Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Cygnus_X1    20/02/2016    7 recensioni
Dandenir, una giovane ricercatrice, è a caccia di preziose informazioni date disperse ormai da secoli. Contravvenendo agli ordini del suo superiore, è tornata sul pianeta natale della sua civiltà. Ma cosa troverà su Ta-Phelor, il pianeta morto?
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 photo collapse_zps87zsxza8.jpg


 



 
 
È stata una stupida a voler tornare.
Se ne accorge all'istante non appena l'azzurro striato di bianco dell'iperspazio si dirada e la sua astronave rallenta fino alla velocità sub-luce.
Eccoli, lì di fronte a lei. I Figli dell'Abisso, li chiamava la mitologia jeru; e Dandenir, vedendoli, non può che concordare. Nessun'immagine olografica, nessuna ricostruzione le ha mai dato quella sensazione, la sensazione di sporgersi a guardare sull'orlo del nulla. Ha la gola secca e tutta la sua determinazione sembra essere evaporata nell'istante in cui ha posato gli occhi sui due buchi neri prossimi a collidere. In tutto paiono avere la dimensione di un suo pugno, ma Dandenir è consapevole di quanto la distanza inganni. E sapersi vicina a quella specie di colossale bomba a orologeria, apparentemente immobile ma sul punto di scaraventare in ogni direzione energia dagli effetti sconosciuti, le manda un brivido lungo la schiena e la fa pentire fino in fondo della sua decisione.
Scrolla le spalle, cacciando fuori la paura dalla sua mente. Non ha rischiato, contravvenendo agli ordini diretti di Heoras, e sprecato due settimane e un'intera dose standard di idrogeno per arrivare lì e tornare indietro. E ha come la sensazione che se non fa ciò che è venuta a fare ora non lo potrà fare mai più.
Imposta le coordinate di Ta-Phelor, lo vede a poca distanza da lei, sulla sinistra. I propulsori dell'astronave prendono vita, accelerandola verso il pianeta. Mentre si avvicina non riesce a distogliere lo sguardo dai due mostri neri, ormai quasi fusi in uno; il nero insondabile dei loro cuori contro i bagliori lontani di stelle e galassie, il tessuto dello spaziotempo teso al limite, come un elastico sul punto di strapparsi.
La sfera color sabbia del pianeta occupa quasi del tutto il suo campo visivo. Nubi sfilacciate screziano l'oro della superficie; Mephas, l'unico satellite naturale di Ta-Phelor, fa capolino da dietro con la sua sagoma irregolare.
Avvio procedura di atterraggio, annuncia il sintetizzatore vocale della nave nel casco della sua tuta. Dandenir dà l'ok.
La gravità del pianeta comincia a farsi sentire sempre di più mano a mano che l'astronave si avvicina. Dandenir oltrepassa frammenti di antichi satelliti, detriti metallici che mandano lampi riflettendo la luce rossa della stella. Riconosce la struttura cilindrica, composta come da innumerevoli scaglie lucide, di uno dei rottami: un prototipo Taeg-73, ha costruito la tesi su quello e altre tecnologie antiche. Pannelli fotovoltaici disposti su tutta la superficie del satellite, per catturare la luce della stella durante tutto il periodo di rotazione: Dandenir scuote la testa per quello che le permettono le cinghie che la assicurano al sedile. Inutilmente dispendioso e poco efficiente.
L'astronave ormai è entrata nell'atmosfera. Le vibrazioni si intensificano, i propulsori ringhiano contrastando l'accelerazione. Si sta approssimando alla zona illuminata; oltre la cappa di nubi intravede la linea di costa di Ehar-Gyssa, il continente principale, che spicca sul blu degli oceani circostanti, dorato e costellato delle macchie grigie delle città.
«Coordinate d'atterraggio: Ehar-Gyssa, megalopoli Kanephil, settore Gamma» scandisce. Il computer di bordo registra l'ordine con un trillo, sugli schermi davanti a lei appare la mappa. Il settore Gamma appare contornato da una linea azzurra.
L'oceano ora appare raggrizito e solcato dalle onde sulle quali talvolta biancheggia la schiuma. Il blu sfuma in un azzurro verdastro e poi nel giallo dorato del deserto che si spande fin dalla costa. Là, al confine, la carcassa di Kanephil si espande, grigia, come una colata di cemento.
«Disattiva pilota automatico» dice Dandenir.
Controllo di sicurezza comando, le risponde in cuffia il sintetizzatore vocale.
«5-9-Seris-1-Q-33.»
Password confermata. Passaggio a pilota manuale tra tre... due... uno... Passaggio effettuato.
Uno scatto, due luci azzurre baluginano dalla cloche a segnalarne l'attivazione. Dandenir la afferra, suo malgrado emozionata. È da tantissimo tempo che non effettua un atterraggio di persona, di solito è il sistema di bordo in collegamento con la IA dello spazioporto a fare tutto. Le sembra di essere catapultata indietro di anni, a quando era un cadetto di fronte al primo volo vero, fuori dal simulatore: la cloche stretta tra le mani avvolte dai guanti, il leggero vibrare della nave attraverso l'atmosfera, la tensione.
Stupidaggini. Ormai è una pilota esperta; ha affrontato innumerevoli viaggi nello spazio, una laurea in ingegneria aerospaziale e tre anni di lavoro al Progetto di Storia Spaziale a Unthra.
Ed ecco perché è lì. Non può accettare dati incompleti quando il loro pianeta natale è ad appena due settimane di iperviaggio da Prima Colonia. Heoras non era d'accordo, ma quelle informazioni valgono la sua furia.
Gli scheletri metallici degli antichi grattacieli si profilano davanti alla sua visuale, e lei comincia a sondare il terreno cercando un buon punto per posare l'astronave. Le arriva un trillo in cuffia, gli scanner hanno individuato una zona adeguatamente piatta e, secondo le ananlisi, stabile. A giudicare dall'aspetto doveva trattarsi di un aeroparcheggio, la struttura di qualcuno degli attracchi è ancora in piedi e si erge dalla massa di detriti.
Dandenir conduce l'astronave sopra alla piattaforma. Le piace come risponde ai suoi comandi: è agile, non come la ferraglia che le facevano usare quand'era cadetto all'accademia aerospaziale.
La nave si adagia sulla pavimentazione del parcheggio sollevando nugoli di polvere che le ostruiscono la visuale. Una scossa, l'astronave si è posata.
Dandenir aspetta che le particelle alzate dall'atterraggio si depositino di nuovo a terra prima di aprire la rampa. Sgancia le cinghie del sedile, mette in stand-by i motori ed esce.
È in trepidazione: dal metallo della rampa scende sul cemento, coperto di terra e rottami, ed è consapevole che è la prima a calpestare quel suolo dopo due millenni. La minaccia dei due buchi neri era stata, in passato, una spinta costante a sviluppare le tecnologie necessarie all'esplorazione spaziale, per evadere dal sistema il prima possibile. E quando gli antenati degli abitanti di Prima Colonia avevano scoperto il pianeta, avevano lasciato Ta-Phelor senza pensarci due volte; e da allora nessuno vi aveva più fatto ritorno, tenuto a distanza dalla presenza incombente dei due Figli dell'Abisso.
Dandenir scuote la testa. I soliti vaneggiamenti di una studiosa di tecnologie antiche. Per più di duemila anni i buchi neri non hanno dato segni di vita, e lei è fiduciosa che non lo facciano ancora per un po'.
Cammina fino al bordo della piattaforma e si sporge a guardare di sotto. Il resto di quello che doveva essere l'aeroparcheggio giace in pezzi giù, sulla strada; brandelli della struttura di metallo si sporgono ritorti in aria, mangiati dalla ruggine. Aggrotta la fronte, riflettendo: la causa doveva essere stata un terremoto particolarmente intenso, nient'altro avrebbe potuto spaccare in quel modo il cemento rinforzato. Alza gli occhi, cercando evidenze della sua ipotesi negli edifici circostanti: nota ciò che resta di un grattacielo schiantato a terra, numerosi crolli. Storce le labbra, suo malgrado. Ma non può certo pretendere che in tutto quel tempo l'ambiente sia rimasto immutato.
Estrae da dietro le spalle le leve di comando, salta. Il jetpack implementato alla tuta le permette di rasentare il terreno, sulla visiera del casco è proiettata una mappa olografica che le indica, in scritte luminescenti, le funzioni degli edifici principali come dovevano essere quando Ta-Phelor era ancora un pianeta vivo e Kanephil il suo cuore pulsante. Ora di quelle strutture non restano che frammenti. Dandenir riconosce una guglia, pericolosamente inclinata, che l'ologramma indica come  il Laboratorio Mondiale di Fisica; delle tre torri sede del Consiglio, invece, non resta nulla, al loro posto si apre una voragine nella skyline.
Nel casco non penetra nessun rumore dall'esterno. Dandenir se ne dispiace: vorrebbe toglierlo, ascoltare i suoni di quel pianeta, percepire la brezza scorrerle sulle squame e tra le piume, annusare il profumo di un'aria che da duemila anni nessuno assaggia. Non sarebbe prudente, però.
Appare infine davanti ai suoi occhi una sagoma imponente, che adombra un lungo tratto con il suo profilo. Giganteggia su di lei un edificio un tempo a forma di piramide a base quadrata, ora in buona parte collassato su sé stesso.
Eccolo, il Core.
L'ingresso – un portone di metallo alto quant due volte la sua nave – non è chiuso: uno dei battenti pende ritorto dai cardini, e lascia uno spazio sufficiente per passare. Dentro, il buio più fitto.
Dandenir attiva la visione notturna. I contorni delle cose emergono uno alla volta dalle tenebre: scaffali altissimi, vuoti e rovesciati sul pavimento; frammenti di pietra e cemento provenienti dal piano soprastante, ora caduto.
Fa avanzare il jetpack un po' alla volta, con brevi colpetti alle leve di comando. Al centro, il terreno sprofonda in un baratro di cui non si vede il fondo. I sotterranei del Core: là deve andare.
Scende, cauta. Malgrado gli anni e l'addestramento, avverte lo stomaco stretto in un nodo: è la prima volta che si trova completamente sola su un intero pianeta, senza la benché minima idea di ciò che vi può incontrare. Di nuovo, la sua decisione le appare sciocca e infantile.
Ha raggiunto il livello più basso e nulla si è mosso. Si trova in un corridoio; da un lato le macerie invadono il passaggio, dall'altro una porta chiusa impedisce di proseguire. Si avvicina, esaminandola. Sembra una cassaforte e, nonostante tutto, è sigillata. Il cuore accelera per l'emozione: lì può trovare ciò che cerca.
Tende un braccio all'indietro, infilandolo in uno scomparto dello zaino. Sotto le dita percepisce la forma semisferica dei detonatori, ne estrae due e li posiziona sull'obbiettivo. Le vibrazioni dell'esplosione non dovrebbero minare la struttura; per sicurezza, Dandenir attende di tornare al pianoterra, pronta a uscire, prima di far saltare le cariche. Ode solamente un rombo soffocato, ma ciò che resta del Core non dà il minimo segno di cedimento.
Erano degli ottimi ingegneri, gli abitanti di Ta-Phelor, considera.
Torna di sotto. La porta non ha ceduto del tutto, ma è stata profondamente intaccata. Dandenir si guarda intorno, fino a scorgere quello che sembra un frammento di putrella metallica lungo quanto un suo braccio. Aggrotta le sopracciglia: preferisce non sapere da dove si sia staccato un elemento portante, ma ora esso può fare al caso suo. È pesante, le bruciano i muscoli delle braccia a sollevarlo. Tenta di farlo oscillare come può senza che le sfugga di mano e infine, con un grido, lo schianta contro la porta già minata. L'inerzia fa ciò che la sua scarsa forza non è in grado, e il brandello d'acciaio sfonda l'obbiettivo in una nube di polvere.
Dandenir si inoltra all'interno della cassaforte prima ancora che l'aria torni limpida. Si trova in una stanza relativamente piccola, lunga una ventina di passi e larga la metà, su cui il tempo sembra non aver avuto effetti: armadi, disposti in file ordinate uno a fianco all'altro, si susseguono per tutto lo spazio, chiusi. Si avvicina a uno di essi; la serratura elettronica è morta da un pezzo e Dandenir, facendo leva sulla fessura con il coltello che tiene nel fodero alla cintura, riesce ad aprirlo. Le ante si spalancano di colpo.
Lei sorride, quasi senza accorgersene. File e file di parallelepipedi neri occupano l'intero armadio, e Dandenir può sentire sulle labbra il sapore della vittoria. Ecco i dati che cercava.
Infila più hard disk che può in ogni spazio libero dello zaino e ne afferra altrettanti in mano. Pilotare il jetpack con una mano sola le risulta difficile, ma non lascerebbe là nessuno di quegli archivi portatili. Dovrà fare molti viaggi tra l'astronave e il Core; e sicuramente molti hard disk saranno illeggibili, ma avrà tempo di verificare che informazioni contengono nelle due settimane di viaggio verso Prima Colonia.
Risale in superficie ed esce alla luce del sole ancora con il sorriso sulle labbra. Batte le palpebre, cercando di adattarsi nuovamente al chiarore del giorno.
Aggrotta la fronte. In lontananza, le rovine degli edifici le appaiono come sfocate. Non ha mai avuto problemi di vista; spegne l'oloproiettore sulla visiera e lo riaccende. Nulla, il problema persiste. Anzi, nota, è peggiorato: ora persino la struttura vicino cui ha lasciato la nave sembra celata dietro un vetro smerigliato.
Che sta succedendo?
Si guarda intorno, improvvisamente in allerta. Il sistema non rileva nessun pericolo, ogni cosa è dove dev'essere ed è tutto dannatamente calmo. Che si sia immaginata tutto?
Posa lo sguardo di sfuggita sul suo carico e sussulta. Il suo cuore ora batte come se volesse fuggire dal suo corpo, non riesce a normalizzare il respiro.
Gli hard disk, il suo stesso corpo hanno assunto l'aspetto sfocato. Le gira la testa. Sta impazzendo?
Se non ci fosse assoluto, snervante silenzio e non si percepisse immobile le sembrerebbe quasi che, più che sfocato, l'ambiente circostante fosse percorso da una vibrazione, ma un fenomeno del genere provocherebbe uno spostamento d'aria e lei dovrebbe udire un qualsiasi suono...
E se fosse...
L'idea le cade addosso come un macigno. L'aria contenuta nel casco pare non in grado di saziarla.
No.
Non sono i Figli dell'Abisso.
Che stupidaggini. Deve raggiungere la sua nave e depositarvi gli hard disk, e tornare nel Core a prendere il resto.
Solleva lo sguardo.
È pietrificata, il tempo appare dilatarsi all'infinito mentre Dandenir scorre con lo sguardo su quella cosa che sta per investirla. Un muro che si estende in ogni direzione, sparendo fin sopra le nuvole e allungandosi a sinistra e a destra fin dove gli occhi possono vedere; distorce la realtà dietro la sua superficie come una lente dal profilo irregolare. Avanza inesorabile nel più totale silenzio, una minaccia non pronunciata come erano stati i due buchi neri, ormai collassati in uno.
Dandenir infine realizza.
L'onda si abbatte su di lei.









 
******* Famigerato Angolino Buio *******
Ok.
Non so cosa sia comprensibile di tutto ciò. Non so nemmeno se sia leggibile o se è meglio che vada a coltivare cavolfiori ^^
Dunque, un po' di spiegazioni. Questa "storia" – per così dire – mi è venuta in mente del tutto random quando ho letto della scoperta delle onde gravitazionali, e mi chiedevo come dev'essere stato "vederle" da vicino; in due parole, è uno sclero della mia fantasia assurda. In tutto, penso che l'unica cosa salvabile sia il banner all'inizio - mi è venuto bene, dai u.u
E basta, mi dileguo, ché ho dato prova abbastanza della mia scarsa sanità mentale.
Au revoir!

~ Vy
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Cygnus_X1