di John presero a ruotare centinaia di pensieri e domande che conducevano tutti alla inevitabile conclusione di sentirsi un perfetto idiota innamorato del proprio migliore amico e di essere stato un illuso a pensare che attraverso uno stupido regalo avrebbe trovato finalmente il coraggio di confessarlo, sperando di essere ricambiato.

I muscoli delle sue gambe e delle sua braccia iniziarono un movimento rotatorio che lo avrebbero portato a voltarsi e a correre verso la propria stanza per nascondersi, forse fino al giorno del giudizio se fosse stato necessario.

Lui, che senza nessuna paura aveva combattuto una stramaledetta guerra in Afghanistan, adesso si vergognava e si sentiva vulnerabile come un adolescente alla sua prima cotta.

Nell’attimo in cui stava per scappare il più lontano possibile da quella situazione in cui si era cacciato da solo, il suo polso venne saldamente afferrato da una morbida e fredda mano obbligandolo a rimanere sul posto.

“Aspetta, John! Non ho ancora aperto il mio regalo!”

Disse l'altro con voce calma e pacata facendogli alzare lo sguardo.

Allentò la pesa dal suo polso fino a scioglierla per poi allungare la sua mano davanti al proprio volto in attesa che venisse riempita da quella deliziosa scatolina.

“Oh...sì...sì, ma certo! Ecco!”

Balbettò il collega con le guance ancore arrossate e le ginocchia leggermente tremanti mentre gli porgeva quel dono.

Sherlock sorrise e il ghiaccio dei suoi occhi iniziò lentamente a sciogliersi mentre srotolava con delicatezza il nastro e toglieva con precisione la carta dal suo regalo.

Tolse infine il coperchio di quella scatolina, ora nuda di tutti gli ornamenti, fino a rivelarne quel contenuto scintillante che lo colse di sorpresa.

Afferrò quell’oggetto tra le mani, lanciando la sua confezione su quella scrivania piena zeppa di scartoffie mai sistemate.

Un lucente e argentato orologio da taschino pendeva ora da una catenina avvolta intorno alle sue lunghe ed esili dita.

L’investigatore guardava affascinato quel bellissimo oggetto da ogni angolazione.

A giudicare dalla marca e dal disegno piuttosto semplice raffigurato sopra il coperchio, che celava il quadrante alla vista, il suo amico doveva averlo acquistato in una di quelle orologerie del centro per circa un centinaio di sterline.

Si morse immediatamente la lingua per aver pensato questa cosa.

Lungi da lui voler sminuire il valore sentimentale che John vi aveva riposto, ma la deformazione professionale lo portava sempre a spulciare ogni minimo dettaglio in qualsiasi situazione, facendolo spesso risultare insensibile e privo di tatto.

Ringraziò il cielo per non aver esaminato quei dettagli ad alta voce come era suo solito fare.

Lo aprì per osservarne anche l’interno, che era composto da un semplice quadrante bianco contrastato da dei numeri arabi di colore nero.

Delle piccole lancette dello stesso colore segnavano le 17:28, esattamente l’ora che riportava l’orologio sopra la mensola del caminetto, segno che l’amico si era preoccupato di caricare l’oggetto prima di confezionarlo.

La sua attenzione venne catturata da un’ incisione nella parte interna dello sportellino.

Non vi era scritta la marca.

Non vi era scritto nemmeno il modello.

Non era un nome.

Non era un numero.

Erano parole.

Parole che componevano una frase.

Una frase ben precisa.

Una frase voluta.

Una frase scelta da John.

Scelta e fatta incidere sul metallo appositamente per lui.

'If The Game is Never Over, I Want to Play With You Forever.'

Il cuore apparentemente gelido di Sherlock perse un battito, forse due, mentre quelle parole gli entravano e ronzavano nella testa come api attorno ad un fiore.

Parole superficialmente vuote per qualsiasi persona, ma non per lui.

Parole che si ricollegavano ad un giorno molto lontano nel tempo.

Un giorno in cui pensavano che si sarebbero persi, forse per sempre, a causa di un esilio forzato, dall'esito tutt'altro positivo, nell’Europa dell'est, fortunatamente durato solo 4 minuti.

Un giorno molto lontano, all’apparenza opaco, ma il cui ricordo chiaro e vivo era racchiuso, insieme a tutti gli attimi passati con lui, nella stanza più remota e intima del suo palazzo mentale alla quale solo Sherlock aveva accesso.

Alzò i suoi enormi occhi per incontrare quelli del collega, le cui pupille erano dilatate e contrastavano con il rossore delle guance che gli facevano da cornice.

“È bellissimo, John! Mai regalo fu più gradito per me! Dico sul serio...”

Sussurrò mentre con due dita spingeva delicatamente il mento dell’altro verso l’alto costringendolo a vincere l’imbarazzo e guardarlo negli occhi.

“E poi, a quanto pare, senza nemmeno farlo apposta, il tuo regalo si sposa perfettamente con quello che ti ho fatto io, che deduco tu non abbia ancora scartato...”

Aggiunse stirando le labbra in quello che, ad un occhio esperto in materia di Sherlock Holmes, era un leggero e dolce sorriso.

“No...beh...cioè io...ancora no... Posso?!”

Balbettò il dottore mentre si specchiava e si scioglieva in quei due diamanti.

“Ma certo che puoi! Anzi, devi!”

Sherlock non accennò a smettere di sorridere e, scostandosi leggermente dal suo compagno, indicò quel pacchetto che ora giaceva sulla poltrona dove era stato precedentemente appoggiato con cura.

Il dottor Watson prese il suo regalo ed iniziò a scartarlo.

Uno splendido braccialetto in pelle nera con una placchetta d’argento apparve sotto i suoi occhi emozionati.

'The game is on' recitava la frase in corsivo che vi era stata fatta incidere al centro del metallo.

“Ti piace, John?”

Chiese quella delicata voce che proveniva da dietro la sua testa, così vicina che poteva sentire un alito caldo solleticargli l’orecchio.

“Si...si...molto! Io...grazie! Hai...hai ragione... Senza volerlo i nostri regali si completano a vicenda...” Rispose con voce tremante, tanto che poteva sentire i propri occhi quasi riempirsi di lacrime colme di emozione e di amore.

“Come noi due!”

Un altro soffio caldo sul suo collo che lo fece tremare come una foglia nel vento.

La mano sottile e vellutata di Sherlock oltrepassò la sua spalla e sfilò con delicatezza il braccialetto dalla sua confezione.

John lo vide sparire oltre le proprie spalle prima di voltarsi e trovare quell’uomo dai ricci color carbone che sorrideva verso di lui come mai lo aveva visto fare prima d’ora.

Sherlock afferrò il braccio sinistro del collega e lo distese davanti ai suoi occhi, scoprendone il polso, per poi passarci attorno il braccialetto e serrarne la chiusura.

“Ecco fatto!”

Esclamò guardandolo dritto in quelle iridi ora lucide e leggermente arrossate.

“Buon San Valentino, John!”

Concluse avvicinandosi lentamente, sempre di più, al volto dell’altro, tanto quasi da poterne sfiorare la punta del naso con la propria.

“Buon...buon San Valentino anche... Anche a te Sherlock...”

Disse John a sua volta deglutendo rumorosamente e sentendo le proprie gambe molli come gelatina.
 

***

 

 

“Aspetti 5 minuti, la prego! Solo 5 minuti detective!”

La voce allarmata della signora Hudson riempiva il pianerottolo del 221B di Baker Street.

“Su via signora Hudson! Si tratta di un duplice omicidio! Devo assolutamente vedere Sherlock Holmes!”

L’ispettore Lestrade saliva a grandi falcate le due rampe di scale che separavano il piano terreno dal loro appartamento.

“La prego detective! La scongiuro! È meglio se non lo vede in questo preciso momento! Aspetti solo 5 minuti!”

La signora Hudson aveva raggiunto il poliziotto in cima alla scalinata e si era posizionata davanti alla porta d’ingresso, sbarrandogli la strada ed impedendogli di aprirla.

“Perché?! Cos’ha?! Gira nudo per casa?! O è collassato strafatto di droga?!”

Chiese Lestrade guardando torvo la povera padrona di casa.

“No, niente del genere! Cioè, sul nudo non ci metterei la mano sul fuoco... Non so se sono già arrivati a quel punto, ma sarebbe meglio non aprire ancora questa porta e non scoprirlo!”

Continuò imperterrita la signora facendo scudo all’appartamento con il proprio corpo.

“Suvvia signora! È una vera emergenza, devo parlare con lui! Si tolga di mezzo!”

L’ispettore capo afferrò la donna per la vita e la spostò di peso lasciando ora libera la porta che spalancò senza troppi convenevoli.

Non fece in tempo a fare capolino nella stanza con il proprio testone, che i suoi occhi strabuzzarono fuori dalle orbite e la sua bocca si spalancò talmente tanto che sembrava come se la mandibola si fosse di colpo dislocata dalla sua postazione.

“Ma che diavolo...?! Oh Dio, scusate!”

Riuscì a pronunciare non appena mise a fuoco la scena che gli si parò davanti.

La mano destra di Sherlock scivolò lentamente dalla guancia rosso fuoco del suo collega fino a distendersi lungo il fianco ed afferrare saldamente il suo polso per impedirgli di allontanarsi da lì.

Watson rimase fermo, imbambolato in quella posizione, assecondando le volontà non espresse a parole di Sherlock, anche se era certo di poter sentire il suo cervello gridare di scappare il più lontano possibile da quella stanza, da quella situazione di grande imbarazzo, per la seconda volta nello stesso giorno.

La testa di Sherlock si voltò di scatto verso la porta d’ingresso sfiorandogli inevitabilmente il naso e le labbra alle quali si era avvicinato il più possibile prima dell’improvvisa irruzione del poliziotto.

La bocca da rilassata e distesa in un genuino sorriso del signor Holmes, si fece improvvisamente un po’ più rigida.

I suoi occhi tornarono nuovamente glaciali in un baleno, inchiodando con lo sguardo il detective sulla soglia, sfidandolo mentalmente a non fare un altro passo.

“Dove?” Disse con tono autoritario verso l’ispettore.

“In... In Duke Street a... Richmond...”

Biascicò quest’ultimo ancora sconvolto.

“Ok. Voi andate avanti, noi vi raggiungiamo lì.”

Tagliò corto l’investigatore privato, seguendo con lo sguardo l’uscita di scena del poliziotto di Scotland Yard che procedeva come a rallentatore prima di riuscire a tirarsi la porta alle spalle.

“SÌ! UN DUPLICE OMICIDIO! TI RENDI CONTO, JOHN?!”

Sherlock gridava e gesticolava come un indemoniato dall’eccitazione.

Watson lo guardava agitarsi per la stanza, in cerca del cappotto, ancora imbambolato e rosso in volto.

La sua mente non riusciva a registrare nessuna nuova informazione se non quella di aver quasi baciato l’uomo dei suoi sogni più segreti davanti ad altre persone.

“CHE TI AVEVO DETTO, JOHN?! QUALCUNO COMMETTERÀ QUALCHE REATO ANCHE DURANTE QUESTA INSULSA FESTA! METTI IL CAPPOTTO! IL GIOCO HA INIZIO!”

Gridò ancora mentre si sistemava la sciarpa intorno al corpo e si avvicinava a lui.

Le sue esili e fredde mani si appoggiarono sul volto caldo dell’uomo ancora in piedi difronte alla poltrona, contornandolo fino a riuscire ad accarezzargli dolcemente le guance incandescenti con i pollici.

“Prima tu ed io, i regali, gli auguri, i sentimenti a fior di pelle espressi, anche se non ancora a parole... Adesso un nuovo caso... Il più bel San Valentino della storia!”

Concluse portando le sue labbra a scontrarsi e ad unirsi con quelle del suo collega in un profondo bacio carico di passione che profumava di un nuovo inizio.


 

Salve gente.
Piccola OS Johnlock
San Valentiniana.
Lo so che San Valentino è 
passato ormai da qualche giorno,
ma ho dovuto aspettare che venisse
betata dalla mia compagna di
scleri preferita e poi di avere
un pc a disposizione per caricarla.
Cmq avevo questo prurito Johnlock
nel cervello proprio il giorno di
San Valentino che sono riuscita
a grattarmi solo scrivendolo.
Cmq spero che non vi abbia fatto
così tanto schifo da non
riuscire a lasciare nemmeno
un piccolo commento.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio,
Little_CutiePie

 

   
 
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