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Autore: Fefy_07    19/02/2016    0 recensioni
Blaine Anderson ha 24 anni ed è bloccato in una vita che non lo soddisfa, sotto un governo che gli ha tarpato le ali e gli ha impedito di vivere il suo sogno. Grazie al suo migliore amico Kurt, è riuscito a stabilizzarsi in un’esistenza serena, ma un giorno come tanti succede qualcosa che stravolge nuovamente tutti i suoi piani, lanciandolo in un mondo di cui non vuole far parte e che deve tenere nascosto alla persona per lui più importante. Attraverso nuove alleanze e pericolosi piani segreti, Blaine trova un nuovo complicato obiettivo da perseguire: rovesciare la dittatura che soffoca la sua città.
Storia scritta per la "From The Beginning - Glee Challenge 2015" indetta da darrencolfer, ambros e nemesis.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuove Direzioni, Sue Sylvester | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Kurt/Blaine
Prompt: Journalist and superhero AU
Elemento opzionale: Dystopic universe
Note: (Superhero!Blaine/Journalist!Kurt; un mezzo-ma-non-proprio-crossover con The Flash). Ho reso la narrazione con una tecnica un po’ diversa, ovvero alternando il “presente” e il “passato” (in corsivo) e infine mostrando una parte del futuro diventato presente. Si capirà meglio, credo, leggendo. L'ambientazione è New York, e tra i personaggi secondari ci sono Santana, Artie, Sam e Puck. Rientrano anche Schuester, Rachel che viene solo nominata, Marley e Emma. Alla fine ho inserito Sebastian per un paio di scene, ma in una maniera un tantino particolare, spero che abbia senso una volta letto tutto.  Il titolo è in inglese perché preso da una canzone.
Vi auguro buona lettura e spero di non ammorbarvi con la lunghezza.
Rating: Arancione (per sicurezza, ho descritto molto poco delle violenze, ma comunque l’argomento è piuttosto pesante.)
 
Don’t you wanna be a superhero?
 
Non contava più i giorni.
Non che all’inizio ci riuscisse, ma il procedere delle ore veniva più o meno scandito dai pasti, magri ma regolari. Dall’ultima volta che era uscito, anche quelli avevano cominciato ad arrivare imprevedibili: a volte quando aveva ormai i crampi allo stomaco per la fame, altre quando gli pareva di essere ancora relativamente sazio dalla colazione – o forse era stata la cena?
Le quattro mura bianco sporco erano l’unica compagnia che gli era concessa, salvo quella dei suoi aguzzini. Passava così tanto tempo a fissarle – le crepe così fini da sembrare quasi frammenti della sua immaginazione, come se ad un battito di ciglia potessero semplicemente scomparire – che gli sembrava impossibile credere di non essere diventato ancora pazzo. Forse lo era, e semplicemente non se ne rendeva conto.
Il letto, con le lenzuola bianche come il resto della camera, era scomodo e la coperta che gli concedevano per riscaldarsi pizzicava e puzzava di muffa, ma il pavimento era decisamente peggio – l’aveva scoperto una delle prime notti, quando in un eccesso di rabbia aveva strappato a mani nude lenzuola e cuscino; quando la voglia di lottare l’aveva lasciato con le unghie spezzate e una soddisfazione primitiva e selvaggia nel vedere i brandelli di quanto era stato un ennesimo pezzo bianco in quella che era diventata da – da quando? Non riusciva a ricordare – qualche tempo la sua esistenza.
Bianca, come la sua cella. Bianca, come la vestaglia da ospedale in cui si era risvegliato la prima volta. Bianca, come i camici dei “dottori” che lo punzecchiavano ogni tanto, sperando di farlo crollare, di avere i nomi che tanto servirebbero loro e che lui si rifiutava testardamente di dare.
L’unico bagliore di colore era quello della cavigliera metalizzata, che pesava sopra il piede destro come un’ancora e che, paradossalmente, gli dava speranza. In un mondo fatto di bianco, quel grigio lucente doveva bastare a ricordare a Blaine perché era lì, contro chi e per cosa stava combattendo.
Blaine. Una volta era stato il suo nome, prima di finire in quel luogo, dove si veniva spogliati della propria identità allo stesso modo in cui a lui era stata tolta la sua armatura; dove non si veniva più considerati esseri umani ma mostri; dove l’unico valore di ciascuno cessava nel momento in cui venivano meno le aspettative dei ricercatori; in cui qualsiasi attimo poteva essere l’ultimo e qualsiasi errore, quello fatale.
A nessuno sarebbe importato.
Artie e Santana gli avevano raccontato storie spaventose riguardo allo stabilimento in cui si trovava, ma lui non aveva voluto ascoltare gli avvertimenti, aveva voluto fare l’eroe. Come se un’ondata di radiazioni e qualche capacità soprannaturale avrebbero potuto cambiare la sua essenza, quella del codardo che era sempre stato, che con la testa bassa e la coda tra le gambe guardava la vita scivolargli tra le dita, troppo apatico per cercare di dargli una svolta. Nascosto nell’illusione di una felicità incompleta, con un lavoro sottopagato e senza sogni a soli ventiquattro anni.
Nightbird era un gioco pericoloso, quasi una dipendenza, e gli era costato tutto. L’unica cosa che gli rimaneva – l’unica cosa che avrebbe protetto a costo della vita – erano quei nomi: quelli dei suoi alleati e amici; quello del leader che Blaine aveva avuto tanta difficoltà ad accettare; e l’altro, quello che teneva anche nella sua mente un po’ separato dagli altri perché era un po’ più speciale, quello della persona più coraggiosa, altruista, generosa e genuinamente buona che avesse e avrebbe mai avuto la fortuna di incontrare. La persona che, anche in quel momento, gli consentiva di andare avanti nella battaglia, di non mollare, di non scendere a compromessi.
E anche se le allettanti bugie che gli sussurravano all’orecchio sessione dopo sessione fossero state vere – bugie su come l’avrebbero lasciato libero di andare, su come tutto sarebbe potuto tornare come prima, su come avrebbero smesso di fargli del male – non potrebbe costringere le sue labbra a formare quei nomi.
La sua libertà non valeva tanto quanto la loro.
Blaine Anderson era tante cose, prima che l’acceleratore di particelle di Central City esplodesse, generando un’onda d’urto talmente forte da investire un raggio di più di mille miglia con il suo potere. Smidollato, ridicolo, inetto, scansafatiche – ma non un traditore. Mai un traditore.
La porta della cella si aprì in quel momento con un frastuono metallico, riscuotendo il ragazzo dai suoi pensieri. Alzò occhi stanchi e cerchiati di scuro su uno dei carcerieri, che con un grugnito e un gesto di stizza gli indicò l’uscita. Si concesse tre secondi per lasciar entrare la disperazione e sentirla con tutta la forza che ogni giorno rischiava di sopraffarlo se non tenuta a bada. Poi, con un lungo sospiro pieno di determinazione, raddrizzò le spalle e si incamminò con sprezzo lungo il corridoio bianco.
Non l’avrebbero fatto crollare neanche oggi.

***

Lo zoo di Central Park non è il posto peggiore in cui lavorare, in fondo.
O almeno, è questo che si ripete Blaine Anderson ogni mattina, mentre infila la tuta di protezione e si avvicina alla zona di cui è incaricato: oggi è quella tropicale, una delle sue personali preferite – l’ambiente è suggestivo almeno tanto quanto gli animali che lo abitano sono pericolosi. Ma ormai sono diversi anni che se ne occupa, e gli piace pensare di aver trovato un pacifico equilibrio di convivenza in cui loro si lasciano dar da mangiare e far pulire e lui in cambio rimane il minimo indispensabile nel loro territorio, nonostante la tranquillità che gli ispira.
Con un secchio di topi morti stretto nella mano guantata, il ragazzo si avvicina all’albero dove solitamente dimorano la maggior parte dei boa. È un esperto ormai nel richiamarli e nutrirli uno o due per volta, per evitare il rischio fin troppo reale di essere assalito e soffocato a morte dall’intero mucchio di dieci o dodici serpenti che la sezione ospita.
«Buongiorno, splendori» esclama ironico, quando due boa verdi brillanti strisciano sibilando verso di lui, quasi in aspettativa. «Contenti di vedermi, eh?»
Blaine allunga un braccio e attende che uno dei due gli cinga le spalle – l’unico modo per non farli litigare lanciando i topi che entrambi vedono come le loro prede esclusive.
Qualcosa però, nella non-esattamente-confortevole-ma-almeno-confortante routine del guardiano di zoo, cambia nel momento stesso in cui sente il corpo dell’animale scivolargli lungo il braccio: un calore strano e fastidioso comincia a irradiarsi tramite l’arto e verso il suo volto, che inizia a prudere insopportabilmente. Allo stesso tempo, un dolore sordo nelle gengive lo fa grugnire e portare una mano alla mascella. Gli sembra di rivivere l’uscita dei denti del giudizio, ma in maniera estremamente veloce.
Passa forse uno dei minuti più lunghi della sua vita e il fastidio scompare. Blaine riapre gli occhi che aveva serrato per sopportare le fitte e apre lentamente la bocca, tastando il suo interno con la mano libera.
Ma cosa diavolo...? pensa, con una punta di panico, sentendo sotto i polpastrelli delle protuberanze più appuntite e lunghe dove dovrebbero esserci i canini. Oh mio Dio...
Deglutisce e prende un lungo respiro tremante, cercando di combattere l’imminente uscita di testa che sente incombere. Casa, devo andare subito a casa realizza, lasciando cadere il secchio coi ratti e correndo a perdifiato verso l’entrata dello zoo – un angolino della sua mente si domanda in sottofondo se non sia pericoloso lasciare lì la colazione di tutti i serpenti, ma Blaine non ha veramente il tempo e la concentrazione necessari per preoccuparsene.
La corsa è fortunatamente molto breve. L’appartamento che ha trovato sarà anche minuscolo e un po’ malridotto, ma lo paga poco ed è a due passi dallo zoo, cosa che in questa particolare occasione gli è tornata molto utile, insieme al fatto che è ancora presto e sono pochissimi i visitatori che ha dovuto scansare nella fretta di raggiungere la sicurezza di casa.
Grondante di sudore e sbuffando per recuperare fiato, Blaine getta in malomodo le chiavi sul tavolino in soggiorno e si precipita in bagno, dove un’occhiata allo specchio basta per farlo quasi collassare: metà del suo volto è coperto di squame verdastre, fin troppo simili a quelle degli smeraldini a cui stava dando da mangiare poco prima, e dalla bocca spuntano gli stessi denti appuntiti.
Prima che la nausea possa avere il sopravvento, un tonfo sordo dal soggiorno, seguito da un’esclamazione di dolore, lo fanno voltare e aggrottare la fronte.
Contempla per un secondo le sue possibilità e decide di afferrare lo scopino per il bagno, l’unica cosa lontanamente somigliante ad un’arma, prima di uscire con passo lento e silenzioso.
La vista che lo accoglie nel piccolo soggiorno è quantomeno surreale: un ragazzo sconosciuto più o meno della sua età, con i capelli biondi e le labbra più grandi che abbia mai visto su un maschio, si sta strofinando lo stinco che ha evidentemente sbattuto contro il tavolino. Dietro di lui, Blaine riesce a vedere la porta di casa sua socchiusa – era davvero così terrorizzato da non aver nemmeno chiuso?
«Chi sei? Che ci fai in casa mia?» si rivolge allo sconosciuto, che finalmente alza gli occhi, larghi per la sorpresa.
«Hey, amico,» dice, alzando le mani in un gesto placatorio. «So che sei confuso, e posso spiegarti tutto, però... Che ne diresti di, mh, deporre le armi?» I labbroni si contraggono per un secondo, come combattendo un sorriso, e Blaine arrossisce ricordandosi che sta brandendo uno scopino per il bagno come fosse una mazza da baseball.
Abbassa il braccio lentamente, senza distogliere lo sguardo dall’altro, che sorride e allunga una mano: «Il mio nome è Sam Evans. Mi hanno mandato per te...» Si interrompe un attimo, probabilmente perché Blaine può sentire il panico montare di nuovo e la sua espressione deve averlo fatto capire. «No, aspetta, non intendevo... Non mi mandano cattive persone. Beh, immagino che lo direbbe anche qualcuno mandato da cattive persone, però... Cavolo, non sono tagliato per queste cose.» Il biondo si passa una mano tra i capelli, in un gesto nervoso, e Blaine quasi tira un sospiro di sollievo: l’altro ragazzo è evidentemente a disagio quanto lui e non sembra una minaccia, anzi, pare quasi essere insicuro sul da farsi.
«Ascolta,» dice alla fine, apparentemente riprendendo il controllo. «Anche io sono nuovo in tutto questo. Non è una situazione facile, ma penso di poterti aiutare. Lasciami spiegare dall’inizio. Allora, hai sentito parlare delle super-persone?»
Una nuova ondata di nausea rischia di investire Blaine a quella domanda. Certo che sa cosa sono le super-persone, chi non lo sa nell’epoca in cui vivono?
Diversi mesi prima, l’esplosione dell’acceleratore di particelle di Central City ha causato un’onda d’urto di dimensione pazzesche, che ha raggiunto gran parte dell’America, New York compresa. In modo completamente casuale, in una parte delle persone investite dall’energia hanno cominciato a manifestarsi abilità straordinarie. Le nuove “super-persone” si sono poi divise in chi ha scelto di ignorare le proprie abilità, chi le ha coltivate per aiutare gli altri e i criminali.
I veri problemi sono cominciati quando la senatrice Sylvester è salita al potere, instaurando una vera e propria dittatura attraverso una crociata contro chiunque possedesse superpoteri. Nessuno sa da dove provenga l’odio della donna verso le super-persone, ma ben presto una violenta repressione risultante nell’imprigionamento ne ha ridotto drasticamente il numero, e tutt’oggi continuano le manifestazioni di poteri e gli arresti, mentre le super-persone vivono nell’ombra, per sfuggire alla violenza della donna e dei suoi seguaci.
«...chi cerca di aiutarli o manifesta anche solo un’opinione positiva nei loro confronti, viene rieducato» Blaine si interrompe con un brivido. Il termine più corretto sarebbe “lavaggio del cervello”, ma nessuno ha il coraggio nemmeno di sussurrarlo perché le implicazioni sono troppo terribili. Ciò non toglie al fatto che chiunque sia stato rieducato, è tornato alla propria vita con un carrattere e una visione del mondo completamente diversa, non solo nei confronti delle super-persone.
Sam è rimasto zitto per tutta la spiegazione, con un’espressione grave in volto. Alla fine, annuisce e dice: «Beh, quelle sono le basi, certo. Immagino che tu sappia anche qualcosa riguardo alla Resistenza?»
Blaine fa un cenno, impallidendo. La Resistenza è formata da super-persone e persone senza poteri contrarie al governo, riuniti insieme per tenere al sicuro i primi e sfruttare le abilità dei secondi al fine di trovare un modo per rovesciare la dittatura della Sylvester. Nessuno sa se si tratti di una leggenda metropolitana o di una realtà celata talmente bene da sembrare quasi inesistente.
«Esiste, te l’assicuro,» interviene Sam, fissando Blaine con serietà. «Io faccio parte dei senza poteri. Penso che tu abbia già capito dove voglio arrivare, ma tutto questo» e sventola una mano in direzione di Blaine, per indicare il suo volto, «è opera dei superpoteri. Si sono risvegliati in te stamattina, e noi della Resistenza l’abbiamo percepito. Vogliamo aiutarti prima che possano catturarti.»
Blaine sente lo stomaco sprofondargli dritto nelle scarpe. Superpoteri? Lui? No, dev’esserci un errore: Blaine Devon Anderson è un guardiano di zoo che ha rinunciato a tutti i suoi sogni quando è passata la legge di Sylvester contro l’arte e tutti gli allievi dei maggiori college in materia si sono ritrovati a doversi reinventare. Blaine Devon Anderson sicuramente non è materiale da superpoteri.
«Uhm, non credo che tu mi abbia detto il tuo nome» dice Sam, e Blaine si presenta quasi di riflesso.
Il biondo gli sorride in una maniera che potrebbe essere confortante se il ragazzo non si sentisse nauseato e anche piuttosto incazzato per il fatto che il suo mondo sia stato capovolto di punto in bianco, senza nessun preavviso, per la seconda volta in cinque anni.
«Blaine, lo so che la situazione ti sembra tragica, ma ti assicuro che puoi fare tanto con i poteri che ti ritrovi. Vieni con me, fatti presentare alla squadra. In queste condizioni non andrai lontano prima di essere catturato da Sylvester,» l’espressione quasi speranzosa del biondo diventa una smorfia piena di odio e rabbia alla menzione della donna, e Blaine si domanda per un secondo esattamente fino a dove arrivi il coinvolgimento emotivo dei senza poteri nella battaglia della Resistenza, «ma noi possiamo aiutarti a controllare i tuoi poteri e non dovrai temere di venire imprigionato.»
Blaine vorrebbe davvero avere l’opportunità di ribattere – per dire qualsiasi cosa su quanto la situazione sia pazza e insensata e su come non può abbandonare tutto e seguire Sam solo Dio sa dove, l’ha appena conosciuto!
Ma d’altra parte, che alternativa c’è? Il ragazzo si è visto allo specchio: squame di serpente così evidenti non vengono di certo scambiate per un’eruzione cutanea. A meno che non si barrichi nel suo appartamento, interrompendo qualunque contatto con il mondo esterno, non ha veramente una scelta. E anche in quel caso, quanto tempo potrà passare prima che qualcuno cominci a sospettare qualcosa o che i soldi finiscano?
Dovrei avvisare qualcuno, pensa distrattamente. Kurt uscirà sicuramente di testa se non si presenta al loro caffè delle tre e oggi è mercoledì, quindi stasera dovrebbero vedersi un film o un musical insieme, mangiando cibo d’asporto. E dovrebbe licenziarsi o no? Sicuramente non può tornare a lavorare senza prima essere capace di controllarsi...
«Blaine.»
La voce di Sam lo riscuote dai mille pensieri che gli hanno inondato la mente, facendogli alzare lo sguardo. Quand’è che il biondo si è avvicinato e gli ha messo una mano sulla spalla?
«Ci pensiamo noi. Vieni con me, il resto può aspettare. Ti assicuro che non dovrai rinunciare alla tua vita, non completamente.»
Le parole dell’altro non sono esattamente quello che voleva sentirsi dire – non completamente? – ma gli danno una piccola misura di conforto.
«Come mi hai trovato, esattamente?» domanda, prima di potersi fermare. Sta per mettere la sua vita nelle mani di questo ragazzo, il minimo che possa fare è dargli qualche risposta prima di farlo decidere definitivamente.
Sam scrolla le spalle. «Non sono veramente il tecnico della situazione, lui si chiama Artie,» spiega. «Ma so che abbiamo questa specie di computer che con un software riesce a captare le onde che si sprigionano quando vengono usati dei superpoteri. La prima volta sono particolarmente intense e ci dà l’esatta posizione di chi li ha usati, le altre volte è una stima di un raggio di circa un centinaio di metri. Sempre piuttosto preciso, ma lui non è soddisfatto.»
«E poi cosa?»
«Beh, poi mandano uno di noi senza poteri a spiegare la situazione ai nuovi. Sappi che mi sono buttato giù dal letto per venire qui a quest’ora, amico. Dovresti apprezzarlo.»
 Sam sta evidentemente tentando di alleggerire l’atmosfera e Blaine gliene è davvero grato, ma non se la sente proprio di ridere, nemmeno per educazione. Quindi alla fine annuisce e si lascia condurre fuori dall’appartamento, sentendosi eccezionalmente stanco per aver appena iniziato la giornata e domandandosi con un certo senso di disperazione quando riaprirà la porta che si sta lasciando alle spalle, come chiudendola sulla vita che fino a ieri era sua.

***

Il dolore era l’unica costante ormai nella vita di Blaine.
Quello fisico era diventato quasi un sollievo, qualcosa che il ragazzo sapeva di poter sopportare e che accettava di buon grado rispetto all’altro, quel tipo di dolore che non lasciava cicatrici o lividi, ma che lo lacerava molto meglio di quanto qualsiasi bisturi potesse fare.
Era il dolore che meglio funzionava come tortura, che lo bruciava dentro e fuori con l’umiliazione di doversi spogliare all’inizio di una seduta, che lo faceva sentire debole e vulnerabile in maniere nuove e sempre diverse, violente più dei calci e dei pugni allo stomaco e alla testa che nei primi giorni sembravano il peggio che potesse accadere.
Quel tipo di dolore era sottile, viscido, malizioso. Era una violazione fisica e mentale che lo lasciava vuoto e stanco, pieno di ribrezzo e di disgusto verso se stesso e il proprio corpo, e anche verso quei poteri che tanto erano sembrati un pezzo indispensabile del nuovo Blaine che aveva faticosamente cercato di costruire in quei mesi.
C’erano dita che lo toccavano, lo picchiettavano e lo pizzicavano, facendolo reagire senza che lo volesse, facendogli scoprire le ali – quelle che aveva tanto faticato per imparare a padroneggiare.
In quei giorni, la cella sembrava quasi accogliente, un universo immacolato al di fuori di se stesso che tanto si sentiva sporco dopo essere stato punzecchiato per ore.
E delle crepe, sottili quanto quelle sulle pareti bianche, cominciavano a intravedersi nella sua facciata stoica. Una lacrima di notte, quando avrebbe dovuto dormire. Un incubo in cui sussurrava il nome che gli era più caro, talmente piano da non essere udibile nemmeno a se stesso. Un’iniziale che gli scappava dalle labbra serrate come il sibilo dei boa che avevano iniziato tutto.
Blaine non stava esattamente cedendo, ma qualcosa in lui non era più abbastanza forte.

***

Prima di quanto si sarebbe mai aspettato – solo dodici ore circa da quando l’ha lasciato con Sam – Blaine torna nel suo appartamento. Non pensa di essersi mai sentito così stanco in vita sua, nemmeno nel periodo peggiore della sua vita, quando doveva recuperare da una sbornia una mattina sì e l’altra pure perché non sapeva più cosa fare con la sua vita e si era ridotto a cercare la soluzione sul fondo di svariate bottiglie di superalcolici.
Quasi scoppia in una risata isterica, ripensandoci. Superalcolici. Superpoteri. Super-persone. Tutto nella sua vita ha assunto una piega “super” e lo stress della giornata sta finalmente prendendo possesso del suo corpo, facendolo sprofondare di peso sul divano. Un sospetto bruciore agli occhi comincia a farsi sentire, ma Blaine è fin troppo esausto per ricacciare indietro l’ondata di emozioni che lo attanaglia, quindi lascia scendere le lacrime.
Che cosa deve fare? Che cosa può fare?
Sente i singhiozzi salirgli alla gola e proprio quando sta per lasciarsi andare al pianto liberatorio che ha desiderato diverse volte nel corso delle ore precedenti, il rumore di chiavi nella sua serratura lo fa rizzare di scatto e asciugare velocemente il volto con la manica della felpa.
C’è una sola persona che può entrare e uscire a suo piacimento dall’appartamento di Blaine, la stessa persona di cui si fida ciecamente e che gli è stata accanto fin dal loro primo giorno di superiori alla Dalton Academy: Kurt Hummel, il suo bellissimo, talentuoso e irraggiungibile migliore amico, per cui ha una cotta ormai da mesi.
Puntuale come un orologio, la voce di Kurt risuona alle sue spalle: «Non possiamo vederci alle tre, mi dispiace. Ti chiamo dopo» Passi verso la cucina, un rumore di buste che vengono posate – cibo d’asporto, sicuramente – e ancora passi che tornano verso il divano. «Se non ti conoscessi bene, potrei offendermi e pensare di essere stato gentilmente scaricato ad un appuntamento.»
Blaine riconosce la nota di scherzo nella voce cristallina dell’amico e infatti si trova davanti un sorriso quando alza lo sguardo, che si trasforma quasi subito però in un’espressione preoccupata.
«Blaine? Che è successo? Hai pianto»
Il riccio prende un respiro profondo, che trema ancora un po’, e poi si schiarisce la gola. «Brutta giornata. Sono malato. Più o meno»
Kurt aggrotta le sopracciglia e allunga una mano per metterla sulla fronte dell’altro. «Che intendi con più o meno?»
«Beh, il, uhm, dottore ha detto che è una... specie di virus. Che gira. Già, e che devo rimanere a riposo per un po’. Ho già chiamato lo zoo per informarli.»
«Non sembri caldo.»
«Non è quel tipo di virus. Solo... stanchezza, sai. Voglia di dormire tutto il giorno, occhi rossi e secchi. Questo tipo di cose.»
«Oh,» Kurt annuisce e si morde il labbro, con sguardo quasi colpevole. «Avrei dovuto aspettare la tua chiamata, mi dispiace. Pensavo ti avessero bloccato allo zoo e perciò non avessi avuto tempo di vedermi per il caffè, quindi sono andato a prendere un po’ di cinese e pensavo che avremmo fatto la nostra solita serata film, ma invece sei malato e io sono arrivato qui senza invito e...»
«Kurt, stai blaterando» dice Blaine, con un sorriso genuino. La sola presenza dell’altro basta per farlo sentire un po’ meno sfinito, come se il peso che gli è stato buttato addosso all’inizio di oggi sia più leggero e sopportabile con lui accanto.
«Scusa»
«Non scusarti, non c’è niente per cui farlo. Non mi sento benissimo, ma la nostra serata film è sacra. Non ho la nausea, il cinese suona divino in questo momento» Blaine gli fa un occhiolino, e Kurt ridacchia per un attimo, prima di tornare serio.
«Se ne sei sicuro...»
«Assolutamente.»
«...allora sistemati comodo sul divano, metti una coperta addosso e rilassati. Vado a preparare tutto e metterò il film quando torno. Pensa a un titolo. E non azzardarti a muoverti da quel divano, per nessun motivo.»
«Che faccio se devo andare al bagno?»
Kurt finge di pensarci per qualche secondo, poi scrolla le spalle con un lungo sospiro chiaramente scenico. «Immagino che il bagno sia un buon motivo. Ma è l’unico. Sono serio, Blaine, non rischiare la tua salute.»
Blaine annuisce e si accoccola sul divano, cercando di non pensare per qualche ora al grosso casino che è adesso la sua vita. Immagini di un labirinto sotterraneo ultratecnologico e di volti semisconosciuti – un ragazzo sulla sedia a rotelle, una ragazza latina dalla lingua tagliente, un bestione con una ridicola cresta sulla testa – gli invadono la mente contro la sua volontà e quasi si mette a urlare di frustrazione. La serata dovrebbe servirgli per lasciare da parte per un po’ tutto quel nuovo mondo.
Un piatto colmo di cibo gli appare improvvisamente davanti e, con un sorriso grato, Blaine comincia a mangiare, ascoltando solo con mezzo orecchio le chiacchiere di Kurt, che intanto sta trafficando con il lettore dvd, finché qualcosa attira la sua attenzione, facendogli quasi andare di traverso il boccone.
«Scusami?»
«Oh, ho detto che ho una nuova pista sulla Resistenza» ripete Kurt, lanciandogli un’occhiata sorpresa.
Tanto per lasciare da parte quella roba, pensa Blaine, frustrato.
«Kurt, ripetimi perché sei così ossessionato da questa fantomatica Resistenza? Per quanto ne sappiamo, è tutta un’invenzione. Voglio dire, non hanno mai fatto nulla di concreto o di evidente, no?»
Kurt lo osserva per un lungo momento, prima di riavvicinarsi al divano e sedersi accanto a lui, il dvd completamente dimenticato. «B, sei sicuro di voler iniziare questa discussione? Sai benissimo perché
Blaine stringe le labbra. Certo che sa perché, lui e Kurt hanno avuto innumerevoli litigi al riguardo. Nessuno dei due è favorevole al governo sotto cui si trovano a vivere, ma quello che vuole fare il suo amico è fin troppo pericoloso e adesso che ha avuto un contatto diretto con la Resistenza, è ancora più determinato a lasciarlo fuori da tutta quella storia.
«Ok, Kurt, ho capito, ma io sto bene ora. Non devi portare avanti questa crociata assurda...»
«Non è solo per te, Blaine!» lo interrompe Kurt, e ha quel fuoco determinato negli occhi che Blaine ha sempre contemporaneamente ammirato e odiato. «Sì, tu non sei andato in coma etilico perché sono riuscito a entrare nella tua durissima testa e a farti vedere che non valeva la pena buttare via tutta la tua vita perché non potevi più essere un compositore, ma che mi dici di tutti quei ragazzi che non avevano qualcuno a sostenerli? Quanti di loro sono in una fossa adesso, secondo te?!»
Blaine tenta di forzare una replica oltre il nodo che gli ha stretto la gola, perché la possibilità che Kurt ha descritto è stata fin troppo reale per un po’. «Al notiziario non hanno detto...»
«Sono un giornalista, Blaine! So come funziona al notiziario e in redazione. Le storie scomode non passano, non con Sylvester. E un mucchio di ragazzini che si suicida perché pensa di non avere futuro? Perché dovrebbero avere una qualche importanza? Ma se quegli stessi ragazzini avessero avuto qualcosa a cui aggrapparsi – la speranza di un futuro migliore, quello che la Resistenza potrebbe offrire – forse starebbero ancora combattendo, adesso.»
Blaine sospira, fissa per un secondo l’amico, e poi annuisce. «Che pista hai?»
Kurt gli sorride, e mormora: «Grazie», prima di proseguire, in tono più alto e speranzoso: «Allora, hai presente il vecchio edificio che ospitava la scuola di danza classica nella zona sud?»
Eventualmente, dopo una lunga chiacchierata e un musical, Kurt va via, promettendo con un’occhiata solo un filo sospettosa che passerà a controllarlo nei prossimi giorni. Il riccio si chiede, non per la prima volta, come farà a nascondere al suo curiosissimo e testardo migliore amico, che per mestiere ricerca informazioni per costruire articoli quanto più possibile veritieri, che adesso anche lui fa parte della Resistenza e da super-persona.

***

Alla fine di una seduta particolarmente aggressiva, qualcosa cambiò.
Blaine riuscì ad avvertire lo spostamento nell’aria, una differenza quasi impercettibile nell’atmosfera ma che, per lui che aveva vissuto per mesi in costante vigilanza grazie ai sensi affinati, fu fin troppo evidente.
Il corridoio lungo il quale lo stavano scortando – quasi trascinando, a dire il vero, dato che le sue gambe non volevano proprio saperne di funzionare a dovere – le due guardie era fin troppo lungo per essere quello che portava alla sua cella, e per la prima volta il ragazzo sentì dei rumori molto attutiti.
Erano grugniti, mugolii, occasionalmente urla, anche bisbigli. Devono essere gli altri prigionieri, pensò Blaine, con una lucidità quasi sorprendente. Si guardò intorno con occhi annebbiati, cercando di captare qualsiasi dettaglio potesse aiutarlo a capire dove venivano tenuti quelli come lui, ma le pareti non avevano porte o finestre, nemmeno un impianto di areazione. L’unico modo per oltrepassarle sarebbe stato solo lo sfondamento.
Alla fine, il corridoio terminò con una grossa porta metallica, attivata da un sensore digitale per le impronte. Soprendentemente, Blaine si rese conto che era il polpastrello della sua mano a venire premuto ed accettato dal marchingegno, come se fosse registrato nel database. Probabilmente lo sei.
L’interno non era nient’altro che una camera circolare, con schermi sulla parete opposta alla porta e una solitaria sedia al centro, che al ragazzo ricordò un po’ quella dei dentisti. C’erano cinghie in corrispondenza di polsi e caviglie, e un’inquietante corona metallica che presumibilmente veniva messa attorno alla testa.
Con panico crescente, Blaine si accorse che durante la sua osservazione, le mani delle due guardie si erano saldamente serrate attorno ai suoi avambracci. «Che succede?» mormorò, con voce rauca e spezzata.
Nessuno gli rispose, le due figure in divisa rimasero stoicamente in silenzio e dietro gli ampi caschi protettivi il ragazzo non poté nemmeno tentare di decifrare la loro espressione.
Prima che potesse ripetere la sua domanda, lo schermo si illuminò all’improvviso, mostrando il volto che più di tutti Blaine aveva iniziato ad odiare: Sue Sylvester, con una smorfia disgustata, lo osservava con occhio critico.
«Passabile», disse infine. «Dì a quegli scansafatiche che non li pago per tenere questo lerciume nella bambagia. Devono aprirli come cocomeri e dissezionarli fino all’ultimo organo per capire come funzionano i superpoteri e come strapparglieli dal corpo. Non voglio nessuno di questi mostri nel mio Paese.»
Blaine strinse i denti, sentendo la furia crescergli nello stomaco come un rigurgito acido, facendogli bruciare le viscere con la sua intensità. Voglio ucciderla, la voglio morta.
Non cedere al lato oscuro, B sussurrò una voce nella sua testa, dall’angolino in cui aveva segregato i ricordi di tutto ciò che c’era di bello nel mondo là fuori, quello dove c’erano altri colori oltre al bianco. È fin troppo facile quando ci sono abilità come le tue in ballo. Non far vincere l’odio. Tu sei un eroe.
Quasi sbuffò ad alta voce, ricordando quelle parole. Erano stati veramente solo pochi mesi prima? Sembravano passati diversi anni dal giorno in cui lui – perché non lo pensava nemmeno più il suo nome, non si poteva fidare neanche del suo stesso cervello – aveva scoperto chi fosse Nightbird, stravolgendo completamente il loro rapporto.

***

C’è una strana carica nell’aria quando Blaine e Puck si allenano: non è esattamente pericolosa, ma è instabile, come se stessero danzando sul ciglio di un burrone e il minimo errore potesse sbilanciare l’equilibrio, farli cadere entrambi a capofitto nel buio.
È capitato spesso, all’inizio, quando i poteri del riccio erano troppo volatili; bastava davvero poco – un colpo troppo forte, un sorriso un po’ beffardo, una mossa scorretta – a causare la distruzione di aree intere della Sala, con grande irritazione di Santana e Artie.
Adesso, però, la carica è più entusiasta, meno aggressiva. Puck si è abituato ad essere un mentore e assolutamente nessuno l’avrebbe mai immaginato così a suo agio nel ruolo. Anche dopo quasi due mesi dall’arrivo del ragazzo, gli altri componenti del gruppo scuotono ancora la testa con un sorriso incredulo quando sentono urlare: «Tieni alta la guardia!», «Concentrati meglio sulle ali, riesci a sentirle?», «Usa la vista, Anderson, forza!» nel bel mezzo del tripudio di pugni e calci che sono le sessioni tra i due.
Blaine, dal canto suo, ha accettato la posizione di novellino e si è impegnato a costruirsi una reputazione tra loro, a testa bassa e senza aspettarsi nulla: è quello che lavora sodo e che trova sempre un paio d’ore per imparare, perché i poteri sono come un muscolo e non è semplice tenerli sotto controllo se non sono sottoposti ad allenamento quasi costante.
Questa sera sono già diverse ore che i due ragazzi sono in Sala e Sam è leggermente teso, come sempre quando teme che Blaine si stia spingendo troppo oltre, troppo in fretta.
«Non sei sua madre, Bocca da Trota» gli dice Santana, roteando gli occhi nel vederlo gironzolare davanti all’ingresso – per la quarta volta quella sera. «Ho capito che hai una specie di crisi sessuale quando si tratta dell’hobbit, ma ti assicuro che Puck non ti ruberà il fidanzato, anche se ha un culo particolarmente appetibile.»
Sam sta ancora farfugliando una replica, con lo sghignazzo di Santana che risuona lungo il corridoio, quando finalmente la porta si apre e Blaine e Puck sono lì – sudati, col fiatone e pieni di graffi e lividi – con due enormi sorrisi sulle labbra.
«Per cosa sorridete così?» chiede Sam, prima di riuscire a fermarsi, e si sente un po’ in imbarazzo quando i due si voltano verso di lui sorpresi, Puck con un sopracciglio alzato e Blaine inizialmente disorientato ma con entusiasmo genuino quando si rende conto di chi ha parlato.
«Sam!» esclama, con gli occhi brillanti, avvicinandosi per dargli un cinque. «Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta davvero! Diglielo, Puck, dai!» Si volta verso l’altro ragazzo e sta quasi saltellando per l’entusiasmo, ricordando al biondo, con nostalgia e affetto, il fratellino che non vede da molto tempo e che a circa cinque anni – l’ultima volta in cui è stato in sua compagnia– non si comportava in maniera molto differente quando si sentiva fiero di se stesso.
Puck sembra pensare la stessa cosa, ma non smorza l’entusiasmo del più giovane, e anzi, gli dà una pacca sulla spalla in segno di riconoscimento. «Anderson non sta esagerando, Evans. Ce l’ha fatta davvero. È tutta la sera che non vedo segni animaleschi da parte sua, se escludiamo...» e con un ghigno, alza un po’ la gamba del pantaloncino, dove un morso evidentemente umano fa bella vista di sé sulla coscia destra.
Blaine arrossisce leggermente e abbassa gli occhi, mormorando: «Ho un po’ dimenticato di frenarmi...» ma subito rialza gli occhi su Sam e continua: «...ma ho usato i miei denti umani, non quelli di un animale! Ho capito come controllarli, Sammy».
Un lampo di orgoglio per l’amico accende anche il biondo a quelle parole, perché poteri complessi e imprevedibili come quelli di Blaine non devono essere semplici da maneggiare – ancora meno della super-forza di Puck e della capacità di mutaforma di Rachel – e il fatto che ci siano voluti appena due mesi per imparare come fare è un traguardo da non ignorare.
Non per la prima volta, Sam si chiede se effettivamente Blaine abbia un potenziale energetico che ancora non hanno compreso e se sia lui quello che la Resistenza stava aspettando per mettere finalmente in atto il Piano Delta.
«È una notizia incredibile, Blaine. Sapevo che ci saresti riuscito prima ancora di quanto tutti si aspettassero» gli dice con un sorriso, passandogli un braccio attorno alle spalle e ignorando le sue proteste – «Sono disgustoso, Sam, andiamo! Ho passato quasi sei ore in Sala!» – mentre si dirigono tutti e tre verso le docce.
Blaine sta blaterando qualcosa riguardo alle ali o al guscio o a qualche altro strano innesto che i suoi poteri gli hanno donato, ma Sam non lo sta davvero ascoltando. Si è concentrato su Puck, che è diventato stranamente silenzioso e si domanda se anche lui stia avendo gli stessi pensieri sul Piano e su Blaine.
Quando il ragazzo con la cresta alza lo sguardo e incontra il suo, fa un cenno secco verso il riccio con la testa e Sam annuisce. Sa che cosa vuole fare Puck e che cosa deve fare lui, invece.
«Hey, Blaine, che ne dici se festeggiamo questa vittoria con una maratona pizza e videogiochi da me?» Sam interrompe il soliloquio dell’altro, che lo guarda con le sopracciglia aggrottate, come se qualcosa lo frenasse.
«Non so, Sam» risponde, alla fine. «Domani devo lavorare, lo sai...»
«E so anche che hai il turno di pomeriggio allo zoo perché al mattino c’è la marcia dei pinguini e servono custodi specializzati» ribatte l’altro, con un occhiolino. «Avanti, amico, puoi anche fare la doccia da me, così non faremo troppo tardi».
Blaine passa qualche altro secondo in silenzio, soppesando le sue possibilità, e Sam incrocia mentalmente le dita. «D’accordo» sospira alla fine, ghignando verso il biondo. «Immagino che se hai così tanta voglia di farti distruggere di nuovo a COD, non posso rifiutarmi, sarebbe antisportivo».
Sam sta già protestando, ma cattura di nuovo lo sguardo di Puck e stavolta è l’altro ad annuire, prima di svoltare nel corridoio che, Sam lo sa, porta al Centro Operativo, dove Santana e Artie stanno probabilmente già discutendo dei risultati dell’allenamento odierno, accuratamente monitorato dall’inizio alla fine.
Per qualche secondo, Sam si sente quasi in colpa: Blaine non conosce fino a dove la Resistenza intende spingersi per rovesciare la dittatura di Sylvester e non è completamente sicuro che sarebbe ancora qui con loro se se ne rendesse conto. Ma il biondo capisce cosa c’è in gioco e quindi mostra un sorriso non completamente genuino all’amico e gli giura che stavolta gli farà mangiare la polvere, mentre si avviano alla macchina che li porterà all’appartamento di Sam.

**

Non sono nemmeno passate diciotto ore, che Blaine combina un macello.
Ad essere onesti, non è così grave come sembra. Beh, ok, c’è Kurt in piedi all’ingresso del Quartier Generale della Resistenza, che osserva con un misto di incredulità ed eccitazione – seriamente, perché non c’è nemmeno una traccia di paura nella sua espressione? – la porta metallica, blaterando in direzione della videocamera su come sia uno dei buoni e di chiedere a Nightbird perché lui lo sa e sicuramente può entrare dal momento che ormai si trova lì.
E Blaine forse avrebbe potuto fare più attenzione dopo averlo salvato da quei teppisti di strada che lo hanno minacciato con un coltello nel tentativo di rapinarlo. Ma è davvero colpa sua se, nel panico di vedere il ragazzo che ama in una situazione di pericolo, si è lanciato usando le ali e gli artigli? E che può fare se, una volta messi in fuga i ladri, Kurt lo ha abbracciato improvvisamente per ringraziarlo e lo ha agitato, facendolo fuggire in imbarazzo? E come può essere incolpato per essere stato così nervoso da non aver notato che il ragazzo lo stava seguendo?
Sì, insomma, forse non è esattamente la prima volta che si incontrano. E forse i suoi compagni non sanno proprio nei dettagli quante volte ha sventato una rapina o salvato qualcuno da un fossato o, in una memorabile occasione, impedito un incidente automobilistico. E per caso Kurt era sempre in zona perché è un giornalista, ma davvero, non è proprio grave come sembra.
Anche se Kurt lo ha battezzato Nightbird. Sotto consiglio di Blaine, a cui ha raccontato di tutti questi incontri con l’unico supereroe ancora disposto a rischiare la sua incolumità per gli altri e il nostro mondo ha bisogno di qualcuno come lui, Blaine.
Sono un idiota e Santana mi staccherà qualcosa quando arriverà, si rende conto Blaine. Non voglio necessariamente pensare a che cosa.
«Amico, finalmente! Puck non è ancora arrivato, visto che ieri sei andato così bene...» Sam si interrompe quando arriva al fianco di Blaine, che continua a guardare con occhi increduli lo schermo sul quale la figura del suo migliore amico in bianco e nero sta continuando a blaterare. «...uhm, quello non è Kurt? Tipo, il Kurt che non dovrebbe sapere che sei una super-persona e che, beh, è un giornalista?!»
Blaine fa una smorfia e annuisce: «Proprio lui».
Sam fischia, schiocca le labbra, apre la bocca come per dire qualcosa, poi la richiude. «Santana ti ucciderà. O forse si limiterà ad evirarti.»
«Potresti uccidermi tu prima che arrivi? Non sono così sicuro di voler vedere la sua reazione.»
«Non sarà bella, te l’assicuro. Forse possiamo spegnere la telecamera e sperare che passi per un altro ingresso? E che non ci chieda perché la telecamera è spenta...»
Blaine geme e si prende la testa tra le mani. «Sono un morto che cammina.»
Alla fine, il riccio sopravvive. Potrebbe essere dovuto al fatto che il primo ad arrivare è Artie, decisamente più pacato rispetto a Santana, anche se l’epica lavata di capo che la latina gli impartisce quando viene fuori tutta la storia – compresa la sua incredibile sconsideratezza nel cercare di proteggere delle persone quando non aveva ancora pieno controllo dei suoi poteri – non può essere evitata in nessun modo.
«...e la prossima volta che il tuo pene decide di comportarsi male in presenza del tuo fidanzato, ti prego, cerca di avere la presenza di spirito di non diventare una verginella che arrossisce per l’imbarazzo e incespica verso casa conducendo chiunque al Quartier Generale che ci piace tenere sottoterra e ben lontano dalle strutture fognarie in uso perché deve rimanere segreto. O ti mostrerò esattamente come castriamo i traditori a Lima Heights.»
«Non sono un traditore! Devi saperlo, Santana, non avrei mai volontariamente rivelato la nostra posizione!» Blaine sembra sul punto di scoppiare – a urlare o a piangere, non si capisce bene. Sam gli mette una mano sulla spalla e gli mormora una rassicurazione, lanciando un’occhiataccia a Santana che rotea gli occhi, esasperata.
«D’accordo, dato che il tuo altro fidanzato biondo mi sta guardando come se avessi preso a calci il suo cucciolo, il che non è troppo lontano dalla verità... Vado a far entrare la signora che strilla stridula prima che avverta tutta New York sulla nostra ubicazione. Anderson, puoi spiegargli tu il resto.»
«E adesso sarà Kurt a uccidermi. Questa giornata non fa che migliorare» mugugna Blaine, apprestandosi a rispondere alle mille domande del suo migliore amico.
L’espressione sul volto di Kurt quando tira via la maschera del costume vale sicuramente la pena dello schiaffo che gli tira per aver rischiato la vita diverse volte nei mesi precedenti, compreso poche ore prima, anche se Blaine crede segretamente che sia in parte per non avergli detto nulla.
«Non posso credere che ti sia scelto da solo il nome da supereroe» sbuffa Kurt, quando tutto lo shock e le prediche vengono superati.
Blaine sorride imbarazzato, ma ribatte: «Hey, è stato il mio nome da supereroe per due interi anni, dai sei agli otto. Sarebbe stato irrispettoso sceglierne un altro.»
«Quindi la “palestra con Sam” in realtà era...»
«...palestra di superpoteri, già. Sono incredibilmente difficili da controllare, non sai quante volte le ali sono state vicine a saltar fuori, o stavo per sparire all’improvviso per colpa del camaleonte.»
Kurt scuote la testa, con un mezzo sorriso. «Ci vorrà un po’ per abituarmi a sentirti parlare in questo modo. E pensare che il grande eroe che ho iniziato a venerare sul mio blog eri tu...»
«Aspetta, aspetta, frena... Blog?»
«Oops!» Kurt si morde il labbro nervosamente e sospira. «Beh, a questo punto, niente più segreti, immagino.»
Pochi click dopo, Blaine fissa perplesso e sbalordito una pagina di internet dagli innumerevoli articoli, alcuni datati diversi anni prima. Titoli come In memoria di Kyle sono i più vecchi, ma tra i più recenti spiccano L’ultimo supereroe e L’uccello notturno, Nightbird. Righe e righe riguardo ai suoi recenti salvataggi, fin dalla prima apparizione; riflessioni su chi possa essere e sulla Resistenza; messaggi di speranza. Addirittura foto allegate, dove si vede appena una macchia blu, nera e oro – i colori della sua tuta protettiva.
«Kurt, ti rendi conto di quanto sia pericoloso quello che stai facendo qui sopra?!»
«Sì, so cosa pensi, ma ti assicuro che è perfettamente sotto controllo. Una collega che sostiene le mie idee in segreto e scrive occasionalmente anche lei qui mi ha aiutato con la parte tecnica. È una specie di spia, e ha fatto in modo che sia impossibile risalire al mio IP o a quello di chiunque visiti il sito. Sicuro al 100%,» poi Kurt sorride, mostrando addirittura i denti nel suo entusiasmo. «Abbiamo anche seguaci, Blaine. Persone che leggono di te, che sperano in un mondo migliore grazie a te. Adesso che so che la Resistenza esiste, posso farvi propaganda, creare dei sostenitori. Sapete che se volete davvero rovesciare il governo, vi servirà l’aiuto delle masse.»
Alla fine, Artie si fa avanti e analizza il computer, reputandolo sicuro e apparendo anche un po’ ammirato dal grado di protezione messo in atto dalla misteriosa collega di Kurt.
«Sarebbe possibile incontrarla? O almeno sapere il suo nome? Più avanti potrebbe esserci molto utile il suo aiuto» domanda il ragazzo, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«Zizes, Lauren Zizes. Le parlerò, sono certo che non potrà rifiutare un’offerta della Resistenza. Siamo tutti con voi.» La voce di Kurt è stranamente solenne e c’è una sorta di intesa tra i due, quando si stringono la mano.
Sono alcune ore più tardi, quando il QG è quasi deserto e una buona parte della Resistenza è stata presentata a Kurt e viceversa, che finalmente Blaine ha l’opportunità di parlare con il suo amico in privato.
«Quindi, sei parte della squadra adesso, eh?» scherza lui, cercando di sciogliere la tensione, ma Kurt annuisce e basta.
«Sei molto arrabbiato con me? Hai il mio permesso per urlare ancora, so che ti sei trattenuto prima. Puoi anche schiaffeggiarmi di nuovo, anche se preferirei usassi l’altra guancia...»
Kurt ridacchia, e Blaine si rilassa molto nel sentirlo. Forse staranno bene, dopotutto.
«Non sono arrabbiato con te, Blaine. Non più. Sì, mi ha dato fastidio pensare a tutte le bugie di questi mesi, ma ho capito perché l’hai fatto. Questa giornata è stata una delle più folli che abbia mai vissuto e credo di stare solo... cercando di elaborare il tutto. Insomma,» Kurt muove un po’ la testa per guardarlo meglio e sorride, chiaramente esausto, ma anche un po’ orgoglioso, «il mio migliore amico è un supereroe, uno tosto, da quanto mi hanno detto. Anche se c’è qualcosa che mi preoccupa riguardo ai tuoi poteri, B.»
«Oltre al fatto che ho letteralmente due ali che mi spuntano a comando dalle scapole?»
Kurt sbuffa una risata. «Sì, Blaine, oltre a quello, ma è collegato. Uhm, non voglio offendere la tua intelligenza, ma sei consapevole di essere capace di uccidere con le abilità che ti ritrovi, vero?»
Blaine alza le sopracciglia, più che sorpreso dalla piega che sta prendendo la conversazione. «Ehm, beh, immagino di sì. Aspetta... non pensi che io possa davvero uccidere, vero? Kurt?»
«Sto solo dicendo che è facile lasciar prendere il sopravvento all’odio, B. Specialmente quando poteri letali come i tuoi sono in ballo. Sue Sylvester...» l’espressione di Kurt si scurisce per un secondo, come se la sola menzione del nome riuscisse a farlo arrabbiare, «...è una donna spregevole. E davvero, nessuno ti giudicherebbe se perdessi il controllo. Ti sto chiedendo di riuscire a non farlo. Puoi promettermelo?»
«Che cosa vi siete detti esattamente in quella stanza, Kurt?» chiede Blaine, sospettoso. Tutto quello che sa è che il ragazzo sarebbe dovuto essere approvato dal leader politico – che il riccio ancora non ha avuto il piacere di incontrare o anche solo di saperne il nome – e che anche Santana, Artie, Puck e Rachel dovevano essere presenti. Ma a giudicare dall’aria travagliata di Kurt e da questo discorso, qualcosa di molto serio è stato discusso a sua insaputa.
«Niente che tu non sappia già, o che non saprai presto. C’è una guerra all’orizzonte, Blaine, e ci saranno vittime. Voglio solo che il numero sia il più ridotto possibile, e questo comprende assicurare quella donna alla giustizia, rinchiuderla in una cella, qualcosa del genere. Non ucciderla. Me lo prometti, B?»
Blaine deglutisce, prendendosi un secondo per rispondere. Una guerra. Ci saranno vittime. Quante persone moriranno per permettere a lui e ai suoi compagni di rovesciare la dittatura di Sue Sylvester? E di queste, quali imparerà a conoscere e a quali si affezionerà?
«Te lo prometto, Kurt, ma ad una condizione: tu non sarai tra quelle vittime. Fin quando è sicuro, ci aiuterai, ma non ti metterai in serio pericolo per nessun motivo. Promettimi che la tua sicurezza personale verrà prima di tutto e io ti prometto che non ucciderò Sue Sylvester.»
«Blaine, non posso prometterti una cosa del genere. E se avessero bisogno di me?»
«Troveranno qualcun’altro. Laurel, Artie, diavolo, anche io! Chiunque. Ma non tu, Kurt. Non posso sopportare che ti accada qualcosa, non me lo perdonerei mai. Non posso vivere in un mondo dove non ci sei tu.»
Kurt si volta a guardarlo, con un’espressione sbalordita in volto e i loro sguardi si incatenano l’uno all’altro. Per alcuni lunghissimi istanti, tutto tace, tutto è fermo e non c’è niente che abbia più importanza di questo momento.
«Wow, quella sì che era una dichiarazione da migliore amico» sussurra Kurt, con la voce sospettosamente senza fiato.
Blaine sente il cuore palpitare così forte che è sorpreso di non vederlo schizzare fuori dal petto, come in quei cartoni animati che vedeva da bambino. Basterebbe un commento scherzoso per mettere fine a questa strana tensione, e il ragazzo è quasi sul punto di farlo, quando ripensa al fatto che stanno per entrare in guerra e che, nonostante la promessa che ha tentato di estorcere a Kurt, uno di loro potrebbe davvero non esserci più alla fine. Potrebbe non esserci un’altra occasione. Sii coraggioso, Blaine.
«Forse non era per un migliore amico. Forse era per la persona che amo da un po’, e a cui non ho avuto il coraggio di dirlo prima,» lo dice tutto d’un fiato, prima che possa ripensarci, e poi si avvicina con convinzione, fermandosi solo quando riesce a sentire il respiro caldo e irregolare di Kurt sulle sue labbra, gli occhi ancora fermamente nei suoi.
Non sa chi ha attraversato quegli ultimi centimetri che li separavano, ma un attimo dopo le loro labbra sono premute le une contro le altre, e non esistono più guerre imminenti o scoperte di blog e superpoteri o promesse, ci sono solo Kurt e Blaine, sospesi in un infinito attimo di perfezione, dove niente può toccarli e niente può separarli.
Quando il bacio si interrompe, entrambi hanno il volto arrossato – e Blaine quasi bacia di nuovo Kurt immediatamente, vedendo quanto è attraente con quella sfumatura rosata sulle guance – e due enormi sorrisi in volto.
«Volevo farlo almeno dal primo anno di college, ma l’ho ammesso solo qualche mese fa» commenta Blaine, intrecciando le mani.
«Io volevo farlo almeno dal primo anno di superiori»
«Kurt, ci siamo incontrati al primo anno di superiori!»
«Proprio così. E ho voluto farlo dal momento in cui mi hai preso per mano e hai cantato “Teenage Dream” insieme al resto dei Warblers.»
«È parecchio tempo.»
«Ne è valsa la pena. E te lo prometto.»
«Come?» Blaine aggrotta le sopracciglia, avendo perso il filo del discorso, e Kurt ride di gusto.
«La promessa, B? Quella che volevi facessi non più di cinque minuti fa?»
«Oh, sì, giusto. Il mio cervello non sta funzionando bene, in questo momento.»
«Mmmh, il tuo cervello non funziona spesso bene, devo dire.»
«Hey! Ti informo che il mio cervello è perfettamente funzionante, sono le tue labbra ad averlo ridotto in poltiglia!»
Kurt rotea gli occhi, poi torna serio. «Comunque te lo prometto. Non ho alcuna intenzione di rischiare, specialemente adesso che ho un... ragazzo?»
Blaine fa un sorriso enorme, talmente grande che sente le guance fargli male. «Assolutamente. Non voglio perdere il mio ragazzo. Ufficializziamo la promessa con un bacio?»
«Vuoi solo una scusa per baciarmi di nuovo» scherza Kurt, già chinandosi verso di lui.
«Non mi serve una scusa, adesso posso baciarti quando voglio» gli fa un occhiolino Blaine, e procede a dimostrare la verità di quelle parole.
Nella sala principale del QG, intanto, Sam e Santana osservano la scena: lui con le guance rosse d’imbarazzo e una smorfia contrariata in volto; lei con un sorriso compiaciuto.
«Accidenti, nei fumetti accade sempre dopo una situazione potenzialmente mortale. Speravo rimanessero fedeli al cliché,» borbotta il biondo, allungando una banconota da venti dollari alla ragazza, che li infila nel reggiseno.

***

«Allora, Blaine Anderson, conosciuto anche come Nightbird,» la parlata strascicata e piena di disprezzo di Sylvester riscosse Blaine, che alzò lo sguardo per incontrare quello della donna. Un luccichio sinistro nei suoi occhi lo fece quasi deglutire, ma combatté contro l’impulso. Non avrebbe mostrato paura, solo sprezzo.
«Sai, Anderson, sei un mostriciattolo particolarmente interessante per i miei scienziati. Non riescono a farti cedere, nonostante abbiano usato i metodi più creativi e siano anche riusciti a capire qualcosina riguardo ai tuoi poteri,» si interruppe, quasi valutandolo da dietro lo schermo, ma l’espressione di Blaine rimase neutra. «Troppo poco, comunque. Ti ho fatto portare qui per darti un’ultima possibilità: dacci i nomi che ci servono, insieme a tutte le informazioni che hai sulla Resistenza, oppure siedi lì e lascia che le cerchiamo da soli.»
La minaccia suonava sinistra, ma Blaine non era esattamente in sé e non riuscì nemmeno a radunare le forze necessarie per impallidire o entrare nel panico.
«Fai quello che ti pare, non mi importa. Non avrai niente da me» gracchiò, alla fine, con uno sforzo non indifferente della sua gola martoriata.
Lo sguardo della donna si indurì. «Molto bene. Preparatelo» si rivolse alle guardie, poi tornò ad osservarlo. «Sei coraggioso al limite della stupidità, ragazzino. Questa non è una guerra che ti riguarda.»
Quindi la guerra è iniziata.
«Col cavolo che non mi riguarda.»
Sylvester sospirò. «Hai un bel fuoco in te. È un peccato doverlo spegnere»
Con un ultimo gesto della mano, la comunicazione venne interrotta e lo schermo tornò scuro.

***

Tre settimane dopo l’entrata di Kurt nella squadra, Blaine finalmente incontra l’evanescente leader politico.
È una domenica mattina, molto vicina a Natale, e i due ragazzi stanno discutendo con Artie i meriti della nuova idea propagandistica di Kurt, qualcosa che ha a che fare con un logo della Resistenza, perché a quanto pare «alla gente piace avere un volto, e non potendoglielo dare per non rischiare, un simbolo è immediatamente successivo, dà un senso di concretezza e di affidabilità».
«Sono d’accordo con Kurt» una nuova voce fa voltare tutti i ragazzi nella stanza verso la porta, e solo Blaine reagisce, balzando in piedi con un verso simile a un ringhio e mettendosi davanti al suo ragazzo, quasi a fargli da scudo.
Solo allora si rende conto che nessun altro è particolarmente allarmato nel vedere quell’uomo, le espressioni dei suoi compagni sono di mera sorpresa.
«Non ci aspettavamo una tua visita, Schuester» dice alla fine Santana.
«Perché diavolo avreste dovuto aspettare una sua visita? Che ci fa lui qui?!» Blaine è quasi isterico nelle sue domande, ed è ancora in posizione di difesa davanti a Kurt, teso come una corda di violino.
«Blaine, capisco che tu sia confuso...»
«Confuso?! Tu sei il braccio destro di Sue Sylvester! Ti danno già tutti come suo successore! Parli male delle superpersone sulla rete nazionale ad ogni occasione che ti concedono!»
«Si chiama copertura, Anderson. Pensaci un attimo.»
«Come fate a fidarvi di lui? Chi vi dice che non stia facendo il doppiogioco?»
«Da dove pensi che venga esattamente l’attrezzatura e le apparecchiature che abbiamo qui dentro? William ci finanzia, Blaine, senza di lui non avremmo niente da cui partire.»
«Io... lui... questo non prova niente!» Blaine incrocia le braccia e sembra sul punto di aggiungere qualcosa, quando una mano sulla sua spalla e la voce melodiosa di Kurt lo costringono a prendere un profondo respiro.
«Tu gli credi?» chiede, dando le spalle contro ogni istinto al nuovo arrivato.
«Sì, B, gli credo. Quella sera mi ha mostrato qualcosa che mi ha fatto credere nelle sue intenzioni. Dagli una possibilità.»
Blaine prende due profondi respiri, cercando di calmare il tumulto di emozioni che lo ha attanagliato. Alla fine, si volta verso William Schuester e gli porge una mano. «Non mi fido di te, ma se tutti gli altri sono disposti a crederti, farò un tentativo.»
Will sorride e il ragazzo pensa che possa quasi essere confortante. «È tutto quello che ti chiedo.»
Blaine si morde il labbro e sembra contemplare qualcosa, poi alla fine chiede: «Cosa hai mostrato a Kurt?»
Schuester sospira, ma non gli rifiuta una risposta e tira fuori dal portafoglio una fotografia, passandogliela. «Questa è Emma,» dice, e il suo sguardo si fa un po’ più morbido, «è mia moglie. Ha manifestato i superpoteri, alcuni anni fa, non molto dopo che Sue Sylvester è salita al potere. Adesso è incinta. Non voglio che mio figlio cresca in un mondo in cui sua madre potrebbe essere portata via da un momento all’altro e torturata per qualcosa completamente al di fuori del suo controllo.»
Blaine annuisce, osservando il viso dolce della donna dai capelli rossi in foto. È chiaro che Schuester la ama molto, e non pensa che inventerebbe tutto solo per metterli nel sacco.
«Stai rischiando molto, ad essere così vicino a quella donna» dice alla fine, restituendogli la foto.
«L’amore fa fare cose assurde, Blaine. Non importano i rischi.»
Blaine guarda verso Kurt e pensa al Piano Delta, quello a cui ha accettato nemmeno un’ora prima di prendere parte, completamente all’oscuro del suo ragazzo.
«Già... Non importano i rischi.»

***

Blaine era già legato ben stretto alla sedia, quando dei rumori all’esterno – colpi di pistola e tonfi – attirarono l’attenzione delle due guardie. Si scambiarono un cenno e uno dei due si avvicinò all’entrata, tenendo la pistola in pugno. Quando questa si aprì, un’altra guardia varcò la soglia e fece dei rapidi movimenti con le mani che evidentemente dovevano significare qualcosa, perché gli altri due annuirono e si affrettarono fuori, lasciandolo solo.
«Che succede?» chiese il ragazzo, senza aspettarsi davvero una risposta o anche solo un segno di essere stato sentito. E invece si sorprese quando la guardia non solo gli venne incontro, ma cominciò a slegare le cinghie che lo bloccavano, con movimenti rapidi e imprecisi, quasi nervosi.
Che diavolo...?
«Forza, amico, devi darmi una mano qui,» disse poi quello e, nonostante il casco, Blaine fu certo di conoscere quella voce. Quando l’attimo dopo se lo tolse, il riccio si sentì quasi svenire.
«Sam?! Che sta succedendo?» mormorò Blaine, massaggiandosi i polsi e guardando incredulo l’amico.
«Non c’è tempo. Ecco,» con un movimento della mano, la cavigliera metallica dell’altro si spense e poi si aprì con uno scatto secco, facendo sobbalzare Blaine. L’assenza di peso gli fece quasi perdere l’equilibrio quando si tirò in piedi.
«Artie, è libero. Guidaci. Forza, Blaine, dobbiamo muoverci.»
Il ragazzo annuì, cercando di far funzionare gli arti. Si sentiva così stanco, ma l’adrenalina stava cominciando finalmente a liberarsi nel suo corpo. Stava scappando, lo stavano liberando. Avrebbe rivisto i colori, avrebbe sentito i suoni e gli odori del mondo esterno. Avrebbe riabbracciato lui.
Percorsero un numero infinito di corridoi, udendo urla e spari quasi a ogni svolta. Sam si muoveva velocemente, tenendo una mano sull’orecchio, in cui, da quanto Blaine avesse capito, aveva un auricolare attraverso cui Artie li stava conducendo fuori da quel labirinto bianco.
«Ok, ecco la scala. Blaine, amico,» Sam si interruppe per riprendere fiato, solo due o tre ampie boccate, prima di continuare: «Ho bisogno di te, adesso. Questa scala ci farà arrivare sul tetto e da lì dovrai volare. Ok, Blaine? Ho bisogno che voli e che ci porti fuori di qui.»
Blaine lo osservò con occhi pieni di terrore, incapace di comprendere fino in fondo le implicazioni di quella richiesta. Non poteva volare, non ricordava come fare. Erano giorni, forse mesi che non lo faceva, e le sue ali erano state forzate più e più volte fuori dal corpo contro la sua volontà. Come avrebbe fatto a farle obbedire?
«Dai, Blaine, concentrati. So che puoi farcela, sei l’unico che avrebbe potuto, per questo abbiamo mandato te.»
Le parole di Sam arrivavano confuse alle orecchie di Blaine e non riusciva a registrarle completamente, come se il cervello si rifiutasse di elaborarle e dar loro un senso. Provò a scuotere la testa, ma si sentì solo nauseato. Cos’è che doveva fare?
Dietro di loro, dalla tromba delle scale, risuonarono dei passi affrettati e diverse voci. I loro inseguitori si stavano avvicinando. Il tempo stringeva e Sam era impallidito visibilmente, e aveva un barlume selvaggio negli occhi, quasi fuori di sé per lo spavento.
Lo prese per le spalle e lo scosse brevemente, implorandolo: «Blaine, ti prego, ci stanno raggiungendo, devi farlo adesso. Vola, amico. Se non puoi farlo per me, fallo per Kurt. Ti sta aspettando, non vuoi tornare da lui?»
Blaine trasalì e fissò l’amico per un secondo, prima di annuire. Kurt. Per Kurt. Sì, poteva farlo per Kurt.
Chiuse gli occhi e sgomberò la mente da tutto il resto – il dolore, la stanchezza, l’urgenza del momento – fino a sentire solo la leggera pressione nelle scapole, nei due punti in cui sapeva che le sue ali erano pronte a uscire dalla pelle e dispiegarsi.
Un sussulto e un mormorio che suonava sospettosamente come una mezza bestemmia gli fecero riaprire gli occhi. Nei secondi precedenti, i primi passi li avevano evidentemente raggiunti ma Blaine fu lieto di notare la cresta e la tuta rossa di Puck, un po’ malconcio.
«Siamo fregati, stanno arrivando e la nostra unica via di uscita è evidentemente inutilizzabile» disse tra i denti, stringendo i pugni e tremando leggermente.
Solo allora Blaine si accorse che gli occhi di entrambi erano puntati un po’ più in alto rispetto alle sue spalle, sulle ali. Alzò la testa e quasi cominciò a vomitare alla vista: le ali che un tempo erano state ampie e possenti, ricoperte di bellissime piume grigie, adesso non erano altro che uno scheletro di loro stesse, due grosse appendici rosa intenso, piene di graffi di un brutto rossastro e con solo poche piume ancora testardamente attaccate qua e là.
Nel corso dei loro esperimenti, l’avevano mutilato più di quanto il povero ragazzo si fosse reso conto, e ritrovarsi davanti una parte di se stesso così selvaggiamente danneggiata lo fece sentire ancora di più senza speranza. Non avrebbe mai potuto volare in quelle condizioni. Erano in trappola.
Proprio in quel momento, un tonfo metallico da dietro la porta li avvertì dell’arrivo degli scagnozzi di Sylvester, e Puck si lanciò contro di essa, impiegando tutta la sua superforza per impedire loro di oltrepassarla.
«Non reggerò per molto» disse, e Blaine fu quasi certo di vedere un barlume di terrore nei suoi occhi.
«Mi dispiace» riuscì a sussurrare, guardando i due amici che avevano rischiato la vita per venire a salvarlo. «Non sareste dovuti venire, non ne valevo la pena. Adesso moriremo tutti.»
«Non dire cazzate, adesso, Anderson. Certo che saremmo venuti per te, come tu saresti venuto per noi. È quello che si fa fra fratelli.»
«Puck ha ragione, amico. Non importa cosa succederà adesso, non ti avremmo mai lasciato a farti incasinare il cervello da quegli psicopatici.»
Blaine ricambiò i sorrisi deboli degli altri, nonostante la disperazione stesse prendendo il sopravvento. «Grazie. Se qualcuno di voi sopravvivesse, potreste dire a Kurt...»
Un rumore stridulo di metallo piegato lo interruppe, seguito da uno strano fruscìo. Tra un battito di ciglia e l’altro, un ragazzo vestito in rosso – più scuro di quello di Puck, Blaine non poté fare a meno di notare – con un fulmine sul petto era apparso in mezzo a loro.
«Niente addii, vi prego. Non è finita per nessuno,» disse il nuovo arrivato, e Blaine fu certo di conoscere quella voce, anche se non riuscì a capirne il motivo.
«Puck, dammi altri trenta secondi. Sam, Blaine, aggrappatevi a me. Velocemente.»
Sam fece come richiesto, sistemandosi fermamente sulla schiena del ragazzo, mentre Blaine fu semplicemente sollevato tra le braccia di quello, come una sposa. Normalmente sarebbe arrossito o avrebbe protestato, ma nella sua situazione non ebbe nemmeno la forza di commentare.
«Cavolo, è più peso di quanto pensassi,» sbuffò, partendo poi di corsa.
Blaine non ebbe il coraggio di tenere gli occhi aperti; la pressione dell’aria sul suo volto era abbastanza da fargli capire che stavano viaggiando probabilmente alla velocità di un treno, forse anche maggiore.
Sembrò passato solo qualche secondo quando lui e Sam furono depositati in uno strano bunker sotteraneo che Blaine non aveva mai visto prima. Sicuramente non era il QG o qualcuna delle sedi dislocate della Resistenza.
Prima che potesse fare qualsiasi domanda, il ragazzo in rosso scappò di nuovo, per tornare subito insieme a Puck.
«Non una parola» brontolò, con aria minacciosa, staccandosi dall’altro, che si limitò a ridacchiare, senza commenti.
«Blaine,» si rivolse poi a lui, che stava dondolando leggermente sul posto in preda alla stanchezza, l’adrenalina delle ultime ore esaurita con la consapevolezza di ritrovarsi nuovamente al sicuro. «Dobbiamo portarti subito da Emma. Ha bisogno di te adesso, appena uscito, ci ha tanto raccomandato questa cosa. Mi dispiace, ma dovrai rimanere sveglio ancora per un po’.»
In quel momento, però, la porta da cui erano entrati si riaprì, rivelando una donna dal viso dolce con i capelli rossi. «Non ce n’è bisogno, Barry, grazie,» disse lei, avanzando a passi svelti verso di loro. «Sono venuta io appena vi ho visti tornare. Ci avete fatto prendere un bello spavento, voi tre,» aggiunse, rivolgendosi a Sam, Puck e Blaine. «Santana ha cominciato a urlare in spagnolo, e Kurt era fuori di sé, ha tentanto più e più volte di uscire e venire a prendervi, non si sa come. È quasi venuto alle mani con Barry.»
Il ragazzo – Barry? – ridacchiò, poi si tolse la maschera della tuta e tutto divenne per Blaine ancora più surreale. «S-Seb... Sebastian?!»
Con una sorriso quasi timido – Sebastian timido?! – il ragazzo fece una mezzo saluto con la mano e scrollò le spalle. «È una lunghissima storia, B. Te la racconterò più tardi. Ti trovo bene...» si interruppe con una smorfia e si morse il labbro, prima di aggiungere nervosamente: «Voglio dire, a parte le ferite, la malnutrizione e la stanchezza. Uhm, starò zitto adesso, forse è meglio se parliamo più tardi.»
Blaine avrebbe voluto trovare la forza di ridere di fronte a un Sebastian così evidentemente impacciato.
«Blaine, tesoro, ho bisogno di usare i miei poteri ora, quando tutto è ancora fresco. Mi dispiace per questo» disse Emma in tono di scuse e Blaine, pur non capendo fino in fondo cosa comportasse, annuì.
Lo fecero stendere su un letto molto simile a quello di un ospedale, compresi i mille macchinari che lo circondavano e fu attaccato ad alcuni di essi. Poi Emma gli mise una mano sulla fronte e mille immagini gli affollarono la mente tutte in una volta: flash del suo periodo di prigionia, fin nei più futili dettagli, gli si ripresentarono davanti, come se stesse osservando fotografie o brevi video fatti da qualcun altro.
Risentì ogni emozione, dalla determinazione alla paura alla disperazione. Rivisse ogni dolore, con straziante precisione; ogni tortura e ogni gioco psicologico; ogni lacrima versata nel cuscino di notte in quell’inferno bianco immacolato.
A un tratto l’attacco violento di ricordi divenne troppo per il suo corpo, e fu lontanamente consapevole di essere scosso da spasmi talmente violenti da costringere Puck a tenerlo fermo, per non ferire Emma e se stesso.
L’ultima cosa di cui si rese conto, prima di sprofondare in un tanto agognato oblio, furono gli occhi rossi di Emma, il suo volto inondato dalle lacrime e la voce tremolante che in sussurro diceva: «Ho finito», per poi aggiungere: «Ha passato l’inferno, povero ragazzo.»

***

La sera prima dell’inizio del Piano Delta, Blaine sente le farfalle nello stomaco come mai prima di allora. Ha passato tutto il giorno a ripassare la strategia con Puck e Santana e ancora adesso si ritrova a ripetere mentalmente le varie fasi dell’operazione, per essere certo di non sbagliare nulla.
Il piano è abbastanza semplice, in teoria: si sarebbe lasciato catturare da Sylvester e avrebbe immaganizzato quante più informazioni possibili riguardo al loro edificio di controllo, una fortezza immensa che si sviluppa sopra e sotto la città, e al trattamento delle superpersone. Al momento giusto – che Blaine non ha osato chiedere quale sia – una squadra si sarebbe infiltrata per recuperarlo, sarebbero fuggiti e tornati al QG, dove Emma avrebbe ripescato tutti i suoi ricordi grazie al suo potere di scavare nelle menti delle persone e rivivere qualsiasi momento con loro, anche il più insignificante o nascosto, condividendo allo stesso tempo le emozioni. Allo stesso tempo, i ricordi sarebbero stati trasmessi da Emma su video e registrati, cortesia di un marchingegno nato dalle menti geniali di Artie e Laurel, che si era unita alla squadra da qualche giorno. Quest’ultimo era ancora in fase di sperimentazione, ma per quando avrebbero salvato Blaine, sarebbe stato perfetto – o almeno così avevano assicurato i due.
«Sembri uno che ha bisogno di una cioccolata calda,» mormora una voce alle sue spalle e Blaine sorride, accettando di buon grado la tazza che il suo ragazzo gli porge. «Sapevi che c’è una cucina in una delle stanze? E anche un’intera camera piena di provviste. Si sono organizzati bene.»
Blaine sospira, malinconico. Già, si sono organizzati bene per una guerra, che è quello che inizierà tra poco.
Stanno in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei suoi pensieri mentre sorseggiano le bevande, poi Kurt chiede: «Posso farti una domanda?»
Blaine alza un sopracciglio e si volta a guardarlo, annuendo.
«Che succede domani?»
«Che intendi?» ribatte, cercando di prendere tempo. Kurt non può sapere del Piano, vorrebbe fermarlo di sicuro o fare qualcosa di altrettanto stupido. Non può permettere che il suo ragazzo rimanga ferito.
«Non so, forse sono paranoico, ma è tutto il giorno che Sam gironzola nervosamente attorno al QG; tu, Santana e Puck siete spariti; Laurel e Artie non hanno lasciato il laboratorio nemmeno un secondo... Diavolo, addirittura Schuester è passato di qua diverse volte, e sai che non può permetterselo. E Rachel blaterava qualcosa al telefono riguardo a domani. Non ho capito cosa, quella ragazza parla troppo in fretta per me.»
«Oh... Beh, non so cosa Rachel stia programmando di fare domani, ma Laurel e Artie non lasciano mai il laboratorio da quando si sono conosciuti, quindi non è così strano. Hey, pensi che siano loro la prossima coppia della squadra?»
«Non cercare di distrarmi, Blaine Anderson. Non attacca. Dove sei stato tu tutto il giorno?»
Blaine è fiero di se stesso per essere riuscito a mantenere la sua espressione perfettamente neutra a quella domanda. «In Sala Allenamento, ovviamente. Puck è un maniaco quando si tratta di esercitarmi, lo sai. Mi sto davvero pentendo ad aver accettato la sua offerta di farmi da mentore» e rotea gli occhi, con fare fintamente esasperato.
Kurt sorride un po’. «Quello è vero, sarei geloso se Puck non fosse il più completo cliché del macho etero che esista. Scommetto che era il quarterback della squadra di football e usciva con una cheerleader alle superiori. E Santana?»
«Chi sa cosa fa Santana?»
«Buona argomentazione.»
«Kurt, tesoro,» Blaine gli prende le mani e si sente solo leggermente in colpa per quello che sta per dire. «Non succederà niente domani. Il giorno per uscire allo scoperto e mettere a frutto tutti gli sforzi per la tua propaganda si avvicina, e tutti sono su di giri per questo. Stiamo per entrare in guerra. Vogliamo tutti essere preparati al meglio.»
Kurt pare pensarci su per qualche attimo e lo scruta, cercando qualcosa nella sua espressione. Blaine dev’essere un attore migliore di quanto abbia mai pensato, anche dopo anni senza allenamento, perché alla fine il suo ragazzo sorride rassicurato. «Sì, è vero. Mi preoccupo troppo.»
Blaine scuote la testa. «Non esiste troppa preoccupazione, Kurt. Non ne hai bisogno, ma sono lusingato dal fatto che ti preoccupi.»
Kurt sbuffa a quell’affermazione. «Ti amo, Blaine. Certo che ho bisogno di preoccuparmi.»
Un groppo stringe la gola di Blaine, e spera ferventemente che l’altro non noti la sua voce un po’ strozzata. «Ti amo anche io, Kurt. Non dimenticarlo mai.»
Poi lo stringe forte e non gli importa se Kurt si insospettirà di nuovo. Ci sono così tanto cose che potrebbero andare storte nel piano: se non riuscissero a infiltrarsi per salvarlo? Se lo uccidessero subito, senza tentare di estorcergli informazioni? Se non riuscisse a sopportare le torture che sicuramente gli infliggeranno per farlo parlare? Se – e questo lo fa tremare più di qualunque altra possibilità – nonostante la sua determinazione, alla fine crollasse e rivelasse i nomi e la posizione dei suoi compagni, del suo amore?
Kurt lo stringe ugualmente forte, con solo una nota di incertezza nella voce quando sussurra: «Cosa c’è, Blaine?»
Ma lui scuote di nuovo la testa, ricacciando indietro le lacrime che stanno affiorando per la paura, l’incertezza e il puro amore che sente per il ragazzo che ha tra le braccia. «Stringimi e basta, Kurt. Ti prego.»
Passano così gran parte della notte, fin quando la stanchezza è troppa per rimanere al QG.
Il giorno dopo, sotto lo sguardo incredulo e disperato di Kurt – che dev’essere fisicamente contenuto addirittura da Puck per non fargli fare qualcosa di stupido – Blaine vola direttamente addosso a due agenti di Sylvester, lottando con tutti i poteri che ha acquisito per sopraffarli, urlando e graffiando, proteggendosi con il guscio, volando via e riatterrando in un’altra direzione, anche mimetizzandosi con l’ambiente in un falso tentativo di fuga quando i rinforzi arrivano e sono in quindici contro uno.
Quando alla fine lo bloccano contro l’asfalto e gli agganciano la cavigliera, Blaine urla la frase in codice che grazie agli articoli segreti di Kurt, tutti i loro seguaci sanno che significa un richiamo al punto d’incontro stabilito, a circa 15 km dal QG – e il ragazzo in questione, da dietro allo schermo, urla il nome dell’altro tra le lacrime e i singhiozzi, guardandolo portare via, inerme con ancora le braccia di Puck attorno al corpo.

***

Blaine si sentiva sospeso in una specie di limbo. In contrasto con il suo periodo di prigionia, questa gabbia era invece nera e oscura, non c’era dolore o freddo o fame, non c’era niente.
Era quasi confortevole, quel nulla assoluto, unito alla sensazione di galleggiare su qualcosa. C’era solo un fastidio, una specie di strattone ai limiti della sua coscienza che gli diceva di tornare da qualche parte, ma dove? Come? Non capiva ed era ancora così stanco.
Con un grugnito molto soffice, Blaine si accorse di sentire delle voci familiari. Cercò di lottare con il buio, di vincerlo e tornare – avrebbe avuto tempo per riposare, si ricordava che aveva qualcosa di importante da finire.
Una pressione sulla mano destra e un mormorio soffice lo fece grugnire di nuovo, stavolta più forte. Cominciava a riprendere possesso del proprio corpo e delle proprie sensazioni – il tocco sulla mano era caldo, la testa gli faceva molto male e aveva qualcosa addoso, forse una coperta o delle bende, o entrambe le cose.
Che giorno era? Dov’era la luce? Chi c’era con lui? Ancora troppe domande e poche risposte.
Lentamente, un poco per volta, il buio cominciò a schiarirsi e anche la voce accanto al suo orecchio divenne più chiara. Riuscì a distinguere prima qualche parola, poi frasi intere. «Torna da me, Blaine», «Ti amo», «Mi manchi così tanto», «Devi svegliarti».
Alla fine, con un sussulto più forte degli altri, Blaine riuscì ad aprire le palpebre – e se ne pentì subito quando i suoi poveri occhi non più abituati alla luce cominciarono a bruciare e lacrimare istantaneamente.
«Buio,» mormorò, con un filo di voce, sentendo la gola secca e la voce rauca.
«Oh mio Dio, Blaine! Oh mio Dio, oh cielo, grazie, grazie, grazie!» rispose una voce acuta alla sua destra, facendolo grugnire di nuovo.
«Gesù, Hummel, calmati e prendi un po’ d’acqua al povero hobbit, è appena tornato dal mondo dei morti, nemmeno lui e il suo amore da diabete per te possono sopportare i tuoi acuti in questo momento» si aggiunse una voce da donna ai piedi del letto e una risatina risuonò alla sua sinistra, seguita da un consenso.
«Non degnerò nemmeno di una risposta questa affermazione,» replicò Kurt, a voce decisamente più bassa, e Blaine riuscì a sentirlo muoversi, sperando fosse per seguire il consiglio di Santana sull’acqua. Qualcun’altro – la terza voce, probabilmente – intanto aveva abbassato le luci e il ragazzo riuscì finalmente a riaprire gli occhi e a tenerli aperti.
La prima cosa che si ritrovò davanti fu un bicchiere di carta colmo di acqua fredda, poi due occhi azzurri pieni di sollievo e meraviglia. Sorrise debolmente, accettando di buon grado il liquido che fece miracoli per la secchezza in gola e lo fece sentire già leggermente più umano.
Una rapida occhiata intorno gli disse che si trovava ancora nello stesso letto d’ospedale dove Emma aveva usato i suoi poteri, collegato e diversi apparecchi sconosciuti – ne distinse uno per monitorare l’attività cerebrale e un altro per quella cardiaca. Oltre a Santana e Kurt, che aveva già riconosciuto dalle voci, Blaine notò con sorpresa che la terza presenza era Sebastian.
Già con un mucchio di domande sulla punta della lingua, Blaine si voltò verso la porta quando la sentì aprire e si ritrovò davanti una giovane ragazza sconosciuta, dagli occhi azzurri e l’aria rassicurante.
«Mi dispiace, signori, ma devo chiedervi di uscire. Devo visitare Blaine e assicurarmi delle sue condizioni prima che possa bombardarvi di domande come sicuramente sta morendo dalla voglia di fare,» gli fece un occhiolino, ridendo del suo sguardo sorpreso e colpevole e delle guance arrossate dall’imbarazzo.
Nel corso dell’ora successiva – ci voleva davvero tutto quel tempo a visitare qualcuno risvegliatosi da un coma? – Blaine cominciò a farsi un’idea di cosa era successo, anche se non era esattamente positiva.
A quanto pare, dopo essere stato catturato, i senza poteri dalla loro parte grazie al blog di Kurt si erano presentati al punto di raccolta ed erano stati portati al QG, dove era stata elaborata una strategia di attacco. La guerra era iniziata nelle 36 ore successive, e le vittime erano cominciate nemmeno un giorno dopo. I rinforzi erano arrivati da Central City sottoforma di Sebastian – che tutti continuavano per qualche motivo a chiamare Barry – e altre superpersone di lì, suoi alleati, oltre a qualche senza poteri particolarmente dotato, tra cui la dottoressa Caitlin Snow, che lo aveva tenuto in osservazione e curato al meglio delle sue possibilità durante il coma.
La ragazza che lo stava visitando si chiamava Marley ed era una semplice infermiera, anche lei incaricata alla sua cura. Era stato in coma per ben due mesi e si era perso tutto – la guerra era stata un lampo e aveva lasciato una serie di vittime decisamente minore rispetto alle aspettative, ma quando Blaine aveva chiesto notizie riguardo alle loro identità, Marley l’aveva guardato in maniera fin troppo compassionevole, limitandosi a dire che avrebbe dovuto aspettare per quella conversazione. Un senso di timore l’aveva assalito da quel momento.
Alla fine della visita, Kurt e Sebastian rientrarono in camera, lanciandosi occhiatacce che mancavano, però, del solito veleno. Blaine quasi sorrise alla vista: era come essere tornato alle superiori, eccetto che di solito lui era steso sul letto della camera alla Dalton e il suo amico e il suo ragazzo avevano ruoli opposti rispetto ai tempi.
«Insomma, è mai possibile che voi due non riusciate a stare in compagnia dell’altro senza volervi uccidere? La storia delle personalità forti che si scontrano è vecchia, ormai...»
Sebastian sbuffò, roteando gli occhi. «Vecchia e falsa, Killer» gli disse, con un mezzo sorriso. «L’unica cosa che si scontrava era la gelosia di Hummel con il mio ego, che in quegli anni era fin troppo grosso. Era così evidentemente cotto di te che non potevo fare a meno di stuzzicarlo e infastidirlo. Trovavo ridicolo il fatto che tu non lo riuscissi a vedere. Sei sempre stato un po’ tonto per queste cose.»
Blaine ridacchiò, ignorando la frecciatina e lanciando un’occhiata timida a Kurt. «Già, ci ho messo un bel po’ a rendermene conto.»
«Sono contento che alla fine vi siate messi insieme, siete buoni l’uno per l’altro.»
«Grazie. Adesso che abbiamo ricordato il passato, puoi spiegarmi esattamente come si collega a...» sventolò una mano in direzione dell’altro, «...questo?»
Sebastian deglutì e spostò il peso da un piede all’altro, improvvisamente nervoso. «È una lunga storia, B, e non sono certo che tu voglia sentirla.»
«Vuoi scommettere?»
Con un lungo sospiro, Sebastian annuì. «D’accordo, allora.»
Dopo un lungo monologo, Blaine riuscì a trarre alcune conclusioni fondamentali: non esisteva nessun Sebastian Smythe, ma solo un Barry Allen che nella classica crisi di ribellione dell’adolescenza aveva convinto il quasi-padre – «Un’altra lunghissima storia, Blaine» – poliziotto a fabbricare per lui una nuova identità e a lasciarlo andare alla Dalton per le superiori; lo stesso Barry Allen era tornato a Central City dopo aver rotto con lui, entrando a sua volta in polizia come medico legale ed era poi stato colpito dall’ondata di energia la notte dell’esplosione dell’acceleratore di particelle, acquisendo la supervelocità.
«Wow, quella era davvero una lunga storia... Quindi, insomma, i tuoi quattro anni di superiori sono stati una lunga grande bugia, eh? La sfrontatezza, i tuoi genitori a Parigi... L’omosessualità.»
«No, Blaine, aspetta» replicò frettolosamente Sebast – no, Barry. «Sì, la maggior parte della mia nuova identità era una bugia, compreso il mio carattere, però con te non ho mai mentito. Sei stato letteralmente l’unica cosa che sentissi reale di quel periodo. Il tempo che abbiamo passato insieme, la nostra storia, è l’unica cosa che non mi pento di aver vissuto in quei quattro anni di menzogne e di negazione. È anche grazie a te se ho ritrovato me stesso, e mi hai aiutato a capire di essere bisessuale. Tutto quello che abbiamo passato non è stato una bugia, B, devi credermi.»
Gli occhi del ragazzo erano pieni di dispiacere e di sincerità, e Blaine sospirò e non parlò per un lungo minuto, osservandolo. Sì, bruciava sapere che la sua prima cotta, primo ragazzo, primo bacio e primo tante altre cose era in realtà un impostore, qualcuno di completamente diverso. Ma d’altra parte, ormai erano passati anni e quel periodo lo ricordava solo con l’affetto dei bei ricordi andati. Andati era la parola chiave.  La pressione confortante del palmo di Kurt contro il suo non era altro che un ulteriore promemoria di quanto tempo fosse passato. Non importava più poi molto, e Barry gli aveva salvato la vita su quel tetto, due mesi prima. Poteva trovare in se stesso la forza di perdonare gli errori di un ragazzino.
«Ok, ti credo e ti perdono» disse alla fine Blaine, e Barry gli sorrise grato. «Adesso che questo è chiarito, ditemi di là fuori. So che è tutto finito, che abbiamo vinto, ma nient’altro. C’è Will al potere?»
Un’ombra scura attraversò il volto di Kurt e Barry, che si scambiarono un’occhiata. «Vi lascio soli. È stato bello rivederti sveglio, Blaine» si congedò il secondo, richiudendosi dolcemente la porta alle spalle.
«Kurt?»
«Ti ricordi come ti hanno salvato quel giorno, B? E a questo proposito, quando sarai guarito ti ci rimetterò io in quel letto d’ospedale per non avermi detto niente del Piano.»
Blaine fece una smorfia, ma scacciò il pensiero della lavata di testa che sicuramente sarebbe arrivata dal suo ragazzo e si concentrò sulla conversazione. «Sì, ero legato a una specie di sedia strana quando Sam è entrato, travestito da guardia. A proposito, come mai hanno mandato lui che è senza poteri? Poteva farsi molto male, più di me e Puck.»
«Sì, beh, Sam non era stato identificato tra i possibili ribelli, quindi era il candidato migliore. Le superpersone sarebbero state scovate subito, fanno dei test. Sei stato tenuto prigioniero per sedici giorni, dopo quattro Sylvester ha cominciato a reclutare nuovi scagnozzi perché i suoi stavano diminuendo rapidamente, catturati, passati dalla nostra parte o...»
«Immagino. Comunque, cosa c’entra il giorno del mio salvataggio con tutto il resto?»
«Ci sto arrivando. Quel giorno non doveva succedere niente. Non dovevano intervenire. Io volevo farti uscire da subito, ma loro volevano più tempo e più ricordi da cui trarre informazioni. Col senno di poi, è stato meglio tirarti fuori perché avevano già tutto ciò che potevano chiedere, infatti c’è voluto poco più di un mese per entrare in azione nel blitz finale e catturare Sue Sylvester in persona. Barry l’ha portata a Central City, se ti interessa, c’è una specie di prigione per superpersone lì e ci ha infilato anche lei, per stare sicuri...»
«Kurt, stai blaterando e tergiversando. Arriva al punto, ti prego, la suspance mi sta uccidendo.»
Kurt chiuse gli occhi e si morse l’interno di una guancia. «Non è bello da dire, B, ma devi sapere che nessuno poteva prevederlo e che non è colpa tua... Schuester era presente quando Sylvester ha dato l’ordine di, beh, non esattamente lobotomizzarti, ma avrebbero fatto qualcosa al tuo cervello, manipolando le varie parti per spingerti a parlare contro la tua volontà. Sarebbe stato estremamente doloroso e non saresti stato mai più lo stesso, Blaine. Ero terrorizzato quando la chiamata è arrivata.»
«Quale chiamata?»
«Quella di Schue, Blaine. Appena terminata la videochiamata al computer con la tua postazione, William ci ha contattati e ha avvisato di cosa volevano farti. Dovete farlo uscire subito ha detto, ed era anche lui onestamente terrorizzato.»
«Io... lui... e poi?»
Gli occhi di Kurt si velarono di lacrime e Blaine desiderò disperatamente di poter fuggire da qualsiasi cosa sarebbe uscita poi dalle labbra del suo ragazzo. «Sylvester ha capito di avere una spia tra i suoi, le tempistiche erano troppo sospette. Ha fatto uccidere tutti quelli che sapevano dell’ordine... Le due guardie con te, il dottore e lo staff che avrebbero dovuto armeggiare con la tua testa... E Schuester.»
I sensi di Blaine smisero di funzionare per qualche secondo, permettendogli di udire solo un ronzio soffocato e di fissare con occhi spenti il suo interlocutore. William Schuester, l’uomo a cui aveva apertamente detto di non fidarsi di lui, lo stesso di cui aveva sospettato fin dall’inizio, era morto per impedire che gli facessero irreparabilmente del male. L’aveva salvato da un destino peggiore della morte, dall’essere riprogrammato come un automa per soddisfare i desideri della donna più spregevole sulla faccia della Terra.
L’espressione preoccupata di Kurt gli disse che la storia non era finita lì. «Chi altro?» chiese, con voce monocorde.
«Blaine, forse dovresti riposare un po’ prima che...»
«Chi altro, Kurt? Dimmelo.»
Kurt abbassò gli occhi. «Puck,» disse, con voce debole. «È letteralmente rimasto schiacciato cercando di salvare una bambina dal crollo di un edificio. Più avanti ho scoperto che era identica alla figlia, Beth.»
Puck aveva una figlia, che adesso era rimasta orfana del padre. Come il figlio non ancora nato di Emma e Schuester, che lei avrebbe dovuto crescere da sola perché era diventata una vedova.
«C’è un’altra cosa. Si tratta di Sam.»
«No, Kurt, ti prego, non dirmelo, non dirmi che anche Sam non c’è più, non potrei sopportarlo.»
«No, non è quello. Sam è vivo, B, te lo giuro. Solo che... Oddio, è così difficile essere quello a doverti raccontare tutto questo.» Kurt fece una pausa per riprendere fiato e si asciugò gli occhi. «Durante il tuo salvataggio, Sam è stato sparato al braccio. Nessuno se n’è accorto, erano tutti troppo preoccupati per te, e quando finalmente lui, da stupido martire, ha aperto bocca, era passato troppo tempo. Hanno dovuto amputarglielo.»
«Kurt, credo di star per vomitare.»
Rapido come un lampo, Kurt gli passò una bacinella appena in tempo. Blaine rigettò per qualche minuto tutto il contenuto del suo stomaco, fin quando solo l’acido gastrico continuò a risalire in conati, poi scoppiò a piangere, lunghi singhiozzi gli scossero il corpo per parecchio tempo.
Aveva perso il suo mentore, e una brava persona aveva perso suo marito, e il suo migliore amico aveva perso un arto. E quante altre persone, senza un nome o un volto per lui ma con una famiglia e degli amici, erano morte? Quanti non avrebbero potuto giovare della libertà che avevano faticosamente costruito? Quanti bambini erano rimasti orfani, quante donne o uomini vedovi, quante famiglie si erano sfasciate?
Blaine pianse per tutti loro, e poi pianse un altro po’ per il sollievo di essere vivo e di avere con sé Kurt, caldo contro di lui, salvo, sano. Erano sopravvisuti ed erano insieme, e quella era la cosa più importante in quel momento.
Passarono ore insieme su quel letto – ad abbracciarsi, a scambiarsi occasionalmente baci e semplicemente a sentirsi, finalmente riuniti – prima che Blaine trovasse il coraggio di parlare di nuovo.
«E adesso che si fa?» chiese, con voce appena udibile.
«Adesso ti riprendi. Finisci di guarire. Stanno ricostruendo le zone della città che sono state distrutte negli scontri, compreso Central Park. Quando sarà ora, andremo nel tuo appartamento, o nel mio, e prenderemo le nostre cose. E poi faremo quello che vogliamo. Possiamo tornare in Ohio dalle nostre famiglie, per un po’. Non so come la pensi, ma dopo questi mesi, stare a casa con mio padre e Carol sembra un sogno.»
«Già... Mi piacerebbe vedere Cooper. È così tanto che non ho sue notizie.»
«Possiamo fare anche quello, Los Angeles non è così lontana. Abbiamo un sacco di soldi ad aspettarci, usciti da qui.»
«Che intendi?»
«Là fuori sei un eroe, Blaine. È merito tuo e dei tuoi sacrifici se la guerra è durata così poco. Senza le informazioni che i tuoi ricordi hanno fornito alla Resistenza, adesso saremmo ancora in piena guerra e probabilmente rischieremmo anche di perderla.»
«Non ho fatto così tanto. Se abbiamo anche solo avuto un esercito per combattere una guerra è stato merito tuo e del tuo blog, Kurt. L’essere un giornalista ci ha davvero salvato.»
Kurt sbuffò una risata a quell’affermazione. «Kurt Hummel, nato per servire. Comunque, sul serio, non sminuirti, B. Hai fatto tanto e perso tanto in questa guerra. Meriti un po’ di tranquillità e tutto quello che vuoi.»
Blaine sorrise, sentendo quelle parole. «Tutto, eh?» disse con voce esageratamente sensuale, facendo scoppiare Kurt a ridere.
«Sì, magari per quello possiamo aspettare un po’» rispose, con un occhiolino, baciando poi il broncio dell’altro.
C’era ancora tanto di cui discutere: la strigliata riguardo al Piano Delta; il nuovo governo e le sue riforme; Sue Sylvester imprigionata a Central City; il senso di colpa che Blaine sentiva per i morti e i feriti, non importava che Kurt gli avesse assicurato che non fosse colpa sua.
Ma per il momento, la guerra era finita. La maggior parte dei loro amici stava bene. Una nuova era stava iniziando, senza più dittatura, e per una volta Blaine Anderson non era preoccupato riguardo al futuro. L’avrebbe affrontato insieme a Kurt, e sarebbero stati bene.

Angolino dell'autrice :)

La mia storia più lunga finora, e ho amato scriverne ogni singola parola. H
o sempre trovato molto complicato inventare un universo alternativo, eppure una volta avuta l'idea non ha voluto lasciarmi in pace. Mi farebbe immensamente piacere se lasciaste due paroline per farmi sapere se vi è piaciuta la storia principale e se vi piacerebbe leggere di più: ho intenzione di rendere questo AU una serie e aggiungere qualcosa in particolare riguardo alle storie di Artie, Sam (cosa li ha spinti a entrare nella Resistenza) e Sue (da dove deriva il suo odio); fare magari una shot riguardo alla vita dopo la dittatura e che fine hanno fatto Kurt, Blaine e tutti gli altri; anche qualcosa riguardo ai due mesi che Blaine ha passato in coma e gli altri combattendo... Questo tipo di cose. Qualcuno le seguirebbe con me? Vi mando un bacio, sperando di risentirci presto.
Fefy

 
  
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