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Autore: lapoetastra    20/02/2016    2 recensioni
John non sapeva come era finito a fare quel gioco.
Semplicemente ci si era ritrovato in mezzo di colpo, senza neanche accorgersene.
Era stata tutta un'idea di Sherlock, ovviamente...
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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John non sapeva come era finito a fare quel gioco.
Semplicemente ci si era ritrovato in mezzo di colpo, senza neanche accorgersene.
Era stata tutta un’idea di Sherlock, ovviamente, Sherlock che ogni tanto da grande investigatore freddo come il ghiaccio qual era, si trasformava in un battito di ciglia in un ragazzino desideroso di attività stimolanti e divertenti.
John, che era un dottore, aveva attribuito quei momenti di regressione improvvisa al fatto che Sherlock non avesse mai vissuto appieno la propria infanzia, e sicuramente nemmeno la propria adolescenza, dominato da un’intelligenza molto più sviluppata di quanto si addicesse ad un normale teenager, e che dunque ora quegli anni rubati tendessero a tratti a sfuggire al suo ferreo autocontrollo e si manifestassero nei comportamenti e nei desideri che di colpo come un pensiero affioravano nella sua mente, e che non si addicevano ad un uomo della sua età e soprattutto del suo rango.
E John gli voleva troppo bene per non assecondarlo, anche quando le sue richieste erano… strane.
Come adesso, ad esempio.
Seduti al tavolo, l’uno di fronte all’altro, i due uomini si guardavano con occhi lucidi, simbolo del vino che correva nelle vene infuocate di entrambi.
Il bicchiere di John era notevolmente più vuoto rispetto a quello di Sherlock, semplicemente perché lui aveva fatto più cose rispetto all’investigatore.
Certo, la maggior parte di quelle erano esperienze di cui si vergognava, e per tale motivo era arrossito come un peperone quando aveva dovuto bere un sorso rivelando la verità all’amico, come se lui non la sapesse già da molto tempo, del resto.
Ed ora gli mancava ancora un solo sorso per trionfare, ma sapeva che Sherlock non gli avrebbe mai ceduto la vittoria su un piatto d’argento.
< Hai mai baciato un uomo? >, chiese infatti questi, ghignando.
Ecco, John lo sapeva.
Non avrebbe mai potuto vincere, non con Sherlock che lo conosceva così bene e che gli faceva quelle domande di cui la risposta era certo fosse una negazione.
Come in quel caso, ad esempio.
Certo che non aveva mai baciato un uomo, non c’era neanche da…
I pensieri di John si bloccarono.
Si bloccarono nello stesso istante in cui Sherlock si sporse oltre il tavolo e, dopo averlo afferrato senza alcuna grazia per la collottola, lo baciò.
Fu un bacio violento, rapido, tutto denti. Ricco di bisogno.
Quando si staccarono, John ansante e paonazzo, Sherlock calmo ed imperscrutabile, calò il silenzio.
Dopo attimi che parvero al dottore interminabili, Holmes sbuffò.
< Diamine, John. Ma cosa ti prende? Bevi, no? >
Watson non capiva, e continuò a fissarlo con gli occhi sbarrati. < Io… cosa? >, domandò biascicando.
Sherlock chiuse gli occhi, lentamente, e lentamente li riaprì.
Era il classico gesto, quello, che lo tradiva quando era particolarmente infastidito.
< Devi bere, John >, spiegò dunque, scandendo bene le parole come se stesse impartendo una lezione particolarmente complessa ad un bambino un po’ tardo. < Io ti ho chiesto: “hai mai baciato un uomo?”, e tu lo hai fatto, quindi ora devi bere. È così che funziona il gioco, credevo che ormai lo avessi capito… >
John bevve, allora, portandosi il bicchiere alle labbra con un gesto meccanico che non aveva nulla di intenzionale e deglutendo con una smorfia impercettibile la restante quantità di vino.
Il battito improvviso delle mani di Sherlock lo riscosse, riportandolo alla realtà.
< Hai vinto, Watson. Complimenti, sono fiero di te >, esclamò quest’ultimo, e dal suo tono era impossibile capire se fosse sincero o ironico.
Ma a John non importava di aver trionfato, non adesso, almeno.
Adesso aveva solo bisogno di una spiegazione, doveva assolutamente capire il motivo di quel bacio improvviso che ancora gli bruciava come un ferro incandescente sulle labbra.
Accumulando tutto il coraggio che possedeva, iniziò: < Perché… perché tu… sì, insomma, perché tu mi…? >
< Perché ti ho baciato, John? È questo che stai balbettando? >
Il dottore annuì.
Non si era accorto di star tremando, e quando ne prese consapevolezza, non riuscì a smettere.
Sherlock sorrise.
< Volevo che vincessi, Watson, tutto qui >, rispose semplicemente, scrollando le spalle magre come se la questione non lo riguardasse più.
Poi, senza aggiungere altro, si alzò e tornò ai suoi studi.
John non gli chiese altre spiegazioni.
Era inutile, del resto, perché sapeva che avrebbe ottenuto solo silenzio, o al massimo uno sbuffo stizzito.
Tanto valeva tenere per sé i propri dubbi e le proprie domande, allora.
Tuttavia, non riusciva a capire il comportamento dell’amico.
Perché, se l’investigatore voleva davvero farlo vincere come aveva sostenuto poco prima – cosa che tra l’altro non era proprio da Sherlock, il quale prendeva qualsiasi sconfitta, anche la più banale, come un insulto a se stesso – non gli aveva semplicemente  posto una domanda la cui risposta sapeva lo avrebbe costretto a bere?
Perché portare avanti tutta quella pantomima, e poi scappare senza dare altre spiegazioni in merito?
John non lo sapeva.
L’unica cosa di cui era assolutamente certo, in tutto quel caos senza fine che gli assoggettava il cervello, era che forse quei momenti di regressione improvvisa di Sherlock non erano poi così tanto un male.
 
   
 
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