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Autore: Alyce_Maya    19/02/2016    1 recensioni
[Di carne e di carta]
[ Mirya - Di Carne e di Carta ]
Ivano non aveva mai apprezzato particolarmente i maghi: i loro trucchi, i sorrisi forzati o anche semplicemente il loro modo di vestire, lo avevano sempre reso inquieto.
Per questo, all’età di sei anni, aveva creato una storia avvincente su come si fosse procurato una scottatura sul polso per colpa di uno di loro, deciso a rubargli la magia anche a costo di trasformarsi in un drago e bruciarlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Libro: Mirya - Di Carne e di Carta

Personaggi: Ivano; Paula

Note: questa storia partecipa al concorso “Forse si” indetto da Mirya sul suo blog.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Ivano non aveva mai apprezzato particolarmente i maghi: i loro trucchi, i sorrisi forzati o anche semplicemente il loro modo di vestire, lo avevano sempre reso inquieto.

Per questo, all’età di sei anni, aveva creato una storia avvincente su come si fosse procurato una scottatura sul polso per colpa di uno di loro, deciso a rubargli la magia anche a costo di trasformarsi in un drago e bruciarlo.

« E ci è riuscito? »

La domanda, posta con ansia, veniva da una bambina che era appena caduta davanti a lui. Non si era nemmeno reso conto della sua presenza, troppo occupato a creare quel suo racconto.

Ha i capelli in fiamme, pensò sussultando. Dopo quel piccolo incidente con la griglia del padre, aveva sviluppato un certo timore nei confronti del fuoco e quella strana sensazione che si era improvvisamente accesa all’altezza del suo stomaco, bruciava come la paura.

La bambina aspettava ancora la sua risposta nonostante sembrasse a stento trattenere l’impulso di piangere: il ginocchio sul quale era caduta era sbucciato e doveva farle molto male.

Ivano allungò di nuovo il polso, così che la cicatrice fosse ben visibile. « Si, me l’ha rubata. »

 

 

 

The Magician

 

 

 

Era la serata dedicata alla magia.

Non glielo avevano detto i suoi amici quando gli avevano proposto un’uscita di gruppo in un locale in centro città. Certo, lui non si era preoccupato troppo di chiedere i dettagli: aveva deciso che Sara meritava di essere conosciuta più approfonditamente e niente funzionava meglio di una serata in compagnia per isolarsi.

Però avrebbero dovuto dirglielo comunque, ecco.

Mentre osservava il mago far aumentare misteriosamente il numero di palline presenti nella sua mano, si chiese cosa avrebbe fatto lui se avesse avuto un po’ di magia in corpo: magari sarebbe andato avanti nel tempo per arrivare subito al punto focale della serata e perdersi così quello spettacolo. O, forse, avrebbe ripiegato su qualcosa di meno utile ma comunque soddisfacente come, per esempio, spingere suo fratello a fare qualcosa di divertente e spontaneo almeno per una volta nella sua vita.

« Allora, mi offri da bere? » Sara sembrava essere ben disposta nei suoi confronti e, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito ad andarsene con lei molto presto.

Era sul punto di rispondere quanto un leggero scoppio proveniente dal palco lo distrasse: una nebbia densa e bianca aveva avvolto e fatto sparire una delle giovani assistenti sotto gli sguardi e gli applausi del pubblico. Allo stesso tempo, un’altra ragazza che non faceva parte dello spettacolo, era apparsa dalla porta d’entrata.

Erano almeno cinque anni che non la incontrava, pensò stupito mentre osservava quella giovane e bella donna camminare con sicurezza nel locale affollato.

Paula.

Non credeva neanche di ricordare il suo nome, eppure gli era bastato vedere i suoi capelli per far riaffiorare tutto. Per un attimo, come sempre quando incrociava il suo sguardo, si sentì di nuovo un bambino di sei anni davanti ad una piccola strega capace di fare una strana magia con il fuoco, magia così potente da riuscire ad accenderne uno addirittura dentro di lui.

Però quel bruciare che aveva interpretato come paura quando era più piccolo, ora assumeva un nome ben diverso. E non era solo quello ad essere diverso: anche l’intensità era cambiata. Non aveva mai incontrato qualcuno in grado di farlo sentire così.

Indossava un vestito rosso, come se i suoi capelli non fossero abbastanza per lei, e aveva uno sguardo divertito mentre sorrideva nella direzione del suo gruppo.

Quel sorriso, quelle labbra, gli fecero tornare in mente una sciocca conversazione avuta con suo padre anni e anni fa e, suo malgrado, si ritrovò a ridere quasi ad alta voce come un pazzo.

« Non capisco perché debbano sempre paragonare i colori a qualcosa: ultimamente i miei compagni di classe non fanno altro che dire cose come “Hai le labbra rosse come le fragole” a tutte le ragazze che incontrano. »

Ivano era infastidito mentre ascoltava due attori alla televisione cadere nella stessa banalità che aveva appena denunciato.

A dieci anni, non aveva il minimo interessa ad ascoltare i suoi amici parlare solo di ragazze ed inoltre tutto quel nominare le fragole, gli faceva sempre venire fame.

« Non sono i colori » disse Renato accennando un sorriso. « Semplicemente se non paragoni un frutto ad almeno una parte del corpo di una ragazza, vuol dire che non è abbastanza bella. » e continuò a ridere anche dopo che sua madre gli ebbe tirato un libro sulla testa.

A ripensarci adesso, forse suo padre non aveva neanche tutti i torti. Però ad immaginare cosa avrebbe pensato una qualsiasi ragazza se avesse espresso ad altra voce il pensiero, o meglio il frutto, che gli era balzato nella mente, si ritrovò a massaggiarsi la testa come se Luisa fosse stata effettivamente lì con lo sguardo contrariato e lo scopo di tirargli una meritata enciclopedia sulla nuca.

« Mi dispiace » disse rivolgendosi a Sara che stava ancora aspettando una sua risposta. « Ma non voglio mettermi in mezzo. » e con un cenno del capo indicò un loro comune amico che non aveva fatto altro che fissarla dall’inizio della serata.

Probabilmente non era corretto quello che stava facendo, ma Paula era a due passi da lui e continuava ad avvicinarsi. Era quasi sul punto di alzarsi e offrirle il suo posto, quando lei lo superò e andò a sistemarsi dalla parte opposta del tavolo.

Lo aveva completamente ignorato.

Quasi si risentì di quell’atteggiamento: lui era Ivano Villani e nessuna ragazza lo ignorava dai tempi delle medie quando, nel giro di un’estate, si era alzato di almeno cinque centimetri e la voce era diventata più profonda.

Mentre rimuginava contrariato, Paula si era sistemata su una delle sedie imbottite e aveva cominciato a chiacchierare del più e del meno. Scoprì che stava ancora studiando ma, nonostante questo, sembrava ben decisa a lasciarsi la casa dei suoi genitori alle spalle al più presto.

La capiva: l’indipendenza era una di quelle cose per cui lui si era battuto da subito. Non appena aveva avuto risparmi sufficienti, aveva trovato un appartamento e si era trasferito. Certo non era stato facile nei primi tempi, ma per la libertà di potersi organizzare le giornate solo in base ai suoi impegni e non a quelli di tutta la sua famiglia, ne era valsa la pena.

Senza che neanche se ne rendesse conto, il tempo passò: era così naturale e piacevole ascoltarla che non si degnò neppure di usare un minimo di discrezione nel farlo.

« La stai fissando come un maniaco »   

… e infatti fu beccato.

Sara lo fissava divertito, sembrava non essersela presa per il suo rifiuto.

« Vuoi che le mandi un bigliettino da parte tua? » chiese ridendo.

O forse, rivalutò, aveva deciso di vendicarsi prendendolo in giro.

Fece una mezza smorfia mentre lei continuava a sbeffeggiarlo. Okay che probabilmente se lo meritava, ma non era carino infierire in questo modo su di lui.

Con la coda dell’occhio cercò di capire se Paula avesse sentito qualcosa, ma sembrava del tutto indifferente a loro due.

« Non hai speranze. » Apparentemente il suo rifiuto aveva suscitato un interesse di tutto altro genere nella sua interlocutrice. Interesse di cui lui avrebbe fatto volentieri a meno. « Non sei per niente il suo tipo. »

« Perché, che tipo sono? » appoggiando il gomito sul tavolo, si voltò nella sua direzione e fece un cenno con la mano per spingerla a parlare.

« Tu sei… tu. » Prima che potesse anche solo pensare di protestare, lei continuò. « Avanti, vai da lei. Capirai. »

Incapace di resistere ad una simile provocazione, si alzò e si diresse verso di lei. Decise che non avrebbe fatto niente di diverso dal solito, d’altronde fino a quel momento il suo approccio semplice e diretto non lo aveva mai deluso.

E, tuttavia, mentre si scambiavano i soliti convenevoli e chiacchiere di circostanza, capì che non avrebbe funzionato. Lei era lì, con i suoi capelli in fiamme e la sua magia ad avvolgerla, e lui non avrebbe potuto fare niente per convincerla a passare più tempo assieme.

« Vuoi bere qualcosa? » Quando trovò il coraggio di porle la domanda, la serata stava volgendo a termine e, per sua fortuna, il mago aveva smesso di esibirsi da almeno mezz’ora. Paula lo guardò e sembrò rifletterci su ma, quando rispose, Ivano ebbe la conferma che quei secondi di apparente propensione erano stati esclusivamente a suo beneficio. « No, grazie. »

 

 

 

     

Quando la rivide, fu per puro caso.

Certo, aveva passato un sacco di tempo a rimuginare su come poterla incontrare senza darle l’impressione di aver organizzato il tutto nei minimi dettagli, ma alla fine tutti i suoi piani erano andati in fumo quando aveva realizzato che non conosceva le sue abitudini o i suoi orari e che quindi non aveva la più pallida idea di dove poterla incontrare se non sotto casa dei suoi genitori.

Quindi aveva deciso che tutto sommato non era importante, che non gli interessava davvero passare altro tempo con lei.

Insomma, era una ragazza come tante altre, no?!

Così si era limitato a crogiolarsi nelle sue autoconvinzioni, scattando ogni qual volta sentiva anche solo nominare il suo nome o vedendo una chioma rossa passargli vicino.

Poi un giorno, mentre stava tornando a casa, eccola apparire dal nulla davanti a lui. Okay, non proprio dal nulla: per sua fortuna, lei non era una di quei maghi da strada che si esibivano quasi ogni sabato per raccogliere qualche spicciolo.

« Paula » la chiamò e, ancora prima di rendersene conto, era davanti a lei.

Con una borsa sulla spalla e un paio di pantaloni estivi ovviamente rossi, stava uscendo in quel momento dalla biblioteca.

Lei sorrise e, per un attimo, la magia dentro di lui tornò.

L’istante successivo la stava accompagnando verso la sua macchina.

« Studio qui tutti i giovedì. Stranamente, è l’unico giorno in cui sono sempre libera; tra le lezioni e qualche meritata uscita con le amiche, non mi resta molto tempo a disposizione per questi » e dicendolo, agitò la tracolla evidentemente piena di libri.

E allora Ivano decise che era destino: perché lui il giovedì lavorava solo metà giornata e aveva sempre tutto il pomeriggio a disposizione.

« Allora immagino ci incontreremo di nuovo: passo da queste parti quasi tutti i giorni » in realtà non era proprio vero. Quella era la strada più lunga per tornare a casa e si limitava a percorrerla solo di tanto in tanto, quando decideva di concedersi una cena a base di cibo cinese nel suo ristorante preferito.

Incoraggiato da quel momento fortunato si arrischiò a chiedere: « Vuoi andare a bere qualcosa? »

Ma esattamente come l’ultima volta, lei si limitò a sorridere. « No, grazie. » 

 

 

 

 

« Ciao, di nuovo. »

Il posto era lo stesso, l’orario anche. Ivano aveva deciso che finché non glielo avesse detto chiaramente di levarsi di torno, lui avrebbe continuato a provarci.

Era convinto che prima o poi sarebbe riuscito a convincerla.

O almeno, ci sperava.

Così era diventata un’abitudine: tutti i giovedì si presentava davanti alla biblioteca nella speranza che il loro saluto non si concludesse come al solito con un “No, grazie.” da parte sua.

Speranza, fino a quel momento, vana.

Le diede un pacchetto di crackers - aveva notato che Paula fosse sempre provvista di cibo nella borsa per quando finiva di studiare – e si incamminò con lei.

« Beviamo qualcosa? » 

« No, grazie. »  

 

 

 

 

« Di nuovo qui? » il sopracciglio di lei era alto, quasi quanto le scarpe che portava quel giorno.

« Sto cercando di assuefarti alla mia presenza. »

« Di asfissiarmi al massimo. » Ma la sua risata era serena, non c’era traccia di astio e così lui lo prese come un incoraggiamento.

« Vuoi,.. » Ma non ebbe il tempo di finire la frase.

« Scusa, cena con i parenti. Devo scappare. »

 

 

 

 

La sciarpa che portava quel giorno era talmente spessa e rossa, da nasconderle quasi completamente il volto.

« Riesci a respirare là dentro? » La sua era autentica preoccupazione. Gli sembrava inconcepibile riuscire anche solo a muoversi con tutta quella lana addosso.

« Fa freddo. Forse non l’hai notato » e così dicendo gli indicò il suo giubbotto di pelle « Ma è inverno. »

« Lo so, ma non viviamo in Alaska. » Rispose lentamente, cercando di non ridere.

Sembrava ogni giorno più bella.

Sicuro di riuscire a diventare qualcosa di più di una chiacchierata una volta a settimana, aveva continuato per mesi a presentarsi davanti a Paula con il solo risultato che adesso era Ivano a non riuscire più a fare a meno di lei e non il contrario.

Le porse una merendina e la guardò combattere una guerra silenziosa contro la sciarpa nel tentativo di abbassarla a sufficienza da poter mangiare.

Mascherando il suo divertimento con un mezzo colpo di tosse, si limitò ad aiutarla per godersi la sua espressione soddisfatta mentre addentava la Fiesta.

 

 

 

 

« Cominci a preoccuparmi: è già la terza volta che non mi chiedi di uscire. »

Il tono indifferente con cui glielo fece notare, fece scattare un sorriso di puro piacere sulla faccia di Ivano.

Era stato così indifferente da non essere per niente credibile.

« Hai paura che abbia perso interesse nei tuoi confronti? » Le lanciò quello sguardo. Di quel genere che uno può contestarne l’esistenza finché non se lo vede rivolgere.

Le sistemò la borsa sulle spalle e le fece cenno di precederlo verso la macchina. « Non è così, non preoccuparti cucciola. »

Lo sguardo a metà tra lo scioccato e il disgustato che gli rivolse, gli fece capire di aver perso qualche punto.

« Troppo presto? » chiese ingenuamente.

Troppo presto.

 

 

 

 

Quando la vide uscire, capì subito che era stanca. Sapeva che tra pochi giorni avrebbe dovuto sostenere un esame importante e probabilmente la preoccupazione non l’aveva fatta dormire bene.

Si avvicinò e dopo un saluto veloce, la alleggerì dal peso dei libri e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era la prima volta che si permetteva un gesto simile e quasi si stupì quando non avvertì il calore del fuoco sulle sue dita.

« Ti ho portato una cioccolata calda. » disse e gliela consegnò.

Sembrava stranamente stupita.

« Va bene. » Il suo tono di voce era risoluto e Ivano sempre più confuso visto che Paula non sembrava dell’idea di offrirgli una qualche spiegazione. « Va bene, vengo a bere qualcosa con te. »

La sua faccia doveva esprimere chiaramente la sorpresa che provava, perché la ragazza scoppiò a ridere e con qualcosa di molto simile allo scherno, aggiunse: « Un mio amico si esibisce in trucchi di magia domani sera. Potremmo andarlo a vedere. »

Ivano non si sognò neanche di protestare.

 

 

 

 

Erano rannicchiati sotto le coperte e Ivano non prevedeva di alzarsi per le prossime ore: era domenica e Paula era così bella in quel momento. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La sua piccola strega aveva preso possesso del letto nella stessa misura in cui si era appropriata della sua vita: completamente. Era costretto a stare sul bordo, quasi del tutto senza coperte e i capelli di lei, nonostante fossero sempre belli e fiammeggianti, non erano altrettanto buoni da mangiare.

Ma non gli importava.

Non si sarebbe mosso per niente al mondo.

« Alla fine sei riuscito a riprendertela? La magia che lo Stregone ti aveva rubato? » la domanda le era uscita con voce assonnata, mentre gli accarezzava la bruciatura sul polso.

« Forse si. » Rispose divertito dal fatto che ancora ricordasse quella storiella.

E sentendo la sua risata e quel fuoco magico accendersi nel petto, all’altezza del cuore, ne ebbe la conferma.

        

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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