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Autore: tixit    19/02/2016    5 recensioni
Victor Clément de Girodelle riflette sul passato e sul presente, soppesando l'idea di una proposta di matrimonio.
Avvertenza: per me è un personaggio positivo - nella storia non viene sbeffeggiato.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Victor Clemente Girodelle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: questo personaggio non mi appartiene, è di Ryoko Ikeda. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Note: la storia non è ambientata nell'universo in cui vive Danielle / Sigyn.
Il titolo doveva essere Riflessioni di Elledorig, ma ho fatto una ricerca veloce e pare che Elledorig sia già stato usato - peccato.
Vestiti ispirati da Limzy (http://lovelimzy.blogspot.it/).

 


 

Notte degli uomini, avresti un cuore da donare?

 

Victor Clément era seduto davanti al fuoco e fissava le fiamme nel caminetto, che, crudeli, componevano un volto. Uno del passato, che non aveva pensato gli sarebbe mancato così a lungo e pure così tanto - ad averlo saputo avrebbe preso una decisione diversa, tanto tempo prima.

Ad averlo saputo.


Ancora adesso, ogni volta che sentiva l’odore delle violette pensava a lei, a un bacio nel vento che veniva dal mare - più di uno in realtà - all’odore dei cespugli di rosmarino, al frinire delle cicale e al calore della pelle sotto il sole.
Alla Provenza.

Non era stato.

Inutile rimuginarci sopra. Non era stato e basta.

Anche se a volte lei gli teneva compagnia - gli sembrava giusto, in fondo s’era portata via una fetta del suo cuore e lui, in cambio s’era tenuto il suo fantasma: certe sere se la immaginava proprio lì, seduta in quella stanza, intenta a discutere con lui di cose troppo personali per essere condivise con anima viva.
 

“Che ne pensi, fatina? dovrei sposarmi?”

“Certo” avrebbe detto lei, appollaiata su una sedia, sicuramente avvolta in qualche vestito assurdo - la immaginò in una corolla di un fiore, una esotica bouganvillea dai petali semirigidi, le sarebbe piaciuto - “Io oramai sono troppo piccola per te… ti serve una della tua età.”

“Non tornerai più, se accade?” ti dimenticherò del tutto? un po’ mi spiacerebbe...

“Ci sarò sempre, non t’illudere, ma solo certe sere… ogni tanto anche io ho bisogno di uscire sai? di andare a ballare, che ti credi? E qui, tu, ti stai riempiendo di polvere.” La immaginò piroettare con i petali della gonna che le si sollevavano intorno (forse una margherita sarebbe stata più appropriata, o un ranuncolo) e accennare un inchino - ballare le era sempre piaciuto.

“E chi dovrei scegliere mai, fata Chiacchierina?”

“Una che capisca, una che un pezzettino di cuore lo ha lasciato anche lei da qualche parte… una distratta!” Cambiò da sola il vestito in uno di violette, le sue preferite - fantasma vanitoso, ancora più di quanto lo era di persona - un tripudio di corolle timide ai suoi piedi, ossimoro come lo era lei, fantasma pieno di vita.

“Una vedova?” una donna fredda? sempre avvolta nel suo dolore? o una libertina che sta a suo agio con la sua libertà?

“E perché no? Una che sappia che l’amore viene in tanti modi. A volte lento come la marea di un lago. A volte goccia a goccia. Pochissime, davvero pochissime volte, come un colpo di fulmine...”

“Sono un po’ troppo vecchio per quello, sai?” Io invecchio, tesoro, tu resti sempre tu, tra viole, margherite e rosmarino; e non è solo la luce delle candele e questo vino e la malinconia del ricordo: hai sempre avuto un cuoricino di farfalla.

“Non è questione di età, è che non sei proprio il tipo: quando ti è capitato hai pensato subito ad una stupidaggine… che fosse un qualcosa contro cui lottare, non da assecondare!” ecco, con una frase del genere, la Chiacchierina gli avrebbe di sicuro fatto una linguaccia.

Aveva una sua miniatura in un cassetto, uno segreto dello scrittoio, con il nasino arricciato, i riccioli che scappavano dall’acconciatura e una smorfia sorpresa… se l’era fatta fare lei stessa e gliela aveva regalata perché la ricordasse come era davvero, tutti i giorni della settimana, e non solo nei giorni di festa, come in un ritratto ufficiale. Un segreto tra di loro - il pittore aveva riso.

Quando si erano restituiti tutto - lettere, pegni di poco conto, un anellino, un ciondolo - lui le aveva detto di averla persa, di non sapere più dove era finita, che lo scusasse - non gli reggeva il cuore di non avere proprio più nulla di suo.

Lei s’era spiaciuta: un altro segno che lui a lei, in fondo, non ci teneva davvero, aveva detto.

Sbagliava.

Sbagliavano in due.

“Mi dispiace, fatina… non sai quanto...”

“... e poi pensi troppo al passato! Il passato è passato. A te serve un amore, adesso, ora, in questo istante, non uno vecchio e muffo… io sono la tua violetta tra le pagine di un libro, ma ad un uomo serve altro.”

“Se lo dici tu...”

“Un amore che cresca nel cuore piano piano, con una che capisca che può arrivare anche così, un mattone alla volta.” Se la immaginò con lo sguardo deciso ed il dito puntato, inquisitiva. Non era una che collezionava cuori solo per farsene un vanto: al dunque, diceva sempre, ne serve solo uno ed uno solo, il resto va lasciato libero per un’altra. Non c’è una seconda vita.

“Una donna sentimentale, vedo...” sorrise ironico, ”bel desiderio che hai in serbo per me...”

“Una donna matura, una con qualche bozzetto, qualche incrinatura, una che sa che le cose possono funzionare, anche se non sono perfette - una ragazzina vorrebbe solo un bravo ballerino e un gran baciatore, tutte cose che non guastano, intendiamoci, e tu le ce hai, mi pare.”

Gli venne da ridere. L’aveva baciata e molto. E aveva ballato con lei, sfiorandole il polso con le dita e vedendola arrossire sotto i lampadari del Salone degli Specchi, imbarazzata e soddisfatta.

“Dai che lo so, che dopo di me ce ne sono state altre…”

“Mai come te, fatina. Mai.” vorrei non fosse vero, ma non avevo capito. Uno sciocco.

“Si, ma coi baci e coi balli lo so che ti sei tenuto in esercizio!” non era mai stata gelosa.

“Va bene, lo ammetto…”

“Ma a te, ora, serve una che apprezzi il soldato - lealtà, presenza, compassione. La capacità di riconoscere l’essere umano in un altro, non solo in se stessi...”

“Che paroloni, Chiacchierina...” hai sempre visto dentro di me cose che neanche sapevo ci fossero… o forse ci entravano, dentro di me, perché ce le vedevi tu...

“... e allora se vuoi solo compagnia e silenzio, comprati un cane!”

L’aveva offesa. L’avrebbe offesa se fosse stata lì, e lui l’avrebbe capito dal modo in cui lei, la fata Chiacchierina, improvvisamente muta, avrebbe fissato le sue scarpette, spazientita, senza guardarlo in faccia.

“Mi hai calpestato il cuore con quelle tue scarpine, sai?”

“Lo hai voluto tu, e lo sai. Hai aspettato troppo: non ero fatta per chiudermi in un convento.”

“Me ne dispiace proprio tanto fatina di averti lasciato volare via.”

“Non devi. I rimpianti non servono, io di certo non li avrei voluti per te, lo sai. Sono andata via, ma l'affetto resta sempre. Per un bel po' ho chiesto sempre di te, lo sai.” Io non chiedo mai.

“Credo di conoscere la donna giusta, una che è troppo sola. Che ha amato non riamata per tanto tempo uno sciocco, che non si è mai sposata e potrebbe non sposarsi mai...”

“Perfetto! La base in comune la avete… due zitelloni malinconici.”

“Sei una vipera....”

“No, quello mai, lo sai… mai con te...” lo so, con me mai, neanche una volta, nemmeno quando è finita. E avresti potuto farmelo pesare che stavo facendo un errore. Uno di quelli da fesso.

“Quindi potrei accennarle... è una donna che stimo… non ha senso un corteggiamento come con una sconosciuta.” Non ho tempo o voglia di inventare chiari di luna, quelli io li ho già avuti e se lei non li ha avuti, non ha senso omaggiarla con un fondale di palcoscenico e raccontarle che il riflesso della luna vale più della luna. Ma quello che lei può mettere sul piatto - quello che io posso mettere sul piatto - è comunque un valore. Un valore onesto da trattare con rispetto. Per tutti e due.

“Ho capito! Il Comandante! Prima però dovresti parlare con suo padre: è una questione di rispetto… ha investito tanto su di lei. Se ha obiezioni è bene saperlo prima: se un amore è da far crescere come una piantina da un piccolo seme, è bene saperlo prima (prima!) come è messo il terreno.”

“Non è una bambina.”

“E’ un soldato però - educata a obbedire. Questa unione nasce per riaccendere delle luci, non per fare disastri di cui non c’è bisogno. Quindi prima chiedi al padre. Poi chiedi a lei - a dire no, se non vuole, fa sempre in tempo.”

“Hai sempre adorato le formalità...” hai sempre saputo che potevi dire un no, se volevi, se volevo… le formalità, mah! ero io che le rispettavo… ma non mi lasci perdere la faccia nemmeno come fantasma.

“So come funzionano queste cose...” avrebbe sospirato. Si, lei lo sapeva come funzionavano le cose.

“Non le spiacerà non essere stata interpellata per prima, fatina?”

“Forse. Ma... si è mai ribellata al padre in tutta la sua vita? Un colpo di testa? Un punto che ha tenuto? Qualcosa che ha fatto a modo suo?”

“No, non mi pare. Lui le ha chiesto tanto: anche il non necessario. Lei s’è presa spazio solo con piccole cose… una volta un duello... In pratica, di rilevante, solo il lavoro che ha cambiato solo ora, credo, per un amore andato male. Almeno... così penso di aver intuito.”

“Inutile allora trattarla come una donna che sa di poter decidere tutto da sola - non lo è. Quelle sono battaglie che non spettano a te come pretendente… sono cose sue che non ti riguardano. Tanto la parola finale spetta a lei, immagino se ne renda conto...”

“Non è una bambina e comanda degli uomini… lo dovrebbe sapere a chi spetta l’ultima parola.” Lo spero. Spero lo sappia. E se non lo sa allora non val la pena - alla mia solitudine ci sono abituato, non mi interessa scambiarla con una di un altro tipo, più raffinata e meno evidente.

 

“Posso farti io una domanda?” Se la immaginò avvolta in una calla, elegante e bianca, con il bordo verde chiaro che risaliva ad avvolgerle il seno, fino alle spalle. Sperò tanto di non darle un dolore.

“Certo fatina, tutto quello che vuoi...”

“Perché non mi hai mai scritto?”

“Ti ho scritto molte lettere, non ti ricordi? me le hai restituite con un nastrino viola, molto vezzoso.”

“Non dico quando ero tua. Dico dopo.”

“Ti ho scritto molte e molte volte, fatina.”

“E me le hai spedite?”

“No, mai, tesoro. Mi dispiace…” tu non sai quanto, cara, non sai quanto...

“Ma perché?”

“Non ne avevo il cuore, tesoro, sai?”

“Io ti volevo molto bene… non si cancella tutto con la fine di una storia, resta sempre un mormorio, un’impronta nel cuore… ti avrei sicuramente scritto anche io. Ti avrei chiesto di qualche pettegolezzo di sicuro!”

“Quanto te ne sei andata, piccola, mi si è schiantato il mondo. Mi avresti scritto cose che non avrei voluto leggere.” si sentiva il cuore pesante come un piombo.

“Cosa di così tremendo?”

“Beh, fatina, hai sempre detto di volere dei figli, quattro per la precisione…” te lo devo proprio dire? non lo sappiamo da soli tutti e due cosa fa male?

“Si, avevo già scelto i nomi, te lo dicevo sempre: Jean-Paul, Helène, Joseph e Charlotte. Ma uno avresti potuto sceglierlo tu… era sottinteso. Quello prima ovviamente. Dopo direi di no. Non ti avrei chiesto un parere, temo.”

“Non mi reggeva il cuore di leggere in una lettera tua di bambini tuoi, perdonami…”  e non miei. Non miei, tesoro... Non sono così generoso.

“Così non lo sai? Non hai idea di come sono diventata? Magari sono ingrassata?”

“Può essere.” Non me ne importerebbe.

“Una matrona!”

“Ah non so, fatina… forse.”

“Potrei anche esser morta per quello che ne sai!”

“Questa è un’altra cosa che non avrei voluto sapere mai… che non voglio sapere.” Preferisco saperti ancora innamorata di un altro, credimi, piuttosto che immaginare che te ne sei andata e non l’ho mai saputo.

“Ma insomma!” la immaginò battere il pedino in terra, mentre i petali delle viole le vorticavano intorno.

“Non pensavo che te ne saresti andata via, lontano, con un altro…”

“Mi immaginavi per sempre zitella?”

“Non lo so fatina, forse pensavo di avere più tempo. Una seconda chance… non ho capito fino a quando non ho visto lui come ti guardava. E allora era troppo tardi: anche tu lo guardavi.” Un errore, un madornale errore.

“E’ ora che ti sposi, sai? Non mi piace saperti solo… tutto questo immaginarmi… non è sano, lo sai, vero?”

Svanì piano nell’aria, con un sorriso e Victor si riscosse. Non le aveva mai scritto, non osava.

Ma forse era giunto il momento di sapere come stava. Chiedere di Jean-Paul, Helène, Joseph e Charlotte... li aveva immaginati tanto tempo prima, mentre lei ne parlava. Tutti con il sorriso della sua fatina; i maschi con i suoi occhi, le femmine con quelli di lei.

Scrivere solo per sentirla - niente di più: le sarebbe spiaciuto sapere che ancora la pensava - gli avrebbe detto di uscire, che lei non collezionava cuori, piuttosto teiere cinesi.

Prima però avrebbe chiesto a Madamigella Oscar cosa pensava di una storia che nasceva da due solitudini, da molta stima, e da un cuore desideroso di riempirsi di nuovo.

Non poteva scrivere ad una fatina, che forse era una austera matrona cicciottella, solo per sapere se era viva - lo aveva dimenticato?  - e poi chiedere a una donna di iniziare una nuova vita: la donna sarebbe stata la sua seconda scelta. Non se lo meritava - anche se, sospettò, anche lui sarebbe stato un ripiego… ma un restauro ben fatto, a volte, anche se meno bello, si rivela più saldo del pezzo originale.

 

Si alzò e se ne andò a letto.

La fatina avrebbe capito.

E lui non doveva bere più come stasera.

 

Se i profeti si levassero
nella notte degli uomini
come amanti in cerca del cuore dell’amato,
notte degli uomini
avresti un cuore da donare?
(Nelly Sachs)



 

   
 
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