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Autore: Filippo739    19/02/2016    0 recensioni
* - Questa OS ha una storia stran-buffa: alle medie dovevamo scrivere una fiaba breve che spiegasse la nascita di qualche elemento della natura. Sono stato... forse l'unico ad aver fatto la neve. NON era affatto così quanto ho scritto da ragazzino, ma l'idea mi è tornata in mente giorni fa, e quindi ho un po'... modernizzato la trama e lo stile, diciamo.
* - "E un bimbo, nella sua innocenza, guardando quel grigiume sospirò, e quasi pregò: che qualcosa d'altro, di più gioioso, di meno grigio, cadesse dal cielo!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come Spirito Inverno divenne Stagione
-fiaba breve-

Questa storia ha radici profonde che si perdono nello sbocciare della civiltà, quando il tempo, il clima e il ciclo della natura erano governati da solo tre stagioni: la colorata Primavera, piena di toni e di profumi dei mille fiori; l'Estate secca e torrida, dorata del sole e del grano; e il secco Autunno, grigio di nubi, di pioggia e foschia. Questi i tre Spiriti che controllavano il ciclo delle piante: fiorivano i fiori, maturavano i frutti per poi riposarsi spoglie. Un eterno che non prevedeva altre fasi, un ciclo che non prevedeva altre stagioni.

Eppure una quarta Stagione, un quarto Spirito, c'era: l'Inverno, fredda nel suo mantello, chiara la sua pelle. Inverno era una ragazza che vestiva di un lungo mantello di nuvole per coprire il suo corpo esile e fragile; sbucava solo la sua testa di renna bianca, le cui lunghe corna erano del ghiaccio più trasparente e freddo. Tenuta in disparte dai suoi fratelli, solo suo padre Celesto, Padre delle Stagioni, Signore delle Nuvole, se la portava addietro: le mostrava le nuvole loro regno e lì le faceva fare passeggiate. Ma quanto desiderava andarsene anche lei sulla terra, avere un compito come i suoi fratelli...

Capitò un giorno, proprio sulla terra, un autunno più piovoso del solito. Piovve e piovve per giorni interi, dall'alba a tarda notte, un tempo che costrinse gli uomini al riparo nelle case. La pioggia era allora l'unica cosa che cadeva dal cielo, non c'erano altre precipitazioni che irroravano il terreno; solo la triste pioggia, con il suo grigio cielo di burrasca.

E un bimbo, nella sua innocenza, guardando quel grigiume sospirò, e quasi pregò: che qualcosa d'altro, di più gioioso, di meno grigio, cadesse dal cielo!

Oh, i bambini e la loro innocenza. Quanto potere hanno le loro richieste: il sussurro del bimbo vinse i venti d'autunno e giunse nel regno di Celesto. Egli sorrise, e sorridendo chiamò a sé i suoi tre figli:

“Miei Spiriti, voi di dodici mesi ne avete quattro a capo. Ebbene, io prenderò da ciascuno di voi un mese e darò questi tre a chiunque inventerà una nuova pioggia, un qualcosa «di più gioioso e meno grigio» che possa cadere dalle mie nuvole, cosicché per ricompensa il suo potere sulla terra possa essere più duraturo e gli umani di tale nuovo dono ne possano gioire a lungo rispetto alle altre stagioni”.

Così disse, e lasciò che le tre Stagioni discutessero dei loro piani. Inverno era lì, e restò a sentire:

“Io vincerò questa gara!” disse Primavera, una donna dalle sembianze di leopardo, coperta solo del suo manto verde chiazzato di dolci fiori, “Poiché io sono la più amata per i profumi e i colori che creo nei prati, creerò una pioggia di petali e polline e conquisterò il cuore di Padre e di ogni uomo sulla terra”;

“Conquisterai solo il favore di mille insetti, che daranno fastidio a chiunque!” ribadì Estate, un uomo muscoloso dal capo equino, la vita nascosta da una tunica, la sua criniera di lunghi steli di grano maturo. “Io, Spirito del lavoro e stagione dei raccolti, vincerò su voi con una pioggia dorata che porterà euforia e brillerà dei raggi solari incantando le persone”;

“Li accecherai soltanto” ridacchiò Autunno. Egli era sempre coperto da un manto nero come la notte dal cui cappuccio sbucava il becco di un corvo di corteccia. La sua voce era il gracchiare di foglie secche. “Così non solo dovranno starsene in casa, ma dovranno anche chiudere occhi e finestre e non potranno uscire a lavorare nemmeno volendo. La mia pioggia di semi, chicchi e grani, invece, li invoglierà alla raccolta e promuoverà il lavoro e la nascita di altre colture”.

I tre litigarono, non curandosi e anzi ignorando la loro sorella. Ma Inverno aveva sentito tutto, e con la mente al lavoro li lasciò anch'ella. Si portò a sedere sulle nuvole più esterne, dove aveva vista sulla terra.

“Che fare?” pensò. Quanto desiderava vincere la prova di Padre Celesto, e sapeva che sotto sotto lui l'aveva imposta per darle un merito. Non poteva deludere lui, e non voleva deludere se stessa. Ma che fare? Aveva pensato anche a lei a fiori, colori e frutti, ma il litigio dei fratelli l'aveva fatto capire quanto fallaci fossero queste fantasie.

“Deve essere mio”, decise. Primavera ha i fiori, Estate i frutti dorati, Autunno aiuta a crescere i semi. “Ma io? Cosa ho io? Cosa mi rende unica e importante? Sono solo fredde nuvole... e ghiaccio”.

E allora capì; carezzandosi le corna trasparenti capì che sarebbe dovuto essere il ghiaccio. Una pioggia di ghiaccio, nubi solidificate, bianca come il freddo, del colore della luce.

Usò quindi il suo fiato sulla nuvola su cui era seduta, e questa divenne di ghiaccio puro, bianca e dura, e rompibile. Ci saltò sopra e la ruppe con gli zoccoli, dividendola in tanti piccoli grani gelati, che caddero verso il terreno. La chiamò grandine, e ripeté il gesto per tutte le nuvole che c'erano, respirando gelo e rompendo ovunque trovasse nubi.

Ma Celesto apparve e interruppe il suo operato. La prese, severo, e le mostrò il frutto del suo lavoro scellerato: la grandine caduta in terra aveva spaventato gli animali, ferito gli uomini e spezzato rami, e ogni chicco di ghiaccio che cadeva provocava danni e paure.

Non potendo sopportare una simile vista, Inverno scappò via in lacrime. Voleva solo creare gioia, poveretta, e aveva invece spaventato gli uomini.

La grandine cessò, ma gli effetti nei campi e nei cuori sarebbero perdurati a lungo, e a lungo avrebbero ancora fatto soffrire. Tale sofferenza Inverno se la sentiva in corpo, e si tramutò in gelide lacrime che le rigarono il muso e bagnarono il pelo.

“Ho fatto del mio meglio”, piagnucolò, “e non è servito a nulla se non provocare guai. Hanno ragione i miei fratelli: sono inutile per gli uomini e la terra”.

E tra le lacrime e i singhiozzi si prese il mantello di nuvole, regalo di suo Padre; se lo strinse al viso inondandolo della propria tristezza. Lacrime e singhiozzi inumidirono lo scialle che si congelò in parte; non ghiaccio puro, ma qualcosa di più ovattato e leggero. Il vento lo dissolse in tanti piccoli coriandoli gelidi, ed essi danzarono leggeri nell'aria. Guardandoli Inverno si incantò della loro bellezza e si tranquillizzò delle loro dolci movenze candide. Non si sentiva più in colpa: quel qualcosa l'aveva risollevato l'animo. E se l'aveva fatto a lei, colpevole, allora poteva farlo anche agli uomini laggiù? Non le importava della gara imposta da Celesto, non più ormai: voleva solo che nel cuore degli umani non ci fosse nei confronti del gelo solo la paura e l'odio per la distruzione.

Avrebbe dimostrato che il freddo poteva dare gioia e sollievo: cominciò con il suo velo, inumidendolo con leggeri sospiri e lasciandolo poi al vento; continuò con la nuvola sulla quale era seduta, e proseguì con tutte quelle che trovò. Piano piano il grigiume delle nuvole di pioggia divenne di un bianco candido, e le gocce d'acqua si trasformarono in piccole e lucenti figure.

Continuò per tutta la notte danzando finché trovava nuvole su cui poggiarsi; Celesto, lì vicino, non la fermò, ma anzi sorrise compiaciuto. Ritornò sui suoi passi, verso gli altri suoi figli che ancora stavano litigando.

“Smorzate il vostro litigio, miei Spiriti. La contesa è stata vinta” li informò.

“Da chi?” chiesero, poiché nessuno di loro aveva ancora avuto modo di manifestare le loro piogge profumate, dorate o di semina; e Celesto indicò loro la terra, imbiancata come mai prima d'allora, e gli umani, usciti all'esterno a testimoniare quel freddo miracolo tra sorrisi e meraviglia. “Vostra sorella Inverno ha dato tutta se stessa” disse loro.

E avrebbe continuato a farlo per certo. Tre mesi all'anno, come promesso, sottratti ai suoi fratelli Spiriti, sbalorditi e ricreduti di quella fragile renna, nuovo Spirito che da quel momento avrebbe portato gioia nel cuore dei bambini riempiendo il mondo invernale di un soffice, freddo e delicato manto di neve.

   
 
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